9. È IL PRESENTE CHE CONTA



"Io – ti guarderò le spalle Io – ti aiuterò a vedere oltre Io – ti proteggerò di notte Io – sto sorridendo accanto a te, in una lucidità silenziosa"
/Silent Lucidity - Queensryche/


Silvet dormiva nella culla che avevano finito di costruire, Jiggy aveva aiutato Gauche ad adattare la casa alle esigenze di una bambina, facendo in modo che non potesse mai farsi male da sola.
Dopo gli adattamenti alla casa, gli preparò da mangiare mentre Gauche trasferiva il letto nella camera di Silvet per starle vicino le prime notti, nel caso in cui si sarebbe svegliata.
- Come farai quando lavori? -
- La mamma di Aria mi ha detto che mi aiuta con piacere, almeno fino a che non potrà stare in casa da sola. Ho accettato il suo aiuto, perché non posso permettermi di non lavorare, Silvet ha solo me. -
Gauche e Jiggy finirono di mangiare dopo aver fatto un po’ di piani pratici per affrontare quella nuova vita, ma nell’aria apparentemente tranquilla di Jiggy, c’era sempre un’ombra di paura.
Un’ombra vivida, che Gauche vedeva molto bene.
Misero a dormire Silvet dopo che Gauche gli aveva dato da mangiare e, sempre su indicazione della levatrice, gli aveva fatto fare il ruttino.
- Sei portato. - Disse Jiggy dopo aver sistemato la cucina, cosa che non aveva mai fatto.
- Per i bambini? - Chiese Gauche posando la bambina addormentata nella nuova culla, nell’ombra della camera dove solo una candela rimaneva accesa sul comodino.
Jiggy si strinse nelle spalle e Gauche sorridendo gli arrivò davanti e gli carezzò il viso.
- Vuoi fermarti qua stanotte? - Jiggy lo guardò serio, senza fare espressioni od inclinazioni, mentre si domava a stento.
- Hai paura per la prima notte da solo? - Lo testò di nuovo abilmente, incapace di smettere.
Gauche però non spense il sorriso e nemmeno la sua serenità, una serenità un po’ offuscata.
Gli sistemò una ciocca rossiccia dietro le orecchie e contemplò la sua cicatrice ed i suoi occhi azzurri.
- Come lo sono sempre stato, a parte quando vivevi con me. Era bello, mi piaceva. - Non si era tradito, non aveva esitato.
- Perché proprio stanotte mi vuoi qua? - Gauche non sospirò, ma continuò a carezzargli il volto delicatamente.
- Perché hai paura che se te ne vai, domani non mi ricorderò di te. Solo che non hai il coraggio di dirlo. Non vuoi che questa situazione mi pesi. Ti stai sforzando, ma sei terrorizzato. Ed io… - Si strinse nelle spalle. - Non so in che altro modo convincerti che non mi dimenticherò di te! - Jiggy a questo punto tornò a scoppiare nonostante avesse giurato di trattenersi.
- Non puoi saperlo, hai dimenticato tua madre anche se tu non ricordi d’averlo fatto. E come hai dimenticato lei senza nemmeno affrontare un gaichu, puoi dimenticare me! Non dire più che non mi dimenticherai, perché non lo sai, un giorno succederà, potrebbe succedere, tu non puoi assicurarmelo! - Gauche così gli prese le mani e se le portò alla bocca cercando di placarlo, sempre rimanendo calmo.
- Anche tu potresti dimenticarmi, lavori molto più di me, usi un mezzo col tuo cuore, affronti tanti gaichu pericolosi… - Jiggy scosse il capo stizzito.
- Non è la stessa cosa, a me non è successo niente solo perché il sole si è spento! - Gauche si rese conto che con le parole non poteva convincerlo, non in quel modo, comunque. Ma le sue mani tremavano, i suoi occhi limpidi erano di nuovo cristalli di acqua pronti a scendere sulle guance. Era forte, Jiggy, incrollabile. Ed ora era così fragile e spaventato. Come poteva aiutarlo? Come poteva?
Così si fece indietro verso il letto preparato per terra e si sfilò la maglia.
- Per questo devi dormire qua stanotte. - Disse suadente Gauche.
Jiggy si aggrottò senza capire. Gauche si tolse anche i pantaloni.
- Perché non abbiamo tempo da perdere. - Jiggy pensò subito che fosse impazzito e lo fermò dal togliersi anche i boxer.
- No senti, non è così che mi tranquillizzi! In effetti non c’è un modo, mi abituerò a vivere con questa paura, come mi sono abituato a tutto… ma tu non devi… - Gauche però gli prese la camicia da Bee che ancora indossava e gliel’aprì deciso.
- Sì che devo. Perché hai ragione, invece. Non posso assicurarti che non ti dimenticherò. Così come tu non puoi assicurarlo a me. Col lavoro che facciamo, sappiamo cosa può capitarci. Perciò non ho promesse adatte da farti, niente che possa tranquillizzarti sul serio. - Jiggy si fermò e smise di bloccarlo. Gauche gli fece cadere la camicia bianca dalle braccia, si adagiò a terra come una foglia.
Le sue dita, poi, gli aprirono i pantaloni che caddero ai piedi.
- Per cui dobbiamo creare dei ricordi. - Disse prendendogli il viso fra le mani, le labbra sulle sue. - E fare in modo che anche se li dimenticheremo, saranno valsi la pena di essere comunque vissuti. Perché è ora che dobbiamo vivere, visto che forse domani non ci saremo. Finché ci siamo, dobbiamo fare tutto senza rimpianti, senza rimandare nulla. Perché poi potremmo non esserci. - Con questo Jiggy se ne convinse definitivamente.
Era questo.
Era esattamente come diceva lui.
Si faceva le cose finché si poteva farle, finché si era ancora sé stessi. Tutto lì.
E se poi ci si sarebbe dimenticati uno dell’altro, si avrebbe pianto e si sarebbe stati male, ma almeno avrebbero avuto un momento, anche uno solo, dove erano stati felici perché avevano vissuto a pieno tutto.
Con questo lo baciò con trasporto, togliendogli il fiato e facendo propria la sua bocca.
Le mani scivolarono veloci sul suo corpo a fargli cadere il resto che indossava, altrettanto fece con sé stesso, infine lo prese per la vita, lo sollevò facilmente e gli fece circondare i fianchi con le gambe che si allacciarono intorno a lui. Gauche lo strinse anche con le braccia cingendogli il capo e si lasciò adagiare a terra, sul materasso e sulle coperte.
Il cuore iniziò a battere fortissimo in entrambi, il sangue così veloce nei loro corpi, la voglia, il desiderio, un’emozione così forte, così viva.
Si guardarono, una volta stesi uno sull’altro.
- Mi sembra che il cuore debba scoppiarmi! - Esclamò con un sorriso dolcissimo e gli occhi che brillavano di un’emozione che Jiggy non avrebbe mai dimenticato.
Glieli baciò perché finalmente non c’era l’ombra di prima, quell’ombra inconsapevole.
Finalmente era felice mentre lo guardava.
Gauche sciolse le gambe, si sistemò sotto di lui e Jiggy gli si mise sopra in modo da strofinare i loro bacini, le loro erezioni che per la prima volta andavano oltre in modo tanto audace.
Jiggy gli baciò gli occhi, gli zigomi e scese sull’angolo delle sue labbra beatamente piegate in un tenero sorriso dove non c’era nessun rimpianto.
Era semplicemente felice così e Jiggy lo sentiva, lo percepiva.
E finché lui era così felice e così vivo, non importava più niente.
Contava solo quel momento, quel momento presente così vero, così bello.
Le loro labbra si sigillarono di nuovo, mentre i desideri salivano. Scoprirono ogni cosa di loro stessi, di cosa significava il piacere, l’amore, di cosa si provava quando si andava oltre, quando si faceva la cosa più intima con la persona che si amava.
E capirono cos’era amare.
Lo capirono mentre Jiggy scivolò delicatamente e lentamente in lui, mentre lo lasciava che si abituava al normale dolore della prima volta, mentre preoccupato si chiedeva se fosse il caso di rimandare, mentre cambiavano posizione, mentre tornavano a riallacciarsi, mentre ci riprovavano finché non andava meglio, mentre poi riusciva ad entrare bene, finalmente, e a muoversi.
Lo capirono mentre il mondo spariva e rimaneva un cielo stellato, il vento in faccia e le sciarpe al vento. Le menti vagarono ai ricordi che li avrebbero per sempre legati, con le mani di Gauche che carezzavano le sue cicatrici e quelle di Jiggy che invece gli scostavano i capelli dal viso per capire quanto stava bene e se doveva fermarsi.
Ma infine tutto andò bene, ci fu qualcosa in quell’unione forse imperfetta perché la prima, ma proprio per quello così bella.
L’inesperienza, i corpi non abituati, però loro. Loro lì insieme, uno nell’altro, in sincronia, uniti e fusi. Loro così belli. Loro così innamorati. Loro che vivevano in pieno quel presente che forse non sarebbe stato eterno, ma che per quel momento era semplicemente tutto quello che contava.
Tutto.
- Ti amo, non so se lo ricorderò per sempre, ma so che adesso non sono mai stato così felice. Ti amo Jiggy. - Jiggy tornò ad emozionarsi, mentre una lacrima scendeva ed il corpo fremeva per il piacere raggiunto fino ad ogni massimo consentito, gli baciò di nuovo gli occhi, bagnati della sua stessa emozione.
- Ti amo anche io, non sapevo cosa fosse l’amore, non sapevo che si potesse amare. Non so se lo ricorderemo per sempre, ma so che non amerò nessuno così. Se non dovessi più avere te, non avrò nessun altro. - Gauche lasciò andare le lacrime per la prima volta, d’emozione e felicità, lacrime belle. E forse era meglio così, pensò Jiggy asciugandole con le sue labbra.
Che piangesse di gioia non d’angoscia. Che pensasse che la vita era così bella che valeva la pena di essere vissuta, che i dolori forse un giorno arrivavano, ma che per ora stava così bene che non serviva pensarci.
Era meglio così, si disse Jiggy.
“E finché avrò un briciolo di forze, farò tutto quello che è in mio potere per proteggere la sua felicità e la sua vita, in qualsiasi modo io posso, lo farò.”
Con questo giuramento, lo strinse a sé e chiudendo gli occhi catturò quel momento meraviglioso, perfetto e sconvolgente.
Qualcosa era cambiato per sempre, però lui era ancora lì.
Il suo Gauche era ancora lì.


Jiggy si stava allacciando i bottoni della camicia della divisa, fermo davanti allo specchio del bagno la cui porta era aperta.
Si guardava con aria seria cominciando il nodo della cravatta. I capelli erano bagnati ed in disordine intorno al viso magro, ma stavano comunque meglio del solito poiché da asciutti prendevano fantasiose direzioni.
Gauche si svegliò dopo di lui per il lamento della bambina. Fu così che si rese conto di essere steso da solo sul letto improvvisato la sera prima.
Fece mente locale, si ricordò di Jiggy e nel non vederlo si oscurò un attimo. Poi vide da fuori la porta socchiusa una luce e immaginò fosse lui, così sorrise, sospirò di sollievo e si alzò infilandosi la canottiera e i boxer della sera prima. Tanto doveva farsi la doccia, si disse. Prese in braccio Silvet che si era svegliata e le baciò la guancia.
- Sei un angioletto, hai dormito tutta la notte, non so come hai fatto! - Si era preparato del latte, come suggerito dalla pratica mamma di Aria, ma non era servito.
Con lei sul braccio ed il visino appoggiato alla spalla, uscì dalla camera e guardò subito verso la luce che trovò provenire dal bagno. Oltre la porta aperta, c’era Jiggy che si faceva il nodo alla cravatta.
Sorrise ed andò da lui, annusò il profumo del bagnoschiuma e del vapore della doccia appena fatta, poi si sporse immettendosi fra lui e lo specchio e disinvolto come aveva fatto molti altri giorni prima di quello, gli rubò un veloce bacio dalle labbra.
Era il primo in presenza di Silvet, a Jiggy parve strano.
Si erano messi insieme prima di andare a vivere per conto suo e per non farsi scoprire dalla madre sempre intorno, si rubavano i baci di nascosto. Era una specie di gioco che facevano anche all’Alveare. Uno controllava che non ci fosse nessuno, trovava un posto adatto al volo e spingeva l’altro lì, nascosto, a baciarlo. Oppure alle spalle di qualcun altro, per essere più audaci.
Jiggy lo trovava divertente, anche se non rideva come faceva Gauche.
Era la prima mattina che non lo facevano a casa di Gauche nascondendosi dalla madre.
Non si nascondevano proprio. Non dovevano.
Per un momento sentì un moto di tristezza simile a quello provato anni addietro, alla morte di suo padre. Poi lo vide sorridente e spettinato e tutto venne spazzato via.
“Ora Gauche ha bisogno di me. La versione più forte e serena di me. Ora e fino a quando ci sarà concesso.”
Divenne molto più fatalista di sempre, conscio che il destino poteva rubare la loro felicità in qualsiasi momento.
- Dormito bene? - Chiese Gauche allegro. Jiggy annuì facendo finta di nulla, il solito musone di primo mattino. Non che poi negli altri momenti fosse più allegro.
- Tu? - Chiese poi, al contrario delle altre volte che non glielo chiedeva mai. Gauche sapeva perché glielo chiedeva, ma almeno non lo guardava più con il terrore in quei due occhi azzurri.
Lo sentiva molto più rilassato e sicuro, ora.
- Benissimo, grazie a te. - Disse con una punta di malizia, riferendosi al fatto che avevano fatto l’amore. - E sicuramente dopo ogni notte, andrà sempre meglio. - Jiggy a questo faticò a non mostrare imbarazzo, ma chiaramente riuscì egregiamente anche in questo. - Dicono che la pratica aiuti a godersi meglio ogni volta di più l’atto. - Disse senza usare parole esplicite. Gauche andò in cucina a preparare la colazione sempre con la piccola in braccio, ridacchiando davanti al suo stoicismo. Appena solo Jiggy arrossì, ma scosse il capo, sospirò e sorrise brevemente. Era meglio così che assente.
Aveva visto persone senza il cuore, completamente senza il cuore. Aver perso una piccola parte di sé era un esito sorprendentemente buono se si considerava quanto brutto poteva essere perderlo del tutto.
Doveva solo abituarsi a certe piccole cose.
Lo raggiunse e lo vide alle prese con la colazione ed una Silvet che ora non ce la faceva più a stare buona e silenziosa. Non aveva pianto per tutta la notte, ma ora voleva mangiare. Aveva fame. Cominciò tirandogli i capelli che gli ricadevano sul collo, poi partì lamentandosi.
- Su, su, solo un attimo che… - Ma girandosi vide Jiggy pronto, così senza pensarci due volte andò da lui, gli consegnò la piccola Silvet e con lei il biberon.
- Ecco qua, mentre tu non fai niente, renditi utile! Io preparo la colazione e mi lavo! - Jiggy non ebbe tempo di lamentarsi, non glielo permise.
- Ma io non… - Tentò senza successo.
- Non ci vuole niente, è a temperatura ambiente come mi hanno insegnato, ficcaglielo in bocca e lei farà tutto da sola! - Jiggy cominciò a mugugnare da solo convinto che non fosse davvero così facile, ma dovette ricredersi perché effettivamente appena Silvet aveva sentito sulle labbra il biberon, si era attaccata vorace.
Così si zittì di colpo e rimase fermo con la bambina fra le braccia a reggere il latte. E a fissarla dapprima impacciato e col broncio, perfino imbarazzato, poi sempre più sorpreso ed infine addirittura intenerito.
Dopotutto era bella davvero, non aveva avuto tempo di ammirarla con tutto quello che era successo.
Gauche si fermò un attimo a vedere come procedeva e vedendo che andava alla grande, sorrise intenerito. Quella era un’immagine che sperava proprio di non dimenticare mai.
Non commentò sebbene volesse, fece finta di nulla così Jiggy non si imbarazzò.
Una volta pronta la colazione, si sedette a mangiare.
- Vuoi che faccio io? - Chiese. Jiggy alzò le spalle trovando il modo di tenere Silvet sul braccio ed il biberon con la stessa mano, il sederino sulle gambe. Così liberata l’altra mano, poté mangiare anche lui.
- Combino. - Disse senza mostrare particolari inclinazioni.
Gauche sorrise anche per lui.
- Sembri un padre impacciato alle prime armi, ma te la cavi bene! - Jiggy alzò gli occhi su di lui ironico.
- E tu sembri la madre, se è per questo! Servizievole, attento e dolce come tutte le madri. - Gauche si spense per un momento provando a ricordare se avesse ragione, ma non gli venne in mente.
- Mi fido di te. - Concluse. Jiggy non sospirò, ma si sentì di nuovo sconfitto.
La memoria non gli sarebbe più tornata.
- Posso lasciartela mentre mi faccio una doccia? - Chiese poi Gauche sparecchiando la tavola.
Silvet aveva finito il biberon e Jiggy annuì col capo.
- Deve fare il ruttino… mettila sulla spalla… - Gli sistemò un tovagliolo sulla spalla per evitare che gli sporcasse la camicia, poi gli mise una mano sulla schiena della piccola e disse di massaggiare un po’.
- Fra un po’ ti fa una sinfonia! - Disse scherzando, mentre gli lasciava un bacio sulla testa ancora umida ed andava al bagno.
Jiggy, rimasto solo, guardò la piccola alzando la spalla su cui poggiava, la occhieggiò come riuscì, poi sorrise teneramente.
- Almeno non ti ha dimenticato ancora prima di averti con sé… sei fortunata, sai? -
Poi pensò alla notte che avevano passato insieme ed il sorriso rimase magicamente sulle sue labbra, appoggiando la guancia sulla testina della bambina.
Una notte che sperava di non dimenticare mai.
“È il presente che conta. Stop.”
Con questo Jiggy divenne più forte e davanti a Gauche, non vacillò più.