IL RIFIUTO DI VIVERE

Astrid Basso

il rifiuto di vivere

1.
 Stava sul tetto di uno dei soliti alti palazzi, anche se non era arrivato l’inverno c’era un gran fresco, la temperatura di quel posto era decisamente più bassa rispetto ad altri che aveva visitato nel suo girovagare il mondo.
Gli piaceva.
Lì era alto ed il vento soffiava, aveva la sensazione che quell’aria fredda potesse portargli via i pensieri noiosi e farlo sentire come desiderava, vuoto.
Si chiedeva sempre cosa ne sarebbe uscito nel momento in cui lo sarebbe stato realmente.
Si guardava intorno mentre girava con la sua banda di scapestrati, erano tutti uguali a lui, si erano tutti ritrovati nel genere che stava scoppiando in quel periodo, il punk.
Si sentivano appartenenti a qualcosa, ma non l’avevano scelto per essere diversi oppure uguali ad altri, si erano trovati dentro a quel qualcosa di potente, un richiamo al nulla che disperatamente cercavano.
In fondo la vita che li circondava era in realtà una noia mortale, nulla di quel che nasceva e succedeva era ricco di reale interesse e come se non bastasse le loro stesse vite non erano abbastanza interessanti, nulla richiamava sentimenti particolari.
Tutto era una noia assoluta, ecco perché cercavano l’appartenenza a qualcosa di vivo, di vero, lontano dai sentimentalismi esistenziali. A loro non importava trovare un senso alle loro vite, non importava il passato ed il futuro era oscuro, era faticoso da raggiungere, si preoccupavano del presente, ma non come tutti, semplicemente come gente che voleva spaccare qualunque cosa arrivasse loro sotto mano.
Un presente senza pensieri e preoccupazioni anche se affogavano nella melma, volevano un presente dove nei pochi minuti in cui riuscivano ad essere loro stessi, arrivasse fuori l’apocalisse. Volevano che quando loro si lasciavano andare per vivere, accadesse di tutto. 
Proprio di tutto.
Né il passato, né il futuro li preoccupava.
Solo il presente, un presente potente, senza preoccupazioni e ‘stupidaggini’!
Salì sul tetto mentre i suoi compagni sistemavano e montavano gli strumenti in uno dei buchi d'appartamento trovati in quell'alto edificio, uno di essi era all'ultimo piano e a separarli dall'ampio terrazzo in cima c'erano solo delle scale che lui aveva percorso per vedere com'era.
Lui aveva un semplice basso ed un amplificatore portatile attaccato alla cintura che gli rendeva cadenti i jeans rotti, dal momento che era già pronto ed in attesa che gli altri sistemassero il resto, era venuto a vedere il tetto. 
Il vento soffiava molto forte. 
Seth alzò gli occhi blu al cielo, quell’oggi non era uguale alle sue iridi bensì grigio cupo, le nuvole si rincorrevano in cielo sovrapponendosi con intricati fantasie prorompenti e pericolose.
Sarebbe stato un bello spettacolo se fosse stato uno che si interessava facilmente ai fenomeni della natura ed alla bellezza in generale.
Sbuffò, neppure la pioggia gli sarebbe interessata. Tirò fuori dalla giacca pesante in pelle con delle borchie sulle spalle, un pacchetto mal tenuto di sigarette, con un colpetto al fianco ne fece uscire una e la prese fra le labbra sottili, rimise le altre nella tasca e con fare annoiato ed infastidito se l’accese, il vento gli procurò delle difficoltà, ma lui le vinse con un imprecazione che rivelò la sua voce roca e profonda.
Quando soffiò il fumo questo si disperse velocemente nell’aria, girò lo sguardo per vedere dove sarebbe finito e seccato notò come moriva subito.
Il vento poteva essere noioso come tutto il resto.
Dopotutto nemmeno lui era adatto al suo profondo essere.
Nel gesto i capelli neri nel classico taglio a cresta rasato ai lati, però senza nulla che li tenesse in alto a punta quindi lasciati giù al naturale, si spostarono completamente sugli occhi assottigliati per il vento.
Qualcosa attirò la sua attenzione in quel movimento ed i suoi lineamenti marmorei e quasi insipidi, dovuti probabilmente anche alle sopracciglia quasi del tutto rasate, mutarono impercettibilmente in incuriositi.
In realtà lui non conosceva la sorpresa, ma a volte poteva andarci vicino.
Prese a suonare il basso distratto mentre a passo strisciato raggirava l'ingresso tenendo la sigaretta stretta fra le labbra. Tirò lo sguardo penetrante e quando vide dietro, in piedi sulla balaustra, una ragazza dai lunghissimi e setosi capelli rossi che si muovevano in avanti nell’aria, come anche il suo vestito bianco che pareva quello di una ballerina, un vestito molto stretto sul corpetto e largo, pieno di veli, sulla gonna. Quel che notò in primo luogo fu la sua magrezza, le si vedevano le ossa, in secondo luogo fu il suo sguardo che a stento si intravedeva fra i capelli al vento.
Come proprio lui potesse rimaner colpito da qualcosa, era veramente un mistero, eppure fu.
Seth rimase colpito dal suo sguardo.
Poteva una ragazza, una persona, mantenere in quella posizione un’espressione tanto altera, saccente e fredda?
Non vide bene il suo volto, ma solo la sua espressione, o meglio quello che gli trasmise in pochi attimi che riuscì a notarla a stento.
Poi lo realizzò.
Voleva suicidarsi.

Era al di là della balaustra ed il vento l’avrebbe spinta di sotto se prima non si sarebbe buttata lei stessa.
Il suono del suo basso le arrivò così come la sua presenza amorfa e quasi spaventosa.
Si voltò lentamente e con fierezza lo squadrò mostrando tutta la sua contrarietà rispetto alla presenza di uno sconosciuto conciato in quel modo.
A partire, probabilmente, dai lati della testa rasati, continuando coi piercing sul viso e per finire con gli abiti, a suo parere, negativamente appariscenti.
Non gli dedicò più attenzione di così, solo quando si voltò di nuovo verso il vuoto che le sottostava, fu attraversata da un piccolo brivido distinto da quello del freddo per il vento.
Era un brivido per il vuoto e l’indifferenza che lui aveva nello sguardo.
Così si erano incontrati.
Due persone diverse eppure uguali.
Lei una ballerina sicuramente di danza classica a giudicare dal corpo, dai vestiti e dallo sguardo, lui un punk a giudicare dalle medesime cose.
Un incontro singolare, il loro.
Era bella quell’aria, era forte, poteva anche riuscirci.
Ci sarebbe riuscita, si… a volare… 
Guardava il mondo da quella posizione così alta mentre il vento le faceva impazzire i capelli rossi, sembrava tutto così piccolo ed insignificante.
Non sarebbe pesato a nessuno.
Nemmeno a lei.
Il dolore fisico non contava, se ne avesse sentito si sarebbe ritenuta in buono stato. 
Non la spaventava la morte, assolutamente. Era un trapasso e il dolore provato in esso, quello fisico, era comunque di breve durata. Era peggio stare sulle punte.
Lo era, eccome… quando si hanno i piedi completamente feriti per riuscire a modellarli nel giusto modo; o così o non avrebbe ballato bene.
Sentiva i propri abiti alzarsi scoprendole la pelle, brividi per il freddo che non la toccarono realmente, era come se non se ne accorgesse, come non si era accorta della persona che era salita in quel momento sul palazzo.
Le sembrava tutto così insulso e privo di senso.
Ogni cosa.
Fino a quel momento l’aveva tenuta in vita la danza, ma ora non provava più piacere nemmeno facendo ciò che le era sempre piaciuto. Non provava più piacere in nulla. Ogni cosa aveva perso interesse.
Il cibo da tempo, si era messa d’impegno per odiarlo o non avrebbe ottenuto il corpo perfetto per ballare; era stata così brava che il solo pensiero di mangiare le provocava la nausea, immaginare qualcosa da ingurgitare di commestibile era una tortura, per evitare quel pensiero si metteva a ballare. Il ballo era lo scopo per cui odiava il cibo. Il cibo era nemico della danza.
Il cibo era nemico suo.
Questo finché non aveva smesso di essere felice anche quando si esibiva.
Quando era successo aveva visto ogni cosa della sua vita diventare grigio. Né bianco, né nero, né nessun altro colore.
Solo grigio.
Qualunque cosa accadeva non la toccava, lei era diversa, nessuno era come lei, nessuno poteva capirla, accogliere le sue confidenze, darle buoni consigli.
Quali buoni consigli esistono per una ballerina che inizia ad odiare l’unica sua ragione di vita?
Aveva fatto un errore madornale, modificarsi dal primo alito di vita in modo da arrivare ad essere la ballerina classica perfetta, in ogni singolo dettaglio. 
Avrebbe dovuto esserlo per tutta la vita ed invece nessun impedimento fisico era arrivato a bloccarle la via, niente di esterno, di eliminabile, di ragionevole.
Niente.
Solo il suo odio, la sua repulsione.
Quando eseguiva i passi muovendosi nella musica armoniosa che sempre aveva amato, non sentiva più piacere, non aveva voglia di fare assolutamente nulla.
Una musica le era giunta all’orecchio, uno strumento che non conosceva, ciò che non c’entrava con la danza classica l’aveva eliminato di partenza. La sua vita era SOLO danza classica.
Ora non sentiva nulla per essa e come potesse essere successo, per lei, era un mistero. Aveva fatto tutto giusto, curando i particolari, era stata molto attenta. Stava arrivando ad un livello veramente molto alto eppure di punto in bianco più nulla.
Non se ne era accorta prima, un giorno semplicemente era successo, si era svuotata e ragionando  si era chiesta che senso avesse continuare se nulla le interessava.
Nessuno le aveva mai dato ordini, nessuno era mai stato più di lei tanto da dirle che DOVEVA fare determinate cose. 
Nessuno era mai arrivato a lei tanto da trattenerla.
Nessuno c’era perché aveva dato tutto per il ballo.
Aveva solo il ballo.
Ora non sapeva come, ma non era abbastanza nemmeno quello.
Forse perché era diventata troppo brava, perché non aveva più nulla da imparare, perché eseguiva tutto così egregiamente che non aveva senso allenarsi, non ce n’era motivo. Forse perché nessun applauso o complimento era necessario per dimostrare che era brava, o magari perché, semplicemente, gli stimoli non c’erano più.
Era fatta male?
Era una così?
Allora fino a quel momento non aveva ballato per il piacere di farlo, ma solo per… per cosa?
Non aveva saputo rispondersi.
Se non sapeva perché ballare, non sapeva nemmeno perché vivere, poiché aveva solo quello.
Era salita su quel palazzo facendosi trasportare dal vento, il maggior contribuito per danzare. Salita in quella ringhiera, dall’altra parte, si era tenuta ben salda, facendo attenzione ai movimenti ed alla posizione, qualcosa che desse espressione di sé.
Cosa esprimeva in quel momento?
Quando si scambiò uno sguardo con il ragazzo punk che aveva incontrato la sua disapprovazione, si era per un attimo vista coi suoi occhi profondi e vuoti.
Aveva visto un minuto lungo di luce solo perché la guardava in quella posizione.
Ecco la sua risposta.
Esprimeva la luce che si faceva vincere dalle tenebre.
Un angelo che si stava buttando nell’abisso infernale per decadere.
Dai suoi occhi si vide a quel modo, poi tornò a voltarsi.
Non avrebbe impedito nulla, quel ragazzo.
Non era un pericolo, uno come lui non era nemmeno degno di toccarla perché dava l’idea di sporco, era fuori dalla sua portata.
Non lo calcolò più di quell’istante e tornò a dedicarsi al proprio abisso profondo.
Ora che era lì in alto in procinto di farla finita provava qualcosa?
Forse era andata lì solo per dimostrare a sé stessa che invece era viva e non voleva morire, che aveva interesse per qualcosa, che non c’era solo la danza. 
Però stava ancora aspettando di provare l’istinto di non buttarsi, di scappare da lì e mettersi al sicuro.
Il suono di quello strumento non cessava, insistentemente continuava accanto a lei.
Lui la guardava.
“Allora, semplicemente, non rimane che una cosa da fare, visto che non trovo motivazioni valide per non farlo è giunto il momento. 
Mi piacerebbe provare dolore, per una volta. 
Dolore diverso da quello provocato dal ballo. Dolore che mi faccia capire che sono viva e non una semplice morta vivente. 
Mi chiamano la Rosa Rossa o Angelo. 
Ebbene è giusto che lo faccia così, l’ultima immagine mia che darò sarà quella di un angelo che, mentre cade nell’Utero di Lucifero, guarda il cielo allontanarsi, lo guarda per l’ultima volta pensando: Ecco cosa mi perdo … 
Voglio farlo così e vedere se nemmeno allora proverò paura e griderò. 
Se sono viva allora devo dimostrarlo a me stessa. “
Si girò dando la schiena al vuoto, in quella posizione vide perfettamente il ragazzo dai capelli neri con la cresta. Si era messo proprio davanti a lei stringendo ancora la sigaretta fra i denti e lo strumento fra le mani.
Suonava, era un suono basso di poche note.
Qualcosa che faceva da colonna sonora alla sua morte, non molto melodioso od aggraziato.
Deludente dal proprio punto di vista.
Lei non l’avrebbe mai compreso ma, in realtà, non aveva smesso di provare amore per la danza di punto in bianco, aveva ignorato i segnali d’allarme così come faceva con ogni cosa. Lei aveva ignorato tutto finché non era arrivata ad ignorare anche i segnali del corpo, dell'anima. Ecco perché non aveva potuto rimediare e capire le cose graduali.
Fu catturata da quel viso così insipido che sapeva di nulla, non aveva quasi sopracciglia, gli occhi erano sottili e a fatica si intravedeva il colore blu, la bocca piccola, piercing ovunque e abiti rovinati.
Non era un bel tipo, anzi... se però si fosse curato meglio lo sarebbe stato, senza dubbio.
Sembrava incuriosito, ma ancora non parlava, come se volesse vedere se l’avrebbe fatto veramente. 
La sfidava a farlo?
Non parlava, solo la guardava con attenzione, in contrasto col suo apparente modo di essere menefreghista.
Le si staccava solo per qualche centimetro, si era messo il più vicino possibile a lei.
Silvie avrebbe voluto sapere cosa pensava, perché lo faceva, cosa avrebbe fatto… improvvisamente si trovò a voler questo.
Qualcosa la sorprese, la scosse profondamente e con una lieve incrinatura del sopracciglio fine e curato dimostrò quel suo stato d’animo.
Incertezza.
Allora non era morta.
Allora forse poteva ancora provare qualcosa.
- Non fai niente? – 
Disse lei con un filo di voce, era una voce femminile e delicata, ma atona.
Lui sbuffò buttando la sigaretta giù per il palazzo, poi rispose senza smettere di suonare:
- Vuoi che faccia qualcosa? – 
Nemmeno il suo tono aveva inclinazioni particolari, era una voce bassa, rauca e penetrante. Molto bella.
- Non ti viene da fare nulla? – 
- Dovrei fare qualcosa? – 
Disse subito lui, in breve si intavolò un discorso veloce fra i due che si scrutavano a fondo senza far passare i propri pensieri.
- Sei tu a saperlo … - 
- Forse dovrei fermarti, ma non me ne frega nulla, non ti conosco.  – 
Silenzio.
Quella risposta la colpì, era una persona non molto diversa da lei, dentro. Molto in fondo cominciava a sentire una similitudine con un’altra persona. Non avrebbe mollato fino a che non sarebbe stata sicura di poter sperare ancora di essere viva.
- Allora perché mi guardi così? – 
Seth rispose senza crearsi problemi, dicendo la verità, senza vergognarsi per questo. 
- Voglio vedere se gli angeli sanno uccidersi! – 
L’aveva intuito, lei veramente l’aveva intuito che potesse essere così. 
- Non ti dispiace che un angelo muoia? – 
- Non sono degno degli angeli, non ho diritto di impedirgli nulla, nemmeno la morte. - 
Aveva una visione interessante della vita e delle cose; no, non era proprio come lei e per questo forse sarebbe potuto essere interessante. Forse.
Ancora non lo era.
Però magari in futuro… 
- Non avrai altre occasioni di vedere un angelo… sei sicuro di non volere niente? – 
Sembrò pensarci un attimo, come se questa risposta fosse effettivamente importante. Non staccò gli occhi dai suoi, erano belli, erano di uno splendido azzurro cielo terso, quell’azzurro che viene dopo il temporale. Pulito.
- Io non voglio mai niente. Sei tu invece che vuoi qualcosa. - 
Trattenne il fiato… che lui avesse capito ciò che cercava di capire lei con quel gesto?
Si avvicinò impercettibilmente a lui per ascoltare meglio la risposta, erano molto vicini… 
- Dimmi, cosa? – 
Come se lo stesse pregando, come se gli chiedesse disperatamente una soluzione per tornare a sognare.
Lui prima di rispondere la guardò meglio nei dettagli. Prima aveva avuto solo l’impressione che fosse splendida, ma ora che l’aveva così vicina poteva averne la certezza.
Qualcosa di diverso dal nulla, nella sua vita, l’aveva appena incontrato.
Nonostante ne avesse viste di persone belle, nessuno aveva catturato la sua attenzione a quel modo, solo con un banale gesto di buttarsi giù e farla finita.
- Vuoi che qualcuno ti salvi riportandoti in vita. Che ti faccia aprire gli occhi. - 
Non sapeva come aveva potuto dire una cosa simile, ma gli era passata nella mente e l’aveva detta, non era tipo che rifletteva, anzi. 
“Ma come… come può dire una cosa simile questo sconosciuto? 
Non ho nessuno nella mia vita, i miei genitori non ci sono più da molto e in istituto sono stata abituata a stare sola, isolandomi, nemmeno i miei maestri di danza mi hanno mai trasmesso altro che non fosse inerente alla danza. Ora questo ragazzo così diverso da me mi dice una cosa simile e mi ferma. Arriva a dirmi ciò che speravo che fosse vero. Allora lo è… allora non è come pensavo. 
E’ come speravo che fosse. 
Sono viva, devo solo cercare meglio dentro di me. 
Ma come farò a capire qual è ciò per cui vivo? Non è la danza e dunque? E dunque come faccio? Io non lo so. So solo ballare, il mio corpo va bene solo per quello. Il mio stesso carattere non va bene per nient’altro che sia la danza classica. 
Cosa devo fare e come? 
Chi me lo può dire? 
Sono viva ma tutto ciò che ho sono sogni e preghiere di continuare a sognare. Ma cosa?”
Il cuore prese a batterle all’impazzata e qualcosa che non era mai accaduto scattò in lei, sorprendendola e spaventandola.
Si agitò.
Cominciò a sudare e a stringere le labbra fino a farle diventare bianche per lo sforzo, stessa sorte alle mani sulla ringhiera, le pupille le si strinsero per lo spavento.
Cosa le succedeva?
Guardò con speranza le mani del ragazzo, suonava ancora, non l’avrebbe salvata, non sarebbe stato lui il suo salvatore. Fu con questo pensiero che il suo corpo iniziò a tremare e le gambe immobili per la paura scivolarono.
Scivolò nel momento in cui l’aveva fissato dritto negli occhi con la sua richiesta, la sua muta preghiera.
Non sarebbe mai riuscita a pronunciarla a parole, non ce l’avrebbe mai fatta, non sarebbe stato da lei, non era capace di esprimersi a parole, non era abituata.
Come si chiedeva aiuto?
Aveva bisogno di qualcuno che vedesse di lei, qualcuno che ricoprisse il ruolo che nessuno aveva mai ricoperto, in fondo non era venuta lì per uccidersi, ma solo per trovare delle risposte; ora che le aveva non sapeva come tornare indietro e salvarsi da sola, era impossibile dal momento che desiderava che qualcuno la salvasse.
Quando interruppero quello scambio di sguardi significativo perché lei stava per cadere, riuscendo solo a tenersi nella ringhiera di ferro, sembrò che qualcosa scattasse anche in lui.
Come se avesse capito qualcosa che cercava di capire anche lui.
Non lo seppe, Silvie non lo seppe mai, ma si sentì afferrare la mano quando la sua stava cedendo, si sentì stringere con forza e quando vide chi era, mentre l’alzava di peso, un peso che in effetti era nulla, vide che era lui.
Sempre quello sconosciuto che le aveva detto la cosa giusta al momento giusto.
In realtà le persone anelano a questo.
A risposte.
Risposte che non sono le verità assolute, ma solo le cose giuste dette al momento giusto.
Nient’altro.
Ciò che poi scatta nella persona quando se le sente dire, è sempre un mistero. Ma l’importante è che scatti.
In loro era scattato.
Entrambi avevano fatto qualcosa che mai, in condizioni normali, avrebbero fatto.
Mai.
Da lì in poi, cosa sarebbe successo, sarebbe dipeso da loro.

2.
C’era silenzio nella sala ampia e vuota che usava per provare i suoi balli. 
C’era un silenzio che feriva le orecchie e metteva a disagio per i sussurri che portava all’animo in subbuglio. 
Nemmeno i respiri dell’unica persona presente si percepivano chiaramente, erano lievi, non un movimento indicava che quella fosse una ragazza viva: appariva come una statua, una meravigliosa statua vestita d’angelo, senza espressioni, senza inclinazioni, senza comunicazioni. 
I veli dell’abito da ballerina classica erano ormai sporchi per tutto ciò che aveva compito con essi, anche i bei lunghi capelli rossi erano scompigliati, le coprivano la schiena eretta mentre il resto del corpo, seduto al centro del pavimento, formava un immobile composizione con le gambe snodate. 
Sembrava attendesse il momento perfetto per iniziare a ballare, sembrava che si sarebbe mossa da un momento all’altro in un balletto meraviglioso, ma così non fu, la ragazza rimase ferma per un lungo tempo interminabile a pensare qualcosa di cui nessuno poteva sapere. 
“Ce l’ho ancora perfettamente impresso nella mente, lui ed il momento in cui mi ha afferrato il braccio per sollevarmi, in quell’istante ci siamo guardati e non credevo mi salvasse. Invece l’ha fatto e non me ne sono spiegata il motivo. 
Mi ha sollevato con facilità avvolgendo la mia vita con un braccio, mentre con l'altra mano teneva il mio polso sottile, stringeva quasi facendomi male, ma forse sono io ad essere troppo fragile, è possibile. 
Siamo stati veramente molto vicini e ci siamo guardati in silenzio, entrambi con lo stupore negli occhi, un incredibile stupore sconvolgente. 
Lui perché mi aveva salvato quando solo un istante prima non ne aveva avuto intenzione, io perché avevo mentalmente chiesto il suo aiuto, che poi era arrivato. 
Sconvolta forse non è il termine corretto, ero terrorizzata, il cuore batteva come se fossi morta veramente e non avevo forze per reggermi da sola. E’ stato anche imbarazzante aggrapparmi a lui come se fosse l’unica ancora di salvezza. 
Che sciocca! 
È stato anche l’unico in grado di farmi capire che non volevo morire, che provavo qualcosa, ovvero il desiderio di vivere. 
Però questo è tutto ciò che so e devo sapere altro, cosa voglio fare oltre a vivere? 
Come voglio vivere? 
Nessuno è stato in grado di darmi risposte, solo lui, una risposta un po’ particolare, non completamente chiara. 
Me l’ha data e mi è bastato per non andarmene da questo mondo. 
Ora ho quell’istante d’indefinito nella mente che mi immobilizza e sto qua ad aspettare il cambiamento, il cambiamento dettato dall’evento di minuti fa. 
Non sento la spinta a muovermi e ballare ed io non so ancora cosa fare. 
Voglio vivere, certo. Come? 
Ho bisogno di risposte ed è incredibile che nella mente mi arrivi quel ragazzo che, dopo avermi lasciato in piedi tremante, mi ha girato le spalle sparendo dalla mia vista col suo strumento. 
Sarà ancora là a suonare, sarà ancora là a chiedersi perché l’ha fatto mentre io sono ancora ferma a mezz’aria. 
Ho bisogno che qualcuno faccia ciò che nessuno ha mai fatto per me, mi indichi la via e cammini con me per non farmi sbagliare ancora. 
È imbarazzante anche questo, voglio solo un badante? 
Non sono in grado di vivere da sola, non ne ho le forze poiché dopo averlo fatto così a lungo, mi rendo conto che ho sbagliato ogni cosa ed ora non voglio più farlo. 
Detesto sbagliare, non è da me, ma ho fatto un errore di calcolo inimmaginabile ed ora devo rimediare.
Già, voglio risposte e penso che sia giusto rivolgermi all’unico che è riuscito a darmene una.” 
Cercava di giustificarsi, di convincersi che non era cambiata, che come sempre faceva qualcosa solo perché c’era una logica ineccepibile dietro. 
In realtà le cose, per questa volta, erano diverse poiché lei agiva semplicemente d’istinto e siccome era la prima volta a farlo, se non si sarebbe convinta del contrario sarebbe stato peggio. 
Lei non agiva mai d’istinto, ogni cosa che compiva era profondamente ragionata e ciò che era inutile non veniva nemmeno preso in considerazione. 
Si sciolse così dalla sua posa plastica e senza cambiarsi, pulirsi, sistemarsi o coprirsi meglio, tornò al tetto di quel palazzo dove sperava di ritrovare ancora quel ragazzo. 
La sera si stava lentamente affacciando e il mondo cominciava ad accendersi di luci notturne che suggestionavano chi perdeva tempo a guardare quello spettacolo di nebbia ed umidità fresca. 
Il vento ancora non era cessato e la temperatura calava con l’arrivo della notte, era per questo che ormai i ragazzi avevano deciso di smettere di provare ed erano usciti sul terrazzo del tetto per vedere la vista della loro nuova casa. 
Ognuno con una sigaretta in bocca o alla mano, guardavano spenti il panorama che per quanto notevole fosse, sembravano incapaci di apprezzarlo. 
Seth, al contrario degli altri, aveva ancora il basso addosso con il piccolo amplificatore portatile attaccato alla cintura dei jeans cadenti. Apparentemente ispirato, cercava di comporre qualcosa, qualcosa che comunque continuava a sfuggirgli nonostante fosse arrivato come uno sparo solo poche ore prima. 
Proprio con l’incontro di quell’angelo. 
Ci aveva riflettuto, in seguito. A modo suo, ovviamente. 
Gli angeli avevano un’espressione così vuota? 
Indifferente? 
Immobile? 
Non v’era luce in lei anche se apparentemente era meravigliosa. 
Guardava un punto vuoto sospeso nell’aria, col vento che gli tirava in avanti il ciuffo di capelli, li aveva fatti in quel modo da poco, ecco perché non erano ancora molto lunghi, non come le creste di quel genere, però lentamente cresceva. Non sembrava essere interessato al proprio look, come non lo era alla sigaretta consumata fra i denti da cui non aveva ancora fatto nemmeno un tiro. Teneva gli occhi stretti in due fessure quasi chiuse e cercava di concentrarsi quanto più poteva in quella melodia che aveva in testa, ma che continuava a scappare in continuazione. 
Eppure era lì, a portata di mano. 
Sentiva che sarebbe uscita a momenti, doveva, l’ossessionava… da quando le aveva voltato le spalle e se ne era andato abbandonandola, una volta salvata. 
Anche lui aveva impresso quel momento a fuoco poiché senza accorgersene, assurdamente, era cambiato qualcosa dentro, qualcosa che ora stava cercando di esprimersi attraverso le corde del basso. 
Era il riavere sotto delle mani quella vita sottile, sostenerla per non farla cadere, per ridarle le forze affinché camminasse da sola, l’idea di aver salvato un angelo in crisi che fino all’ultimo non aveva saputo cosa fare della sua vita, poi lei aveva deciso di vivere e con quegli occhi vuoti ma belli gli aveva chiesto aiuto. Ecco perché l’aveva salvata, solo per questo, non certo perché era stato un suo desiderio.
Ancora pensava che non gli era veramente importato nulla, eppure con la sensazione del suo fragile e leggero corpo di ghiaccio fra le dita, aveva avuto voglia di creare qualcosa. 
Sentiva la pelle sotto i polpastrelli bruciargli e non per le ore di suono, solo per quella sensazione d’aver salvato una vita, quella vita. 
Però non gli era chiaro quest’ultimo punto. 
Era per lei o per l’azione in sé? 
Aveva dell’adrenalina in circolo, l’aveva avuta in quell’attimo, poi gli era solo rimasta la vaga sensazione d’aver fatto qualcosa di importante, come se fosse incisivo; analizzava come poteva quel momento nella sua mente sperando di poterlo rivivere, sperando di rivedere un angelo ad ispirarlo. Un angelo di ghiaccio, come fosse scolpito una statua meravigliosa. 
Chissà cos’era stato. 
Però c’era, il bruciore oppure un formicolio insistente che gli muoveva veloce le dita sul braccio dello strumento, sopra le corde che cercava di pizzicare con altrettanta veloce esperienza. Aveva molto talento anche se non era ciò che gli interessava, non suonava per quello, suonava per fare qualcosa che potesse renderlo il più vivo possibile sul momento. Non per coltivare il talento, diventare famoso, regalare sentimenti a futuri ascoltatori. Nemmeno per lasciare un impronta. 
Il desiderio massimo delle persone è sentirsi bene nel momento preciso in cui vivono, non fare qualcosa per essere felici dopo e morire senza rimpianti. Essere felici sul momento. 
Il futuro non aveva importanza. 
Si viveva al massimo solo così, per il suo punto di vista e quello dei suoi compagni di vagabondaggio. 
- Hey, Seth, c’è una ragazza… - 
Una voce monocorde alle sue spalle lo fece fermare dal comporre qualcosa che ancora non si formava come voleva lui, alzò quel mezzo sopracciglio che gli rimaneva sopra l’occhio destro voltandosi lentamente ed indolente. Quando vide nel buio quel bianco sporco, chiuse gli occhi istintivamente non per chissà quale luce abbagliante, solo perché pensava che fosse uno spettro tornato da lui per tormentarlo e rimproverarlo di chissà quale errore. 
Di spettri che ce l’avevano con lui ce n’erano sicuramente, a partire dai genitori di cui non ricordava nulla; tuttavia quello sembrava uno spettro morto per non aver trovato ciò che cercava. 
Si rigirò subito senza dare soddisfazione di stupore, non si aspettava di rivederla così presto, né che fosse lei a cercarlo, ma non avrebbe mostrato nulla poiché pur essendo un imprevisto, non sapeva catalogarlo fra i positivi o i negativi. 
Lei si avvicinò, non sapeva nemmeno come si chiamava, l’aveva salvata per avere nulla in cambio? Nemmeno il nome? 
Non gli era mai importato nulla di quel genere di cose, se voleva far sesso per scaricare gli istinti maschili, c’erano sempre donne disposte ad andare con lui anche gratis, bastava saperci fare. Qualche disperata in cerca di sesso e basta, c’era sempre. 
No, non aveva voluto da lei nulla di simile, sin dall’inizio, per non sporcarla anche se sembrava che volesse farlo lei da sola uccidendosi. Non aveva nemmeno voluto sapere perché non voleva vivere, in fondo era come tutti, attaccata alla vita per un qualche assurdo e sconosciuto motivo che, ovviamente, cercava senza trovare. 
Però ora la nota che cercava da ore era arrivata, quella nota per andare avanti nella sua nuova composizione che improvvisamente sembrava così importante. 
C’era qualcosa in lei. 
- Puoi aiutarmi. – 
Aveva sussurrato con voce fiera e ferma, non era una richiesta, un dubbio, una riflessione... era una certezza, come un obbligo implicito, una specie di ordine. 
Che razza di modo di avvicinare le persone era quello? Così non avrebbe mai ottenuto quel che voleva, sembrava supponente ed insopportabilmente saccente già solo con quelle parole, con quel modo di fare da principessina. 
Altro che angelo… era un altro genere di creatura, da definire. 
Come la sua canzone. 
Non smise di suonare poiché un’altra nota era arrivata. 
- Perché dovrei? – 
Aveva parlato, si era sforzato, non si sarebbe tolta di lì altrimenti. 
- Per lo stesso motivo per cui prima mi hai salvata. – 
Aveva avuto subito la risposta giusta, immediata, come se ci avesse pensato a lungo prima di venire lì. Però se avesse mostrato più gentilezza e morbidezza, sarebbe stato più piacevole avere a che fare con lei, sicuramente. 
- Prima me l’avevano chiesto i tuoi occhi. – 
- Bene. – 
Questa doveva essere una richiesta d’aiuto? Che razza di modi erano? Impertinenti, come se le fosse dovuto. Era anche fredda, lo infastidiva. 
Si girò verso di lei, senza mollare lo strumento o metterlo da parte, allentò il ritmo delle note senza fare più attenzione e ciò che faceva e la guardò indurito. 
- Cosa significa? – 
- Prima l’hai capito da solo, ora cosa c’è di diverso che devo spiegarti? – 
Sembrava sapesse già anche questa risposta, continuava a non piacergli. 
- Così non invogli nessuno ad aiutarti… e poi… - 
Lasciò sospesa la frase distogliendo lo sguardo, i suoi amici ormai erano scesi all’appartamento. Lei lo invitò a proseguire senza demordere o incrinare il tono: 
- E poi? – 
Sbuffò gettando il mozzicone di sigaretta a terra, si stava proprio seccando e non ci impiegava mai molto a rispondere male ed andarsene, in quei casi. 
- E poi non so aiutare nemmeno me stesso, non ha senso che aiuti qualcun altro, specie se sconosciuto! – 
Lei strinse le labbra con disappunto, ma non abbassò la posizione del viso, tenne sempre il mento alto in segno di sfida, non avrebbe mollato. 
- Basta conoscerci? Ciao, sono Silvie! Ora mi conosci! – Sbuffò ancora sempre più innervosito. - Inoltre per aiutare non serve sapersi aiutare… spesso ti aiuti se aiuti qualcuno. – 
Non ne poteva già più, per questo la scostò seccato cominciando a camminare senza troppo caso per il terrazzo, era assurdo quel che gli chiedeva, perché avrebbe dovuto? 
- Prima mi hai salvato e non te lo avevo chiesto a voce, ora ti chiedo aiuto, lo chiedo con la mia voce, coscientemente. Me lo devi! – 
Questo era sicuramente troppo per uno come lui, che detestava gli ordini e le imposizioni, i doveri lo facevano scappare e quello era il modo più sbagliato per fargli fare qualcosa! 
In effetti se non era lui direttamente a decidere qualcosa non c’era verso di muoverlo, ma lei non era una persona facile. 
Lei era come lui, se decideva qualcosa l’otteneva, ma lottava a modo suo. 
Seth scattò fermandosi di nuovo davanti a lei, più vicino, stringendo con nervoso il basso e contraendo i muscoli del corpo, sicuramente non esagerati. 
- Devi? Principessa, questo non è il tuo castello, né io un tuo schiavo… vattene a fanculo se ti va di comandare! – 
Se glielo avesse chiesto in altro modo forse avrebbe accettato, ma ancora il discorso non era chiuso, non per lei, anche se lui stava già andandosene. 
Per la seconda volta vedeva la sua ampia schiena allontanarsi, un moto di ribellione e stizza, non ci stava, non le piaceva essere piantata specie da una creatura che sicuramente non era meglio di lei. Certo non inferiore, ma sicuramente non superiore, anche se il linguaggio che aveva avuto era stato del tutto fuori luogo, per lei. 
- Sei una contraddizione. Fai le cose se non ti vengono chieste, ma il contrario no, vero? Capisci che non hai senso? – 
Un altro sbuffo, non ne poteva più, la vedeva più simile a una maestra, eppure l’aveva reputata una bella creatura, interessante, insomma… tanto da voler tirare fuori per quell’incontro un pezzo di una canzone nuova. 
Mise il basso dietro la schiena, appeso alla cinghia che passava diagonalmente sul torace, si girò ancora verso di lei e dopo aver fatto solo un piccolo minuto di considerazioni poco carine da esprimere, andò di nuovo a passo deciso e scocciato verso di lei, la guardò malamente, poi sempre malamente parlò: 
- E tu sei una rompipalle! Tu non hai chiesto aiuto, tu hai PRETESO il mio aiuto… e sempre ammesso che a me interessi e che sappia come DIAVOLO potrei aiutarti, quello non è certamente il modo di CHIEDERE! – 
Premeva con forza su alcune parole, il suo punto di vista non era certo sbagliato, ma lei non avrebbe mollato, né si sarebbe piegata. 
Sempre con fierezza e nemmeno un briciolo di pentimento, disse glaciale, reggendo perfettamente il confronto coi suoi occhi blu sottili: 
- Non so nemmeno io come tu possa aiutarmi, ma i fatti parlano: sei stato l’unico a darmi la risposta che cercavo. Ero lassù per un motivo e tu l’hai capito, tu, uno sconosciuto menefreghista totalmente diverso da me. Ero là perché non volevo morire. E’ naturale che io ti cerchi per la risposta successiva, forse più importante ed essenziale della prima. – 
Era stufo, veramente stufo, non ne poteva più, era sotto pressione da un aliena che era convinta non potesse capirla, era snervante e fastidiosa, non gli piaceva la situazione anche perché non sapeva come, ma sembrava avere un potere quella donna… quello di, parlando parlando, farlo sentire lontanamente in torto anche se razionalmente sapeva non esserlo. Era una sensazione sgradevole, bastavano quei modi per farlo sentire così? 
- Che diavolo di risposta cerchi? – 
Arrivando al limite si agiva per esasperazione, si parlava per liberarsi il prima possibile, per poter tornare al proprio vegetare, per non fare mai ciò che non voleva. 
Eppure non era male parlare con una creatura simile. 
Era bella e aveva carattere, anche se lo trattava come una pezza da piedi! 
Non aveva paura, Silvie, non aveva chiaramente paura, non ne avrebbe mai avuta. 
- Voglio vivere, ma perché? Come? – 
- Per chi diavolo mi hai preso? Per Dio? – 
Si illuminò un attimo pensando di aver trovato un punto positivo: 
- Credi in Dio? – 
- No! – 
La risposta era stata immediata e secca tanto da colpirla come un piccolo pugno e sgonfiarla, ci aveva quasi sperato d’aver trovato una risposta abbastanza sensata. Eppure la prima ad agire in maniera dissennata era proprio lei, rivolgendosi ad una persona del genere, apparentemente pericolosa. 
Forse era convinta, per come era fatta lei, che nessuno avrebbe potuto toccarla o forse sentiva qualcos’altro provenire dalla sua vera indole. 
- Io non ho stimoli… la vita ha perso interesse, tutto ciò che mi interessava saper fare lo faccio alla perfezione, non provo più nulla nell’unica ragione che avevo di vita. Pensavo che uccidendomi non avrei provato ancora nulla ed invece no, mi hai aiutato a capire che volevo essere salvata, che volevo vivere… ma non basta. Serve capire cosa voglio fare, perché vivere, come… non sono in grado di trovare queste risposte da sola, o non mi sarei ritrovata quassù! – 
Chiara e precisa, aveva esaurito bene il problema analizzandolo brevemente a fondo, senza poter essere fraintesa. Era un problema comune e legittimo, specie per un certo tipo di persone che non si accontentavano mai, ma che non sapevano bene qual era quel ‘più’ che cercavano. Gente come loro. 
“Questa… questa è come me… possibile? 
Non credevo che ci potesse essere in una categoria di persone così diversa da me e i miei compagni, qualcuno con i miei stessi dubbi. Profondamente sono questi i problemi. Io non ho la presunzione di saper fare tutto quel che mi interessa fare, specie non perfettamente… non ce l’ho perché non so di preciso cosa mi interessa. 
La prossima volta, però, prima di salvare qualcuno mi butto io da quel terrazzo del cazzo! 
Porca merda, guarda in che cazzo mi sono ficcato, ha senso tutto ciò? IO che devo dare risposte simili? Ma per chi mi ha preso questa folle? 
Eppure le dita bruciano ancora, bruciano, il formicolio aumenta e la voglia di suonare è incredibile, non so quanto starò fermo. 
C’è una musica nelle orecchie, una musica forte e potente che parte dalle viscere, le viscere di quel momento, continua tutt’ora. Devo catturarla, dannazione, o mi tormenterò per sempre. 
È lei che ogni volta che parla e che mi infastidisce con le sue domande del secolo, mi muove quella musica, ad ogni parola una nota torna in testa. 
Devo catturarle, non devo scordarle. 
No, devo proprio suonarle. 
- Pensi di essere arrivata? Fai tutto perfetto? – 
- Te l’ho detto, quello che mi interessa si  - 
- Balli, vero? Non hai altri interessi? – 
Perché le sto parlando? Mi sembra di analizzarla, la sto aiutando… era questo che voleva? Solo questo? Però mi ha dato fastidio, non può pensare che siano tutti delle merde da insultare con lo sguardo! Chi si crede di essere? 
L’ho salvata, ma ora la lascerei morire! 
- Si ballo danza classica, ma non ho altri interessi… dalla nascita è sempre stato tutto ciò che mi sembrava vita. Ho composto la mia esistenza, me stessa, su misura per quel ballo ed ora che sono al punto che da piccola agognavo, non so che altro fare, che farmene, per cosa vivere. Potrei diventare famosa, ma non mi importa, non ci trovo niente nell'essere la ballerina più brava del pianeta anche per tutta la gente. Io lo sono già, non mi importa il riconoscimento pubblico. – 
E’ una conquista che voglia vivere, certo, dopo il mio aiuto… che razza di aiuto le avrò mai dato? L’ho tirata su, ma sono stati i suoi occhi a chiedermelo, io non ho fatto nulla… e intanto ora mi trovo a parlare con una ‘cosetta’ simile… credo che siamo buffi! 
Già, buffi… in effetti è buffo che non le interessi saper ballare altro, se il ballo è tutto ciò che conta per lei. Non so, penso che sia solo l’unico mondo che le hanno presentato. Però se sa solo ballare allora che lo faccia fino in fondo. 
È una sciocchezza non voler imparare a ballare un altro genere di musica, intestardirsi su un unico genere, che stupidaggine! 
Sono i suoi occhi, il suo sguardo così da ballerina classica, da saccente creatura snob che mi spinge a scuoterla… che razza di idee ha? Si pensa perfetta, non penso che lo sia. Non completamente. 
Sembra più morta di me e si ritiene migliore? 
Non pensa che valga la pena considerare una cosa di questo tipo? 
Le mani mi sembrano gonfie, come se mi dolessero… devo, io devo farlo. 
Ora penso di poter fare solo una cosa, specie se è per scuotere una persona.
Non so perché lo faccio, ma lo faccio, prendo il basso dalla mia schiena, lo impugno veloce e con forza e riprendendo tutte le note precedenti ne butto affianco altre, quelle che non vogliono lasciarmi andare, note forti e basse, la mia voce insieme alle note le arrivano come uno schiaffo: 
- Pensi di saper ballare perfettamente questo? – 
Continuo senza fermarmi, continuando a fissarla negli occhi ed è adrenalina crescente quella che mi scorre dentro, sento il cuore che batte forte e il fiato corto, non ho suonato mai con tanto impegno, velocità e forza… è… bello. 
Cazzo, mi sento vivo! 
E’ un momento che devo ricordare e riprodurre, qualcosa di buono, che va bene… non so come spiegarlo. 
Ho paura a smettere perché non tornerà così, con questa intensità. 
È un suono tipico da basso ed imperfetto poiché mancano gli altri strumenti, manca una voce che spari parole di provocazione, manca tutto, ma la base conta, la base mi brucia, scotta ed ora c’è e non la lascerò. 
È assurdo, è impensabile… sono veramente sconvolto… sono entusiasta di una cosa che ho creato come mai, dalla nascita, mi sono sentito. Nemmeno scopando mi sento così, o tirando qualcosa di veramente buono. Non pensavo di poter sentirmi così vivo con delle note suonate davanti ad una disprezzata, ma meravigliosa seccante creatura. 
Non penso di conoscere sentimenti puri, non penso affatto di esserne nemmeno degno, ma questo ci somiglia: è quanto di più puro e mio ci sia. 
È pazzesco.” 
Seth era veramente sconvolto dal momento in cui, istintivamente, aveva suonato solo per scuoterla; aveva tirato fuori quell’ispirazione di prima che gli sfuggiva, era uscita in tutta la sua perfezione e magnificenza. 
Era ciò che cercava, ma come poteva essere uscito? 
Ciò che provò lei sentendolo suonare in quel modo impetuoso, istintivo e perfino intenso, la colpì poiché l’aveva giudicato incapace di sentimenti simili. 
Infine aveva iniziato ad invidiarlo, lui aveva passione ed era riuscito a tirarla fuori… non sapeva, però, che anche per lui era la prima volta e che il merito era stato proprio suo. 
Incredibilmente. 
Smise di suonare col fiatone, come se avesse corso, uno sguardo stupito ed un silenzio di alcuni minuti, cercava di pensare, di dire qualcosa di sensato, di spiegare perché l’aveva fatto, ma non gli usciva niente, disse solo: 
- Ne saresti capace? – 
Non sapendo lui per primo cosa intendesse. 
Lei si strofinò le labbra, cominciava a sentire freddo ed era positivo: ancora un cambiamento avvenuto solo in presenza di quel tipo. 
Lo disprezzava razionalmente parlando eppure lo invidiava. 
- Dovrei ballare del punk? – 
Era acculturata, sapeva di cosa si trattava, un punto a suo favore. 
- E’ una sfida abbastanza interessante? – 
Ecco la stoccata finale. Meglio di così non avrebbe saputo fare. Questo era tutto ciò di cui era capace. 
Lei incassò il colpo e mille ragionamenti le volarono nella mente, provò a dirne qualcuno a voce, come se però parlasse da sola, senza vedere veramente più nessuno. 
- Io so ballare solo classica, è questo ciò che mi interessa… - 
“Però tu eri vivo mentre suonavi, se ha resuscitato te, perché io no? A livello di sfida è interessante e difficile, dovrei studiare un po’ l’idea, dovrei modificare delle cose poiché rimango sempre una ballerina classica, la classica è ciò che fa per me, che mi piace, che ritengo arte, anima e vita, però… questo era vivo, attraverso i tuoi occhi, le tue mani… “ 
- Non si tratta di sfide interessanti, ma solo di sfide vive… valuta questo. – 
Si interruppe riprendendosi lui stesso, l’osservò con maggior cura e attenzione, come a voler imprimersi a fuoco il suo volto scolpito nel marmo o nel ghiaccio, aveva una lontana luce di curiosità. 
Perché agiva così? Da che voleva allontanarsi da lei per odio puro, a che si era trattenuto, le aveva parlato come lei voleva e l’aveva perfino scossa con la sua musica. 
Infine le chiedeva una cosa del genere che mai, MAI, avrebbe concepito di chiedere ad anima viva, specie una come lei. 
- Il punto è se lo vuoi fare. Vorresti illuminare le tenebre? Sarebbe un contrasto unico… - 
Su quella frase si concluse il loro dialogo. 
Su quella proposta iniziò il loro sconvolgente rapporto, il loro considerarsi, il loro avvicinamento. 
Su quelle parole tutto iniziò veramente. 
Veramente.

3.
Stava ore ed ore lì, ferma immobile come una statua a guardarli e ascoltarli suonare.
Ogni tanto si trovava a chiudere gli occhi e concentrarsi con profonda attenzione, fino a riuscire a comporre con la mente un balletto adatto a quel che udiva. Era solo la sua mente, però perfino lì si trovava ogni volta in difficoltà a ballare una cosa del genere.
Lei che era perfetta per il suo genere musicale, la danza classica, ora si trovava a non riuscire a ballare altrettanto perfettamente un altro genere, seppure solo con la mente.
Si indispettiva, mostrava questo stato d’animo con un solo breve movimento del sopracciglio, induriva l’espressione del bellissimo viso marmoreo e poi tornava a riascoltarli.
Loro potevano stare a suonare per ore, lei stava lì per ore, senza muoversi e fare altro che quello.
Perché aveva accettato?
Perché si era detta sì?
Lei aveva dato la vita per il ballo classico poiché era quello tutto ciò che le era unicamente piaciuto, il senso più alto dell’esistenza, la purezza nella grazie dei movimenti, qualcosa che salvava chiunque; poi l'aveva trovata vuota e priva di interesse, eppure non per quello aveva provato attrattiva per un altro genere di danza.
Nemmeno morta, si era detta quando per la prima volta ci aveva pensato da sola.
Cambiare stile non sarebbe stata forse la cosa più sensata?
Infine era arrivato uno sconosciuto diametralmente opposto a lei, il quale tutto ciò che riceveva era la sua disapprovazione per il modo in cui viveva e si conciava.
Eppure lui glielo aveva chiesto e lei aveva accettato.
Ballare quella musica, quel punk… 
“No, non è del punk. Né il punk. Si tratta solo della SUA musica. 
Ho sentito l’istinto di accettare e provarci perché sarebbe stata della musica che lui avrebbe creato per me. 
Lui non me l’ha detto però io l’ho sentito.
Avremmo creato ognuno qualcosa per l’altro.
Sconosciuti che collaborano provando ad andare nell’intimo dell’altro. 
Presunzione allo stato puro.
Ecco perché ho accettato.
Perché questo potrebbe essere abbastanza interessante per una come me.
Una che di umile ha molto poco.”
Ma non era stato solo questo, era stato anche per un altro motivo molto più semplice.
Lui era riuscito a salvarla in qualche modo, le aveva detto quelle famose parole giuste, il dialogo che avevano avuto successivamente l’aveva colpita ancor di più.
Ora c’era solo una cosa logica da fare, seguire la sua richiesta senza chiedersi perché, senza dirsi: non mi piace, è folle, non è da me. 
Normalmente non l’avrebbe fatto, ma le persone facevano qualcosa contro la loro volontà se costrette da una minaccia, oppure se avevano stima e rispetto per colui che glielo chiedeva.
Il punto era solo questo e la domanda reale di conseguenza mutava: come aveva potuto uno come Seth prendersi in così poco tempo la sua stima e il suo rispetto?
Di una come Silvie?
Forse la risposta non ci sarebbe mai stata, però l’importante era non fermarsi alle prime domande insolute.
L’importante era trovare un minimo motivo per andare avanti e farlo.
Proseguire.
Avanzare.
Passava così ore ad osservarlo, lui in special modo, ad elencarsi i dettagli di lui e del suo aspetto o modo di fare che non incontravano la sua approvazione, che non andavano bene o che doveva cambiare.
Poi si tornava a concentrare sulla musica, sulle sue dita che si muovevano agili sulle corde dello strumento, tanto da affascinarla e sconvolgerla per questo.
Sconvolgerla nel profondo.
In lei qualcosa stava cambiando, ma ancora non se ne era resa conto.
- Allora a che punto sei? – 
La voce atona e bassa di Seth le arrivò da vicino, facendola riscuotere con una certa grazia naturale.
Aprì gli occhi che aveva mantenuto chiusi per provare a ballare con la mente e posando l’azzurro cielo sul blu notturno quasi impercettibile di lui, entrambi provarono un brivido che cercarono di ignorare.
Le ci volle un attimo per capire di cosa parlasse e come mai gli altri suoi compagni erano andati via lasciandola sola con lui nella sala prove che lei aveva concesso loro per facilitarle il compito di ballare. Lì oltre allo spazio ampio c'erano gli specchi necessari e lei l'usava per i suoi allenamenti. 
Silvie non parlava con altri che non fosse Seth e per gli altri era un chiarissimo segno di come le cose sarebbero andate a finire, nessuno però osava parlare con loro dell’argomento, un certo timore i due lo incutevano su chiunque.
Si perse per un secondo a guardare di nuovo le sue dita che non si fermavano, affusolate e rovinate, arrossate. Sicuramente ruvide al tatto. Le aveva toccate quella volte però non ricordava la sensazione che le avevano dato, era finita come in un altro universo, in quell’istante ormai lontano.
Mantenendo la posa eretta ed immobile in cui era, rispose solenne e con la sua perenne supponenza:
- Non riesco a completarlo come si deve, mi manca qualcosa. – 
Lui alzò un sopracciglio rasato senza crearsi problemi, che stava dicendo? Non l’aveva mai vista provare, a meno che non lo facesse al posto di dormire, cosa in effetti probabile.
- Provi al posto di riposare, la notte? – 
Lei non capì dove voleva arrivare, per cui rispose piatta:
- No. – 
- Allora quando? – 
Facevano a gara a chi usava un tono di voce meno espressivo, probabilmente.
- Quando voi suonate! – 
- Sei scema? – 
Si stupì che quella fosse una domanda e non un affermazione, di solito gli insulti non si chiedevano, si davano e basta. Per questo non se la prese, ma si domandò da quale pianeta arrivasse quel ragazzo sempre più incomprensibile.
Si alzò in piedi per guardarlo meglio negli occhi, più vicini; non si toglievano tanta differenza d’altezza.
- Perché? – 
Aveva parlato con voce leggermente più bassa di prima.
- Non ti ho mai vista muovere un dito, dolcezza! – 
Cominciava a provare un certo piacere nel dimostrarle quanto lei fosse fuori di testa: per lui lo era, per lei era lui ad esserlo… punti di vista, no?
Silvie si mise improvvisamente a fissarlo come se fosse un verme strisciante che avesse appena osato affrontarla impunemente, se avesse potuto l’avrebbe schiacciato con un piede.
- Sei un inetto. – 
“Questa poi!”
Pensò velocemente lui con un certo scandalo.
Era lento ciò che cambiava in loro, ma succedeva solo quando stavano insieme, l’uno a stretto contatto con l’altro.
- Mostrami cosa hai PROVATO, allora! – 
Marcò sulla parola ‘provato’ per intendere che quel discorso aveva dell’assurdo, visto che lei non aveva mai provato fisicamente nessun ballo durante le loro prove.
Lei strinse le labbra come per trattenere un altro scatto d’insulti, non si lasciò andare solo per mantenere la sua immagine di ragazza per bene. Poiché lei lo era, ignorò quell’istinto. 
Aveva appena deciso di lasciarlo stare ed andarsene, a farle cambiare idea fu la mano tesa del moro, tesa verso di lei ad indicare che doveva fargli vedere cosa aveva creato.
Lei si trovò a sospendere il fiato e ad afferrare proprio quella mano che le porgeva.
“Che cosa si potrebbe sentire dalla sua mano? Sembra così spiacevole al tatto… magari è veramente così.
O forse no.
Se non la tocco non lo saprò mai!”
Era più importante sentire com’era toccare quella sua parte del corpo, piuttosto che riprendersi la sua dignità offesa.
Così lieve ed aggraziata come se già stesse ballando, mise le sue piccole dita sul palmo più grande di Seth e trattenne il respiro per captare quel che cercava.
Fece più attenzione a quell’attimo piuttosto che ai passi che avrebbe dovuto fare.
Guardava quella breve ed insignificante unione, non lui, non la stanza, non altro… le loro mani che si erano prese fugacemente.
“Cos’è? Non so, però è piacevole. Cazzo se lo è! E’ liscia, non ho mai sentito nulla di così liscio e morbido, delicato, leggero … come il petalo di una rosa. Fantastico!
Chissà… chissà se il suo corpo è tutto così.
Come dev’essere averla fra le braccia? 
Voglio farlo.
Voglio averla.”
Questo pensiero percorse la mente vuota, fino ad un momento fa, di Seth e spostando il pollice sul dorso della sua mano, spingendo quel tanto da farle capire che voleva il resto, la sentì scivolare via con passi che sembravano dei battiti d’ali di farfalla. La vide andare oltre, al centro della stanza dove non v’erano gli strumenti rimasti in un angolo; ora l’aria sembrava plasmarsi e cambiare per renderla più bella e facilitarle il compito a cui si apprestava compiere.
Una magia?
L’atmosfera che si trasformava gli fece dimenticare anche di accendersi una sigaretta, improvvisamente non ricordava nemmeno che intenzioni avesse. Perché Silvie si era messa in mezzo alla stanza in quella posa magica?
Attendeva immobile, sicuramente non respirava ed il suo sottile corpo rivelava una perfezione tale da dimostrare che lei era una vera ballerina, non una che cercava di diventarlo.
Forse era una maga.
Forse lo stava solo ipnotizzando.
E se anche lui avesse potuto farlo con lei?
Poi magari avrebbe potuto realizzare quel desiderio di far l’amore con lei, quel desiderio rude e grezzo che aveva avuto solo con quell’innocente contatto.
- Prego… suona qualcosa per me. – 
Un invito dalle sue labbra uscì raggiungendolo in quel posto lontano in cui era finito, dovette farselo ripetere, solo dopo si ricordò che doveva suonare per lei.
Per lei.
Lui doveva suonare qualcosa per lei per farla ballare.
Uno scambio equo di pensieri. Cosa le trasmetteva lei?
Cosa gli trasmetteva lui?
Manifestarlo per farlo vivere, un improvvisazione momentanea.
Cominciò a pizzicare le corde, consapevole che non sarebbe stata la stessa cosa che avere anche gli altri strumenti, ma lo fece e non come sapeva farlo, bensì come sul momento si sentiva di farlo.
Lei l’avrebbe seguito qualunque cosa avrebbe suonato?
Non sapeva cosa ne sarebbe uscito, partì così, come veniva.
Senza staccarle un solo minuto gli occhi di dosso, fece uscire le note di una nuova canzone mai creata, mai immaginata, mai nemmeno pensata, solo sognata.
Sogni in cui lei era protagonista.
Quella melodia aveva decisamente poco del punk, pure del rock o di qualsiasi altro genere musicale di quella fine d'anni settanta o di altri anni.
Quella musica non poteva categorizzarsi se non come quella dedicata ad una perfetta e bellissima rosa rossa, una rosa che veniva guardata da una specie di erbaccia raggrinzita e brutta, imparagonabile a lei.
Una musica nostalgica e triste, come il canto dell’ultimo alito di vita di una creatura orrenda che sta per morire, ma che è felice perché finalmente ha visto qualcosa che vale, qualcosa che gli ha valso l’esistenza.
Però sta per morire e non potrà più vederla se non dall’alto del suo cielo.
Un cielo bello solo se guardato dai suoi occhi, quegli occhi azzurri e freddi.
- Voglio accenderti… -
Mormorò come in trance mentre la vedeva muoversi per lui, improvvisare veloce, lenta, veloce, lenta, saltare, girare, interpretare, emozionarsi.
Mormorò quella frase senza nemmeno rendersene conto, esternando sicuramente per la prima volta cosa provava.
Perché sempre per la prima volta guardava qualcosa per cui valeva la pena mostrarsi nudi.
Lei era spenta in ogni istante, aveva tentato di uccidersi e non l’aveva fatto per miracolo, un miracolo che ancora non aveva capito, ma era spenta e vuota, ancora così indifferente alla vita e a tutto…
Si aggrappava a lui.
Perché?
Lui non l’avrebbe mai compreso, ma non sarebbe più stato in grado di fare a meno di lei.
Mai più.
Come in un sogno, con la pelle d'oca per l’emozione di quanto stava accadendo da parte di entrambi, lui cominciò ad avvicinarsi febbrilmente, imitato da lei a passi di danza melodiosi, disperati.
Disperati come quello che le trasmetteva quella melodia a poche note, struggenti, indefinibili.
Passi impercettibili d’avvicinamento.
E poi il finale.
Un finale di morte, dove l’erba veniva strappata dal terreno per permettere alla rosa di crescere più bella che mai, da sola in quel luogo curato appositamente per lei.
Un finale triste e straziante oltre ogni dire, ma anche pieno d’amore, di quell’amore che ad entrambi era sempre stato negato.
Un sentimento che non avevano mai creduto di avere.
Ed infine anche la rosa appassiva poiché triste e sola, non trovava il senso della sua esistenza, senza nessuno che le facesse capire quanto importante fosse.
Questo finale nel silenzio vide Silvie che posava le sue sottili e fredde labbra su quelle di Seth, senza altri tocchi fisici se non quello.
Un momento plastico dove nemmeno i respiri si levavano.
Un momento di vera e pura sofferenza e magia al contempo.
Un momento da vivere senza rovinarlo, senza svegliarsi, senza far nulla che imprimersi a fuoco le labbra dell’altro, l’unico tocco che si erano concessi.
Senza domande, senza spiegazioni.
Perché così andava fatto e basta.
Perfezione.
Sì, esiste... ma dipende sempre dai protagonisti.
Da come viene vissuta, non da come viene vista o pretesa.
Poiché perfezione è anche amare ed essere amati senza motivazioni.
Come avere la vita eterna.
Come le note lente, solenni e malinconiche, ma perfettamente udibili che catalizzano tutta l’attenzione su di esse, i loro sentimenti crebbero.
Però quel che fu incredibile fu un fatto specifico: iniziarono a provare sentimenti.
Silvie aveva ballato e poi l’aveva baciato perché aveva sentito di doverlo fare, di VOLERLO fare. Perché, appunto, aveva sentito e provato qualcosa.
Nella storia che aveva ballato nella testa per tutte le ore precedenti, c’era sempre stato un finale che non le era mai tornato se non quando l'aveva fatto fisicamente e gli si era avvicinata; a quel punto il finale le era sembrato finalmente perfetto con quel bacio.
Non sapeva come, ma lui aveva questo potere: di farle sentire, sentire tutto, molte cose e forse semplicemente umana, una donna con emozioni e sentimenti.
Fu una cosa lenta e graduale come il Boléro di Ravel. Parte lontanissimo e con un solo flebile strumento poi cresce, pian piano il volume aumenta come una sorta di marcia decisa, con un ritmo anch’esso lievemente in crescendo e con l’aggiunta di altri strumenti, sempre sulla stessa musica, le stesse note, ma che andando avanti si sentono di più, si sente tutto di più ed alla fine ci si innamora di quel pezzo perché è così bello suonato in quel modo, prende e seduce, porta a fare cose che non si avrebbe mai pensato.
Così era la loro storia.
Un piccolo incontro fortuito e casuale, uno scambio di sguardi al volo, una frase che aveva colpito lei, uno sguardo che aveva colpito lui e si erano trovati a sentire quello strumento e come ipnotizzati non erano più stati capaci di ignorarlo. Continuando ad ascoltarlo come un serpente che segue il flauto del fachiro, si erano seguiti ancora e cercati e sempre più a contatto si erano ascoltati e guardati meglio fino ad arrivare a capire cose particolari.
Che l’uno sull’altro aveva inspiegabilmente dei poteri incredibilmente forti. 
Ecco perché non potevano più staccarsi e nemmeno smettere di attirarsi e approfondire, approfondire sempre più con quel crescere di suoni e magia.
Crescere ancora insieme con l’aggiunta di nuovi particolari.
Lei ballava per lui, lui suonava per lei, entrambi creavano su misura qualcosa di profondo e speciale per l’altro e questo agiva su di loro come interruttore d’emozioni, poiché per farlo dovevano tirare fuori qualcosa di profondo e speciale da loro stessi.
In realtà era molto più semplice di quel che sembrava, era solo il principio di un’intensa storia, tuttavia persone come loro due, dure e severe, per capirlo dovettero prima provarle tutte.
Se erano loro a permettere di creare la perfezione e far provare sentimenti, allora valeva la pena approfondire ulteriormente il contatto.
Fino in fondo, con ogni mezzo, nell’unico modo veramente e completamente profondo che c’era.
Il più totale.

4. 
Fu lei a cercarlo con quella musica che calzava a pennello per loro nella mente. Fu Silvie ad andare nel luogo in cui si era momentaneamente stabilito, una stanza di quel palazzo fatiscente, e senza chiedere permessi che non sarebbero stati da lei, entrò.
Quando fu dentro non si dimenticò di storcere il naso per il caos e l’odore non certo dei migliori, ma la sua attenzione fu subito catalizzata da lui, dal ragazzo che proprio in quel momento usciva dalla doccia nudo e bagnato, i capelli abbassati ed in disordine, viso al naturale, un corpo magro e allungato. La prima cosa che aveva cercato appena fuori dal box doccia erano state le sigarette, se ne era messa una fra le labbra e con poco interesse se l’era accesa. Quando aveva messo giù l’oggetto, solo in quel momento l’aveva vista. Lì davanti a lui, silenziosa, dritta, impettita come suo solito con la sua aria snob che sembrava stesse guardando un verme e lei fosse l’uccello predatore.
Si stupì non poco e per lui fu una conquista, gli piacque stupirsi per qualcosa.
Quella ragazza era di volta in volta sempre più intraprendente, non era mai stato lui a prendere iniziative, era sempre e costantemente disinteressato ad ogni cosa. Lei a quanto pareva no, lei cercava il modo di tornare viva poiché era proprio quello che voleva.
Ecco perché se trovava qualcosa che le desse anche solo una scintilla di quella vita, lei ci si aggrappava ed insisteva sempre più fino a tentare ogni cosa, anche la più audace.
Era lì e lo guardava nudo, ma lo guardava negli occhi diretta come se non subisse nemmeno un po’ l’imbarazzo di quel momento, cosa pensasse non si poteva capirlo, aveva sempre quell’espressione e sembrava una pietra, una statua. L’idea di angelo la dava solo in pochi e rari momenti.
- Che succede? – 
Mormorò con la sua voce roca e bassa soffiando fuori il fumo e facendo un passo verso la stanza cercando un asciugamano, non era comunque impacciato.
Lei non esitò, aveva le idee chiare ed era certa che anche lui era giunto alla stessa conclusione.
- Voglio fare l’amore con te. – 
Lo disse con voce chiara e sicura, quasi altera. Non se ne vergognava, tutto quel che faceva non era mai motivo di vergogna per lei.
Lui? Certamente non era tipo da rifiutare una cosa simile poiché anche se non aveva veri e propri interessi, faceva quel che il suo istinto gli suggeriva al momento, se si degnava di parlargli. Spesso stava zitto e lui di conseguenza fermo, ma quando si decideva a dire la sua… beh, lì le cose cambiavano e diventavano veramente interessanti.
Non disse nulla, Seth, si limitò a guardarla e quando lei annullò la distanza arrivando da lui come se danzasse, si guardarono ancora per un po’ senza distogliere lo sguardo. Avevano entrambi un proprio coraggio eppure quella musica che cresceva era così impossibile da ignorare, era così meravigliosa che non si poteva non provare nulla. Lei gli tolse la sigaretta dalla bocca posandola con la punta delle dita su un piatto che fungeva da posacenere, successivamente sempre senza togliere gli occhi azzurro cielo da quelli sottili e blu scuro, si sfilò l’abito femminile facendolo cadere ai piedi; quando fu nuda anche lei non provò imbarazzo.
Il suo era un nudo molto più magro che allo sguardo poteva fare quasi impressione, ma così come quello faceva stranezza per lei, per lui lo facevano i buchi che aveva negli avambracci e che non si dava pena di nascondere.
Un quadro nell’insieme molto triste e bello nello stesso tempo, un po’ grottesco e un po’ un capolavoro per la crudezza dei particolari che lo rendeva reale.
Un quadro magnifico che creava sensazioni contrastanti, non si poteva fare a meno di guardarlo anche se si poteva star male.
Seth era ancora immobile e non muoveva un muscolo, le braccia lungo i fianchi e la bocca chiusa, cercava di capire ciò che sentiva, era curioso di vedere se avrebbe sentito di più o di meno. Silvie allora senza farsi problema alcuno, senza averlo mai fatto prima, si avvicinò ulteriormente a lui, alzò le braccia posandogli le mani fredde e affusolate ai lati del viso e attirandolo verso di lei, più bassa, piegò leggermente la testa di lato per permettere il perfetto contatto e combacio delle loro labbra.
Finalmente di nuovo si toccarono, finalmente di nuovo uno strumento nuovo con un’altra nota crescente si udiva.
La sentiva anche lui quella musica, una musica incredibile che avrebbe voluto saper riprodurre.
Ecco che dopo quell’inizio di bacio lui si sentì un idiota a non far nulla, a non approfittare di quell’angelo che era tornato tale ai suoi occhi, che voleva darsi a lui.
Crudele o meno, peccato o meno, forse non sarebbe più successo e lui doveva sapere cosa si provava a possedere una creatura così bella e tormentata, qualcuno che portava sia la luce che le tenebre.
Come poteva esistere?
Una rosa rossa. Una rosa splendida per i petali e crudele per le spine. Un contrasto che in lei continuava.
Si andarono presto incontro e mentre lei approfondiva quel bacio con grazia, lui non era per questi modi e con rozzezza e desiderio violò la sua bocca senza riguardo, afferrandole la vita sottile e attirandola a sé con poca gentilezza, senza farsi domande, come sempre.
Era lì, voleva farlo con lei, entrambi dovevano sentire quel che si provava e quindi altro non serviva.
Già quello, per lui, era un cambiamento violento.
Si trovò a divorarla mentre lei, ad occhi chiusi come lui, cercava di addolcire il gesto.
- Lasciati fare, non frenare tutto come fai sempre. Sii morbida. Fa tutto quello che non hai mai osato desiderare. – 
Quando lui le disse quello staccandosi solo un attimo dalla sua bocca perché non ne poteva più di essere contrastato, capì. Capì che quel gesto, quel momento, non avrebbe avuto senso se l’avesse fatto come avrebbe voluto lei.
Così accadde che semplicemente si fece divorare da lui.
Nell’intreccio volgare delle loro lingue iniziarono di nuovo a provare, provare quel qualcosa di ipnotizzante che provavano solo insieme, quel qualcosa di inspiegabile, ma intenso, quel qualcosa di cui non potevano fare a meno perché non l’avevano mai sentito.
Allora lui esercitando una forza maggiore l’alzò da terra con una facilità disarmante, tirandosela su, continuando a baciarla veloce e quasi con disperazione poiché una cosa simile non l’aveva provata con nessuna donna, mosse qualche passo arrivando al suo letto disfatto. L’adagiò lì e si mise sopra , quando furono stesi la ragazza provò a toccare il suo corpo umido dalla doccia, lo fece con la punta delle dita come se stesse studiandolo e danzando insieme, sembrava essere capace solo di quello. 
Le sensazioni che ne scaturirono fecero rabbrividire Seth che compensò con una stretta maggiore. Voleva sentirla, sentirla sempre più.
Che sapore aveva il corpo di un angelo peccaminoso? Un angelo fatto di ghiaccio? Si poteva sciogliere?
Fu probabilmente prevalentemente curiosità che lo mosse su di lei quando iniziò ad assaggiarle il corpo, scese quasi subito sui suoi piccoli seni piatti e bianchi, glieli stuzzicò e quando lo fece sentì le mani di lei posarsi piene nella sua testa, quando alzò solo gli occhi la vide con quella espressione e si eccitò.
Sembrava una creatura pura il cui ghiaccio si stava finalmente sciogliendo per la prima volta grazie al peccato che la stava contaminando completamente.
Era bellissima e si chiese come potesse essere sua, in fondo lui era più paragonabile ad una bestia grottesca, creava rumori in grado di scuotere l’inferno, non commuovere il paradiso. Lei faceva commuovere il paradiso con i suoi movimenti melodiosi.
Quando si rese conto delle considerazioni che stava facendo si fermò come sotto shock, sconvolto da sé stesso e dal cambiamento repentino. Si era messo non solo a ragionare, ma ad interessarsi veramente a qualcosa.
Fu motivo di profondo sconvolgimento e quando lei aprì di un soffio gli occhi che sembravano quasi trasparenti, insieme alla sua eccitazione si mosse anche un nodo dentro, un nodo legato da tempo che gli impediva di provare qualsiasi cosa.
Rimase fermo con la fronte aggrottata a guardarla, chiedendosi cosa stesse succedendo e perché lei fosse diversa da qualunque altra ragazza avuta fino a quel momento e finalmente si pose le domande che aveva evitato dall’inizio di quella storia, domande che sarebbero state naturali per chiunque, che lei stessa si era fatta, ma che lui non aveva mai voluto farsi.
Silvie allora scivolò con le dita di nuovo sul suo viso toccandolo in ogni centimetro per capire cosa gli succedesse, per trovare il punto giusto da carezzargli per rilassarlo, gli toccò la fronte, gli occhi che chiuse, le guance e poi la bocca, lì si fermò e con una forza lieve l’alzò portandolo davanti al proprio volto e non davanti al seno. Quando furono di nuovo così, lei cominciò a passare i pollici sulle labbra sottili e incurvate verso il basso, come se la danza partisse anche da quel particolare; dopo avergliele schiuse alzò il capo e le sfiorò con le proprie parlando.
- Non vuoi? – 
No, era quello il punto.
Lui VOLEVA!
E con ancora un ombra di interrogazione nello sguardo, quando lei gli leccò la pelle dove poco prima erano state le sue dita, chiuse gli occhi e con un sospiro di sollievo, forse il primo della sua vita, iniziò.
Iniziò a provare piacere.
Il piacere che sarebbe stato via via il più intenso della sua vita.
Ecco che grazie a questo, seguendo l'istinto che gli parlava - finalmente gli parlava - si mosse sopra di lei facendole sentire in quale stato fosse il suo corpo, il suo desiderio per lei e per la sua perfezione. 
Di nuovo. Di nuovo la musica si alzò e lo fece ancora e ancora mentre lui riprendeva a divorarla con la consapevolezza che era una cosa talmente meravigliosa da essere desiderata perfino da un robot come lui, si mosse sempre più veloce e sconvolto per le realizzazioni che faceva su di lei, sempre più intenso, sempre più passione.
Sentì anche lei questo suo shock crescente ed agì in lei come valvola di non controllo, valvola di emozioni, valvola di battiti.
I battiti del suo cuore che solitamente dettavano il ritmo del ballo.
Ora era così, lui suonava su di lei, per lei, lei ballava su di lui, per lui. Una fusione di inspiegabile perfezione.
Aveva avuto ragione, si disse. Lui era la persona che cercava da quando era caduta in crisi.
Lui, quell’abominevole essere rozzo e malconcio. 
Lui ed i suoi movimenti su di lei, lui e la sua lingua che l’assaggiava, lui e il piacere fisico che le faceva provare, lui e il suo sconvolgimento totale, lui ed il suo desiderio.
Quando si inizia a provare, quando si può smettere per non impazzire?
Quando si inizia a provare dopo una vita di insensibilità, cosa succede?
Come fai a non uscire completamente di testa?
Arrendendoti alle sensazioni che provi, finalmente.
Quando lui scivolò in lei, lei provò un dolore acuto ed inimmaginabile, ma ne fu quasi felice poiché veramente significava che nella vita c’era molto, molto di più di quanto non avesse mai avuto il coraggio di immaginare.
Era la musica assordante che li muoveva insieme in mezzo al piacere di lui e al dolore di lei, rendeva impossibile l’arresto di quella formula.
Sentirlo in sé fino a quel punto la sconvolse poiché non aveva mai pensato che una cosa simile fra esseri umani diversi potesse accadere e far piangere per la perfezione.
Erano pieni di difetti e diversità eppure la perfezione di tutto stava lì, non in un ballo dai movimenti armoniosi o in una canzone senza una stonatura, la perfezione stava quando i difetti e gli opposti si fondevano per annullare gli sbagli di madre natura.
L’essere umano poteva riuscire ad essere simile al Creatore solo in un momento particolare della sua vita.
Quando si univa ad un altro annullando sé stesso per donarsi del tutto. 
Era lì che si diventava simile al Creatore e non si peccava di bestemmia.
Poiché lì si creava una vita dal nulla.

5. 
Il grigio regnava sulle loro vite.
Grigio per i colori che quella umida città rimandava intorno loro a partire dal cielo perennemente nuvoloso, per proseguire col freddo capace di raggelare le ossa. 
L'inverno ormai era pieno, ma a rendere grigie le loro vite non era solo quello, anche il loro animo, il loro modo di ragionare e pensare, di vedere e di fare. 
Grigio era il loro colore, il loro luogo, il loro momento.
I passi di una camminata leggera e normale si udivano in quell'altrettanto grigio palazzo. Sembrava danzasse la fanciulla avvolta da quei begli abiti pesanti e dal cappotto bianco imbottito, invece semplicemente saliva le scale.
I lunghi capelli rossi erano sciolti e liberi sulla schiena, spiccavano grazie al color neve dell'indumento caldo, la sua pelle altrettanto chiara era attraversata da lievi lentiggini dovuti alla sua carnagione, non le stavano male, merito dei suoi lineamenti delicati. Col portamento di una danzatrice classica, si dirigeva sicura verso il terrazzo posto sul tetto dell'alto edificio. 
Lo cercava e sapeva che l'avrebbe trovato là sopra a prendere freddo e fumare qualcosa di certamente poco leggero; a lei non importava cosa faceva, se fosse impegnato e se si stesse nascondendo per scappare da lei e dai doveri… a lei Seth serviva e l'avrebbe trovato comunque senza considerare i suoi voleri. 
Quando arrivò all'ultimo piano all'aperto, l'aria fredda la colpì in viso facendola rabbrividire brevemente, ma non si strinse nelle braccia, mantenne il suo contegno e spostando lo sguardo su tutto l'ambiente circostante, cercò una figura mal messa seduta da qualche parte con una nuvoletta di fumo che volava via col vento.
Anche nel suo modo di cercarlo non si notava nessun particolare interesse se non per qualche dovere che certamente doveva compiere, come se non avesse altre libertà o desideri, come se tutto ciò che volesse fare, fosse solo il dovere e mai il piacere. 
Avevano fatto l'amore e successivamente l'avevano rifatto altre volte, tuttavia continuavano a non chiamarsi in nessun modo e a non considerarsi una coppia. Nonostante il legame instaurato in così poco tempo erano consapevoli che ogni cosa fosse dovuta alla loro continua ricerca della vita. Non avevano nemmeno provato a parlarne, lei non l'aveva mai considerato un buon conversatore, aveva sempre preferito analizzare i suoi gesti e viceversa, lui non si era mai sentito in dovere di chiarire il loro rapporto e la loro situazione. Lui non sentiva mai nessun dovere, nemmeno il più basilare od ovvio.
Lui non sentiva nulla.
Quando lo vide rimase ferma cercando di mettere meglio a fuoco la sua immagine seduta a terra appoggiata contro la balaustra, i capelli neri senza gel che gli si scompigliavano per il vento, i vestiti leggeri erano mal ridotti e strappati in più punti come se venisse da un pestaggio. Peccato che lui si conciava a quel modo volontariamente. Alzò un sopracciglio constatando che aveva una manica alzata e che non indossava nemmeno una giacca. Era autolesionista? 
Se lo chiese con leggerezza senza immaginare quanto vero fosse...
Fu solo quando mise a fuoco il suo viso dove gli occhi erano chiusi e l'espressione solitamente incolore era abbandonata, che capì che stava facendo qualcosa.
Rimase impressionata una volta di più da lui, capendo quanto giusto fosse il suo stare con lui. Era ancora l'unico in grado di farle provare qualcosa.
Poi i suoi occhi azzurri lasciarono la testa appoggiata all'indietro per scendere sulle mani. Un braccio scoperto stretto da un laccio emostatico e l'altra mano che stringeva una siringa vuota. 
Fu lì che comprese.
Fu lì che qualcosa dentro di sé cominciò a divorarla. 
Come un gigantesco ammasso di serpenti oscuri che le erano rimasti fedeli dalla nascita e che ora si facevano sentire maggiormente. Mentre lo vedeva in quella posizione a fare quell'inequivocabile azione autodistruttiva, le sembrò di vedersi dall'interno in quel luogo buio posto nel proprio animo ove quel nodo di serpenti cresceva sempre più.
L'avrebbero divorata.
“Dunque è così... dunque la nostra eguaglianza è tale?”
Fu questo che pensò domando il tremore che l'avrebbe invasa se non si fosse controllata di nuovo, per la millesima volta, sempre e comunque.
Fece tacere abilmente quel sibilo di serpenti e avvicinandosi a lui con quei suoi passi danzanti, si dimenticò di respirare per qualche secondo.
Solo quando poté vedere quei buchi nell'avambraccio abbandonato accanto a sé e la siringa dove poco prima v'era stata la sostanza alterante che ora si stava espandendo nell'organismo del giovane, che sentì qualcos'altro oltre a quella paura attanagliante e divoratrice. 
Sentì un incontaminato nulla. Come se dopo quei serpenti oppressi per il proprio auto controllo, non rimanesse altro che il vuoto.
Si chiese come fosse possibile provare del vuoto simile davanti ad una scena raccapricciante e grave come era il drogarsi di una persona.
Se lo chiese e mentre cercava risposte invano, si sedette accanto a lui rimanendo impietrita, mantenendo quell'idea di sé di statua che aveva sempre dato.
Una statua scolpita nel ghiaccio, creata per somigliare ad un angelo.
Si fece scivolare a terra lì vicino a lui senza fare rumore, col respiro impercettibile e lo sguardo azzurro perso in ciò che era dentro di sé.
Vuoto.
“Inizialmente non succede nulla, ti inietti ciò che sei riuscito a recuperare, quella sostanza che ti sembra così preziosa e che desideri con tutto te stesso, in quel momento di ansia e tremore, quasi quasi arrivavi alla crisi d'astinenza... cazzo, come sarei stato male se ci fossi arrivato. Lo sai perché ci sei passato quindi fai sempre di tutto per evitarla. Allora con quell'ansia interiore te la ficchi nelle vene e attendi quel volo per cui continui volta dopo volta, quella sollevazione da ogni male. Appoggi la testa all'indietro, chiudi gli occhi e aspetti quelle sensazioni piacevoli.
Non sono immediate, è solo un istante in cui ti senti sospeso fra il tutto ed il nulla, non sai bene cosa senti, come stai e dove sei... poi arriva, è un ondata di calore violenta e senti chiaramente ogni collegamento vitale e cerebrale bruciarsi all'istante. Hai mille scariche contemporanee e l'espressione probabilmente scema naturalmente in una piacevole beatitudine. Stai lì e assisti alla tua consapevole disfatta, una meravigliosa e folle corsa verso la propria morte, verso questo stare divinamente in eterno.
Lo fai e sai che più lo farai e più ti avvicini a quell'eterno svanire.
Fra poco starò così per sempre, è un bel modo di morire, muori lentamente e quando giungi a quella tappa sai già cosa aspettarti e cosa succederà. Sai già come sarà, perché l'hai già assaggiata altre volte e ti è sempre piaciuta.
Eppure poi è strano perché pensi tutto questo solo mentre lo fai, quando poi comincia a cessare l'effetto della droga, ti rendi conto di quanto merda sia tutto quanto e pensi solo che è uno schifo morire in quel modo, che tu sei uno schifo e che la droga è uno schifo, come anche le persone ed il mondo stesso.
Però consapevole di questo cerchi di nuovo quella sostanza magica che fa trasformare questo vomitevole ammasso di merda in una cosa meravigliosa e desiderabile.
È solo questo che succede mentre per quei minuti indefiniti, perdi il contatto con te stesso, con la tua coscienza e col mondo che ti circonda.
Non sai dove sei, ma stai da Dio. 
Questo è tutto.
Questo è solo una meravigliosa fine di merda. 
Tutto qua. “
Quando tornò un po' di più in sé, la prima cosa che sentì fu il freddo dell'aria aperta colpirlo come tanti aghi, ma ancora non capì se fosse piacevole o meno. La seconda fu una sorta di calore un po' strano accanto a sé. Lo riconobbe, non gli servì girare la testa per vederla lì. La sentiva chiaramente anche se tutto gli arrivava ancora confuso e non comprendeva cosa dovesse captare. 
Poi la voce incolore e apatica di Silvie lo raggiunse, ancora un po' lontana:
- Perché lo fai? - 
Come giudicare una domanda simile in una situazione simile da persone simili? 
Nessuno dei due fu capace di ragionarci su e semplicemente lui rispose allo stesso modo, con voce biascicata ciò che più al momento gli parve sensato, senza sapere cosa sarebbe uscito. 
- Perché tu non mangi? - 
- Perché detesto il cibo. - E mentre rispondeva con quel vuoto inspiegabile dentro, provocato dalle loro azioni e da qui buchi visibili, si rendeva conto di tutto. Dal nulla al tutto cosa passa in mezzo? Un incomprensibile qualcosa. Un qualcosa senza nome. 
Lei semplicemente aveva formato la sua vita in quel modo, ora il resto le provocava nausea. 
- Uguale. Mi fa schifo essere cosciente in questa vita di merda. - 
In realtà nessuno dei due sembrava pensare veramente a quel che volevano dire, semplicemente dicevano ciò che si sentivano, premendo proprio sui punti giusti.
- Allora perché suoni? -
- Perché sul momento mi piace, ma quello non è vivere, non è vita. -
“Sembra più che ci tenga a darmi delle buone e valide motivazioni... se mi dicesse semplicemente che lo fa perché gli va il discorso finirebbe subito. In realtà è proprio un inetto. “
- La vita te la scegli tu. - Disse infatti lei cominciando a veder allontanarsi quel vuoto precedente a quell'istante.
- Anche a te fa schifo la vita. Cibo è vita. - Nemmeno il suo punto di vista, tuttavia, era errato. Non che Silvie ne avesse uno chiaro e netto, non si comprendeva a fondo, non capiva perché voleva tirargli fuori quelle parole di bocca eppure lo faceva sentendosi via via un po' meglio. L'unica cosa di cui era sempre più sicura era la consapevolezza d'aver fatto bene a non lasciarlo andar via. Per Seth, però, lei era assolutamente identica a lui e che lei lo ammettesse o no, lunatica che fosse, era così ed era stupido da parte sua cercare di farlo ragionare. Lei già lo capiva e meglio di chiunque altro, lo sapeva. Ecco perché quel discorso lo vedeva più come una perdita totale di tempo.
- Allora in questo caso siamo solo due codardi. - Lo disse con una tale fermezza da fargli capire subito che era vero, era proprio così. Certo l'aveva detto a modo suo, ma l'aveva fatto ed era preciso e reale. 
Fu lì che dentro di sé Seth cominciò a sentire qualcosa di fisico, ma non ovattato e confuso dovuto alla droga appena presa, bensì qualcosa di eccitante. Così mantenendo la testa appoggiata all'indietro sulla balaustra, spostò solo gli occhi lateralmente per sbirciare il suo bel viso. Era ancora così inespressiva e disillusa. Spenta. Quanto era spenta... meravigliosa ... 
- E' per questo che ci siamo attratti fino a questo punto. - 
Quel che si fece largo in Silvie, invece, furono di nuovo quei serpenti agghiaccianti e sibilanti che neri strisciavano ingrandendosi sempre più. 
La paura cresceva divorandola.
Quanto avrebbe resistito?
- Allora perché non riusciamo a cambiare e ad amarla, questa vita? - 
Quando disse questo, il tempo subì come un mutamento che fu talmente sentito da sembrare quasi reale. Reale nel suo fermarsi e trasportarli in uno spazio diverso da quello, deformato e quasi pietoso. 
Seth voltò del tutto il capo verso di lei che ancora guardava nel vuoto, appoggiata sconsolata, tutta rannicchiata su sé stessa.
Una bambina.
Sembrava una bambina. 
- Vorrei saperlo… quando lo scopri dimmelo. - Non era poetico e bravo con le parole come lei, ma capiva bene che qualcosa doveva comunque dirla. Assolutamente.
Voglia impellente di approfondire. Andare oltre, di nuovo, sempre più, come quella prima volta e quelle successive. Come se anche lei e il far l'amore con lei fosse una droga, la peggiore. 
“Chi cazzo è questa donna?”
Pensò senza rendersene conto, senza spiegarsene nemmeno il motivo.
Aveva un potere speciale che, nonostante di volta in volta sembrava capirci qualcosa in più, ogni volta la sensazione che era sempre più forte finiva quasi per farlo impazzire. Perché lei doveva sempre farlo sentire così?
Così come?
Così verme, così sbagliato, così schifoso, così bisognoso di amore, così PIENO di amore mai dato, così umano…
Possibile che al mondo esista veramente solo una persona giusta per ognuno e che solo questa potesse salvare l'altro?
- Siamo nello stesso palcoscenico. Se ci aiutiamo dovremmo essere in grado di uscire anche dal nostro buio dove questi serpenti ci divorano... - 
Affascinato. Dopo l'eccitazione e la sorpresa, Seth si sentì affascinato. 
- Già... dovremmo... - Però quando si trovò a dover rispondere, trovò di nuovo quello schifo dentro di sé per cui ogni volta cercava di espropriare dal proprio corpo. Le tenebre lo ripresero completamente oscurando il suo volto che si abbassò verso il basso, distogliendo lo sguardo penetrante da lei. - Eppure nulla sembra mai abbastanza... - 
Questa volta fu lei a spostare gli occhi di cristallo azzurro su di lui e i brividi la percorsero. Era nelle sue stesse sabbie mobili. 
- In fondo conta quanto seriamente ci provi. - 
“In fondo basta essere onesti... “
- Mai fatto nulla seriamente se non distruggermi. - L'unica certezza della sua vita. Lo disse come se quello fosse l'unica certezza e lei gli prese la mano fredda, grande e ruvida, quando intrecciò le dita sottili e lisce con le sue, la luce cominciò finalmente a schiarire quelle tenebre dentro entrambi, attanagliate dalla paura. Paura di tutto, specie di vivere.
- Allora prova a curarti, seriamente. - 
“Perché non so come sia possibile, ma se in questo momento sento qualcosa di particolare è il desiderio di non perderti. Ho bisogno di te, Seth... “
Disarmante nella sua verità.
- E tu? - Chiese lui con la sua voce profonda e bassa guardando stranito le loro mani. Erano diverse e facevano uno strano effetto anche visivo, insieme, però erano belle. A modo loro nella loro unione lo erano.
Strinse la presa così lei rispose continuando a sentirsi inspiegabilmente meglio. 
- Lo farò anch'io. Io curo te e tu curi me. - 
“Come cazzo fa quella canzone uscita da poco? Insieme ce la faremo, divisi cadremo... non è nemmeno un gruppo che mi piace molto, però il senso delle loro canzoni, a volte, mi abbatte. È così. È solo così... siamo ottusi e coglioni tanto da non ammettere che semplicemente siamo legati. Se l'ammettessimo sarebbe ammettere anche quanto stupidi siamo, perché non c'è il minimo di sanità mentale in un unione simile. È follia, la nostra. Pura follia. Meravigliosa... “
- Già... in fondo se io ho suonato per te e tu hai ballato per me è perché provavamo qualcosa di diverso e di valido. - Una piccola sospensione nella quale cercò i suoi occhi e da così vicino, nonostante il vento ed il freddo, si guardarono; poi evitando di dare un nome anche a quella sensazione, disse: - Forse ne vale la pena. - Un sussurro.
- Se aspetti i motivi per amare la vita non ti muoverai più. Intanto iniziamo, poi ai perché ci pensiamo. -
- Potrebbero arrivare dopo... - Quasi speranzoso.
- Potrebbero. - Aggiunse lei facendo intendere che magari potevano anche sbagliare. 
- Proviamo a stare in scena, allora. A comporre un altra canzone ed un altro ballo... - 
- Un altra opera. - 
Puntualizzò lei col suo modo altezzoso, non lo faceva apposta, ma se lui sbagliava doveva correggerlo. 
- Si, quello che è... - Fece invece lui brusco, sempre nei suoi modi.
A sancire quella promessa arrivarono le labbra di Seth che tapparono quelle di Silvie prima che queste potessero aggiungere qualche altro insegnamento snervante. Perché quello era l'unico modo di stare meglio, ogni volta che si sconvolgevano per la presenza l'uno dell'altro.
Come una droga. 
L'amore è come una droga. Non capisci subito di cosa si tratta e che nome ha, sembra irrazionale e lo rifiuti però al tempo stesso non puoi farne a meno e quando ti rendi conto di cosa è, ci sei dentro inevitabilmente.
Solo amore.
Puro amore. Nient'altro... 
 
6. 
Le bocche unite sembrava eseguissero una danza che non aveva definizione. Quel che facevano loro mentre si baciavano poteva essere forse definito in un solo modo.
Arte.
Arte perché lei come la sua natura le comandava di fare, tentava di gestire i movimenti in modo elegante ed aggraziato mentre lui, da parte sua, si imponeva e glielo impediva trasformando il tutto in un qualcosa di molto più grezzo e ‘sporco’.
Come se ci godesse a vedere fin dove quella creatura che amava la perfezione, sarebbe riuscita a spingersi pur di stare con lui e avere la sua dose giornaliera di… di cosa?
Cos’era ciò che facevano ogni giorno diventandone sempre più dipendenti?
Sesso?
Seth lo chiamava così poiché nessuno, dalla nascita, era mai stato in grado di insegnargli cosa fossero i sentimenti.
Silvie semplicemente ancora non lo chiamava in nessun modo, poiché nonostante anche lei fosse cresciuta senza l’assimilazione di emozioni comuni, era incapace di degradare anche solo con la mente o la parola, qualcosa che compiva lei stessa.
Qualunque cosa fosse andava sicuramente bene e non era ‘sporco’.
Per lo meno tentava di fare ciò.
In realtà quando si dava a quel modo a Seth e lui non le permetteva di gestire la cosa in maniera civile e ‘normale’, si sentiva molto ‘sporca’.
Eccome.
Era esattamente questo a bruciarle più di ogni altra cosa, questo e la dipendenza che quegli atti di sesso, come lui li chiamava, le davano.
Era assurdo, dal suo punto di vista. Come auto lesionarsi.
Le piaceva terribilmente.
“Non facciamo altro che alimentare le nostre dipendenze. Lui si avvelena ed io non mi nutro ancora, siamo sottomessi alle nostre informità interiori e mentali e per curarci ci diamo ad altre dipendenze.
Uno scambio reciproco di ulteriori veleni… in fondo è solo questo.
Sbagliamo, ma per prenderci cura l’uno dell’altro non riusciamo a fare altro che questo e non ne capisco il motivo.
Cos’è?
Cos’è tutta questa follia?
Ha un nome?”
Le domande le turbinavano nella testa ogni istante della sua vita, perfino mentre continuava a cercare di portare la danza delle loro bocche unite ad uno stato decente, contrastando la volgarità del compagno.
Tutto l’opposto di Seth che semplicemente non sapeva nemmeno cosa fossero i quesiti ed i dubbi. Ne aveva, certamente ne aveva molti, ma per come era fatto, era come se avesse un blocco sulle parole e sui pensieri. Nemmeno volendo riusciva a preoccuparsi o chiedersi cosa succedesse e cosa fossero, per lo meno fino a quel momento.
Soprattutto non si chiedeva perché proprio loro volessero curarsi a vicenda e come mai lo facessero facendo sesso.
No, non si definivano fidanzati o simili, non erano proprio una coppia. 
“Siamo solo due che stanno assieme e per non sentirci soli, freddi e vuoti ci scaldiamo e riempiamo così, coi nostri semi, con le nostre bocche, le nostre lingue, i nostri corpi. È tutto qua, non serve sapere altro. 
Tanto meno quanto sensato sia.
O lei o mi riempio di droga. Anche se… “
Anche se nemmeno nei propri pensieri, i pochi che riusciva ancora ad avere, riusciva a dirselo.
Anche se alla fine non era proprio vero che non si drogava più. Si erano promessi di aiutarsi, certo, ma l’unico modo che erano riusciti a trovare era stato quello: ballare, suonare e fare sesso. Di continuo.
Di continuo ad eccezione delle volte in cui lui per non stare giù si prendeva qualcosa di piccolo piccolo e lei per non vomitare evitava qualche pasto… sempre piccolo piccolo.
Raggiungendo l’orgasmo con un’ultima poderosa spinta in lei che l’avvolgeva cercando calore, si tese tremando tutto, avendo la sensazione cocente di avere una crisi con la testa che girava, i sensi annebbiati e il sangue che gli correva così veloce. 
Fu una sensazione che, come al solito, non seppe definire, non più di un semplice e volgare:
“Sono venuto.”
Così come l’aveva realizzato.
Non lo disse ad alta voce, aveva imparato a capire cosa lei voleva e non voleva sapere. 
Poteva capirlo anche da sola che era venuto, no?
Rimase steso sopra di lei, nel letto che li vedeva nudi e accaldati. Palpitanti.
Eppure cosa importava?
Veniva da chiederselo, dopo tutto. 
Era così meraviglioso, no?
Meraviglioso era l’unico modo in cui potevano descriverlo.
Se alla fine si provava tutto quello e lei addirittura dimenticandosi dei propri modi da danzatrice classica l’abbracciava come se avesse un bambino, cosa importava dei dubbi e di ciò che facevano, non facevano e nascondevano?
Era solo faticoso, a volte, cercare di rispettare le promesse, per quanto nobili e sentite fossero. Era veramente faticoso.
Era tanto, dopotutto, aver ammesso di avere quei precisi problemi, non era già un importante passo in avanti?
Cosa contava il resto, alla fine di un orgasmo simile, mentre lei avvolgeva le sue spalle e la sua testa contro il seno poco morbido, ma comunque materno?
Cosa contava se si sentivano le costole ed era scomoda?
Cosa contava se di solito provava l’istinto di appenderla al muro per la saccenza che tirava fuori e se spesso litigavano così tanto da arrivare all’esasperazione?
Cosa contava se i propri buchi nelle vene non diminuivano ancora?
Se si poteva sentire entrambi i battiti dei cuori andare così forti fino quasi ad uscire dalla gola, se l’odore dei rispettivi corpi anche se sapeva di sudore sembrava buono ed eccitante lo stesso, se si riempivano i vuoti e i freddi a quel modo, dopo tutto, cosa contava il resto?
- Dio, quanto inutile e sbagliato è tutto questo… - Eppure nonostante anche lei stesse come lui, il ragionamento che ebbe fu diverso. Fu diverso e la riflessione che fece a fior di labbra dopo un lungo istante in cui erano rimasti immobili ed in silenzio a guardare dritto davanti a loro, una il soffitto ed uno il muro a lato, fu pesante.
- Perché? – Non lo voleva sapere veramente, Seth non era uno che faceva domande, no?
Però lo chiese e lo fece perché Silvie, invece, aveva bisogno delle domande, per maturare e capire provando a rispondere. 
Lo fece perché senza che se ne rendessero realmente conto si stavano già cambiando a vicenda. Sempre di più.
- Perché tu hai ancora i buchi sul braccio ed io le costole ben visibili. – 
Nascondere?
Come era possibile se due persone potevano sentirsi al punto da riuscire a mandare ogni cosa a quel paese solo per fare sesso - l’amore - con l’altro?
Seth non si seccò di quelle frasi, non le sentì come accuse anche se in fin dei conti sarebbero potute essere tali. Al contrario, riprendendo a respirare regolare senza alzarsi da lei, mantenendosi steso semi abbracciato al sottile e fragile corpo chiaro, spostò la mano immergendo le dita fra i setosi capelli rossi che si spargevano sul cuscino creando un effetto straordinario. 
- E tu mangia! – Sbottò quindi lui semplicistico così come era nel suo stile. Non ce la faceva a preoccuparsi, a sentire la tragicità o l’errore nella propria situazione. Era come se fosse malato… e forse lo era veramente. Una malattia dell’animo.
- E tu non drogarti! – Ribatté quindi lei altezzosa scostandolo di scatto per alzarsi a sedere. I capelli le ricaddero lunghi sulla schiena nascondendogliela e lui che rimase steso sul letto accanto a lei, fece un espressione contrariata che ebbe quasi dello straordinario, considerando che non ne aveva quasi mai.
Sbuffò.
- Eddai, torna giù! – Disse anche prendendola per il braccio, lei non si fece comandare, come era normale, e strattonandolo con la sua consueta grazia come se stesse di nuovo ballando, si alzò dal letto ignorando la propria nudità.
In fondo non era vero quello che stava per dire… 
- Ma guardaci, Seth! Avevamo detto di aiutarci a vicenda… quante belle parole, vero? Ci limitiamo a scambiarci fluidi corporei. Che razza di aiuto è? Quel che abbiamo fatto è solo caricarci di una nuova dipendenza: noi stessi! La verità è che non ci stiamo affatto aiutando e far finta di nulla è solo da sciocchi! – 
Non aveva certo alzato la voce, aveva mantenuto un tono sostenuto insieme alla sua posa composta. 
Però non era vero: come poteva ignorare il fatto che a volte si sforzava di ingurgitare qualcosa perché lui glielo aveva detto e non voleva sentirsi inferiore?
E che lui evitasse di assumere qualche dose per lo stesso motivo, per non sentire le sue ramanzine da professoressa?
Oltre poi che a lei nonostante la sua magrezza non le desse fastidio essere toccata e guardata da lui nuda?
Come che a lui bastava sempre più stare con lei al posto di procurarsi il proprio veleno?
Rimaneva la verità che in fondo non erano altro che ragazzi cresciuti da soli, tutto sommato, e che molte cose che avrebbero dovuto sapere, invece non le sapevano.
Rimanevano molte altre verità, come ad esempio quella che seppe dire Seth alzandosi a sua volta dal letto, rimanendo senza vestiti e senza vergogna:
- Tu sei esagerata! Troppo severa… devi essere più ottimista e morbida! – 
- Parli tu di ottimismo? – Ribatté subito lei seccata punta sul vivo. 
- Io non sono nulla, il che è diverso… - Rispose lui ancora monocorde fermo coi capelli neri che gli ricadevano sugli occhi sottili e blu.
- Sei menefreghista, e questo lo dimostra! – Quelli azzurri di lei sembravano ancora più di ghiaccio, invece, mentre l’arrabbiatura si faceva strada, un arrabbiatura fredda ed ancora contenuta.
- Certo che lo sono, ma è meglio così piuttosto che esaurirmi dietro ad inutili preoccupazioni e pensieri! – Anche lui, però, cominciava a sentirsi scocciato. Lei era così stancante e faticosa. Specie quando gli parlava trattandolo da mentecatto!
- Sono esaurita? – Chiese in tono di sfida.
- Certo! Altrimenti mangeresti e non ti faresti tutte queste seghe mentali! – Volgare, ovviamente, e diretto, ma veritiero. Le bruciò.
- Queste paranoie mi hanno tenuta in vita fino ad oggi, se non ne avessi avute quella volta mi sarei solo buttata giù e basta! – Anche questo era vero, tutto sommato. 
- Wow! Che vita! – La sua ironia pesante e tagliente arrivò a graffiarla e colpirla in pieno come poche volte le era capitato, forse mai. Improvvisa una fiammata di rabbia le divampò in viso facendole prendere colore, fu la prima volta in vita sua che l’istinto brutale prese il sopravvento a quel modo.
Silvie sentendosi inspiegabilmente ferita dentro per la presa in giro di Seth, lo schiaffeggiò.
Rimase un attimo ferma immobile a guardarlo mentre al posto del gelo artico si vedeva e sentiva chiaro il fuoco puro che mai aveva posseduto, qualcosa di sconvolgente, una sensazione che partiva dal basso ventre e le muoveva tutto lo stomaco contorcendoglielo. Malessere fisico. Come poteva la gente arrivare a provare ripetutamente quel fuoco?
“Ma quel che mi sconvolge veramente è perché mi sento così… che senso ha arrabbiarmi tanto? Non è forse la verità?
E’ che detta da lui suona come ipocrisia. Lui non è migliore di me, lui è pieno di difetti, lui continua a sbagliare in continuazione e viene a parlarmi così… “
Però ancora non ci era arrivata del tutto.
Il vero problema, ciò che le faceva pensare fiumi infuocati di parole e che le impediva di dirli a voce tanto che erano potenti e sconvolgenti, era che era stato lui, Seth, a dirglielo.
Era lui che aveva pensato quello di lei.
Lui che aveva appena lasciato una parte di sé in lei rendendola… contenta, no? 
Tante cose avrebbe voluto dire, veramente tante, ma il minuto che passarono a fissarsi dritti negli occhi fu solo uno, eppure la più espressiva fu proprio lei, nonostante spesso cercava di trattenersi ed era famosa per l’auto controllo.
Ma come poteva non vederlo?
Tutto il loro cambiamento, il suo… lei che ora era addirittura arrivata ad infuriarsi a quel modo e a schiaffeggiarlo. Cose incredibili, per una come lei.
Veramente.
Come poteva non vedere realmente quel palpabile cambiamento che aveva avuto da quando si erano incontrati?
Dal punto di vista di Seth era così cristallino… 
Tuttavia non riuscirono a dire più nulla, così lei sentendosi ancora più male per ciò che provava, per la portata di quello che aveva dentro, si vestì in fretta e furia e senza dire parola alcuna uscì dalla camera lasciandolo lì inebetito a fissare la porta chiusa.
“Ma come cazzo fa a non vederlo? Possibile sia così testarda e cieca? O forse è solo scema? Non è così come la vede lei, non è così estremo e grave, così assoluto, così terribile… non è proprio così come lo vede lei… ma chi diavolo l’ha cresciuta?
Vorrei proprio conoscere quel criminale, mi sta rendendo la vita impossibile… proprio a me, così opposto a questo genere di cose. 
Ma chi me lo fa fare?
Perché rimango con lei?
Io, se fossi stato in me, avrei solo mollato tutto e me ne sarei andato. Semplicemente. Ed invece continuo e non la mollo, continuo a costo di prendermi mal di testa e ramanzine. Continuo… ma che senso ha?
Ci sono dentro fino a questo punto?
Così tanto?”
Fu dopo questa prima serie di considerazioni veloci e shockate che si rese conto che non solo per lei le cose erano cambiate, ma anche per lui.
E questo fu il vero sconvolgimento.
- Merda… sono fregato! – 
Questa la sua conclusione mentre calciava i propri anfibi seccato ed infastidito.
Fregato perché ora lui dipendeva totalmente da lei e né la droga né altro sarebbero stati così pericolosi per lui, poiché ora che se ne era andata arrabbiata l’aveva potuto comprendere a fondo.
Senza droga e altro sarebbe riuscito a sopravvivere, ne era certo, ma non senza Silvie.
Non senza lei.
Questa ormai, purtroppo per lui, era certezza.
Certezza.
Certezza è rendersi conto di essere vivi e di aver la concreta opportunità di morire subito senza la persona amata.
Certezza è vita, morte, sentimenti e paure.
Ma anche amore.
Le certezze, onestamente, sono le uniche cose veramente inevitabili nella propria esistenza.

7. 
Quando le prese il polso per fermarla, sentì la freddezza della sua pelle e la sottigliezza fragile che alla sua stretta parve quasi spezzarsi. Quel piccolo contatto gli riaccese tutte le motivazioni per cui voleva fare sesso con lei.
Si, perché si trattava ancora di questo, no?
Fu lì che lei si costrinse a girarsi, guardarlo dritta negli occhi e affrontarlo.
Costretta poiché in realtà era proprio quello che fino a quel momento aveva cercato di evitare.
Un confronto.
- Che cazzo hai? – Le chiese Seth a bruciapelo con ancora la sigaretta fra le labbra, la sua voce roca uscì un po’ impastata grazie alle labbra semi chiuse. Il suo aspetto non era dei migliori, ma ormai era abituata. 
Ciò a cui non era abituata era agire contro la sua volontà.
Non voleva parlarci, erano giorni che lo evitava ed aveva i suoi motivi. Possibile che lui non ci arrivasse da solo?
Sospirò stringendo infastidita le labbra sottili. Probabilmente non c’era scelta.
Probabilmente a volte non si può evitare di ferirsi a vicenda. 
Così strattonò con grazia e fermezza il proprio polso e drizzandosi davanti a lui si rassegnò subito a dirglielo. 
- Forse che sei così malmesso da non capire quando qualcuno non vuole vederti? – 
No, non era questo che voleva evitare di dirgli e la verità era che non sapeva nemmeno perché di preciso non voleva.
In fondo era una decisione radicale, era decisamente impossibile tacerglielo. 
Seth guardò torvo Silvie cominciando subito ad innervosirsi. Tutte quelle parole ricercate gli facevano venire mal di testa e soprattutto non capiva nulla… lo stava sottilmente insultando?
Si tirò via la sigaretta dalle labbra prendendola fra l’indice ed il pollice e lasciando cadere la mano lungo il fianco con fare piuttosto nervoso, rispose con un ringhio:
- Parla chiaro. – 
Lei cominciò così a torcersi le mani e mentre i propri occhi azzurri cercavano quel velo di ghiaccio che le avrebbe impedito di ferirsi, quelli blu dell’altro le si puntavano addosso assottigliati e penetranti. 
- Seth, non voglio più vederti. È abbastanza semplice così o vuoi un disegno illustrativo? – 
Sentire la verità che tanto si cerca e si agogna, però, a volte può essere decisamente peggio dell’ignoranza.
A volte.
Però inevitabile anch’essa, decisamente.
Ci impiegò un attimo il giovane dai capelli neri la cui cresta era abbassata sulla fronte. 
Ci impiegò un bel po’, effettivamente, a capire a fondo il significato di quelle parole.
Cominciarono a pulsare le orecchie, ecco quale fu la prima sensazione. Pulsazione e bruciore. In un nano secondo quella sensazione insopportabile si espanse in tutto il resto del corpo mentre l’idea di stare per esplodere con quel bollore interiore che si ingigantiva, era sempre più vicina.
Riuscì a parlare, sempre con la sua voce cavernosa, non dopo aver aspirato a fondo un tiro dalla sigaretta riducendola fino al filtro. Non la spense, la tenne ancora fra le dita, ma se ne dimenticò subito.
- Perché? – 
Alla fin fine fu tutto quello che gli venne da dire mentre la consapevolezza di star provando ancora cose che non aveva mai provato in vita sua, si faceva strada. Consapevolezza di essere umano e non indifferente a tutto, persino al proprio futuro.
Ora voleva e voleva molte cose mentre provava.
Voleva che il suo futuro fosse accanto a Silvie, voleva fare di nuovo sesso (o l’amore?) con lei, voleva sentirla in ogni modo.
La voleva.
Proprio come gli era capitato di volere la droga, ma diversamente. Non si trattava di bisogno fisico, era un bisogno completamente mentale e interiore, la cosa peggiore da sopportare.
Ecco quindi che la sua mentalità autolesionista e priva di volontà per il futuro, si distrusse in un istante, quando lei lo lasciò.
Silvie sospirò ancora una volta, non le piaceva dire quelle cose anche se le aveva ponderate a lungo. Non le piaceva fare quella parte, non le piaceva dover spiegarsi… non le piaceva vederlo così… non le piaceva lasciarlo.
Decisamente la cosa più terribile fra il lasciare e l’essere lasciati è proprio il primo caso, se ovviamente hai provato sentimenti.
Eppure per lei non era solo questo.
Per lei era duro perché in realtà provava ancora, anche se erano cose reputate sbagliate, cose che cercava di rifiutare e buttare fuori dalla sua vita, cose che non le avrebbero mai fatto bene.
Cose che con un ragionamento approfondito si capiva di non poter volere per vivere in un certo modo.
- Ci facciamo solo del male, Seth. Non arriveremo da nessuna parte. Io voglio stare bene… - 
Sincerità maledetta.
Sincerità odiata.
Sincerità disprezzata.
Dolore infame.
Decisamente sentirsi rivolgere certe parole e aprire delle ferite mai ricevute grazie al vuoto perenne sempre avuto, non era facile.
Decisamente poteva anche essere pericoloso o semplicemente devastante.
Ecco perché mentre l’ira cominciò a divorarlo all’istante, ira non ben definita per il caos interiore a cui era soggetto, le si rivoltò contro con aggressività mai utilizzata per motivo alcuno.
Il non vivente cominciò improvvisamente a vivere in modo totale e improvviso e solo grazie al dolore.
- Sai qual è il tuo fottutissimo problema del cazzo? Che non sai cos’è l’amore eppure è quello che cerchi. Cerchi qualcosa che non sai. Mi lasci perché non c’è amore fra noi, ma non sai cos’è l’amore e quindi non sai se quello che c’è fra noi lo è o no! – 
Di primo impatto Silvie rimase senza parole, sarebbe stato un ragionamento su cui riflettere con calma e freddezza, ma sul momento si trovò con il sangue pompato velocemente e un agitazione sempre crescente davanti a quella dimostrazione inaspettata. 
Sconvolgente.
Vedere Seth così era senz’altro sconvolgente e prima che lei potesse rispondere e quindi ragionare, lui riprese impetuoso avvicinandosi, sovrastandola in altezza e gesticolando infuriato per non colpirla e prenderla a sberle come avrebbe voluto fare.
Per lei si stava addirittura trattenendo davanti a qualcosa che aveva atteso da una vita.
Sentimenti passionali e potenti.
Quella sicuramente era la prima volta in vita sua che provava della rabbia.
Rabbia pura.
- E come diavolo puoi capirlo se non parliamo? Quello che non capisci, che non mi dici, che tieni dentro cosa pensi che sia? Da cosa credi che stai scappando, ora? Solo amore. È sangue e cuore ciò che è nato da noi, puro amore! Non c’è niente da capire, Silvie! Non c’è un cazzo di nient’altro! È questo troppo sentimento che ti appanna e non mi vedi, non mi credi, non capisci… non l’hai mai provato e pensi che sia sbagliato e scappi! Ma è solo amore, porca troia! Non c’è niente da capire, non c’è! – 
Pietra.
Silvie era solo pietra incapace di reagire e pensare e parlare… perfino respirare. Incapace di tutto se non di ascoltarlo e impietrirsi innanzi a lui e a quella scenata impensata. Incapace di rispondergli d’impulso allo stesso modo, incapace di non sentirsi in quel modo terribile.
Provava, eccome se provava… ma erano sentimenti ed emozioni così forti e devastanti che come si poteva voler provarle ancora nella propria vita?
Come si poteva non voler scappare da esse?
Come?
Fuoco. 
Seth invece era fuoco puro, fuoco d’esplosione, fuoco nato da una tanica di benzina, fuoco bruciante che una volta acceso era incapace di spegnersi, di capire, di ragionare, di realizzare ciò che aveva detto. Cioè che era amore ciò che provava.
Era solo puro e semplice amore ciò che gli aveva cambiato così drasticamente la vita e che ora lo faceva infuriare per la sua possibile perdita.
Che ora lo faceva star male.
Così totalmente male.
Lei non rispose e non fece alcuna espressione e paragonando la sensazione di quel momento ad un rumore, sicuramente sarebbe stato quello di un vaso rotto. Un vaso finito a terra in mille pezzi.
Inevitabile disperazione.
Ecco perché senza attendere oltre, cominciando a capire il profondo significato di quanto appena accaduto, semplicemente se ne andò via, lontano da lei, lasciandola inebetita ed impietrita a meditare su quell’insolito ed inatteso scoppio bruciante.
Uno scoppio che però l’aveva scaldata.
Provare interesse per la vita, talvolta poteva sembrare più facile di quel che sembrava. 
Bastava lasciarsi andare ai sentimenti.
Loro sono lì per tutti, esistono in ogni creatura vivente e a volte solo riposano sotto strati di ghiaccio, ma la chiave per tirarli fuori è sempre in noi. È una chiave che si infila in qualche toppa da ricercare con cura, ma una volta trovata è fatta.
Ecco perché poi il difficile diventa accettarli e lasciarsi andare e non certo il trovarli.
 
“Passare tutta una vita ad agognare qualcosa che poi ti arriva sparata come un treno di merda che ti investe e ti annega.
Ecco cosa ho cercato.
Solo dolore e sofferenza.
Uno schifo del cazzo che non voglio.
Non voglio assolutamente.
Non me ne faccio niente.
Era meglio quando vivevo passivamente cercando emozioni in ogni modo possibile, senza successo.
Ho fatto di tutto senza coscienza, senza provare nulla, sperando invece di provare ma non è mai accaduto.
Ora invece si, ora invece è arrivato e solo per farmi vomitare da tanto che fa cagare.
Non è questo che volevo. O si? Era questo?
È per questo che ho preso questa strada arrivando addirittura ad auto distruggermi?
Era solo questo, si? 
Beh, allora che merda.
Non mi piace, non me ne faccio nulla.
La prospettiva di questo futuro è quanto di più inutile esista.
Quindi così no.
Così non vivo.
Ora che so per cosa si vive, cosa rappresenta il futuro degli uomini, non mi trattiene nulla.
Solo disperazione.
Inevitabile disperazione.
Sofferenza, dolore.
No, non per me, nessuno se lo merita e gli uomini sono solo dei folli a convivere con questo schifo.
Non c’è assolutamente motivo per stare così.
Se poi buttandomi giù tutto questo finirà allora va bene.
È tutto ciò a cui riesco a pensare.
Prima non mi stava bene stare vuoto ed ora che sono pieno, pieno di questo amore dilaniante che mi fa solo soffrire, è peggio, non ne voglio sapere.
Se sentimenti significa amore e amore significa disperazione, allora lo regalo a chi è masochista.
Io ho già dato e non è questo che voglio.
Non ho cercato tanto nella merda per avere questo.
L’altezza da cui voleva buttarsi Silvie quel giorno è questa. Un’altezza notevole.
Ecco dunque quello che ha sentito mentre aspettava un miracolo, prima che io arrivassi. Mentre il vento l’avvolgeva raggelando ogni senso.
Ecco cosa, dunque.
Nebbia e dolore totali.
No, non credo.
Lei cercava qualcosa, le sarebbe andato bene anche quello. Non è venuta al di qua della balaustra per buttarsi veramente giù, ma solo per vedere se ci sarebbe riuscita. Non si sarebbe mai buttata.
Io ora sono di qua per un altro motivo.
Perché ho trovato quel qualcosa e ne sono pieno, ma così pieno che nemmeno riesco a respirare e ragionare.
Che nemmeno una minima prospettiva o speranza può farmi esitare.
E come vorrei.
Ma non esiste.
Non c’è.
Sto qua sommerso in questo mare di merda di cui voglio liberarmi ed è proprio quello che farò.
Perché tutto è meglio di questo.
Tutto.
Persino quel marciapiede là sotto.
Sai però Silvie… spero che ami dopo di noi.
Spero che ami, ma veramente. Spero ti ami un po’ di più. Spero che ami anche per me. 
Spero soltanto che vada meglio per te e che impari a non scappare più. 
Nemmeno io lo farò.
Dopo di questo non sarà più possibile, questo è il mio modo per fermarmi. Tu trovane un altro, trova il modo di amare ancora, dopo di noi. 
Senza paura, con tutte le unghie, con tutta te stessa… al punto da volerti uccidere se qualcuno ti strappa quell’amore.
Guardo in basso da quest’altezza. Non si vede bene giù e la ringhiera a cui mi tengo è così fredda che non mi fa quasi più sentire le mani.
Non vedo l’ora di non provare più niente.
Silvie, di te odio l’amore che forse tu sai cos’è… “
 
Però da sempre, la cosa peggiore che non si può sopportare è proprio l’amore.
Quand’esso viene spezzato.

8.
Non sapeva proprio perché si era messa a seguirlo.
Forse per la rabbia che le aveva provocato sentendosi rivolgere quelle parole così forti e definitive.
Seth era stato così sicuro che quello che li legasse fosse amore da gridarlo e fare qualcosa che mai in tutta la sua vita, probabilmente, si era degnato di fare.
Aveva parlato per spiegarle cosa pensava, aveva ammesso di provare sentimenti, l'aveva anche insultata per farle capire quanto veramente pensasse quello che diceva. 
Così una volta che lui se ne era andato, lei era rimasta lì un secondo a guardare la sua schiena allontanarsi infuriato, aveva riflettuto sconvolgendosi di ciò che solo con lui riusciva tuttavia a provare, sulle sue parole, su quella sicurezza disarmante riguardo l'amore; poi aveva stretto le labbra contrariata.
Contrariata non rispetto a ciò che aveva detto, ma solo per il modo in cui l'aveva lasciata.
Come poteva permettersi di fare una cosa del genere?
Come poteva lasciarla così veramente?
Si era fatta una raffica di domande che le aveva dato fastidio e poi l'aveva seguito. 
L'aveva solo seguito giungendo ai piedi del loro palazzo e con uno strano istinto inspiegabile aveva guardato in alto.
Eccola poi lì.
Lì sbigottita a guardare una figura indistinta posizionata al di qua del cornicione del terrazzo sul tetto.
Sbigottita e per un lungo attimo senza parole, senza capire cosa potesse provare.
Aveva cercato di mandarlo via in preda al caos, sicura che non era amore, che non era nulla di utile, di buono, quel che li legava, ma poi si era sentita gridare in faccia che era amore e vita ed era stata abbandonata lei stessa.
Come interpretare quel gesto?
Come?
L'aveva seguito per chiarire una volta per tutte senza sapere bene con certezza cosa avrebbe potuto dire una volta davanti a lui.
L'aveva fatto sconvolgendosi in primis per quel suo gesto insolito ed ora era là a guardare in alto e vedere quel che mesi prima aveva tentato di fare lei stessa.
Come uno specchio.
“ Vuole buttarsi...”
Pensò unicamente questo mentre la sagoma magra di Seth le si visualizzava meglio nella mente.
Accadde quindi.
Senza accorgersene lasciò la bocca aperta ed il viso liberi di fare un espressione.
Un espressione.
Mentre si trovò impegnata ad ascoltare il cuore andare sempre più velocemente e i propri arti tremare in modo inspiegabile.
Tremare per cosa?
Seth voleva farla finita perché lei non aveva voluto ammettere la dipendenza per lui ed il suo amore, lei che gli aveva restituito la vita.
Lei.
Tutto ciò per cui avrebbe ammesso di essere un uomo.
Lei gli aveva dato del puro e semplice amore, glielo aveva fatto provare ed ora, al momento di trovarsi di nuovo senza, non aveva resistito.
In un istante le fioccò nella mente una cascata di ragioni per cui Seth dopo il loro litigio volesse farla finita ed improvvisamente ebbe paura.
Paura di vederlo arrivare verso di lei.
Paura di volerlo morire.
Paura di non riuscire a chiarire le parole che si erano detti.
Paura di non riuscire più ad ammettere i propri sentimenti per lui.
Paura di non poter più dirgli per la prima volta che era vero.
Che amava.
Che era proprio così.
Paura che lui morisse lasciandola sola.
Paura di non poter più provare cose simili se lui non ci sarebbe più stato.
Paura di non riuscire più ad abbracciarlo.
Paura.
Ed in un istante mentre del fumo nero strisciante cominciava figurativamente ad entrarle dentro avvolgendole l'anima, facendola tremare per il freddo istantaneo che provò, strinse i pugni cercando di chiudere l'ingresso a quel fumo nero e rimanere ferma nella sua posizione.
Cercò con tutte le sue forze e vedendo che quell'oscurità continuava a crescere divorandola, allora con uno scatto si trovò semplicemente a correre.
Correre come una ballerina classica non avrebbe mai fatto.
Correre su per le scale cercando di andare più veloce del fumo che ancora le faceva informicare le giunture, la pelle, le ossa, gli organi.
Se il buio sarebbe arrivato al suo cuore non sarebbe riuscita più a vivere.
Mai più.
L'amore, quel puro disperato unico ed universale amore non l'avrebbe più illuminata.
Mai più.
E allora correre.
Correre più veloce del pensiero.
Più veloce della paura.
Più veloce di ogni istinto represso, liberando tutto ciò che non aveva mai osato liberare, abbandonandosi semplicemente ai sentimenti, alle emozioni, ammettendo che ne provava.
Più veloce di quanto non avesse mai eseguito i propri giri durante un esibizione di ballo. 
Più veloce di quanto non riuscisse a pensare e realizzare.
Quando arrivò in cima all'edificio un conato di vomito le contrasse lo stomaco facendole vomitare quel che ancora non era riuscita a mangiare. Sentendo la propria gola bruciare e lo stomaco chiudersi in una morsa serrata insieme alle cellule della propria pelle che la pizzicarono, appena fuori dalla porta, sulla terrazza del tetto, rigurgitò per lo sforzo inumano, qualcosa che lei non si sarebbe mai potuta permettere in quelle condizioni, e con i polmoni che gridavano pietà dentro di lei, strinse ancora una volta i pugni conficcandosi le unghie nei palmi.
“Capisci ciò che hai solo quando lo stai perdendo. Dio, quanto è sciocco l'uomo... ed io ne faccio parte. 
Non sono nemmeno degna della pietà di qualcuno. 
Ma Ti prego... se esisti aiutami, solo questa volta... e Te lo chiedo perché se lui si butta, lo faccio anche io. Perché così abbiamo deciso di fare quando ci siamo detti di camminare insieme per aiutarci a vicenda.
Se lui molla, mollo anche io.
Perdonami se sono una vigliacca... mi prenderò io cura di te, Seth. Ma questa volta sul serio.”
Rendendosi profondamente conto del significato dei suoi pensieri, con l'ansia crescente si rialzò pulendosi di sfuggita la bocca con la manica e con la consapevolezza che ormai era follia riuscire a rimanere in sé, chiedendo di perdersi pur di toccarlo, arrivò con le ultime forze fino al cornicione dove la sua figura di spalle stava mollando anche l'ultima presa.
Ed ecco.
Come una musica che cresceva d'intensità facendo comprendere lontanamente i loro reali stati d'animo, Silvie gridò sporgendosi sulla sbarra di metallo e aggrappandosi a lui con entrambe le braccia, sbilanciandosi incauta e stringendolo con disperazione, gridò scomponendosi ed esponendosi come mai dalla nascita aveva saputo fare.
Sentendosi viva per la prima volta in vita sua.
Sentendosi felice perché l’aveva raggiunto.
Stando bene, veramente bene.
- Ti amo. Continuiamo insieme. - 
L'aveva capito, l'aveva detto, provava sentimenti, l'aveva urlato, l'aveva raggiunto, l'aveva stretto e aveva buttato via la vecchia Silvie impaurita di vivere e di provare, incapace di esistere.
Infine esistere.
Esistere con l'unica persona che era stata capace di capirti, con cui si aveva percorso un cammino diverso, con cui ci si aveva provato. Ci si aveva provato insieme a vivere.
Trovarsi lì in quel punto dell'universo e rendersi conto di esistere ed essere completi e felici, finalmente, perché si aveva trovato la chiave di ogni cosa.
La chiave di ogni cosa.
I sentimenti umani.
L'amore.
La prima cosa che vide Seth quando si voltò sentendo la sua voce, furono i suoi capelli rossi che liberi volavano con quel forte vento fresco.
Insieme ad essi anche le catene si liberavano nell'aria lasciandoli in pace.
Poi subito le braccia sottili, ma piene di vita e di calore. Le braccia della ragazza che avvolgendolo si sbilanciava facendogli mollare la presa, ma non per la sorpresa o perché non aveva retto il loro peso. 
Bensì perché lì, in quel momento, ciò che era più importante di ogni altra cosa al mondo era stato abbracciarla a sua volta.
Quando cinse la sua schiena magra non sentì carne e ossa, sentì la cosa più preziosa della sua lurida vita che decideva di arrendersi all'amore che finalmente erano riusciti a provare.
E mentre l'aria cominciò ad avvolgerli ed i loro corpi combaciarono l'uno contro l'altro in maniera totale, nel loro abbraccio sorprendente, pieno, vivo e colmo di gioia strinsero gli occhi per non dimenticare quell'unico attimo di eterno amore incontaminato, quel puro senso di benessere.
Tutto ciò che contava l'avevano lì, fra le loro braccia.
- Ti amo e non ti mollo. - 
Fu solo questa la risposta di Seth pronunciata con una inclinazione così luminosa da permettere ad entrambi di sentire sulla pelle, per la prima volta, il sole oltre che il vento.
Mentre i due corpi allacciati precipitavano giù dall'alto palazzo, le loro labbra piegate in un dolcissimo sorriso si posarono l'una sull'altra in un ultimo bacio che li riempì ulteriormente.
Andare incontro alla morte con sincera felicità per l'amore che finalmente si ha trovato, è sempre ciò a cui l'uomo agogna fino alla fine.
Se arrivi a quello stadio non conta cosa sta succedendo, che stai morendo e fra poco la tua vita terrena avrà fine, conta quanto grande è quel che provi e se è talmente grande da riempire ogni centimetro che ti compone, fino a scacciare pensieri e paure.
Un amore tale che ti fa pensare che sei con lui o con lei ed allora tutto andrà bene.
Tutto si supererà.
Tutto andrà, ma quel che conta realmente ce l'hai e sorridi.
Sorridi mentre la luce vince le tenebre nonostante la morte che ti avvolge pulita e dolce come una tenera madre che ti ritrova dopo tanto tempo. 
Solo l'amore ha questo potere.
Solo puro e semplice amore.
Ora Silvie e Seth stavano finalmente bene insieme.
- Seth? Stiamo morendo? - 
- No, stiamo vivendo... -