CAPITOLO XI:
CHIARIMENTI NELL’AULA DI MUSICA

/Moonlight sonata - Beethoven/
Il caos apocalittico che si scatenò il giorno dopo in mensa fu causato da due notizie che videro protagonisti due dei più popolari della scuola: Jun Misugi e Genzo Wakabayashi.
Ebbene il primo si era lasciato con la morosa ‘storica’, mentre il secondo non stava più appiccicato a Karl.
Queste di per sé furono notizie sconvolgenti per tutti, specie per gli impiccioni, e nel giro di poco tutto l’istituto non parlava d’altro.
- Cosa diavolo hanno tutti? - Sbraitò di cattivo umore -tanto per cambiare- Kojiro. A rispondergli fu un sorpreso Hikaru:
- Sei l’unico a non saperlo ancora! -
- Cosa?! - Il suo tono era sempre peggiore, ma l’amico non si perse d’animo e lo sparò come se fosse la cosa più divertente ed insieme drammatica del mondo:
- Jun Misugi e Yayoi Aoba si sono lasciati! Anzi, per la precisione la notizia è che lui ha lasciato lei, ma le motivazioni sono misteriose! -
Kojiro si strozzò con l’acqua e per poco non morì davvero. Vide alcuni mostruosi flash della sua infanzia e grazie a quelli tornò al mondo inorridito, convinto che pur di non vederseli tutti sarebbe stato disposto a vivere ancora!
- Che cazzo hai detto? - Non poteva credere a quello che diceva, lo fissava allucinato ma lo vedeva serio, per quanto quello perennemente ironico potesse essere serio. Si capiva che diceva davvero.
- Jun ha lasciato Yayoi! Non si parla d’altro! Oltre che di Genzo Wakabayashi non più appiccicato a Karl Hainz Schneider! -
A quell’ultima affermazione Kojiro guardò istintivamente al tavolo del suo sempai di boxe e lo vide con altri amici, quel tale Ozora con il suo amichetto Misaki, i compagni di stanza di Hikaru. Normalmente Genzo era sempre e solo con Karl, ma quella volta del biondino nemmeno l’ombra.
- Era ora! -Esclamò lasciando intendere che ne sapeva più lui di tutti gli altri. E a Hikaru parve tanto che quel ’era ora’ fosse rivolto anche a Jun e a Yayoi.
Per sondare il terreno con astuzia, lo guardò circospetto, quindi con una malizia evidente disse:
- Ora hai il campo libero! -
Kojiro rispose maligno e compiaciuto cercando Jun con lo sguardo, senza vederlo poiché non presente:
- E’ stato più facile di quel che pensassi impossessarmi di Jun! - Come se fosse una proprietà da acquistare!
A quella frase fu il turno di Hikaru di vedere la sua infanzia passargli davanti agli occhi poiché si stava soffocando con il pranzo.
- JUN! MA IO PENSAVO A GENZO! - Effettivamente Kojiro era stato sorprendentemente bravo a mascherare il suo interesse per Jun, mentre non aveva fatto nulla per nascondere l’apprezzamento fisico verso Genzo, motivo per il quale Hikaru aveva sempre creduto che, in realtà, a piacergli fosse proprio quello con cui si prendeva sempre a pugni.
Scoprire in quel modo strano che invece aveva sempre puntato a Jun fu sconvolgente quanto la notizia in sé che il principe si era lasciato con la principessa!
Kojiro si rese conto della gaffe e lo guardò come per divorarlo, fortemente minaccioso lo convinse a non dire nulla a nessuno senza doverglielo spiegare a voce!
- Ok ok, sarò una tomba! - Poi riprese con un sorrisetto accattivante -solo lui si azzardava a parlargli così ormai- - Ma mi hai stupito… non avrei mai detto che invece ti piaceva Jun… e poi cosa vuol dire che è stato facile impossessarsi di lui? Cosa è successo che non so? -
Kojiro a tutte quelle domande lo guardò seccato smettendo di cercare chi gli interessava e prendendo il coltello con cui tagliava la carne, glielo puntò davanti al naso sbottando seccato:
- Qualcosa che non saprai mai! Ed ora sta zitto e fammi mangiare o ti scotenno! - E in quel genere di cose era esperto. Fu così che Hikaru si convinse a non pizzicarlo ancora e a non metterlo alla prova.

Quella sera subito dopo essersi scannato a volontà a boxe con un cupo e furioso Genzo che evidentemente non aveva ancora superato del tutto la questione ‘Karl’, al posto di andare a cena, vedendo che Jun in mensa non c’era, andò a cercarlo.
L’idea era naturalmente quella di parlargli e obbligarlo a rivelargli che cavolo gli passasse per la testa, a qualunque costo, anche picchiandolo se necessario.
Provato in camera la trovò vuota, quindi si diresse nell’unico altro luogo in cui sapeva poteva essere.
L’aula di musica.
Cosciente che a quell’ora sarebbe stata vuota, una volta che dall’esterno sentì le note del pianoforte capì di averci azzeccato e con l’aria più determinata di quel mondo, entrò intenzionato a farlo parlare. Non poteva fare quel che voleva e lasciarlo fuori a quel modo.
Se il suo bacio aveva fatto sì che lasciasse la sua ragazza, qualcosa per lui provava.
Dopo che aveva saggiato quel che voleva dire provare sentimenti ed essere ricambiato-o solo l’illusione di un istante- non poteva farne a meno, non poteva non combattere ancora, non poteva non volerlo più di prima.
Non poteva non desiderare tutta per sé quella dolcezza che gli aveva visto su Genzo.
Non poteva non innamorarsi di quelle sue attenzioni con cui capiva tutto di chi aveva davanti.
Non poteva non perdersi per Jun ancora di più.
Appena fu dentro, però, tutta la sua boriosità venne spazzata via da quelle note malinconiche e tremendamente angosciate.
La drammatica melodia lo trapassò nella pelle e nelle ossa catapultandolo di nuovo in un’altra epoca, quasi.
Un’epoca non molto lontana, dopo tutto.
Si costrinse a rimanere cosciente, quella volta, e si avvicinò di sua volontà allo strumento dietro cui era seduto Jun con gli occhi chiusi.
Questa volta lo sentì e li aprì. Erano velati. Confusi. Colpiti. Ma non si fermò.
Continuò a suonare ‘Chiaro di luna’ di Beethoven mentre osservava Kojiro serio ed irriconoscibile sedersi ai piedi del pianoforte nero, accanto a lui.
Lo vide appoggiare la testa all’indietro e guardare in alto, nel vuoto.
Lo vide e desiderò di sapere cosa stava rivivendo con quell’espressione cupa e addolorata.
Non l’aveva mai visto così.
Del resto quelle note potevano risvegliare dei gran brutti fantasmi.
Non si erano parlati e avrebbero dovuto, non si erano spiegati e avrebbero dovuto, avevano molto da dire, molto da definire, però come se niente fosse accaduto e tutto fosse normale, sulla musica struggente che si levava nell’aria, Kojiro parlò con un filo di voce irriconoscibile, tragica, angosciata.
Non riuscì più a trattenersi, di nuovo in trance riviveva quello che era stato e questa volta non poteva fare a meno di esprimerlo, come se volesse portare con sé la persona che per il momento stava diventando la più importante. Come se miracolosamente sentisse un forte bisogno di condividere il suo orrore per provare a superarlo con qualcuno che forse ne era degno.
- C’era quest’uomo, quando ero piccolo, che mi rinfacciava ogni secondo di dovergli essere grato poiché mi aveva preso in casa anche se non ero loro figlio. Quest’uomo beveva sempre e poi arrivava a casa ubriaco e furioso e picchiava chi gli capitava a tiro. Spesso mi ha usato come palla da calcio. Sua moglie gli gridava dietro ma non cercava di proteggermi. Non faceva niente per me. Erano scenate terribili. Gridavano come matti, si tiravano oggetti, si colpivano e si ferivano ma nessuno dei due si fermava, si scusava o curava l’altro. Si gridavano l’odio reciproco ed io sentivo. Sono cresciuto convinto che l’odio fosse tutto ciò che si potesse provare. Anche per me lo provavano, ero un peso per loro. Non so perché mi hanno preso in affido. Io non ero buono, ero cattivo e li facevo arrabbiare perché non ero capace di fare bene quello che mi ordinavano. Quando pulivo la casa rompevo sempre qualcosa senza volerlo, oppure pulivo male. Loro mi punivano e dopo avermi picchiato, mi rinchiudevano in cantina coi ratti, al buio, nella puzza, senza mangiare per un giorno intero. Sono andato avanti così fino a che, non ho proprio idea di come, un’assistente sociale è entrato e vedendo cosa succedeva mi ha portato via. Poco dopo sono arrivato qua. Sono arrivato a quattordici anni sapendo solo odiare, disprezzare, picchiare e attaccare per difendermi. Non so cosa siano i buoni sentimenti e l’amore. Sto sperimentando in questo posto cosa sia la libertà di fare quello che voglio, per la prima volta. Però la notte sogno ancora quei giorni d’orrore, le loro facce, quella cantina coi ratti. Chissà se prima o poi imparerò davvero ad amare e a non sognare più quelle cose? Mi libererò mai del mio passato? Se ogni volta che ascolto canzoni così malinconiche ricordo sempre tutto, io penso di no. -
Queste parole agghiaccianti fecero da sfondo alla triste melodia che terminò poco dopo lasciando un silenzio carico di tutto e di niente.
Jun cercò di pensare a delle parole adatte, ma non trovò nulla di abbastanza ragionevole.
Però non poteva evitare di dire qualcosa.
Non poteva solo alzarsi e andarsene.
Profondamente toccato da quello che il ragazzo aveva passato nella sua giovane vita, provò solo un grande desiderio di sollevarlo, aiutarlo, cancellare tutto quello che aveva provato, ma tutto ciò che rimaneva invece erano le sue parole ed un amarezza che solcava la sua anima.
Si inginocchiò davanti a lui e lo guardò dritto negli occhi stretti e assorti, non sapeva cosa dire ma aveva bisogno di dirlo, sapeva che era giusto, sentiva da dentro di doverlo fare.
Così scacciò la sua logica ed il suo controllo e fece come la notte precedente.
Si limitò ad agire.
- Forse non lo dimenticherai mai, ma lo supererai. Arriverà il giorno in cui ricorderai tutto e non ti farà più male. Ora non sei più là, ora sei libero e nessuno ti farà più del male. Troverai l‘amore. - La dolcezza con cui lo disse, fu la stessa che aveva usato con Genzo la notte precedente e Kojiro che tanto l’aveva voluta per sé, come se in quel momento si svegliasse, di slancio si aggrappò alle sue braccia e lo disse:
- Amami tu! Mettiti con me! Voglio stare con te, è te che voglio. - Non fu capace di dirlo diversamente, convinto che quello fosse l’unico modo in cui si potesse dire qualcosa del genere.
Semplicemente di getto, così com’era.
Jun si trovò spiazzato e di nuovo dimostrò di non essere pronto ad una cosa simile. Non si divincolò e non lo allontanò, poi rispose sforzandosi di rimanere calmo:
- Ho bisogno di ancora un po’ di tempo per capire cosa provo. -
Kojiro sbottò infuocandosi:
- Ma se hai lasciato la tua ragazza per me! - Presuntuoso ma vero.
L’altro strinse le labbra contrariato, era in difficoltà ma decise che la sincerità a quel punto era l’unica cosa:
- Non mi sei indifferente, Kojiro. E non provo la stessa cosa per Yayoi. Ma devo pensare ancora, non so buttarmi come fai tu e non sono ancora sicuro di niente. Devi darmi un po’ di tempo. Ti prego. - Quella piccola supplica ebbe il potere di fargli provare un desiderio ancora più forte di lui, ma si morse il labbro e si trattenne miracolosamente. In una piccola parte di sé che ora usciva sapeva che per non perderlo avrebbe dovuto dargli il suo tempo, ma non l’avrebbe mollato un secondo.
- Va bene. Però sbrigati! - Concluse borbottando deciso domando a stento l’impulso di saltargli addosso.
Jun sorrise grato, contento che avesse capito e che gli avesse concesso quello che chiedeva.
- Grazie. -Disse, quindi gli sfiorò la fronte con le labbra e sorridendo dolcemente si alzò avviandosi all’uscita.
Kojiro imprecò a mezza voce con un’aria truce.
Sarebbe stata dannatamente dura, ma quello con Jun era il mondo che voleva per sé.
E l’avrebbe avuto ad ogni costo.

FINE