CAPITOLO VI:
CORPO A CORPO NEL POMERIGGIO

/Fake it - Seether/
Di bassi istinti da sfogare ne aveva accumulati a bizzeffe, ormai, e sebbene quello fosse un suggerimento di Jun, realizzò che non c’era nulla di meglio per scaricarli una volta per tutte.
L’idea di poter fare qualche libero corpo a corpo lo allettava, non sarebbe stato interrotto da seccatori e magari avrebbe anche trovato qualcuno di degno con cui confrontarsi.
Gli bruciava in effetti seguire il suo consiglio, ma alla luce dei nuovi eventi che l’avevano reso più rabbioso ed intrattabile che mai, non pensava di avere scelta: o un club di lotta o sarebbe impazzito!
Il pomeriggio in cui si diresse nelle palestre, sembrava stesse andando ad un funerale, la sua espressione era tetra e lugubre più di sempre. Aveva anche quasi litigato con Hikaru… certo il ragazzo non era uno stinco di Santo, ma c’era da dire che Kojiro aveva un gran bisogno di prendere a pugni qualcuno.
Da quando si era scoperto gay non aveva ancora capito bene cosa quello significasse e soprattutto come avrebbe dovuto comportarsi, ma prima che potesse comprendere bene ogni cosa aveva già ricevuto la sua prima delusione sentimentale.
Era quello che si provava, dunque… bè, si era detto subito, se era così provare sentimenti che poi venivano pietosamente non corrisposti ed anzi respinti, allora era meglio non lasciarli liberi!
Questa fu alla fine la sua conclusione rabbiosa, ma ciò gli portò solo un ulteriore accumulo di insofferenza.
Sbattendo la porta, fece il suo ingresso nella palestra attrezzata per gli esercizi fisici dove c‘era un ring per ogni genere di lotta, se non altro i più popolari.
Nonostante fossero discipline diverse, tutti si allenavano insieme e dedusse che l’allenatore fosse anche lo stesso.
Un sacco di ragazzi si esercitavano, chi ai macchinari, chi ai corpo a corpo delle svariate tipologie di combattimento. Quello che catturò la sua attenzione fu il ring da boxe. Come vide due ragazzi col caschetto prendersi a pugni di sana pianta, i suoi occhi si illuminarono istantaneamente. L’unica nota positiva, magari, sarebbe stata proprio quella anche se era stata suggerita proprio da Jun!
Ricordandolo fece una smorfia e seccato cercò l’uomo che comandava in mezzo a quella gentaglia di muscoli in via di formazione per alcuni e già formati per altri. Lo trovò, stava fermo fra i tappeti ad osservare alcune lotte, aveva gli occhiali da sole pur essendo al chiuso, i capelli castani ricci e corti, un po’ di barba sul viso serio e concentrato ed una postura dritta, impettita e imponente a modo suo. Vestiva con dei jeans chiari e una maglia nera attillata dalle maniche arrotolate, si capiva aveva un bel fisico ma probabilmente era straniero.
Li individuava subito quelli stranieri, pur non ne avesse mai avuto a che fare in vita sua. O avevano dei colori inconfondibili, come nel caso del tedesco Karl Hainz Schnaider, o avevano dei lineamenti del tutto diversi, come nel caso di questo signore giovanile che ad occhio sarebbe dovuto essere sui trent’anni.
Si fece avanti senza il minimo timore, solo con la voglia di menar le mani senza essere rimproverato e fermato, quindi lo chiamò.
Quando ebbe la sua attenzione, lo vide avvicinarsi senza fare una piega, con pacatezza e tranquillità, senza nemmeno sciogliere le braccia conserte.
- Sì? - Chiese cordiale.
- Sono un nuovo iscritto… mi chiamo Kojiro Hyuga. Da cosa comincio? -
L’altro rimase perfettamente imperturbabile, quindi rispose:
- Ciao, io sono Roberto Hongo, sono l’allenatore di tutti quelli che vedi qua. Inizia col dirmi la disciplina specifica che vorresti fare. - Era quasi freddo, in un certo senso, ma non lo si poteva proprio definire così perché era comunque gentile e calmo. Però era distante, questo sì.
- Io… non ne ho la più pallida idea! - Sbottò dopo averci pensato un nano secondo. Questo fece fare una piega all’espressione controllata di Roberto che però non si tolse gli occhiali, si limitò a sciogliere le braccia e a puntare le mani ai fianchi.
- Non hai mai praticato prima? -
- No! - Ringhiò sulla difensiva come se lo accusasse chissà di quale grave mancanza.
- Bene, scopriremo per cosa sei portato. Perché ti sei iscritto, comunque? - Domande normali per un allenatore che si ritrova un nuovo membro nel gruppo, questo però lo prese come un’intrusione inutile, come per dire ‘che diavolo sei venuto a fare qua, allora?’ e rispondendogli sempre più sgarbato, disse gesticolando coi pugni pronti ad essere sparati persino ad un adulto che gestiva i club di lotta.
- Perché ho un po’ di rabbia da sfogare, ti dispiace? Non posso continuare ad usare chi mi capita in corridoio come pungiball! - La rispostaccia evidentemente piacque a Roberto che da dietro le lenti scure fece brillare i suoi occhi verdi. Un tipo interessante, con personalità, focoso e senza paura di nessuno, specie delle autorità.
- Perfetto. Ho un’idea di cosa potrebbe fare per te… - Disse quindi senza la minima turba riguardo l’atteggiamento astioso e maleducato del ragazzo. Questi si sorprese di non essere ripreso, quindi rimase senza parole: - Cambiati, mettiti comodo e leggero, poi ti daremo le divise adatte. Scaldati un po’ velocemente e sali sul ring, ti faccio provare col nostro esperto boxista. - Stupito di averlo sentito parlare tanto, percepì un forte odore di sigaretta ma non gli interessò.
Attaccando come faceva sempre, invece di essere respinto era stato accettato.
Sentì come un moto di gioia, dentro di sé, e si sentì stupido per quello ma non riuscì a farne a meno.
Giorno dopo giorno, qualunque cosa provasse, sia bella che brutta, gli permetteva di capire cosa fosse la vera vita, quella di cui era stato privato per tutti quegli anni.
Tutto quel che viveva, anche le delusioni e le arrabbiature, erano degne di essere vissute, dopo tutto.
Erano libertà.
Pensando che quel tipo non era poi male, anzi, forse era il più decente in assoluto fra gli adulti incontrati fino a quel momento, andò a prepararsi negli spogliatoi, mettendosi con dei comodi pantaloni corti ed una canottiera.
Sapeva che avrebbe sudato e non chiedeva di meglio.
Dopo un riscaldamento veloce, si diresse al ring, come gli aveva detto l’allenatore, e prendendo il caschetto protettivo in gommapiuma, il paradenti ed essersi fatto sistemare le mani coi guantoni e tutto il necessario, salì sopra infilandosi fra le corde spesse.
Già il gesto di fare quelle cose gli provocò una certa emozione che di nuovo lo fece sentire idiota ma felice.
Provare certe cose non era da lui e quasi quasi si era dimenticato il motivo per cui era venuto in quella palestra del Toho.
- Allora, non ti spiegherò ancora nessuna regola. Combatti liberamente ad istinto, fai quello che ti viene sul momento e non preoccuparti, hai davanti quasi un professionista che comunque ha solo tre anni più di te. Avrà i dovuti riguardi. Dobbiamo capire se la boxe fa per te. - Sentì ancora una volta Roberto parlare più di quel che si potesse immaginare, ma rimase serio anche se con quella luce strana negli occhi, nascosti ancora dalle lenti scuri.
Il giovane che stava già sul ring davanti a lui non era molto più alto di lui, era solo coi pantaloncini corti, per il resto era nudo. I guantoni rossi sulle mani e il caschetto protettivo in testa. Quell’aggeggio lo copriva abbastanza da non fargli vedere bene il viso ma guardandolo ebbe subito l’impressione di conoscerlo.
“Certo non sarà Jun che soffre di cuore!”
Si disse schernendosi per stendere i nervi.
Era ancora emozionato ma impaziente di cominciare.
Quando sentirono il via, lo vide saltellare con un certo ritmo incalzante che andava via via in crescendo. Senza rendersene conto si mise a fare altrettanto. Non lo imitava di proposito, però alla fine lo fece ed anche se gli venne naturale, dimostrò una capacità di adattamento verso uno sport che non aveva mai praticato che fu rivelatrice per Roberto.
Anche la posa del corpo la prese alla perfezione e in pochi istanti sembrava che lo facesse già da tempo.
Certo andava sistemato, si vedeva che non sapeva effettivamente come doveva mettersi davvero e cosa dovesse fare, però erano cose che si mettevano a posto in fretta.
All’esortazione dell’allenatore di attaccare, Kojiro non ci pensò un attimo e cominciò caricando il primo colpo come il classico dilettante. Fu schivato velocemente, ma quello che stupì tutti, partner e allenatore, fu la forza che ci aveva messo. Così, grezzamente, senza un allenamento mirato, senza una spiegazione di come si tiravano i pugni per renderli efficaci, non era per niente male.
Si capì subito che era abituato a menar le mani.
Avendo ricevuto dei trattamenti brutali sin da piccolo, aveva imparato ad imitarli alla perfezione. I suoi erano pugni disperati, di rabbia e di difesa, in un certo senso; nulla di ragionato e professionale. Roba vera al cento per cento, c’era differenza fra quello e la boxe.
Paradossalmente Kojiro non combatteva con metodo e quindi era meno efficace, però lo faceva con crudezza. Erano colpi reali, quelli che lanciava, non diretti finti fatti solo per una disciplina di lotta.
Guardandolo così Roberto capì perfettamente il tipo di vita che doveva aver vissuto e cosa gli dovesse essere successo e ne rimase doppiamente colpito.
Kojiro dal canto suo si stupì e si indignò di non essere riuscito a mettere a fondo nemmeno un colpo, ma fu peggio vedere che l’altro si limitava a schivare e che non ricambiava. Certamente si credeva troppo bravo per lui.
Con stizza cominciò a fissarlo più male che mai ed espressivo com’era, presto il partner capì che il moretto ce l’aveva con lui perché non faceva seriamente.
- Non prendertela, ma se ti colpisco sul serio ti fracasso! - Disse con ironia cercando di rabbonirlo e alleggerire la situazione. Fece solamente peggio.
“Dove diavolo l’ho già sentita questa voce del cazzo?”
Si chiese Kojiro continuando come un carro armato; all’ennesimo nulla in risposta, sbottò:
- Non preoccuparti di me, pezzo di merda! Fai quello che fai con tutti! - Essere trattato con riguardo per lui equivaleva ad un umiliazione grandissima e sarebbe stata la tortura peggiore, di quella nuova vita.
A quelle parole l’altro fu come se lo riconoscesse e fu esattamente per quello che il riguardo che effettivamente aveva, lo mandò completamente nel cesso dicendosi che a sapere di chi si trattava, l’avrebbe reso in poltiglia molto prima.
Capendo però con un angolino minuscolo del suo cervello che lo sbruffoncello che aveva davanti era un pivello, lì sul ring, nel mondo della boxe, si limitò ad un solo pugno ben piazzato che gli lasciò un gran bel segno.
Stordito Kojiro indietreggiò rendendosi conto in un secondo momento di essere stato colpito davvero.
Questo invece di calmarlo o placarlo, lo montò ulteriormente e come non sentisse minimamente il dolore, ringhiò:
- Questo non era niente confronto a quelli che ho ricevuto in vita mia! - E così dicendo caricò con una tale velocità e rabbia che lo resero quasi irriconoscibile.
Di sicuro dietro a quel caschetto qualcuno ci aveva visto, ma non un giovane sconosciuto, bensì un uomo adulto che l’aveva cresciuto a suon di calci.
Immaginando di poter ritornare tutto il dovuto, Kojiro colpì l’altro con una tale forza, velocità e precisione da lasciare tutta la palestra in silenzio.
Tutti si fermarono guardando esterrefatti la scena.
Fare a pugni nei corridoi era una cosa, riuscire a colpire il loro campione di boxe sul ring era decisamente un’altra.
Non cadde, rimase perfettamente saldo sulle gambe, ma si trovò stordito per il fatto in sé di essere stato colpito da un pivello quando lui invece era calato nella parte del pugile serio.
Quando era fuori da quella palestra non era un campione di nessuna disciplina di lotta, ma solo un ragazzo che se provocato faceva qualche rissa di poco conto con chi, per puro caso, riusciva a colpirlo. Non si impegnava nelle risse, se l’avesse fatto sarebbe stato troppo letale, per questo aveva imparato a separare totalmente il campione di boxe dal ragazzo comune.
Però quando era su quel ring, col caschetto e i guantoni, lì diventava il letale pugile impossibile da colpire.
Quel giorno ogni sua convinzione fu mandata nel cesso dall’ultimo arrivato, ma il sapore del suo pugno fu come se glielo avesse fatto riconoscere.
All’ok di Roberto, un Roberto straordinariamente sorridente, anche se non in maniera eccezionale, il campione si tolse di scatto il caschetto e lo guardò male sputando a terra il paradenti.
Rivelò finalmente i suoi capelli corti, mossi, spettinati e neri, i suoi occhi altrettanto scuri ora si vedevano meglio come i lineamenti tenebrosi ed imbronciati.
Genzo Wakabayashi era davanti a lui e Kojiro, sorpreso di avere proprio lui, si tolse a sua volta il caschetto rivelando la propria identità.
Si guardarono fermi, fissi in cagnesco, come a sbranarsi.
- Se avessi saputo che eri tu ci sarei andato giù ancora più pesante! - Sentenziò acido Genzo con ancora i muscoli tesi dove le goccioline di sudore correvano delineando il suo fisico sportivo e ben allenato.
- E’ per questo che ti sei deciso a colpirmi, alla fine. Perché mi hai riconosciuto! - Sbottò Kojiro sicuro di sé avvicinandosi all’altro pericolosamente. Pochi centimetri li separavano ed anche quest’ultimo aveva un gran bel corpo, considerando che non si era mai allenato in vita sua e che aveva solo quattordici anni.
- Certo. - Fece l’altro incisivo senza la minima paura. Un scintillio quasi sensuale nello sguardo acceso e prepotente.
Kojiro avrebbe voluto cancellarlo, eppure non poté negare lì su due piedi che la situazione tutto sommato non gli dispiaceva.
Fu quello che decretò la definitiva conferma riguardo i propri gusti sessuali: Kojiro Hyuga era innegabilmente gay!
Questo però non toglieva che anche se era attratto dai ragazzi e nella fattispecie da alcuni in particolare, non potesse anche odiarli.
- Ragazzi, riprendete ad allenarvi! - La voce di Roberto si alzò sopra tutte riportando gli altri ai propri doveri, fra cui anche un certo biondo tedesco dall’aria glaciale che faceva judo. - Kojiro, Genzo, venite qua. - Dopo uno scambio severo a vicenda, i due si decisero a raggiungere l’allenatore che, senza pietà, continuò esponendo la sua idea crudele: - Visto che vi conoscete già e che Genzo è il nostro esperto fuoriclasse di boxe, sarà lui a seguirti, Kojiro, e insegnarti le basi che non hai. Ti metterai presto in pari con gli altri. Sei portato per questa disciplina e nelle sue mani esperte farai faville. -
Roberto non immaginava quanto.