*Non ho trovato il Midi di Move on now quindi ho messo quello di una canzone che poteva andare bene comunque per l'atmosfera di questa fanfic.*
Muoviti Ancora

/Move on now - Hard-Fi/
Principe del calcio... è così che mi chiamano ormai da quando gioco a calcio e sono il capitano della mia squadra.
Non lo ritengo un capriccio, né tanto meno un gioco da bambini, per me questo sport è veramente una cosa importante.
So di avere le capacità adatte per farcela e di poter diventare qualcuno in questo ambito, ma non lo voglio per vanità o per far successo... lo voglio perché il calcio è semplicemente la cosa più divertente e bella che mi sia capitata di fare e voglio dimostrare a me stesso che posso arrivare in alto, grazie alla mia passione.
Mio padre e mia madre mi stanno crescendo per diventare l'erede della ditta di famiglia, sono il loro unico figlio e vogliono che io sia all'altezza di tale compito. Li accontento, studio, faccio ogni cosa che mi chiedono e sto al mio posto, ma quando si tratta di fare qualcosa per me stesso... bé, gioco a calcio.
È una passione da bambini che in questo momento, per me, conta più degli studi che faccio e delle cose da grande che i miei mi stanno insegnando.
Credo che per ora l'unica cosa che io abbia veramente in testa è questo sport.
So che sono ancora piccolo ma so anche che se faccio qualcosa con determinazione e serietà, mettendoci impegno e tutto ciò che serve, il mio futuro è rappresentato proprio da quello che ora per me è solo un gioco.
Da grande è questo che voglio fare, il calciatore, quindi io ora vivo in funzione di questo desiderio.
So di potercela fare, nient'altro conta...
No, state tranquilli, mamma e papà... non verrò a meno ai miei doveri in qualità di figlio, ma se un giorno potrò scegliere, è questo che farò.
Il calcio è semplicemente il mio sogno e per far sì che si realizzi so che devo impegnarmi seriamente e dar fondo a tutte le mie doti, migliorare e migliorare sempre più. Devo eccellere in ogni aspetto del calcio, è importante.
Per ora è solo un gioco, un sogno, ma un giorno sarà la mia realtà, ecco perché non posso riposare negli allori, ora.
È questo che, giorno dopo giorno, mio padre mi insegna... a prendere seriamente ciò che per me è una cosa seria, ciò che per me conta veramente.

Gli allenamenti giornalieri si sono conclusi, sono stanco, oggi più delle altre volte. È un periodo in cui mi sento sempre più fiacco, sarà perché ho aumentato il ritmo degli allenamenti, chissà... però mi sento sempre più senza forze, ultimamente.
Sarà meglio andare a riposarmi, ovviamente tornerò a casa correndo.
Ed eccomi qua palla al piede a correre nonostante il fiato mi venga sempre meno, di solito ce la faccio comunque, perché ora mi sembra così difficile arrivare alla mia meta?
C'è qualcosa che non va, sudo freddo... non è da me ridurmi in questo stato. Mi sto forse sforzando troppo?
Per qualche ora in più di allenamento settimanale, sono così malmesso?
Non capisco... davvero...
Non mi faccio cogliere dall'ansia ma intuisco subito che qualcosa non va e prima che la ragione vinca sulla mia volontà, una fitta al petto mi fa comprendere che è troppo tardi. Si espande al braccio sinistro e alla bocca dello stomaco.
È solo un momento velocissimo.
Non vedo nulla e nessuno di quelli che mi circondano, non so chi mi sta guardando e cosa pensa, so solo che mi fermo all'istante e che la palla scorre via senza di me.
So solo che mi fa male il petto e che me lo sto tenendo lì, all'altezza del cuore.
Cosa significa?
Sono solo un bambino...
Qualcuno me lo può spiegare?
Le domande mi divorano insieme al dolore lancinante che mi trafigge il petto, non respiro più e se non fosse per chi mi sorregge, sarei caduto a terra.
La palla si allontana sempre più scivolando nella collinetta a fianco... va così distante...
Per un momento mi sembra che questo corrisponda al mio futuro, la palla che va via da me ed io che non posso più raggiungerla.
La palla... il mio sogno... il mio futuro...
E per la prima volta, nella mia breve vita, capisco cosa prova mia madre nei suoi attacchi di panico che mi sembravano così incomprensibili.
Il non controllo totale su me stesso mi colpisce, non riesco a riprendermi... questa è ansia?
Come si guarisce?
Voglio tornare come prima, voglio che tutto vada a gonfie vele. Voglio riprendere a giocare a calcio, a correre, a saltare e a dimostrare chi sono veramente, non solo un figlio di mio padre, ma uno che si costruirà un nome suo.
No, non ce la faccio.
Non ci riesco...
Sono sempre più lontano dalla mia volontà e dal mio desiderio... come faccio?
Cosa posso fare?
Che buio... ho paura... ho freddo... sto male...
Sto veramente malissimo.

Ho passato tutta la giornata seduto sul letto dell'ospedale a guardare nel vuoto. Forse questo vuoto è anche dentro di me, forse in realtà sto guardando me stesso.
Cosa significa che il mio cuore è malato e che non potrò più fare certi sforzi?
Che dovrò passare la mia vita a riposo, che alcune cose me le devo scordare?
Cosa significa veramente?
Che farò il panchinaro per il resto dei mie giorni?
Sono solo un bambino, mi hanno spiegato alla larga cosa mi è successo e cosa dovrò fare, poi i grandi si sono allontanati parlando nei dettagli di me. Mi hanno escluso, mi hanno lasciato fuori perché sono piccolo e non posso certo capire tutto.
Però io ho delle domande, chi risponderà a queste mie domande?
E i miei sogni?
Il mio futuro?
I miei desideri?
Quello che io VOGLIO FARE seriamente?
Ora seriamente dovrò solo ascoltare il mio cuore e fermarmi quando accelera troppo.
Ora questa sarà la mia sola preoccupazione.
Niente giochi da bambini, niente corse, niente salti, niente divertimento, niente cose normali... niente di quello che, ero convinto, dovesse essere la mia vita.
Mia madre si agita al di là di quella porta ed io ho ancora tutte le domande senza risposta.
Sono solo, a guardare il vuoto, mentre mi sento uno straccio.
Non è possibile.
Non è veramente possibile.
Mi rifiuto di crederci, io voglio fare altre cose, io voglio giocare a calcio, posso farlo, mi chiamano principe del calcio perché non è solo una mia illusione, non sono io che dico che posso giocare a calcio, è un fattore obiettivamente vero... sono capace di praticarlo e lo faccio bene, per essere uno della mia età.
Non è vero?
Che qualcuno risponda alle mie domande... potrò ancora giocare a calcio?
Ditemi di sì.
Ditemi che sono un bambino normale e che posso fare le cose che fanno tutti.
Ditemi che posso seguire il mio destino, un destino dove sicuramente sono veramente il principe del calcio, dove sono veramente qualcuno. Ditemi che posso.
Ditemelo...
Ma è quando mi dicono che potrò al massimo giocare qualche minuto a partita, che comprendo a fondo cosa significa.
La mia vita sarà vissuta solo a metà.
Per sempre?
Per sempre?
Rinunciare... eh no, un bambino non dovrebbe scontrarsi già con questa parola, non dovrebbe... io ho le capacità, ho la bravura, ho il talento per fare ciò che mi piace sopra ogni cosa. Non può mancarmi proprio la possibilità fisica.
Non può... questo non l'avevo programmato.
Questo no...
E le lacrime scendono dai miei occhi.
Su tutto ciò che mi brucia maggiormente di questa storia, non è la possibilità di perdere la vita facendo sport, ma quella di non fare quel che amo per poter vivere.
È vita questa?
Vivere senza fare quel che mi piace davvero è vita?
Ce la potrò mai fare davvero?
È un incubo... non può che essere così.
È solo un incubo.
Svegliatemi.

Il sole sorge anche oggi ed il mio cuore continua a battere.
Forse è stato veramente un incubo.
Ogni giorno me lo sono ripetuto.
Finché non mi tornerà un altro attacco di cuore mi rifiuto di credere che quel medico abbia ragione, anche se è il più bravo del Giappone ed è amico di mio padre. Non me ne importa.
Io non sono più stato male. Certo, non mi sono nemmeno più allenato però. Sono sempre rimasto in campo a dirigere i miei compagni facendo finta di fare quel che fanno anche loro, ho sempre fatto così da quando ho scoperto della mia malattia.
Non l'ho detto a nessuno.
Gli unici a saperlo sono i miei genitori, il medico, la mia manager e l'allenatore. Ho voluto tenerlo segreto per non essere guardato come un disabile o un malato, preferisco che rimanga tutto un segreto.
Se non lo dico a nessuno c'è ancora la possibilità che un miracolo accada e che mi accorga che era tutto solo uno scherzo.
Però non mi sono più veramente allenato e nelle partite che gioco scendo in campo solo per dieci minuti facendo finta che sia una tattica di squadra, mi affido al mio talento perché non posso fidarmi del mio fisico visto che non mi alleno come invece dovrei.
La fama di presuntuoso che pensa di poter battere gli altri in dieci minuti, salva quella che potrei avere di campione di vetro.
Invece che con occhi di sfida mi guarderebbero tutti con pietà e magari mi farebbero vincere apposta.
Non lo sopporterei, sarebbe la cosa peggiore.
Già convivere con una cosa simile per me è insopportabile ma ce la sto facendo, lentamente, grazie a chi mi sostiene con discrezione. Però se dovessi ricevere gli sguardi caritatevoli e dispiaciuti degli altri starei veramente male, finirei per arrabbiarmi, penso.
Vivo sempre sul filo del rasoio in molti sensi, tengo tutto sotto controllo, il mio cuore, il mio umore, i miei modi di fare, il mio carattere, il calcio ed i miei compagni... non c'è nulla che sfugga al mio controllo e con freddezza sto imparando a vivere in questo modo. Ma non sono io.
Questo non ero io.
Sospiro.
In fondo è l'unico compromesso per poter ancora giocare a calcio.
Lo faccio contro tutti, consapevole del rischio che corro.
Non sono uno sciocco e nemmeno un adulto, forse è questo che mi permette di essere incosciente quel che basta per fare ancora quel che voglio. Sono consapevole che rischio molto, ma sono disposto anche a questo.
Sono disposto a rischiare anche la mia vita per sentirmi veramente vivo.
Il mio non è un capriccio, è solo sopravvivenza, la sopravvivenza dell'anima.
Morirei seduto in panchina o in tribuna a guardare gli altri che giocano il mio calcio.
Mi immaginerei la partita giocata da me e mi farei ancora più del male.
Pur di rimanere veramente vivo sono disposto anche a questo e non mi interessa di essere più o meno compreso, vado avanti per la mia strada, con fatica e sicurezza.
Sicurezza... per quanto lo si possa essere camminando su una strada di uova.
In fondo l'apparenza è solo uno dei mezzi che ho per andare avanti nel modo che desidero, anche se in realtà è solo un ripiego perché il mio vero sogno ho dovuto metterlo da parte.
Sono sceso a compromessi con me stesso pur di non arrendermi veramente, l'ho fatto solo per me stesso.
Sono egoista, lo so... se mi succedesse qualcosa solo per giocare a calcio i miei genitori ne soffrirebbero e a me dispiacerebbe anche per loro, ma questa vita devo viverla io, con le menomazioni con cui sono nato, quindi non mi rimane scelta che cercare di essere felice almeno per dieci minuti al giorno.
Almeno questo...
Non mi rimane altro.
Ma finché il mio cuore batte non smetterò di muovermi ed anche quando mi farà male non cesserò, finché ci sarà anche solo un minimo cenno, qua dentro, di me io andrò avanti facendo quel che mi piace, quel che amo.
Questo è il calcio.
Non so come sarà il mio futuro né se ne avrò uno, so solo che ora sono vivo e voglio dimostrare a me stesso di esserlo veramente.
Questo è il mio metodo.
Ecco perché ho fatto una scelta.
Questa scelta mi è costata molte notti insonni ma non me ne pento e non me ne pentirò mai.
Ne sono sicuro.
Sono cresciuto con serietà e maturità, so di essere mentalmente più grande dei miei coetanei, grazie alla mia malattia, quindi sono uno che, se non è sicuro di sé stesso al cento per cento, non agisce.
Quando faccio qualcosa è per egoismo e per la convinzione che ne vale la pena e può valerla per diversi motivi.
Non smetterò mai di cercare di essere felice.
Ecco qual è la mia decisione.
Non si tratta di battere Tsubasa ma solo di confrontarmi con lui, sarà come confrontarmi col mio destino.
Un destino sadico che si diverte molto con me.
Il destino avrà la faccia di Tsubasa e giocherò tutta la partita.
So che così facendo, probabilmente, non potrò più giocare a calcio ma una sfida con me stesso ed il mio cuore non può che essere così drastica.
Non è un gioco come per tutti gli altri, per me non è mai un gioco.
Per me è vitale.
Così con la mia serena e sinceramente felice decisione, scendo in campo contro la Nankatsu e contro il mio ultimo rivale.
Non so cosa sarà di me ma finché la palla correrà ed il mio cuore non si fermerà, io giocherò e segnerò e dirigerò i miei compagni.
Non mi fermerò, perché è quello che mi porterò per sempre con me, anche quando forse non potrò più muovermi, e se non devo più muovermi per qualche motivo, voglio che questo motivo sia quello scelto da me, un ricordo dalla potenza tale da valere per il resto dei miei giorni.
Questa è la mia decisione.
Non me ne pentirò, lo so.
Questa sarà la mia ultima partita di calcio e sarà il giorno più fantastico della mia vita, non potevo andarmene e non averne uno.
Non potevo proprio. Anche se sono piccolo voglio assicurarmi di avere un giorno che è il più bello di tutti, per me, e non può che essere giocando a calcio per intero, fino in fondo, con tutte le mie forze, il mio talento e le mie capacità.
Con tutto me stesso.
Perché per me calcio è vita, poiché vita è felicità e felicità è calcio.
Per me è così e per oggi non sarò solo un bambino ma una persona che affronta il suo destino sfidandolo con seria convinzione.
Perfettamente consapevole di tutto.
Di tutto.

Ti prego, affrontami... non puoi lasciarmi così. Tu sei il mio destino, non puoi abbandonarmi così.
Vola, Tsubasa, vola..
Prova a fermarmi...
Gli vado incontro con la palla al piede apposta per vedere se mi fermerà, ma lui è davanti a me ed impietrito non muove un muscolo mentre mi guarda sorpassarlo.
Io e la palla ci allontaniamo da lui e nell'istante in cui lo sfioro col braccio, chiudo gli occhi.
Ormai questa partita è finita e con lei la mia sfida a me stesso, al mio cuore ed al destino.
Segno mentre la rabbia si impadronisce di me al posto della delusione, poi mi rivolgo alla sua squadra ed alla mia, arrabbiato, urlando come forse nessuno mi ha visto. Sono molto secco e diretto e tutti mi guardano, stupiti, mentre mi rimetto in posizione di gioco.
Che non sia l'ultima mia partita?
È tutto qua quello che mi rimane di sperare?
Che questa sarà una partita facile ma non la più bella, non quella che pensavo mi desse la felicità?
È tutto qua?
Allora la MIA partita sarà un altra.
Non so, quel che so, però, è che Tsubasa mi ha deluso ed anche se è colpa della manager che gli ha detto del mio cuore, si sta comunque rivelando solo uno come tanti che mi dimostra pietà e che non riesce a guardarmi negli occhi sapendo del mio handicap.
È stato uno spreco inutile scendere in campo oggi, sarebbero bastati dieci minuti, è stato tutto inutile.
Tutto.
Questa consapevolezza mi rode, mi infastidisce, mi brucia dal profondo.
Perché è andata così?
È mentre penso a questo che interviene Wakabayashi da bordo campo.
Anche lui è molto arrabbiato e cerca di scuoterlo, a lui si unisce Misaki e poi i suoi compagni di squadra ed un altro suo amico.
Osservo la scena mentre tutti quelli per cui lui conta, si impegnano anche solo con le parole per tirarlo su.
Tira fuori le tue ali, Tsubasa, non farmi buttare via questo che doveva essere il giorno più bello della mia vita.
Fallo per me.
È poi con una certa felicità che lo vedo rialzarsi e con risoluzione riprendere la palla in mano.
La sua promessa che lascia ai suoi amici, ma mi arriva direttamente al cuore. È la mia promessa, questa.
E così non sei finito, eh?
Allora dimostramelo e non farmi pentire di averti scelto come mio rivale.
Non ho mai scelto nessuno, non ho mai potuto permettermi un lusso simile, ma ora è diverso.
Tu sei diverso, dimostramelo.
La partita riprende con un altro ritmo e Tsubasa riduce subito il distacco di reti che gli avevamo lasciato, ne sono felice, davvero, e con questo entusiasmo che da tempo non provavo, che speravo mi invadesse, mi rimetto all'opera.
Lui è bravo ma io ho ancora molte carte nella mia manica, non sono finito, ho ancora qualcosa da farvi vedere e proprio mentre mi appresto con decisione e forza alla prossima azione vincente, un battito salta nel mio petto, bloccandomi senza fiato.
È solo un istante, riesco a passare con naturalezza ad un mio compagno ma non seguo l'azione.
Rimango per un attimo immobile ad ascoltare il mio cuore.
Cosa succede?
È già scaduto il tempo?
No, ti prego, resisti ancora.
Respira, Jun, respira.
Ecco, ora il cuore è tornato come prima. È affaticato ma c'è, non mi molla ed io non mollerò ciò che amo, non ancora.
La mia sfida non è ancora finita.
Mi ripassano la palla ed è proprio quella a ridarmi la consapevolezza di me, di nuovo, e a rifarmi muovere.
Muoviti ancora, Jun.
Muoviti.
La pioggia cade e limita i miei movimenti, siamo verso la fine del secondo tempo ma io devo muovermi ancora.
Dannazione, sono troppo affaticato.
Dannazione.
Ce la devo fare.
Continuo a non perdere controllo su me stesso ma anche se riesco a superare gli avversari, Tsubasa mi prende la palla.
Il cuore non si è fermato.
Il cuore va.
Muoviti Jun.
Faccio per girarmi e rincorrerlo ma le forze mi abbandonano per un attimo, mi accascio a terra ed il consueto dolore al petto che riconosco mi mette in ginocchio, piegato su me stesso.
Male.
Male al petto.
Me lo stringo sperando che basti.
Finirà, vero?
Finirà questo dolore, non può continuare.
Non sono ancora finito.
Non lo sono.
Non so come prosegue l'azione, vorrei seguirla ma non riesco, stringo gli occhi e mi concentro su me stesso.
Muoviti ancora, Jun.
Riprenditi e muoviti.
Dai.
Non sento nulla. Né voci che mi chiamano né persone che mi accerchiano.
Solo la voce del mister che chiede la sostituzione mi ferma e mi impongo di rialzarmi.
Cerco di parlare e di bloccarli.
Gli faccio capire che non voglio essere sostituito.
È appena ora che Tsubasa si è ripreso, non posso uscire, non posso andarmene ora, questa è la mia partita, non posso andarmene,
Tsubasa si è svegliato ora.
Li convinco e con il benestare di mio padre mi rialzo, tenendomi il petto e spiegando a tutti della mia condizione.
È solo una partita di calcio, gli occhi di tutti i presenti pensano questo.
Non vale la pena di rischiare a questo modo...leggo questo nei loro pensieri.
Non capiscono.
Per me non è solo una semplice partita.
Per me il calcio è molto di più.
Questo mi darà la risposta... dovrò passare la mia vita in panchina?
La mia felicità saranno solo dieci minuti per volta?
O cosa sarà?
Voglio le mie risposte, il calcio me le darà.
La partita riprende e rimango fermo cercando una stabilità per riprendere a muovermi, ma vedo Tsubasa venirmi incontro con il pallone, è la sua sfida, proprio come ho fatto prima io con lui.
Ma anche se mi ordino di fermarlo gli arti non mi rispondono, rimango immobile contro la mia volontà.
Non basta?
Non basta volerlo con tutto me stesso?
No, non basta.
Tsubasa mi sorpassa e mi schizza di fango correndo ed io rimango immobile senza riuscire a muovermi e a fermarlo.
È una sensazione terribile.
L'impotenza del movimento.
Impotenza totale.
Devo arrendermi così?
No, non sarà così.
Con rabbia perdo il controllo di me stesso e, sempre stringendomi il petto, grido di passarmi la palla che un mio compagno ha recuperato quindi, una volta ricevuta, mi sembra di riscuotermi, di rinascere.
È questo che mi tiene in vita, una palla da calcio e la rete in cui segnerò.
Finché riuscirò a muovermi lo farò perché è tutto ciò che mi tiene vivo. Ecco perché dando fondo a tutto quel che mi rimane, senza ascoltare i richiami del mio cuore, tiro fuori ciò che probabilmente non avrei mai tirato fuori in condizioni normali.
Amore, voglia di farcela, tenacia e dolore.
Dolore per me stesso.
Non sono finito.
E segno quello che probabilmente sarà il mio ultimo goal.
L'ultimo.
Ma ce l'ho fatta, il destino non mi ha ancora battuto.
Siamo ancora in vantaggio.
Realizzo solo questo, poi calo nel buio totale.
Non ho la forza di alzare il braccio e mettere la mia mano sul cuore, non sono nemmeno sicuro di sentirlo.
Respiro?
Il cuore batte?
Dove sono?
È un attimo di sospensione totale.
Un attimo in cui non so assolutamente dove sono e mi cerco, cerco in me stesso, cerco intorno a me, cerco.
Devo esserci.
Esisto ancora, lo so.
È così.
Muoviti ancora, Jun.
E dopo aver cercato muovo la mano. Ecco, lo sento. Sento il mio movimento.
Mi muovo ancora.
Il cuore... appoggio la mano sul mio petto... si, il cuore batte ancora.
Ora lo sento.
I battiti interiori mi rimettono alla vita e la prima cosa che vedo sono gli occhi preoccupati di Tsubasa.
Sorrido felice, era questa la sensazione che volevo.
Va tutto bene, il mio cuore non mi ha ancora abbandonato ed ho fatto veramente quel che volevo, fino in fondo, con tutto me stesso.
Sono felice.
Ce l'ho fatta.
Questa è la mia vittoria, indipendentemente dal risultato finale.
Forse Tsubasa vincerà, ma io farò quel che è possibile per impedirlo. Dirigerò dalla porta la mia squadra e non mollerò comunque, nonostante tutto.
Lo farò e quando finirà questa partita, vincente o perdente che io sia, non mollerò.
Il calcio mi ha dato la mia risposta, non sono finito ed un giorno sconfiggerò la mia malattia.
Ne sono certo.
Non smetterò di giocare.

Eppure ho ripreso a giocare, anni dopo, e di volta in volta mi sono sempre dovuto fermare.
La mia felicità è questa, qualche minuto di gioco ogni tanto e poi anni di riposo lontano da ciò che amo veramente.
Ho le capacità ma non le possibilità... e lontano così tanto dagli allenamenti e dallo sport, anche se riprendo sempre, non riesco a raggiungere il livello in cui dovrei essere.
Non dovrebbe essere così, non dovrebbe... ma le cose sono andate in questo modo e non c'è niente da fare, io lotto, non mi arrendo, continuo a muovermi e a giocare, lo faccio con serietà ed un pizzico di follia ma, principalmente, con egoismo.
Lo faccio e non ho rimpianti.
A costo di perdere qualcosa di importante, ciò che conta veramente è non morire mai dentro; eppure è così faticoso doversi mettere da parte in questo modo.
Guardo dalla panchina o dalla tribuna le partite degli altri e mi chiedo quando toccherà a me, alleno e dirigo da bordo campo ma non è la stessa cosa. Anche se guarirò davvero non sarà come se avessi giocato per tutta la vita al pieno delle mie forze... e nonostante io abbia dovuto fermarmi così tanto e limitarmi, il soprannome di Principe del calcio e Campione di vetro, non mi abbandonerà mai.
Cosa sarei se non avessi avuto la mia malattia?
La mia vita è questa, metà soddisfazione, metà gioco, metà felicità.
Però nel mio cuore porterò per sempre il giorno più felice della mia vita.
Quella partita contro Tsubasa, contro il mio destino, contro me stesso.
Non so se ce la farò a vincere la mia malattia, ma il calcio è l'unica mia felicità ed anche se ormai sto al mio posto, come ci sto sin da piccolo, non rinuncerò alla mia vita, non posso.
Non rinuncerò al calcio.
A qualunque costo.
Mi muoverò ancora.