*Ecco il secondo capitolo. E' bello scrivere su Jiggy, si sa un po' ma non troppo perciò ho potuto spaziare molto. Poi la logica dice anche che per avere quel carattere duro e difficile, deve avere avuto un infanzia non facile. Il verso della canzone scelto era specifico al femminile, ma a parte il dettaglio ho rivisto molto Jiggy, così l'ho usato lo stesso. Oltretutto quella canzone era una di quelle che ascoltavo quando scrivevo (la mia famosa playlist per il fantasy...). Il disegno è sempre una fan art della rete, anche se nella mia fic a questo punto lui non ha ancora né moto né cicatrice. A proposito della moto... il così detto cavallo di ferro credo l'abbiano fornito l'Alveare a Jiggy, ma ho voluto fare questa cosa che leggerete. Insomma, in questo capitolo delineo più Jiggy, entriamo piano piano nel suo mondo per capire meglio le sue fisse ed i suoi modi di fare. Buona lettura. Baci Akane*

2.  MALEDETTAMENTE CARINO




"Apri i tuoi occhi e guarda fuori, cerca di trovare uno scopo (alla vita)sei stata rifiutata, e adesso non riescia trovare quello che hai lasciato dietro sii forte, sii forte, adesso troppi problemi, troppi problemi. non so a quale posto appartiene, lei appartiene. lei vuole andare a casa, ma la casa di nessuno è dove lei sta, distrutta dentro senza nessun posto dove andare, nessun posto dove  andare, per asciugare i suoi occhi, distrutta dentro"
/Nobody's home - Avril Lavigne/

A fine giornata i Bee tornarono all’Alveare con le ricevute, facendo rapporto. Quando Largo e Aria videro arrivare Jiggy e Gauche parlando insieme, rimasero stupiti e si fermarono dal fare quel che facevano.
Gauche sorrideva e Jiggy aveva una strana cera, si teneva lo stomaco come se avesse qualche problema, ma arrivati in segreteria, li incontrarono e smisero di parlare.
Gauche salutò cortesemente i due colleghi e Jiggy non fece nemmeno un cenno, come se loro non ci fossero.
- Allora è andato tutto bene, mi pare! - Disse Largo a Jiggy allusivo. Jiggy alzò le spalle fingendo di non avere per nulla la nausea per il viaggio di ritorno.
- Facile! In due è una passeggiata! - Si concesse per dare più forza a quel che diceva.
Largo sembrava riferirsi a ben altro, ma Gauche partì col resoconto dei gaichu incontrati. Non disse nulla del mal di trasporto di Jiggy.
- Anche noi abbiamo affrontato dei gaichu, ma è andato tutto bene! - Disse Aria. Largo poi si intromise mettendole un braccio intorno alle spalle.
- Ehi, ma sapevate che lei suona il proiettile? Lo crea suonando il violino! Non spara con una sparacuore! - Era rimasto sorpreso di quella scoperta, ma Gauche chiaramente lo sapeva.
- Certo che lo so, è molto brava a suonare, vero? -
- Ed anche a cadere! - Commentò poi senza pietà, ridendo di un’imbarazzata Aria.
- É un po’ distratta in effetti… - Rispose Gauche cercando di essere meno impietoso.
- Un po’? Fortuna che ha il suo dingo, altrimenti non arriverebbe più! La sorregge tutte le volte, è come se avesse un sesto senso per le sue cadute! - I tre parlarono spediti di Aria, delle prime missioni dei tre nuovi e dei rispettivi difetti, ma al momento di dire se anche Jiggy ne aveva visto che se ne stava lì zitto senza spiccicare parola, Gauche alzò le mani in alto.
- So che sembra impossibile, ma non ha mostrato debolezza! È impeccabile! Spero di fare altre consegne con lui, è un ottimo partner! - Con questo sorrise a Jiggy che lo guardò stupito del fatto che non l’avesse preso in giro in merito al suo mal di trasporto.
Largo notò quello scambio impercettibile, come notava molte cose e se le annotava mentalmente.
Aria ovviamente non si rese conto di nulla.
Quando poi si salutarono uscendo insieme, Largo trattenne un attimo Aria.
- Ma quei due? - Chiese sorpreso. Aria, ingenua, chiese:
- Cosa? -
- Insomma, vanno che sono sconosciuti e tornano che sono amici! Jiggy parlava con Gauche quando siamo arrivati! E c’era intesa! - Aria alzò le spalle.
- È impossibile non fare amicizia con Gauche! - Per lei non c’era nulla di strano, ma Largo ovviamente stava andando già oltre.

Gauche uscito fuori accompagnato da Jiggy, prese verso sinistra, per tornare a casa, poco fuori la città.
- A domani! - Salutò Jiggy che invece rimaneva incerto prima di prendere una direzione.
- Sì… ciao… - Salutò distratto il giovane. Gauche si fermò e lo guardò grattarsi la nuca, poi aprire la borsa e tirare fuori i propri spiccoli. Infine sospirò.
- Problemi? - Jiggy, che pensava di non essere visto, si ricompose.
- No, no… - Mise via e fece per avviarsi.
- Mi sembravi in difficoltà… - Ormai Gauche aveva imparato a tradurre i suoi impercettibili momenti di espressione. Jiggy esitò, poi alzò le spalle.
- Tutto bene. - Con questo si avviò, cercando di essere indifferente. Ma Gauche, seguendo un istinto, insistette ancora.
- Hai bisogno di un prestito? Guardavi i soldi, forse non sei riuscito a fare la spesa? - Non riusciva a capire, aveva intravisto un reale problema nel suo viso serio. Jiggy tornò a guardarlo e pensando che non avrebbe mai mollato, si decise a rispondere. Forse perché sentiva, dentro di sé, che di lui poteva davvero fidarsi.
- Non ho ancora i soldi per affittare una camera o un appartamento. - Gauche si fece serio e preoccupato.
- E dove dormi? - Jiggy si strinse nelle spalle.
- Fuori città. - Gauche inarcò le sopracciglia senza capire. - All’aperto! - Esclamò allora seccato Jiggy, non felice di mostrare quell’enorme debolezza. Ma prima era stato corretto, per cui poteva fidarsi.
Gauche, realizzandolo, si prese il viso fra le mani.
- Cosa?! - Disse scandalizzato, impallidendo. Jiggy si avviò.
- Non sono problemi, guardavo quanti soldi ho prima dello stipendio. Devo mangiare almeno una volta al giorno. - Vedendo che andava verso l’esterno della città e non verso una locanda od un’osteria, capì che non avrebbe mangiato.
Infatti lo seguì.
- E perciò oggi non mangerai di nuovo? - Jiggy alzò ancora le spalle indifferente.
- Una dormita mi basterà. Poco distante c’è una radura con un lago, mi rinfrescherò. Tanto il mese passa in fretta. - Mise di fila più di un paio di parole per convincerlo che non c’erano problemi, ma a quel punto Gauche lo afferrò per il braccio e se lo tirò verso la propria strada usando anche una certa forza.
- Andiamo, ti ospiterò io finché ti servirà! - Disse deciso.
- Non se ne parla, posso arrangiarmi! - Ma Gauche alzò la voce seccato.
- Non ti farò fare lo straccione! Non ci dormirei la notte! Ho una camera grande, ci starai senza problemi! A mia madre andrà benissimo! -
Jiggy alla fine si decise ad accettare.
- Potevo cavarmela. Non ho vissuto tanto meglio prima di venire qua. - Spiegò per convincerlo che andava bene lo stesso. Ma Gauche non volle sapere ragioni.
- Ma adesso hai me. Se non recuperi le forze come potrai lavorare tanto per guadagnare abbastanza per te e per loro? -  Jiggy rimase colpito dalla sua presa di posizione e dal suo ‘adesso hai me’.
A quel punto si zittì e non insistette. Gauche sentendo che non tirava, lo lasciò ed i due camminarono insieme verso casa e Jiggy apprezzò una volta di più la sua capacità di stare in silenzio in certi momenti. Quelli in cui aveva bisogno di realizzare quanto bello fosse qualcosa che stava vivendo. Sorprendentemente bello.
“Forse non ci sono solo difficoltà da superare. Forse ogni tanto capitano anche cose belle.”
Pensò stordito da quella strana ma bella sensazione.


La madre di Gauche era molto gentile. La pancia leggermente gonfia si cominciava a vedere, lui ricordò quella della propria madre, quando aveva partorito la sorella. Aveva sensazioni contrastanti con il concetto di gravidanza. Da un lato gli piaceva avere una sorella. Dall’altro se sua madre non si fosse ritrovata incinta e vedova, non avrebbe accettato la compagnia di un altro uomo. Quell’uomo che l’aveva fatto andare via di casa per non doverlo sopportare un minuto di più.
- Meno male che non volevi mangiare di nuovo! - Commentò ironico Gauche vedendo che poi Jiggy aveva prosciugato il piatto. Questi lo guardò senza imbarazzarsi.
- Quando non sai se puoi mangiare sempre, non sprechi nulla. -
Gauche sorrise dolcemente.
- Vieni, ti mostro il bagno e la camera, hai qualche vestito? - Guardò la borsa con cui girava, che aveva lasciato all’ingresso. Jiggy si strinse nelle spalle.
- Un paio… - Gauche non fece una piega pensando che se avesse di nuovo fatto facce scandalizzate, si sarebbe potuto sentire inferiore e da quel che aveva capito di lui, era una cosa che odiava.
- Ti presterò qualcosa io, abbiamo la stessa taglia. -
Jiggy chiuse gli occhi ed esitò prima di alzarsi dal tavolo, la madre girata verso il lavandino che lavava i piatti.
- Non voglio disturbare troppo. - Gauche sorrise ancora, gli prese la borsa e salì le scale.
- Ho sempre sognato avere un fratello coetaneo. - Jiggy alla fine si arrese e lo seguì, dopotutto gli stava dando aiuto senza mostrarsi superiore, non glielo stava facendo pesare. Era così naturale nel suo dargli quel che gli necessitava.
- Quindi un gemello. - Precisò pignolo. Gauche alzò le spalle.
- Anche! - Jiggy fece un cenno di sorriso, poi entrò nella sua camera dove adagiò sul letto la sua borsa.
- Sistemerò un materasso per terra. - Jiggy lo precedette.
- Dormirò io per terra. - Rimase serio nel dirlo, non ammetteva mai repliche quando diceva qualcosa. Gauche si grattò la nuca chiara e spettinata con un sorrisino buffo.
- Immagino non posso convincerti del contrario. - Jiggy non lo guardò nemmeno, andò alla borsa e tirò fuori l’unico altro paio d’abiti che aveva, che provvedeva a lavare e asciugare quando serviva con mezzi di fortuna.
- Perciò quando dicevi ‘un paio’ era proprio un paio? - Chiese Gauche vedendo che si toglieva la camicia della divisa da Bee. Jiggy non rispose e si sfilò anche i pantaloni.
- Ti ripagherò per la cortesia. Appena mi arriva lo stipendio andrò per conto mio. - Gauche scosse il capo e gli indicò la porta del bagno, appena fuori dalla camera.
- Non sono problemi, sono felice di avere un fratello! - Ribadì gentile. Jiggy uscì, lo superò e gli lasciò uno sguardo sottile intenso, che non seppe interpretare e che lo lasciò senza fiato, come ormai spesso succedeva quando i due incrociavano i loro occhi.
Rimasto solo, Gauche sorrise e si toccò le guance per assicurarsi di non essere arrossito troppo. Fortunatamente aveva un buon controllo di sé, cosa che non guastava.

Al suo ritorno Jiggy trovò alcuni abiti da casa su una sedia ed un letto pronto per terra.
- Mi sono preso la libertà di far lavare la tua divisa insieme alla mia. - Disse Gauche prendendo il cambio per andare a lavarsi a sua volta dopo di lui.
Jiggy rimase incerto, ma alla fine decise che non poteva discutere su tutti gli atti di gentilezza di quel ragazzo, potevano essere pesanti.
Però era sempre più deciso a ripagarlo.
Quando Gauche tornò dal bagno, Jiggy era steso nel proprio letto per terra, sotto le coperte, le mani sotto la nuca, i capelli spettinati che spiccavano sulle lenzuola bianche.
Gli sorrise. Sorrideva sempre quel ragazzo. Aveva un sorriso gentile e genuino. Non faceva le cose per dovere, per educazione o per un tornaconto. Le faceva perché voleva farle.
Per questo gli piaceva.
Si sistemò nel proprio letto, vicino al suo, e si girò sul fianco sporgendo il viso per vederlo.
- Stai abbastanza comodo? - Chiese piano.
Jiggy in compenso non sorrideva mai, era sempre serio, era come se avesse dimenticato il sorriso. Forse non l’aveva mai fatto.
“Magari a sua sorella…”
Si disse Gauche al suo cenno affermativo.
- Come ti è sembrato il primo giorno da Bee? - Chiese Gauche per fare un po’ di conversazione, non voleva dormire anche se era stanco, aveva una specie di frenesia nello stare in camera con lui. Gli piaceva, gli stava piacendo molto e se ne stava accorgendo in modo inequivocabile.
Dormire poneva fine a quel momento insieme e voleva prolungarlo il più possibile, con discrezione.
- Si può fare. - Rispose pragmatico, pensando al lato pratico del lavoro. - Sapevo che era difficile e sarà ancora più pericoloso, però si può fare. -
Gauche tornò a sorridere e fece cadere la mano giù dal letto a giocare con le sue ciocche rosse sul cuscino. Jiggy non lo respinse, era delicato. Piacevole.
- A me è piaciuto quando abbiamo consegnato le lettere. Erano tutti così felici e sorpresi di riceverne. In molti ci hanno chiesto se eravamo nuovi. Qualcuno era ostile, però appena hanno visto la lettera che eravamo venuti a consegnargli, si sono subito aperti. - Gauche vagò con lo sguardo altrove mentre giocava coi suoi capelli provocandogli molti brividi di piacere. Jiggy non poteva staccare gli occhi dai suoi, di quel colore così strano. Viola, ma sotto una certa luce anche dai riflessi rossi. - La luce che si accende in loro quando ne consegno una è bellissima. È come se riprendessero a vivere! Lo trovo un lavoro bellissimo, non immaginavo fosse così tanto appagante consegnare i cuori delle persone. - Jiggy rimase colpito dal suo trasporto e lo invidiò. Lui metteva una barriera fra sé e gli altri. Persino con sua sorella l’aveva messa. Perché altrimenti non poteva fare quello che andava fatto. Se aveva legami con qualcuno, non poteva riuscirci.
Doveva rimanere sempre lucido, perciò qualunque concessione era fuori discussione per lui.
Eppure lo lasciava giocare coi capelli.
E lentamente gli occhi si chiusero, stanchi, pesanti, inebriato da un piacere insolito, mai provato. Da quel contatto spontaneo, intimo, bello.
- Come sei puro. - Mormorò con voce impastata mentre si addormentava. Forse in un certo modo sarebbe stata una presa in giro, ma lì sembrò un complimento a Gauche il quale lasciò cadere la mano e accolse il sonno a sua volta, felice di vedere il suo viso segnato prima di dormire, felice di vederlo al mattino, quando avrebbe riaperto gli occhi.

Aperti gli occhi, trovò la propria mano stretta nella sua ed in un primo momento rimase inebetito a fissarle, ma non la ritrasse.
Fece mente locale come se avesse un sogno sulla soglia della mente da ricordare.
Poi sentì Jiggy lamentarsi nel dormiveglia e si ricordò.
Si era lamentato nel sonno tutto il tempo, agitandosi. Quando ad un certo punto aveva provato a svegliarlo per calmarlo, Jiggy sentendo nel sonno la sua mano gliela aveva afferrata stretta e solo a quel punto si era quietato. Aveva dormito in quella posizione tutta la notte, sereno.
Gauche sorrise dolcemente, stava per ritrarla pensando che uno come Jiggy si sarebbe sentito debole svegliandosi con la mano nella sua, ma non fece in tempo. Il giovane aprì gli occhi e come lui vide per prima cosa la sua mano.
Appena realizzò, la ritirò.
- Scusa, ti agitavi e quando ti ho toccato per svegliarti mi hai preso la mano, ma visto che ti sei calmato non l’ho tolta… - Spiegò subito Gauche tirandosi su sulle ginocchia raggomitolate sotto di sé.
Jiggy fece un broncio e si sedette stropicciandosi gli occhi sottili, i capelli ancor più spettinati.
- Ho incubi da quando mio padre è morto. Mia sorella mi teneva la mano per calmarmi. - Poi pensò senza dirlo, fissando per terra con sguardo duro:
“L’unico segno di debolezza. Mentre dormivo. Da svegli non siamo mai stati così uniti. Certo non eravamo disuniti. Eravamo normali, insomma.”
Gauche però non chiese nulla, accettò quel po’ che gli aveva detto e si alzò sbadigliando e stiracchiandosi.
- Dormito bene, comunque? - Chiese facendo come se non fosse successo nulla. Jiggy l’apprezzò e si alzò a sua volta uscendo dalla camera per andare al bagno.
- Molto bene, grazie. - Rispose ricordandosi le buone maniere.
Gauche rimase ad aspettare fuori dalla porta che Jiggy finisse, appoggiato alla parete, pensieroso al ricordo dolce delle loro mani allacciate.
Sapeva che gli piacevano i ragazzi, anche se non aveva mai avuto esperienze in quel settore. Così come sapeva di piacere molto ad Aria, ma che lui invece provava solo del semplice affetto fraterno.
“Quello che provo per lei è ben diverso da quello che mi fa provare Jiggy!”
Pensò con le idee fin troppo chiare.
Quando Jiggy aprì la porta, aveva appena avuto quel pensiero e arrossì inavvertitamente.
- Stai bene? Hai la febbre? - Jiggy gli toccò la fronte senza rifletterci, non un gesto da lui, troppo attento. Quando lo toccò se ne rese conto tardi, aveva superato un limite che non aveva mai superato con nessuno e che non avrebbe certo voluto superare. Si era ripromesso di non legarsi, di non avere contatti, di non avere motivo per essere debole.
Gauche rimase sorpreso, più rosso che mai, senza più la capacità di controllarsi. E Jiggy, realizzando che non era febbre ma imbarazzo, lo trovò carino. Arruffato, in canottiera e pantaloncini. Rosso in un viso solitamente pallido.
“Maledettamente carino!”
Pensò ritirando la mano come se si fosse scottato.
- No, mi sembra che non hai la febbre. - Poi, rigido, andò oltre.
Gauche rimase sorpreso, chiuso in bagno, a toccarsi la fronte.
Era la prima volta che aveva riscontri su quel che aveva sempre pensato. Sapeva d’aver avuto certi pensieri per alcuni ragazzi, ma lì era la prima volta che ne aveva conferma. Che, avendo contatti con uno di loro, si sentiva rintronato e al settimo cielo. Era proprio il suo mondo, quello gli piaceva, quello lui era.
E, senza farsi grossi problemi, l’accettò.

A colazione rimasero un po’ in silenzio, poi la madre cominciò a parlare e le cose scivolarono via come se fossero sempre state normali.
Dopotutto dipendeva solo da loro.

Jiggy e Gauche uscirono insieme di casa e, mani in tasca, con la divisa completa e le lunghe sciarpe bianche che scendevano intorno al loro collo, ripresero a conversare discretamente, tranquillamente, amichevolmente, come se nulla fosse successo.
Del resto ufficialmente non era successo nulla.
- Sai, mi è venuto in mente che conosco una persona… è un amico di famiglia, un fabbro. Sicuramente costruisce cavalli di ferro, o quanto meno ne aggiusta. Sono mezzi rari perché sono poco usati visto che funzionano con il proprio cuore e devi saperlo quantificare, però sono certo che ne ha almeno una, magari vecchia da aggiustare. Intanto che metti via i soldi posso chiedergli se te ne prepara una, così quando potrai prenderla, sarà pronta! - Jiggy rimase colpito dal fatto che si era ricordato di quel piccolo dettaglio di cui gli aveva parlato. Alzò le spalle cercando di non mostrare inclinazioni, sebbene dentro di sé fosse felice di sapere che poteva avere davvero quel mezzo che aveva sempre sognato.
- Grazie, mi piacerebbe. - Un piccolo segno verso di lui.
Un altro. Il cuore di Gauche riprese a battere emozionato e accentuò il sorriso.
Con questo arrivarono all’Alveare, dagli altri già lì che, di nuovo sorpresi, li fissarono in quella dinamica chiaramente d’amicizia. E forse già qualcosa di più.
Se non altro per Largo era evidente, non certo per Aria che era innamorata di Gauche.
- Vi siete incontrati qua fuori? - Chiese la ragazza salutando l’amico.
Gauche guardò Jiggy per sapere se poteva dire che era senza casa e che lo ospitava, ma pensando che sarebbe stato un segno di debolezza che non voleva mostrare, evitò di dire la verità.
- Sì, proprio qua fuori! - Largo però assottigliò gli occhi e si sistemò gli occhiali, sicuro d’aver percepito un’inclinazione sospetta nella voce.