A Moon Apparead In The Nightsky

CAPITOLO 6:

NON PUOI FERMARE NOI
 
/Per andare avanti/
E così se ne è andato. Via. Lontano da tutti. Per crescere in solitudine, rialzarsi da solo, ritrovare le ali perdute. Ma non credo le abbia perse, si sono solo ferite. Le dovrà curare. Ha bisogno di concentrazione, perché quell’idiota si fa prendere troppo da chi lo circonda e non pensa mai a se, alla fine…per cui per guarire totalmente ed in fretta ha bisogno di star solo lontano dalle distrazioni. Anche se so che riuscirà a combinare qualcosa persino laggiù.
Fermo la mia corsa mattutina, è molto presto, il sole appena spuntato scalda ugualmente anche se non ai massimi livelli, si respira e si sta ancora bene. Arrivo ad una fontanella pubblica e bevo un po’ d’acqua fresca bagnandomi anche il viso. Infine mi alzo dritto e volto il viso verso il sole ancora basso all’orizzonte e leggermente rosato. Il sole è tornato. I timidi raggi mi colpiscono direttamente sulla pelle bagnata dove gocce trasparenti scivolano brillando, arrivano al mento e si staccano bagnandomi la maglia.
Penso che andrò dritto agli allenamenti.
In estate sono più stancanti visto il caldo soffocante, ma servono specie a noi. Senza Tachibana…sarà dura. Sospiro. Ma si deve andare avanti. Gliel’ho promesso. Avrei portato la squadra lontano anche senza di lui, per non fargli avere rimpianti, per non fargli sentire colpe addosso. Non cadremo.
Saliremo ancora per un giorno rincontrarci sul campo, insieme o avversari ma ci rincontreremo.
Mi giro e senza fatica riprendo a correre in direzione della scuola.
Dio, però…rientrare in quelle mura e non sentire il suo chiasso, i litigi scherzosi con Harumoto…non vederlo che fa i suoi numeri megalomani gridando EVVAI! Sarà dura.
Innegabilmente.
Non sono uno che si nasconde dietro falsi pensieri o speranze. So che ce la faremo, ma l’inizio è comunque dura. Parecchio. Senza lui che…
Che gioca con me, in coppia, che prende i miei passaggi e li tramuta in canestri sicuri.
Ma si deve andare avanti. Me lo sono imposto dalla notte del suo incidente. Sempre e comunque, con la durezza del dolore ed ogni sentimento duro. Sempre avanti. Per aiutarlo in ogni modo possibile ci vogliono i fatti. Questi. Lui non ha bisogno di parole. Ora solo di azioni.
Quello che posso fare io per lui è tutto questo.
Eppure…almeno ora…ora che se ne è appena andato…per andare avanti ancora…ho bisogno di lui lo stesso.
Non cederò, non cadrò, niente depressione o tristezza.
Però ammetterlo non fa male. Ho bisogno  di lui, come l’ho avuto quel giorno, la prima volta che ho giocato con lui.
Mi aveva chiamato.
Ed io non ho potuto far altro che scendere e andare da lui.
L’ho raggiunto e sullo stesso livello di base abbiamo giocato la nostra prima partita da compagni.
Sorrido fra me e me. Che bambini che eravamo.
L’inizio è stato uno sfogo. Avevo dentro un emozione per essere tornato su un campo a giocare a basket che era incontenibile, non sono riuscito a trattenermi ed ho fatto tutto da solo dimenticandomi di tutto, perfino di lui. Ero immaturo sotto quell’aspetto, ma non riuscivo a staccarmi da quella palla, era una forza che mi muoveva oltre le mie possibilità di controllo. Lì l’ho capito ma non so se l’ho ammesso chiaramente. Io ero nato per quello. Per giocare a basket.
Tutto lì, semplice e chiaro.
Più avanti, molto più avanti, ho capito chi mi aveva salvato. Mi stavo perdendo. Se non fosse stato per lui il mio tesoro l’avrei smarrito definitivamente. Però lui testardo ed impiccione me l’ha riconsegnato in tempo.
A quel tempo non l’avrei mai ammesso a capito. Non comprendevo quel Tachibana così rumoroso prima e silenzioso poi. Mi accorsi che mentre io esplodevo in campo, lui non combinava un acca. Ma fu capace di sorprendermi ancora. Fece un dunk formidabile, non il suo migliore, ma fu una bella schiacciata comunque. Non me l’aspettavo che sapesse saltare così in alto. Servì a scuotermi e a farmi capire che non ero solo, con me c’erano altri 4 giocatori che volevano prendere la palla in mano e far qualcosa di buono. Non me ne importò. Io volevo giocare e vincere. Solo questo. A ripensarci se non fosse arrivato Takaiwa non so come sarebbero andate le cose. Non avrei capito molto di quello sport e di quel ragazzo.
Fra l’altro non capivo cosa avevano tutti, Tachibana per primo. Mi detestava apparentemente, mi riteneva il suo rivale acerrimo però aveva insistito per farmi entrare in squadra con lui. Incomprensibile già da subito. E molto contradditorio!
Comunque arrivò quel gigante biondo e rivoluzionò tutto in pochissimi minuti. Quello era incredibile già da allora, poi nel corso dell’anno esplose totalmente. Non è da stupirsi che non eravamo alla sua altezza in quest’ultima partita di campionato.
Takaiwa è un grande, nulla da dire. Ci fece capire solo con le sue giocate in pochi attimi, tutto il senso del basket.
E riuscì a farci giocare come dovevamo.
Si, dobbiamo molto a lui, anche se non vorrebbe essere ringraziato. Ho la vaga sensazione che nonostante tutto siamo il suo incubo!
Mi vien da ridere pensando a lui.
Stare in squadra con lui…chissà come sarebbe…mio padre voleva che ora mi trasferissi allo Hayamazaki. No, non l’avrei mai fatto, anche se Tachibana non c’è più io gioco a basket e lo faccio là perché gli devo riportare i suoi tesori intatti così come lui me li ha consegnati!
Takaiwa è in gamba ma non è ancora il momento di giocare con lui. Tutto qua.
Quella volta fece tanto che riuscì a farci uscire di testa, me e Tachibana.
In modo incredibile.
Di base ci infilò nella testa il concetto fondamentale che per fare un buon gioco ci si deve passare la palla!
Non ne volevamo sapere, però io comprendevo che in realtà aveva ragione. Così non l’avremmo mai spuntata. Infine il desiderio di ridicolizzarlo e batterlo fu così grande che mandai al diavolo tutti i principi e mi abbassai a fare quello che dovevo da tempo, l’unica cosa che mi avrebbe permesso di essere al pieno delle forze.
Fu l’idiota del campo ad avvicinarsi per primo a me e a dirmi furente almeno quanto me che quel tipo ci stava sfottendo. Ho tutto impresso molto bene nella memoria. Si. Si poteva notare benissimo la nostra aura minacciosa di fiamme che avvolgeva i nostri corpi. Eravamo irriconoscibili tanto che non ci dicemmo altro. Riprendemmo il gioco e senza nemmeno guardarci o accordarci con grande stupore di tutti e noi per primi, facemmo finalmente i veri ragazzi vincenti!
Una serie di passaggi veloci ed imprevisti e il canestro.
La prima giocata in combinazione di me e Tachibana.
Non la dimenticherò mai, penso.
Difficile, del resto dimenticare come si sta su un campo da basket con lui!
Ci esaltò. Inutile negarlo. Ci montò a tal punto da farci battere un cinque davanti al gigante odiato.
E stavamo bene.
Quanto stavamo bene.
Sentivamo nel nostro inconscio che era il passo perfetto verso il nostro cammino.
Dopo guarda dove siamo arrivati.
 
/accettazione/
Fondamentalmente era sempre un bambino, anche ora ha certe uscite che fanno cadere le braccia e imbarazzano molto. Ma poi ne aveva anche altre che lasciavano senza parole e ti spiazzavano. In sostanza non riuscivi a farti un idea sommaria.
Molto intenso quando fui consapevole di ogni cosa, o gran parte. Stavamo crescendo lì sul momento ed eravamo praticamente incontenibili. Facemmo molte azioni insieme, non smettevamo più. Avevamo assaggiato l’emozione di affidare il centro della nostra gelosia a qualcun altro che sapeva esattamente come trattarlo e non ci avrebbe deluso. Non solo sollievo e tranquillità, eccitazione, esaltazione, pienezza…e felicità incontaminata. Takaiwa ci aveva fatti infuriare ma poi assaggiando il gioco in coppia tutto si era mutato.
Insieme io e Tachibana eravamo imbattibili.
Anche se ci superavano in tecnica e bravura. Se noi 2 ci univamo diventavamo imbattibili.
Lo dissi con sicurezza e fu la prima dimostrazione del vero Hiragi.
Mi stavo riscoprendo giocando, mi trovavo in quegli attimi e mi piaceva.
Quel posto mi piaceva anche se ancora non era nulla.
Mi sorpresi a dirlo per maggior consapevolezza…o forse accettazione ufficiale e pubblica. Senza imbarazzo o altro.
Semplicemente ne Takaiwa ne nessun altro…avrebbe mai potuto fermare noi, col passaggio al mio nuovo e primo vero compagno firmai la una promessa senza parole ma ugualmente chiara.
Era ovvio, no?
Saremmo diventati grandi, ma solo insieme.
Ed era un sentimento appena nato che già prepotente cresceva ogni azione, ogni passaggio. Ogni scambio.
E sicurezza che l’altro non ci avrebbe deluso, mai fallito.
Sono normalmente un tipo composto che non si fa prendere troppo dai sentimentalismi, ma ricordare certe cose mi fa tornare la pelle d’oca, perché fino ad ora non me ne ero reso conto. Vivendolo è una cosa, ma finchè non torni con la testa a certi attimi non ti accorgi di certe cose importanti.
Il tempo era come se si fosse fermato.
Il mio sorriso sicuro e certo verso Tachibana che stava segnando, il suo canestro e il suo impegno nel non fallire quanto io avevo fatto, la concentrazione di tutti in quel nano secondo che voleva fuggire.
Fu indescrivibile.
Come la stessa identica sensazione l’avemmo tutti a pochi minuti dal termine. Eravamo in vantaggio e Hiramoto sotto pressione scoppiò colpendomi in faccia. Brutto fallo, mi stavano tornando a girare. Quello non mi era mai piaciuto e in special modo non sopportavo essere pestato da qualcuno. Era il mio istinto, non arrivavo a starmene fermo in certi momenti. Mentre in altri si. Non so. Ma era anche complice la pressione che gravava su tutti. Poi ero immaturo, la partita mi fece crescere molto, ma a piccoli passi.
Nessuno riuscì a fermarmi. Solo il mio nome pronunciato da Tachibana.
Non fu quello che mi disse, ma l’espressione sorniona di chi sa di aver già vinto.
Era importante però che non reagissi.
Così ripensai al primo scontro nostro. Finì a quel paese per la sua impulsività.
Anche lui era maturato parecchio, anche se non abbastanza.
Ci guardammo poi e ci scambiammo qualche battuta. Ma non furono le parole, bensì i gesti e gli sguardi.
Era tutto vero.
Eravamo noi, io avevo trovato un compagno e viceversa.
Non pesava più nulla. La mia vita pareva leggera e vivibile solo per quell’incontro.
E tutto parve sparire. Tutto.
Solo per essere entrato in squadra con quel tipo assurdo.
Me lo dissi ufficialmente ritornando in  quell’istante a giocare con lui a fianco.
Una lieve corsa, gli stessi movimenti soprappensiero e una leggerezza nella nostra personale vittoria che ci spinse ad alzare il braccio nel medesimo istante toccandoci coi gomiti e i pugni chiusi.
Il nostro momento era appena iniziato e sarebbe stato lunghissimo, interminabile.
Stavamo bene.
Tutto lì.
Avevamo trovato la persona giusta, il posto giusto, la sensazione giusta.
Eravamo noi, lì, in quel momento, insieme.
 
/obiettivo/
Vincemmo la partita, era amichevole, ma fu per noi una vittoria importante.
Poi lui venne da me cercandomi di proposito nell’esultazione generale.
Lo ammisi. Non c’entrava la mia famiglia, era solo basket. Era solo fare quello che si preferiva. Il suo motto preferito.
Poi lui disse la sua. Il suo obiettivo era solo quello di battermi.
Mi piacque come suonava perché così ero la persona automaticamente più importante per lui, tanto da diventare il suo obiettivo da lì in poi.
Non avevo mai sentito parole simili, dette da lui significava che non mi avrebbe più mollato. Che qualcosa di importante si era creato e si sarebbe rafforzato.
Con un nuovo sospiro i ricordi finiscono poiché arrivo alla palestra. Non ci sono tutti ma con mio stupore le riserve sono già arrivate. Si allenano un po’ assonnate. Mi guardano e con una notevole soggezione mi salutano. Sono tutto sudato per la corsa ma non stanco o arrossato. La mia pelle si mantiene pallida, ormai ho una buona resistenza. Faccio un cenno senza esaltarmi troppo. Solo in presenza di pochi ed uno in particolare mostro certi miei lati.
Con noncuranza dico entrando negli spogliatoi:
- Come mai qui?-
- ehm…vogliamo allenarci anche noi, abbiamo molto da migliorare ed ora che tre membri importanti non ci sono più dobbiamo darci da fare per essere alla sua altezza!-
mentre parlano arrossiscono e abbassano il capo. Mi fermo e li fisso per la prima volta. Sbaglio o mi hanno dato del lei? Alzo un sopracciglio biondo e incurvo le labbra verso il basso assumendo un espressione incredula e stupita che mette a disagio ancor di più i ragazzi.
Mah…questa è nuova, non l’avevo mai notato!
Faccio così tanta paura?
Faccio spallucce ed entro nella stanza adibita a spogliatoio, mi tolgo la maglietta maniche corte rimanendo un attimo a torso nudo. Il sudore mi imperla la pelle che sotto la luce sembra lucida. Vado al lavandino per rinfrescarmi bene, fa molto caldo ora. Noto alcuni della squadra, sempre riserve di un anno più piccoli di me. Mi fissano imbambolati. Ma che hanno anche loro? Non credo a quel che succede. Chinano il capo e timidi mi salutano balbettando qualcosa che non capisco.  So solo che mi danno del lei! Faccio loro un cenno di sfuggita e mi volto.
Qua l’estate fa brutti effetti!
Apro il rubinetto e mi butto addosso dell’acqua fresca bevendone un po’.
Prendo un asciugamano piccolo fra i miei ricambi che tengo qua senza portarmi dietro ogni mattina tutto quanto, mi asciugo distrattamente spettinandomi ancor più i capelli biondi, infine afferro una maglietta leggera nera senza maniche…la guardo, i bordi sono tagliati con le forbici e non ha un ottimo aspetto. La riconosco subito.
- è di Akane, che ci fa qua?-
poi ricordo che me l’ha fatta indossare quando abbiamo deciso che lui doveva indossare le mie scarpe(quelle maledette scarpe), ed io la sua maglia. Me l’ha data ma poi ha deciso che andava modificata giusto per me. Così l’ha rovinata!
Alzo le spalle e la indosso. Così sarà contento anche lui. Sicuramente continuerà a metterle quelle nike! Direbbe che così è come giocare insieme lo stesso. A volte è sentimentale! Accenno ad un altro sorriso ripensando a lui e quando mi volto per andare in palestra noto qualche paia d’occhi puntati sgranati e sconvolti su di me.
- bè?-
senza aspettare risposta passo infastidito avanti. Ma che avranno da fissarmi a quel modo? Mica sono Akane…prendo una palla di basket dal cesto e inizio a palleggiare…Akane!
L’ho chiamato per nome, non solo nei pensieri ma anche a voce! Per la prima volta aggiungerei.
Su questa realizzazione la sfera di cuoio mi finisce sul piede per poi schizzare via.
Sento un leggero rossore sulle guance.
Ommammamia!
Questo non era da me!
Cioè, non l’ho mai fatto!
- Signor Hiragi, ha perso la palla!-
alcuni di quelli che si allenavano prima mi porgono la palla che era rotolatlontano.
Sempre arrossendo a loro volta senza mai guardarmi in volto.
Ma cosa succede qua? Perché tutti questi cambiamenti in una volta? Devo ancora abituarmi all’assenza sul campo di Aka…ehm…di lui insomma…e la gente impazzisce!
Con sollievo noto la presenza dell’allenatrice. Mi avvicino prendendo la palla in mano e le chiedo a voce quasi inudibile:
- ma che succede a tutti? Il caldo ha dato alla testa?-
la Minefuji sorride con quel suo fare sbieco e poco rassicurante. Ma che lo chiedo a lei a fare?
Mi mette una mano sulla spalla e maliziosa dice:
- caro, non l’hai capito? Quando il gatto non c’è i topi ballano! Ricordati di quanto sei figo!-
Spalancò gli occhi rendendomi conto che l’istinto di Akane mi ha contagiato del tutto.
Sono troppo spontaneo ultimamente!
Era meglio quando ero serafico e nessuno mi capiva e mi avvicinava per paura!
Meglio tornare a farsi i fatti propri come un tempo, in solitudine parto ad allenarmi ignorando il creato intero.
Questo sarà un lungo anno! Speriamo torni presto Akane!
 
/un'altra storia/
Ad allenamenti iniziati quando sono tutti e dopo aver fatto un discorsetto nel quale chiedevo l’aiuto di tutti per la squadra in assenza di Akane, arrivano due ragazzi, hanno un aria strana e buffa, noto quello moro, basso e abbronzato! Sembrano grandi amici e hanno anche un carattere che si nota.
Minefuji ci avverte col suo entusiasmo tipico:
- loro due sono iscritti con noi da settembre ma hanno chiesto di allenarsi con noi durante l’estate. Sono del primo anno ma sono molto in gamba! Spero farete presto amicizia!-
Li squadro da cima a fondo.
Di già?
Senza dar peso a nessuno gli passo la palla mettendoli ancor più al centro dell’attenzione:
- vediamo cosa sapete fare.-
il moro abbronzato dagli occhi grandi e neri sorride d’esaltazione, più però di sadismo. Mi ricorda il sorriso di qualcuno. Una goccia di sudore cade a lato del mio viso. Ho un presentimento.
- forza andiamo! Facciamogli vedere noi!-
grida incontenibile al suo compagno. Inscenano un azione a coppia e il rumoroso giocatore fa canestro. Buono. Si muovono bene. Non male. Sono dei buoni elementi dal punto di vista atletico.
Ma ci sarà molta strada da fare.
Faccio un cenno che non dice nulla poi invito tutti a riprendere gli allenamenti.
Sembrano andare molto d’accordo, sono diversi da me e Akane all’inizio, sarà un'altra storia la loro…poi mi fermo dal fare quel che facevo e mi colpisco la fronte con il palmo. Che diavolo sto pensando?
Un'altra storia…scuoto il capo rendendomi conto che la vicinanza in questo tempo di Akane mi ha fatto male, poi alzo le spalle e riprendo ad allenare!