CAPITOLO XIV:
DESIDERO TORNARE A GIOCARE

/Smarrimento/

Il solito allenamento pomeridiano mi trova impegnato come al solito a dirigere da playmaker e da futuro capitano. Ormai stanno arrivando le vacanze estive e il prossimo anno sarò io all’ultimo anno a passare di grado, non che cambierà sostanzialmente qualcosa. Questo anno è praticamente volato, mi sembra solo ieri che è iniziato il secondo anno senza Akane. Questo è stato di transito, abbiamo dovuto riformare quasi del tutto la squadra e lavorarci bene quelle due nuove reclute che promettevano molto bene. Ho avuto ragione su di loro, ma sono comunque strani e buffi. Io ed Akane non ci abbiamo impiegato così tanto a metterci insieme, considerando che ci siamo incontrati solo il prima superiore e che invece loro si conoscono da sempre!
Come al solito mi impegno e do il mio massimo, riverso ogni energia e forza nel basket, l’idea di fare qualcosa che non sia questo non mi sfiora nemmeno, sarebbe oltre le mie possibilità. Se smetto di giocare penso a lui e mi rendo conto che è semplicemente dura, non voglio.
Ma mi rendo conto che ormai sono al mio limite, sentirlo al telefono non basta più, la sua voce si sforza di essere come sempre mentre la mia è semplicemente malinconica…come lo ero in quel periodo…dove sono finito in una squadra che non era il Kouzu, lontano da Akane di mia volontà, a ripensarci ora mi viene da darmi dell’imbecille! Ora darei non so cosa per poter stare ancora insieme a lui ed invece…invece siamo forzatamente divisi. Mi manca.
Lo ammetto con sincerità.
Mi sento un altro, come se lentamente regredissi, non ho più benzina.
La stessa sensazione di allora…ho incontrato Takaynagi e mi sono accorto che non era la stessa cosa, ma mi illudevo di poter andare avanti lo stesso…in fondo si trattava di basket, no? Se Akane mi serviva per fare una buona coppia sul campo, avevo trovato uno che lo sostituisse…sono stato stronzo a dirgli così, ma in quel momento volevo ferirlo e scuoterlo, non sapevo più cosa fare con lui, cosa volesse da me e cosa io, soprattutto, volessi da lui.
Mi dava fastidio perché dipendevo da lui, ormai, e non ne capivo il perché, non lo trovavo sensato!
Passai un momento di profonda crisi durante il quale misi in discussione ogni cosa, tutto. Portandomi delle illusioni che mi divoravano l’animo.
Scacciavo l’idea del bisogno di Akane in quanto persona, non ne volevo sapere, mi piaceva e mi aveva ferito dimostrando quel menefreghismo allucinante nei miei confronti.
Mi sentivo ferito nei sentimenti che con tanta fatica avevo ammesso di provare, volevo separarmi da lui e farlo star male, dimostrare che ce l’avrei fatta da solo come prima di incontrarlo.
Sono stato solo un grandissimo idiota, io che accusavo lui. A pensarci ora me ne vergogno e provo un senso di smarrimento che mi riporta a quel periodo, dove facevo lunghe chiacchierate con Takayanagi e Arada. Mi ci sono avvicinato molto a lui, eravamo più simili di quel che sembrava…e dentro avevamo la stessa voragine, lo stesso buco, per così dire.
Lui è riuscito a riempirlo andando in quel posto, io invece il mio l’ho solo peggiorato.
Ricordo una volta che parlavo con lui di Akane. Disse una cosa del genere:
“è un tipo strano, impegnativo…porta vie molte energie perché è una calamita. Non riesci a detestarlo. “
Detto da lui mi colpì molto. Io risposi pensieroso:
“Si…è stancante e insopportabile, si mette sempre in mezzo ma quando serve veramente non c’è…detestarlo…mah…non so…”
Fu un ragionamento ad alta voce fatto molto lentamente, non ne ero sicuro, non volevo capire e dirmelo. Stavo male e mi vergognavo anche di quello. Avevo affrontato qualunque cosa, perché quella doveva abbattermi? Quel che disse mi diede molto da pensare:
“Tachibana non va giudicato ma capito. E su tutti tu sei l’unico che può riuscirci profondamente. Perché è solo lui che è riuscito e riesce tutt’ora a cambiarti.”
Sospiro.
Giuro che mi prenderei a schiaffi ora. Ora che capisco le parole di Arada e vorrei avere Akane qua con me o essere io con lui, non aver mai sprecato degli attimi.
Non ce la faccio.
Ora ne sono certo, non riesco più a trascinarmi in una promessa che ci siamo scambiati.
Non ho più forze, la notte corro perché non riesco a dormire, perché se dormo ricordo lui e non ce la faccio, non mangio perché non ho più fame…e l’unica cosa che faccio è allenarmi di continuo perché è solo il basket a farmi star bene.
Non sto più in me fisicamente e mentalmente.
Sono stanco.
Veramente stanco.
Adesso basta.
Akane, dove sei?
Ho bisogno di te…
Su queste considerazioni mi trovo a scivolare giù dopo il salto a canestro, scivolo, forse non ho messo bene il piede, ma non mi fa male da nessuna parte, forse il petto, ho il fiatone e sudo freddo…sensazione familiare. La ricordo.
Quando esagero in campo perché gioco senza di lui…e tutto è sulle mie spalle…e non arrivo a proseguire.
La sua voce mi fa rialzare subito in quei momenti, lui che mi chiama…ma ora non la sento più, non mi arriva.
Così mi lascio cadere mentre il buio mi avvolge.

/Per egoismo/


Quando riapro gli occhi mi rendo conto di aver sognato di nuovo quel periodo di separazione, dove mi sono sentito in pieno il traditore incompreso e patetico. Vorrei molte cose col senno di poi, ma vivendo mi ha insegnato, quello scemo, che si può rimediare sempre appunto per non avere rimpianti poi. Non posso dire di averne di veri e propri anche perché se non avessi fatto quel che ho fatto lì, poi chissà come sarebbero andate le cose, come saremmo noi. Chissà.
La stanza in cui mi sveglio è l’infermeria della palestra, la manager nuova mi chiama per nome…
- Hiragi…ti sei svegliato…-
Poi corre di là a chiamare l’allenatrice. Minefuji arriva con uno sguardo severo e preoccupato insieme, la conosco questa espressione!
- Hitonari, da quanto non mangi e non dormi?-
Non rispondo, giro la testa dall’altra parte sul cuscino e mantengo un’espressione che so essere vuota, non ho voglia di niente, vorrei del silenzio, un po’ di discrezione…e lui.
- Sei anemico e già prima non eri messo tanto bene. Sei dimagrito troppo e non so come fai a reggerti in piedi con la pressione e la temperatura basse che ti ritrovi! Sei un grosso imbecille, Hitonari!-
Ancora silenzio. Non voglio queste cose materiali, uno vive anche senza di queste ma non senza…la sostanza…
Sospira sconfitta:
- Cosa hai intenzione di fare? Stare così finchè non diventi anoressico e devi smettere di giocare? Deludere Tachibana fino a questo punto?-
Non penso di stare deludendolo. Sto facendo del mio meglio per la sua squadra, il suo angolo di paradiso. Se non lo facessi lui cederebbe.
Ma forse in qualcosa ha ragione, come sempre.
Quanto posso andare avanti, così?
- Hitonari, vai da lui, qua noi ce la caveremo…-
Cala ancora il silenzio ed infine lei non dice altro, se ne Va. Sa la mia decisione.
Spalanco gli occhi e finalmente la mia inespressività diventa qualcosa di stupore che poi muta in emozione…comincio a crederci di nuovo a questo sopravvivere.
Ci credo un po’ di più, non ho parole, le ho perse anche se fino ad un attimo fa almeno un po’ ne avevo. Non so, le ho nascoste così bene che non ho voglia di trovarle e ritirarle fuori. Ma forse semplicemente non erano mie.
Dovrei crederci e penso di esserci un po’ arrivato mentre la figura di Akane mi torna alla mente.
Andare da lui…perché al pensiero torno a respirare?
Le forze rifluiscono in me solo all’idea di poterlo rivedere. Siamo vivi entrambi e sullo stesso pianeta.
Nessuno ha il diritto di ridurci così.
Devo andare da lui per me, non per lui, non per loro, solo per me, per puro egoismo, come un tempo, come quando mi ero separato da lui per farcela da solo…si, per egoismo!

/Per arrivare dove…?/


Il paesaggio corre veloce davanti ai miei occhi ormai inespressivi, il rumore del treno ridondante e il movimento fisso pare un cullare poco romantico. Sa di malinconia, ma forse sono io ad esserlo, persino una sonora risata mi risulterebbe triste.
Non ho voglia di altro se non di finire questo viaggio eppure non sono felice per questo, non ho impazienza di arrivare, ho una consapevolezza, mi sto autodistruggendo andando da lui, sto cedendo dimostrando che non valgo poi così tanto, sono stato io a dirgli di andarsene, qua ci pensavo io e poi sono io che vado da lui perché non ce la faccio più.
Mi hanno fatto mangiare a forza cose molto sostanziose e tenuto fuori dagli allenamenti contro la mia volontà, fra un paio di giorni iniziano le qualificazioni al campionato, questa volta ce la dobbiamo fare, mi sono impegnato molto per arrivarci, non posso gettare via gli sforzi di tutti.
È per questo che vado da Akane, no?
Per poter tornare con le forze necessarie a continuare quanto iniziato.
Mi sto riscoprendo più debole dei primi tempi, prima non mi legavo a nessuno, nessuno era in grado di buttarmi giù e farmi pensare: senza di te non vivo! Ora invece una persona così c’è e questo attesta che sono debole, insopportabile ai miei occhi, non sono autosufficiente, dunque.
Noto il vetro che riflette la mia aria inespressiva, non sa di nulla, quando il treno entra nelle gallerie e le luci interne al vagone illuminano fiocamente sostituendosi alla luce esterna, mi vedo chiaramente, ho l’aria di un randagio maltrattato ai limiti di ogni capacità fisica e mentale.
Devo controllarmi, riportare la mia forza sotto la mia volontà.
In realtà ce la farei, basterebbe che la notte non corressi e me ne rimanessi steso nel letto almeno a riposare, che mi allenassi solo negli orari regolari e che mangiassi come si deve e fisicamente parlando avrei tutte le forze necessarie, uno sforzo materiale non mi costerebbe nulla e non mi ridurrei ad un ombra che attende che il tempo passi.
Eppure è per questa umanità che lui stesso mi ha donato, che ormai reagisco a certe cose in questo modo.
Da persona debole.
È colpa sua, certo, come ogni disgrazia che mi è capitata da 2 anni a questa parte!
Non sono messo veramente così male, sono io che voglio starci, è la mente che sfugge.
La verità è che sono io a permettere tutto questo, a volerlo. So che andrà a mio vantaggio…però mi sto facendo del male lo stesso. A mio vantaggio andrà che rivedrò con questa scusa, Akane. Lo rivedrò, lo toccherò, lo avrò per me per pochi giorni, forse solo due, quanti me ne posso permettere. Ma lo avrò…e sospenderemo un po’ il tempo, ci permetteremo di cedere alle nostre debolezze mostrando vergogna ancora.
Però poi mi farò male perché dopo essere tornato in quell’angolo di paradiso tutto nostro, me ne separerò di nuovo e sarà ancora più dura.
Così io penso.
Sto viaggiando ma dove sto andando?
In un posto senza andata ne ritorno, senza destinazione.
E vorrei potermi sentire leggero…eppure una pesantezza mi inchioda al terreno.
Dove penso di arrivare?
Non lo so, non ho tutte le risposte, non ne ho sempre avute e spesso ho lasciato a lui il compito di scriverle a modo suo su tutto ciò che abbiamo vissuto.
È lui che ha dettato il ritmo della nostra relazione, è sempre stato così. Ha deciso lui anche adesso quando interromperla e che la riprenderemo quando lui tornerà a volare.
Aspettarlo…io penso che sarà lui ad aspettare me…me che torno di nuovo per l’ennesima volta alla luce, alla vita.
Lui se ne è andato portandosi via quel qualcosa che mi illuminava. Sono luce riflessa? Chi è il sole fra noi due?
Io l’ho sempre visto come la mia luce, perché sono affogato per un lungo periodo della mia vita in un ombra soffocante…e quando ci sono tornato di mia volontà perché ferito da Akane stesso, lì mi sono reso conto di essere solo.
Ero infuriato quel giorno quando dovevo affrontare lui e il Kouzu. Erano venuti per me, lo sapevo ma non mi faceva stare meglio, la mia mente annebbiata si concentrava ancora sull’egoismo che mi divorava.
Vedevo un cosa.
Akane mi aveva ridato la vita, bagnato della sua luce, dato la voglia di riemergere da me stesso, avevo combattuto l’ombra mia, di mio padre, di mio fratello, del basket stesso e dei miei sogni mai trovati. Mi aveva dato dei sentimenti che provavo per lui, mi aveva dato così tanto che ne ero diventato sempre più dipendente per i miei canoni di allora…ed invece poi mi aveva lasciato andare via così, la promessa scambiataci era svanita, non voleva più stare con me, camminare assieme per quella via così ripida e difficile ma costeggiata da fiori…come lui diceva nei suoi paragoni assurdi.
Interpretavo così, vedevo solo quello.
Quando lo vidi davanti a me, schierato coi suoi(nostri)compagni di squadra, con la sua(nostra) divisa, parlava sotto voce con Ymazaki, lessi il labiale: molli? Gli chiese una cosa simile, e lui non lo guardò, fissò solo me, mi indicò col dito e sorridendo disteso disse qualcosa che non compresi, capii solo ‘nostro posto’. In quel momento volevo solo capire cosa voleva ottenere. Me? Perché?
‘Uno che gioca per poi dopo mollare a cosa vuole arrivare?’
Pensai circa così!
Ogni nostro scontro sentivo tutto annullarsi, le voci e il tifo svanivano, i compagni, gli incitamenti, lo spazio e il tempo…e mi pareva di sentire la sua voce e il nostro eterno discorso continuare. Cosa ci dicevamo?
Si impegnava, copiava le azioni con cui l’avevo sorpassato e le ripeteva molto bene, proprio contro di me, perché? Era contraddittorio e non lo capivo più, era questo che mi mandava in bestia!
E man mano che il gioco procedeva ero sempre più fuori controllo.
Perché giocava? Aveva insistito perché io tornassi sul campo con lui e poi mi aveva allontanato…e poi alla prima occasione mollava…e poi preferiva lasciarmi da solo a percorrere una strada che per me era sofferenza.
Non mi capiva, mi ero sentito capito veramente solo da lui ed improvvisamente non era più così.
Per questo ero così acido e freddo…una freddezza che grazie alla rabbia sfumò in ira gelida che spazzò via qualunque insensato gioco di bambini.
Mi era sembrato così infantile e piccolo, improvvisamente non lo capivo perché lui non capiva me.
L’idiota…giocava per che cosa? Perché era venuto a disputare l’incontro contro di me?
Mi ero aspettato molto quella volta, ma poi lo vidi e lo sentii…era infantile, un bambino. Se non vinco smetto. Contava così poco per lui il basket? Lui che aveva fatto tanto per avermi come suo compagno?
Che razza di insegnamenti mi aveva dato allora?
Ipocrita?
Mi tornarono alla mente tutte le discussioni con mio padre, i suoi insegnamenti e ciò che lui voleva io diventassi. Ora me ne rendo conto. In quel breve periodo lontano da Akane stavo diventando senza accorgermene, proprio come mio padre aveva voluto!
Eravamo distanti, io mi sentivo in alto in un posto troppo ventilato e freddo, dove nessuno poteva raggiungermi…dove nessun giocatore col tempo e ritmo giusti riusciva ad arrivare a me, ma solo una persona che sarebbe riuscita a cogliere il mio silenzioso grido d’aiuto.
Ero furioso per tutto questo, lui stava lì ed era così lontano da me nonostante quello che ci eravamo detti.
Non mi sentiva…possibile?
Voleva giocare divertendosi, me lo aveva insegnato, mi aveva fatto illudere di aver trovato quello che avevo cercato sa sempre, la persona giusta e poi lui mollava perché se non si può essere più bambini si scappa e tutto finisce lì.
Delusione, ero deluso oltre ogni dire e non sapevo come dimostrarlo, come farglielo capire, cosa fare di quella delusione e di lui davanti a me, l’avrei preso a pugni se avessi potuto ma mi controllai, nella rabbia ceca mi controllai.

/Aiutami, non lasciarmi solo/

Sento ancor ora l’ira di quel momento…ira data da una grande sofferenza, stavo così male quel giorno, non solo combattuto, ma proprio dolore interno. Se fossi stato uno che piangeva avrei mollato la partita e me ne sarei andato da solo a piangere come uno scemo, ma il bruciore era così insostenibile che mi aveva lasciato lì a dare una lezione a quel ragazzino su cui non si poteva contare, che dava tante speranze e motivazioni e poi mollava.
Il picco lo ebbi quando in uno scontro contro di lui feci un’azione molto difficile e nemmeno pensavo a quel che facevo, veloce, incalzante, senza guardare in faccia nessuno. Glielo gridai con odio e sofferenza:
‘Sei così, allora? Tu sei uno fatto così?’
Immaturo, infantile, instabile, ipocrita, addirittura finto!
‘Pensavo che con te ce l’avrei potuta fare!’
Arrivai a dirglielo addirittura, fuori controllo come allora non lo sono mai stato, bruciavo dentro a tal punto da non capire cosa facevo di preciso, tutti si stupirono di me e nessuno mi capiva fino in fondo…nemmeno lui…e non sapevo come farmi capire perché non ero mai stato bravo in queste cose. Perché nessuno mi aveva mai capito…ed ora perfino lui.
Per tutto quel tempo ero stato solo, poi era arrivato lui, mi aveva riportato in superficie ed ora mi abbandonava pugnalandomi, deludendomi, lasciandomi solo ancora…con quanti faceva così?
‘Fino a quando hai intenzione di startene lì fermo? Tachibana! La vuoi fare finita, non vuoi più scendere in campo…sei ridicolo! Ti farò smettere, ti farò assolutamente smettere!’
Assolutamente.
Questo fu il mio grido d’aiuto a lui, se mi sbagliavo quello era il momento che me lo dimostrasse o non sarei mai tornato da lui, tutto sarebbe stato perso. Io volevo quel posto che pensavo di aver trovato, con lui…ma ormai pensavo che nulla fosse come credevo…e non volevo tornare se lui non mi avrebbe dimostrato che…che invece qualcosa c’era…che lui mi voleva veramente per camminare con me e non lasciarmi mai solo. Questo volevo e anche se lo trattavo male, chiedevo aiuto in quel modo, non riuscivo a fare in altro modo perché era una questione delicata…e dentro di me piangevo e mi disperavo come un bambino imponendomi di essere adulto.
‘Aiutami, non lasciarmi ancora solo…’ erano queste le vere parole che io gli gridavo con tutto me stesso, sudato, sfinito, senza energie eppure incapace di arrestarmi!
Avevo un gioco freddo, preciso, calcolato ma al tempo stesso veloce, incalzante, furioso e passionale; nella partita capii qualcosa, lui ci arrivò a me e al mio grido di aiuto e quando lo sentii così vicino a me, di nuovo, mentre giocavamo, tornai piano a respirare.
Pianissimo, con timore di sbagliarmi di nuovo, di tornare ferito ed invece di essere io a dare la lezione, la ricevetti, non so come. Penso però che anche io gli feci capire qualcosa. Il vero motivo per cui era venuto a cercarmi in quella palestra e a riprendermi.
Soprattutto come avrebbe dovuto fare.
Quando capii che lui aveva capito e sentito il mio messaggio, il mio grido d’aiuto, mi rilassai e pian piano tornai calmo e alla luce, ma non del tutto.
Vi tornai del tutto quando anche io compresi che per la rabbia, fino a quel momento, non avevo saputo vedere quale fosse il mio tesoro, il mio sogno, la mia ragione, che quando me ne accorsi piansi.
Ero lì, davanti a lui…un lui amico, veramente, che in realtà non mi aveva mai lasciato, e lui mi restituiva il mio tesoro scomparso, sepolto da me e da persone che l’avevano sporcato.
Dopo una passione sfuggita al mio controllo, scaturita da un amore sviscerale per qualcosa che mi aveva fatto sentire vivo da bambino in quel posto dorato privo di sentimenti, lo vidi lì davanti a me, stava saltando in contemporanea e toccammo la palla insieme in un tempo cristallizzato, tutti concentrati su di noi e sulle nostre mani.
Trattenemmo i respiri ed io lo sentii fortissimo il flusso, lui e i suoi battiti al mio fianco, non mi aveva mai lasciato o forse si ma mi aveva raggiunto subito, era tornato da me, mi aveva capito e ridonato quel che mi serviva.
Il gioco proseguiva ed io lo vedevo con nuovi occhi, penso fossero quelli di un innamorato. Capii di amarlo, no? Da quando l’avevo incontrato avevo imparato molte cose e nella mia assenza avevano fatto un sacco di miglioramenti…solo per me? Ed io ora cosa avrei dovuto fare? Akane aveva sentito e raccolto il mio grido di aiuto…e mi appariva come la luce che a me era sempre mancata. Lo vidi veramente per la prima volta e quando mi parlò con calma come lui faceva sempre, io sorrisi. Sincero…fu una boccata d’aria pura.
‘Dato che mi piace farò di tutto per non perderlo una volta conquistato’ me lo dissi chiaramente.
Ricevetti una ragione di vita e mi resi conto che a lui collegata c’era una persona.
Akane Tchibana.
Non ero solo. Non lo ero più.
‘Desidero tornare a giocare in compagnia di questo amico…ormai non voglio perderti’ pensai così e piansi per molte cose, tutte troppo veloci e forti.
Ma soprattutto piansi perché mi resi conto che Akane non solo mi piaceva e non mi aveva mai tradito…piansi perché lo amavo e non volevo assolutamente lasciarlo e farmi lasciare da lui.
Tornai vivo come penso mai essere stato dalla nascita.
Ed ora che ricordo mi tornano i brividi e la pelle d’oca, perfino a me.
Presi la mia decisione, sarei tornato al mio posto…con Akane.
Accenno ad un sorriso che sa d’inquietante su un volto fantasmatico come il mio!
Sento gli occhi di alcune persone fissi su di me, alcuni attirati dal mio aspetto singolare, altre curiose…altre chissà, che ne so io.
Non ci faccio semplicemente caso.
Ora devo cercare di fare tutto bene e controllarmi.
Sto per vederlo dopo tutto questo tempo di separazione.
Mi picchierà per questo ed io mi umilierò perché ammetterò così di non avercela fatta.
Ma non mi trasferisco mica, è solo uno o due giorni.
Giusto per ricaricarmi e riprendermi un po’ di quello che mi diede quel giorno in cui poi, di sera di nuovo insieme, ci dichiarammo e ‘fidanzammo’!
Il treno si ferma alla mia fermata e con un borsone leggero in spalla scendo facendo finta di nulla, respiro l’aria pulita, vorrei poter dire: sento il suo odore…ma questo non è il suo posto, il suo posto è a Kouzu. Ci tornerà per questo.
Quando giungo all’ospedale mi dicono che è in palestra e dopo avermi accompagnato mi lasciano solo in silenzio davanti alla porta. Guardo dentro e l’emozione cresce smisurata perfino in me, non controllo più nulla ormai anche se il mio volto ha dimenticato alcune espressioni libere.
Dovrà guardarmi negli occhi per ottenere qualcosa di più rispetto ad una semplice occhiata indecifrabile e contenuta quale la mia ora è.
Non so, non capisco bene che fa, ma saltellando con una fasciatura all’altezza del ginocchio, gioca a basket, o qualcosa di simile, con un altro nella stessa condizione, ha i capelli rossi e sono rumorosi alla stessa maniera.
Il consueto mal di testa mi fa pensare:
Ecco dove sono arrivato…a casa, visto che la mia casa non è un edificio o una città, tanto meno una scuola, ma solo una persona.
Dio, sto bene.
Da quanto tempo non respiravo?
Non smettere, Akane.