CAPITOLO TERZO

Essere stati amati tanto profondamente ci protegge per sempre, anche quando la persona che ci ha amato non c'è più. È una cosa che ci resta dentro, nella pelle.
Joanne Kathleen Rowling


C’era puzza di medicina e di malattia nella sala d’aspetto del Pronto Soccorso, si respirava il nervosismo delle persone in attesa, la sofferenza di chi sapeva che ormai era finita.
Michele lanciò un occhiata di sfuggita a suo fratello, sospirando.
Era sporco del sangue di Fabio, come lui stesso d’altronde, e aveva un aria così persa che, assieme all’incarnato pallido, lo rendeva davvero spettrale.
Gli circondò le spalle con un braccio, abbassando il viso per poterlo guardare negli occhi. Non voleva vederlo così, odiava quando Sebastiano stava male, odiava non poter fare nulla per cambiare le cose o cancellare i sensi di colpa. In generale odiava sentirsi impotente, ma purtroppo era una sensazione a cui aveva dovuto abituarsi fin troppo presto.
-Sese…- mormorò, stringendolo delicatamente.
Il fratello si morse un labbro, abbassando ulteriormente la testa, consentendo ai capelli neri di coprire gli occhi.
-Fabio guarirà, non è nulla di grave, lo sai-
Usò tutta la delicatezza che era in suo potere per dirlo, ma ugualmente le sue parole sembrarono colpire Sebastiano più profondamente di un urlo.
-Lui ce la farà-
Questa volta il mormorio fu davvero inudibile, ma non ebbe importanza perché Sebastiano poteva sentire le labbra di suo fratello muoversi contro la pelle del suo collo, intuiva le parole anche senza bisogno che fossero pronunciate.
-Lo so…- rispose, con voce strozzata, lasciando andare un respiro più profondo degli altri e abbandonandosi contro Michele.
Fu prontamente stretto dalle braccia del fratello, premette la testa sul suo torace, e continuò:
-Non avrei dovuto dirgli di farlo, non avrei dovuto incoraggiarlo-
Michele alzò gli occhi al cielo, sapeva che suo fratello voleva andare a parare lì, lo conosceva fin troppo bene, e alle volte non sapeva davvero se era una maledizione o una benedizione.
-Fabio non ha dieci anni Sese, sa benissimo quali possono essere le conseguenze delle sue azioni-
Un discorso perfettamente logico e razione, che purtroppo sapeva non avrebbe avuto molto effetto su Sebastiano. Ma sapeva anche che non ascoltava il senso delle parole, suo fratello. La sua mente viaggiava su binari diversi da quelli della gente comune, poteva arenarsi su una parola, o sul suono della sua voce, o sul movimento delle sue labbra. Trovava conforto nelle cose più impensate, ormai Michele lo sapeva e non si preoccupava davvero di cosa diceva, ma curava in modo maniacale i dettagli.
Erano quelli che perdevano o salvavano suo fratello.
Lo strinse forte, aveva avuto più paura per lui che per Fabio e si sentiva uno stronzo per questo, ma non poteva farci nulla.
Fabio era forte, si sarebbe ripreso, sarebbe guarito.
Sebastiano aveva rischiato di perdersi troppe volte per non sentire il sapore amaro della paura avvolgerlo ogni volta che vedeva quello sguardo lì comparirgli in viso.
Quando il medico li chiamò, quasi si precipitarono da lui, fermandosi a un soffio dal travolgerlo.
Li fece entrare dietro la porta che separava la sala d’aspetto dalle piccole salette adibite alle emergenze, e mentre li conduceva dal loro amico li informò:
-Il vostro amico ha subito una frattura al naso e ha alcune costole incrinate, deve stare a riposo per almeno un mese, mantenendo la fasciatura rigida che gli abbiamo applicato sul torace. Preferivo tenerlo sotto osservazione per un notte, ma ha insistito per tornare a casa, ha qualcuno che può stare con lui questa notte?-
Michele annuì immediatamente, stringendo la mano che Sebastiano aveva fatto scivolare nella sua. Non era così appiccicoso di solito, ma gli ospedali gli risvegliavano brutti ricordi, lo sapeva.
Li risvegliavano anche in lui, ma suo fratello era decisamente più emotivo.
-Ma certo, può stare con noi- il medico alzò un sopracciglio e guardò brevemente le loro mani unite, non dovevano dare esattamente l’impressione di due fratelli in crisi per il loro migliore amico, in questo momento.
-Non potrà fare sforzi, né essere coinvolto in nessun tipo di attività.-
E per fortuna Sebastiano era troppo occupato a guardarsi attorno con gli occhioni verdi spalancati, per far caso a quello che stava insinuando il medico.
-Cercheremo di tenerlo a bada allora- rispose a denti stretti Michele, di solito era più freddo e distaccato, ma quella notte aveva ridotto i nervi a pezzi anche a lui. E ci si metteva pure il medico a insinuare che loro facessero orge o cose simili!
L’uomo li guardò ancora per qualche secondo, e in quel momento Michele capì davvero l’irresistibile impulso che colpiva Fabio e Sebastiano in questi casi, quello di shockare la gente per il gusto di vedere la faccia ipocrita di certe persone scandalizzata.
Per fortuna lui non era Fabio, e soprattutto non avrebbe mai e poi mai baciato suo fratello.
Intravide Fabio dietro una tenda tirata male, e strattonò Sebastiano, trascinandoselo dietro e superando il medico.
-Oddio ma quanto siete carini! Posso farvi una foto e tenervi sempre vicini al mio cuore?-
L’accoglienza di Fabio era stata decisamente migliore della precedente.
-Devo dedurne che tu stia meglio- commentò Michele.
-Se avere il naso nascosto da milioni di bende, lividi che ti fanno assomigliare a un panda, punti sparsi per tutto il corpo e una benda elastica che ti impedisce di respirare, significa stare meglio, allora sì, sto meglio-
Dubitava perfino che avesse preso fiato tra una parola e l’altra, era sempre il solito.
Però Sebastiano si era rilassato, smettendola di guardarsi attorno e fissando gli occhi su Fabio, quindi dopotutto le sparate dell’amico erano servite allo scopo.
In effetti però era davvero ridotto male, anche peggio di come si era descritto. I lividi cominciavano a farsi vedere, il naso era sommerso da uno strato di bende impressionanti e aveva un occhio praticamente chiuso.
L’avambraccio sinistro era bendato, così come la mano destra. Supponeva che sotto ci fossero i punti di sutura di cui parlava prima.
-Dai ti porto a casa- lo esortò Michele, dirigendosi verso di lui e porgendogli la mano libera per aiutarlo ad alzarsi.
-A casa di chi?- chiese Fabio, interdetto.
-A casa nostra ovviamente. Non vorrai far prendere un colpo ai tuoi? Ormai sono le cinque del mattino, dove altro vuoi andare ridotto così?-
Fabio spalancò gli occhi, segno che non ci aveva pensato minimamente. Lo sospettava, conosceva l’amico.
-Cazzo- esalò -è vero, non posso presentarmi a casa in queste condizioni- continuò, afferrando la mano e tirandosi in piedi. Si muoveva a fatica ma riusciva a camminare, sembrava il robottino di Walle, però almeno si muoveva autonomamente.
-Starai da noi tutto il tempo necessario, di stanze in più ci sono e troveremo una scusa da dare ai tuoi-
Tutti si zittirono, perché era stato Sebastiano a parlare, non Michele.
Sebastiano che non aveva ancora detto una parola, si era limitato a guardare Fabio in silenzio, uno di quei silenzi strani ed improvvisi che ormai avevano imparato ad accettare come naturali, quasi la sua mente si incagliasse in qualcosa di troppo difficile da affrontare e allora l’unica cosa che riusciva a fare era ammantarla di silenzio.
Le cose facevano meno male in questo modo. Potevi quasi far finta che non esistessero.
Chissà se Sebastiano faceva questo, quando stava zitto e fissava un punto a caso della stanza, con lo sguardo perso.
Chissà se stava facendo finta di non esistere.
Fu un pensiero confuso che attraversò la mente di Fabio, non riuscì ad afferrarlo davvero, era troppo confuso dalle parole di Sebastiano, dalla notte assurda appena passata e dalla voglia spasmodica di stendersi e dormire.
- No, Seba, davvero…-
Cominciò, ma Michele non gli diede modo di finire.
-Sese ha ragione, non se ne parla nemmeno, starai da noi. Non vuoi nemmeno tu che i tuoi si preoccupino no? Inventeremo qualche scusa, vedrai. Ora andiamo- e a lui non restò altro da fare che annuire, perché cosa potevi dire quando Sebastiano ti perforava con lo sguardo in questo modo, e Michele usava quel tono risoluto?
-Fammi solo un piacere- disse improvvisamente Sebastiano. Fabio si girò a guardarlo interrogativo, li stava precedendo all’ingresso con referti in mano.
-Abbraccia Michele mentre io lo tengo per mano, e se becchiamo il medico che ti ha curato, dagli una limonata assurda, ti prego-
Michele li guardò, scuotendo la testa:
-Non ne avete abbastanza voi due di limonare gente a caso?-

La mano di Sebastiano scorreva ritmica e delicata sui capelli chiari di Michele; si infilava in mezzo alle ciocche quasi bionde e le pettinava piano, come piaceva a Michele.
-Ci tieni tanto, a quella festa?-sussurrò, continuando a guardare il fratello, dispiaciuto. Era steso nel letto di Sebastiano, il viso premuto sul cuscino e il corpo rigido. L’aveva trovato così tornando dall’università; entrando in camera sua gli era quasi venuto un colpo vedendo quella figura tutta rannicchiata sul suo letto.
Michele annuì, stringendo i pugni, non si fidava a parlare, temeva di poter scoppiare a piangere da un momento all’altro.
-Ci sarà anche Alice, vero?- chiese, con tutta la delicatezza che possedeva. Ed era molta. Ma nonostante questo Michele sussultò ugualmente, non potendo impedirsi di voltarsi di scatto e abbracciare forte Sebastiano, scoppiando a piangere. Aveva capito tutto ancora una volta, senza bisogno di chiedergli nulla, e lui gliene era davvero grato perché non aveva la forza di parlare, in questo momento.
Nonostante i suoi diciassette anni, sua madre ancora gli impediva di uscire la sera, se non sporadicamente e solo accompagnato da Sebastiano. Era davvero una situazione insostenibile, più per Michele che per Sebastiano. Sebastiano ormai aveva la sua vita, frequentava l’Accademia delle Belle Arti a Venezia e siccome non era proprio vicina a casa, capitava che dormisse fuori se doveva dare esami importanti l’indomani o aveva lezione fino a tardi. Questo diminuiva drasticamente il tempo che potevano passare assieme, e se il fratello almeno aveva gli amici che aveva conosciuto all’università, Michele senza di lui era bloccato a casa.
-Mi dispiace- sussurrò, stringendolo forte, premendogli la nuca contro il suo petto, sapeva che Michele non voleva farsi vedere così, odiava mostrarsi debole.
-Il fatto che io non abbia mai insistito per uscire l’ha illusa che sarebbe andata bene anche con te- continuò poi, usando un tono di voce che a Michele non piacque, non voleva che suo fratello si assumesse colpe che non aveva.
-Smettila- rispose, più duro di quello che avrebbe dovuto.
Sebastiano serrò la presa su di lui e Michele si affrettò a continuare.
-Non è colpa tua, è solo lei che è una fottuta psicopatica, la odio cazzo- il fatto che Michele imprecasse testimoniava quanto fosse fuori di sé.
Sebastiano sospirò, accarezzandogli la schiena, a Michele piaceva quando faceva scorrere le dita lungo la spina dorsale, lo rilassava sempre.
-Sai che non è facile nemmeno per lei da quando papà è morto. Ha il terrore che possa succedere qualcosa anche a noi, ci ama in un modo totale e forse sbagliato, ma penso che se ci accadesse qualcosa ne morirebbe.-
Sussurrò, continuando a riversare sul fratello carezze e tenerezza, sapeva che era l’unico modo per calmarlo.
Lo sentì prendere un lungo respiro, i singhiozzi si quietarono e quando lo sentì assestarsi un po’ nel suo abbraccio capì che il peggio era passato.
- Lo so, ma da quando sei all’università e torni a casa molto meno, lei è come impazzita. Mi ossessiona con tutte le sue raccomandazioni e ci manca poco che mi impedisca perfino di andare a studiare da Rob il pomeriggio. Non ce la faccio più-
La voce che aveva usato era più salda di prima, segno che si stava davvero calmando, ma era ugualmente carica di insofferenza e stanchezza. Sebastiano non poté davvero impedirsi di sentirsi in colpa, anche se sapeva che era giusto che vivesse la sua vita e avesse i suoi interessi. Ma con suo fratello fra le braccia, che tremava leggermente e cercava di non piangere ancora per non ferirlo, era difficile pensare che avesse fatto bene ad andare a studiare così lontano da casa.
-Ci parlo io ok? Vedrai che ti ci lascia andare; se proprio è irremovibile allora verrò con te, così non avrà scuse- Michele si allontanò di scatto per guardarlo, dopo queste parole. Gli occhi sgranati nel viso leggermente appuntito, con i capelli che spiovevano disordinati sul viso, in una delle rarissime volte che lui non se ne curava e li lasciava andare un po’ dove volevano.
-Davvero lo faresti? A quella festa ci saranno solo ragazzini, ti annoieresti a morte…- cominciò, fu interrotto da Sebastiano, che gli posò l’indice sulle labbra per zittirlo, con un sorriso.
-Però ci sarà Alice e tu ci tieni ad andarci. Hai ragione… non sono mai a casa, almeno quando ci sono lascia che mi renda utile.-
E Michele gli rivolse un sorriso così grande da ripagarlo in anticipo per la serata terribile che sicuramente avrebbe trascorso, andando ad una festa di diciassettenni fighetti che sentiva già di non sopportare.


La notte fu una tortura per Fabio, scoprì che non bastava distendersi per evitare il dolore perché appena finiva l’effetto degli antidolorifici non c’era una posizione in cui riuscisse a non sentire male in tutto il corpo. Il medico l’aveva avvertito, ma viverlo era decisamente un’altra cosa. Per questo si ritrovò seduto al tavolo della cucina dei fratelli mentre aspettava che il caffè fosse pronto.
Michele doveva essere andato al bar e sicuramente aveva inventato una scusa convincente con i suoi per giustificare la sua assenza e la futura assenza da casa fino a tempo da stabilirsi.
Sebastiano dormiva ancora, o lavorava chiuso nel suo studio, non ne era certo. Sospirò, alzandosi per versare il caffè e bevendolo in piedi; sembrava davvero un novantenne con problemi di artrite quando si muoveva. Aveva voglia di farsi una doccia o un bagno, qualunque cosa che potesse rinfrescarlo, ma da solo era decisamente difficile.
Prima di tutto doveva svolgere la fascia attorno al torace, quella che comprimeva le costole per rimetterle a posto, poi doveva fare attenzione a non bagnare il braccio sinistro e la mano destra, perché c’erano i punti. Non sapeva davvero come avrebbe fatto, si era rassegnato ad aspettare il ritorno di Michele per pranzo, perché decisamente non era il caso di chiedere a Sebastiano.
Finì di bere il caffè e si diresse lentamente verso il divano, avrebbe guardato un po’ di televisione, fortuna che avevano Sky a casa. Doveva ricordarsi di dire a Michele di passare per casa sua e prendergli il PC, almeno avrebbe avuto da fare. Si prospettavamo giorni di inferno, soprattutto per lui abituato a non stare mai fermo, ma non voleva nemmeno farsi vedere in giro conciato in quel modo, doveva aspettare se non altro che i lividi sparissero un po’. In realtà non voleva che Ginevra lo venisse a sapere, non voleva che si sentisse ulteriormente in colpa, visto che in fondo la colpa era sua, era stato lui il deficiente che non aveva previsto una reazione del genere. Non osava immaginare come si sentisse Sebastiano, a cui era venuta l’idea.
Sembrava il piano perfetto, all’inizio.
L’avrebbe baciata Fabio, così Michele non si sarebbe arrabbiato più di tanto, visto che era gay e lo sapeva, ma Enrico comunque avrebbe pensato che Ginevra fosse già impegnata e l’avrebbe lasciata stare.
Nei loro sogni forse.
In effetti magari era il caso di avvisarla, lei viveva da sola ma aveva due fratelli che erano dei colossi, la proteggevano sicuramente in modo adeguato, ma non era sempre con loro e non avrebbe mai voluto aver scatenato in Enrico reazioni che poi si sarebbero ripercosse anche su di lei. Lasciò andare la testa sul divano, mordendosi il labbro, aveva incasinato le cose più di prima, e ora si ritrova col corpo a pezzi, l’orgoglio maciullato e viveva provvisoriamente dai due fratelli.
Cioè da Sebastiano.
Cioè l’avrebbe visto molto più spesso e volentieri di prima e, porca miseria, avrebbe dovuto stare attento a non farsi scoprire e lui non era per nulla bravo in questo.
Era stato un disastro su tutta la linea.
Michele, poi, era stato davvero un amico fantastico, non se lo meritava un amico così. Non gli aveva rinfacciato nulla, l’aveva spogliato dai vestiti sporchi e ripulito al meglio con una spugna, mentre Sebastiano gli preparava il letto in una delle tante stanze libere, poi l’aveva aiutato a stendersi e si era seduto vicino a lui. In silenzio finché Sebastiano li aveva lasciati soli, poi gli aveva semplicemente accarezzato la fronte e l’aveva guardato, uno sguardo che diceva tutto quello che c’era bisogno di sapere.
Non ce l’ho con te e se solo ti azzardi a pensare che questo sia causa tua finisco il lavoretto di quel bastardo e ti ammazzo io.
Fabio aveva capito alla perfezione quella muta esortazione, aveva annuito e aveva mormorato un:
-Grazie-
Sommesso, prima di chiudere gli occhi. Non aveva sentito Michele andarsene, quindi doveva essere rimato lì fino a che lui non si era addormentato. E oggi era al bar, a lavorare anche al posto suo e coprirlo con i suoi e lui decisamente era una merda.
I suoi pensieri furono interrotti da una porta che si apriva e dei passi trascinati. Si drizzò, per quanto possibile, e si morse le labbra, prima di rendersi conto che erano spaccate e che facevano un male dannato.
Imprecò facendo un movimento brusco e provocandosi una stilettata di dolore alle costole.
Fu così che Sebastiano lo trovò: steso sul divano, pallido come un cadavere, che tirava già tutta la linea genealogica di Enrico, dando appellativi piuttosto fantasiosi alle donne della suddetta.
Si lasciò scappare un risolino leggero, a quella vista, e la tensione e il disagio che aveva provato scomparirono. Era per questo che si trovava tanto bene con Fabio, non sapeva come ci riusciva ma trovava sempre il modo di farlo sentire a suo agio. Con lui tutto sembrava superabile e sopportabile, nella sua testa tutto era sempre più grande e spaventoso di com’era nella realtà, e sembrava che Fabio riuscisse a riportare tutto su un piano che lui poteva riconoscere e vivere.
Solo Michele ci riusciva, prima di Fabio, e questo inizialmente l’aveva sconvolto non poco. Non si era mai posto troppe domande, principalmente perché intuiva che le risposte non gli sarebbero piaciute più di tanto.
Con Fabio stava bene, per ora questo era tutto quello che aveva bisogno di sapere. Aveva sconvolto fin troppo la serenità di quella casa per mandarla in pezzi proprio ora che l’avevano ritrovata da relativamente poco.
-Dovresti scrivere un libro sai, la fantasia non ti manca-
Fu il suo saluto, sentì Fabio trattenere il respiro e cercare di mettersi seduto, imprecando. Aveva delle occhiaie spaventose, che si confondevano coi lividi e lo facevano somigliare più a uno zombie che a un essere umano.
-Sei tu quello che disegna fumetti non io- rispose Fabio, rinunciando al suo proposito e rimanendo sdraiato.
Sebastiano ridacchiò, avvicinandosi al divano e allungando una mano per aiutarlo.
Fabio lo scrutò per un attimo, prima di afferrare la mano e mettersi seduto, sempre a fatica.
-Comunque nemmeno tu hai una bella cera… ma qualcuno ha dormito in questa cazzo di casa?- commentò poi il più piccolo, alzandosi dietro Sebastiano per seguirlo in cucina.
-Ti ho lasciato il caffè in caldo- soggiunse poi, cercando di evitare di farsi andare a fuoco le guance alla vista del sorriso che gli rivolse Sebastiano.
-No, non ho dormito un cazzo. A saperlo organizzavamo un pigiama party-rispose poi il ragazzo, bevendo il caffè e dando un occhiata all’orologio.
Cercava di non guardare troppo Fabio, ogni livido gli ricordava la notte appena passata, il senso di colpa che l’aveva assalito non appena l’aveva visto ridotto in quello stato; la voglia spasmodica di abbracciarlo quando aveva pianto, in macchina, così fragile come mai l’aveva visto.
Era tipico suo, dopotutto, evitare le situazioni che non riusciva ad affrontare. Doveva essere stato uno struzzo in una vita precedente.
-Comunque fra un po’ dovrebbe rientrare Michele, per pranzo, vuoi mangiare qualcosa di particolare?- Fabio sorrise a quella richiesta e aprì la bocca per rispondere, quando l’amico lo precedette:
-Caviale e Champagne non sono previsti-
Il ragazzo richiuse la bocca, contrariato, e borbottò un:
-Quello che vuoi, tanto peggio di così la tua cucina non può ridurmi-
Sebastiano si rabbuiò immediatamente e anche se Fabio non lo stava guardando, sentì scorrere nella pelle l’attimo esatto in cui i pensieri di Sebastiano avevano cambiato rotta.
-Seba, non avrai quest’idea scema e totalmente infondata di essere in qualche modo responsabile di questo, vero?- chiese, con un tono sarcastico e duro, di una durezza che si percepiva sotto il timbro profondo della sua voce e che scosse Sebastiano, spingendolo ad alzare gli occhi su Fabio, che lo stava guardando, serio.
-Io non…- cominciò, si interruppe quando vide il sopracciglio di Fabio scattare e inarcarsi.
-Ok, sì, mi sento responsabile. Ma è naturale, cazzo, sono stato io a…-
Stavolta fu interrotto da Fabio e si stupì di come quel ragazzo fosse riuscito a tirargli fuori una confessione che non pensava avrebbe mai avuto il coraggio di fargli.
-No, Seba, ok? No- disse seccamente, non era davvero arrabbiato con lui, questo Sebastiano lo capì benissimo, però ci teneva a fargli capire quello che pensava e Fabio non era una persona che addolciva la pillola più del necessario.
-Il coglione sono stato io perché tu Enrico non lo conoscevi. Non l’avevi nemmeno mai visto, sono stato io a indicartelo, quindi non potevi sapere che avrebbe reagito in quel modo, mentre io lo conosco. Quando stava con Ginevra è uscito con noi un paio di volte. Io avrei dovuto prevederlo. E in ogni caso non è colpa tua più di quanto sia mia o, per assurdo, di Gin. È stato lui. Lo stronzo è lui e solo lui e non permetterò a nessuno di prendersi carico di colpe che sono solo di quel bastardo, perché vorrebbe dire alleggerirgli la coscienza, per cui è un discorso che non accetto-
Sebastiano rimase per un attimo senza parole, guardando la questione da un punto di vista che non aveva mai concepito. Non si sentiva ancora del tutto libero dai sensi di colpa, però adesso riusciva a guardarlo in faccia e non sentirsi male. Era un notevole passo avanti.
Sorrise, prendendo una pentola e riempiendola di acqua, tenersi occupato era sempre il metodo giusto per indirizzare i pensieri nel canale giusto.
-Ok- sussurrò, sorridendo lieve, un sorriso sincero e un po’ disarmato perché si stava davvero stupendo del modo che aveva Fabio di capirlo e disincastrarlo dai suoi pensieri neri.
Stava mettendo la pentola sul fornello per poi accendere il gas, per questo si perse l’espressione che apparve sul viso di Fabio.
Avrebbe capito molte cose, se l’avesse vista.
-Intendi denunciarlo?- chiese dopo un po’, allungandosi per prendere la pasta sotto gli occhi attenti di Fabio.
Si voltò quando non ottenne risposta immediata e aggrottò la fronte.
Fabio aveva distolto lo sguardo immediatamente, ma gli era sembrato che gli stesse guardando il sedere.
Scosse le spalle, sicuramente si era sbagliato.
-Non lo so a dire la verità- rispose dopo un po’ -Il primo impulso sarebbe quello di correre alla centrale più vicina, ma non vorrei che dopo fosse peggio. Non vorrei che ci andasse di mezzo Gin o tuo fratello-
Sebastiano sospirò, pesando la pasta e poi allungandosi verso il frigorifero, per prendere la cipolla e tagliarla.
Era una cosa su cui aveva riflettuto anche lui, nella lunga notte insonne che aveva passato, e non era riuscito a trovare una soluzione.
-Hai paura che se mai le cose fra quei due si sbloccassero, poi Enrico potrebbe andare davvero fuori di testa- concluse al posto di Fabio.
Annuì, avvicinandosi a lui per prendere una padella e aiutarlo a preparare il condimento per la pasta.
-Ci hai pensato anche tu, quindi-
Commentò Fabio, mescolando la cipolla che soffriggeva, mentre Sebastiano prendeva la conserva e la apriva. Era strano come i loro movimenti fossero in sintonia, sembrava quasi che preparassero da mangiare assieme da una vita. Era strano ma era bello, intimo in un certo senso; come il fatto che discorressero tranquillamente di cose piuttosto serie, mentre precedentemente i loro dialoghi erano centrati per lo più su cose leggere e divertenti, sfiorando raramente temi più seri e importanti. Come se si tenessero a distanza in un modo calcolato alla perfezione, per stare vicini senza esagerare, senza superare una linea di demarcazione che nella loro testa aveva confini ben marcati.
Si chiese se esistesse ancora, quella linea, o tutti i loro sforzi fossero stati spazzati via nello spazio di una notte.
Si chiese se volesse davvero mantenerla ancora, una distanza da Fabio, o se non fosse più semplice arrendersi e vedere dove avrebbero portato le cose.
-Sì che ci ho pensato, e ho concluso che è una situazione di merda, perché lasciare le cose così non è giusto, non è giusto che lui non paghi per quello che ti ha fatto- rispose poi Sebastiano, il tono sommesso e un sospiro che gli scappò dalle labbra.
-Non pensare che io ce l’abbia con me stesso e basta, Fabio. Se potessi andrei da lui e gli spaccherei la testa, perché nessuno ha il diritto di ridurti in questo stato-
All’occhiata stupita che Fabio gli rivolse, non poté impedirsi di distogliere lo sguardo, imbarazzato.
Aveva spalancato gli occhi nocciola, erano luminosi e quasi lucidi e fottutamente belli, e lui doveva allontanarsi prima di fare cazzate.
Era il migliore amico di suo fratello, Cristo.
-Non guardarmi così- sussurrò poi, imbarazzato a livelli quasi illegali. Quei dannati occhi non lo lasciavano e si stavano spalancando sempre di più, come se Fabio stesse capendo qualcosa che prima non aveva nemmeno lontanamente immaginato.
-Scusa- mormorò, però non smise. Continuò a fissarlo in quel modo disturbante, quasi riuscisse a leggergli dentro con una facilità estrema. Sapeva che non era vero, che solo Michele aveva questa capacità, però Fabio sembrava andarci maledettamente vicino.
-Però è bello sentire che vorresti rendermi giustizia… anche se non ce ne davvero bisogno- ed il tono in cui pronunciò questa frase era davvero dolce, non l’aveva solo immaginato. Tornare a guardarlo era quasi un obbligo, perché stava succedendo qualcosa e non era sicuro di volerlo, come d’altro canto, non era sicuro di non volerlo.
Forse era solo che quella notte aveva abbassato le loro difese più del consentito.
Scosse le spalle, nonostante i lividi quello di Fabio era davvero un bel viso, e i tatuaggi, compreso lo scorpione sul collo, non riuscivano a sminuire nemmeno un briciolo dell’attrazione che esercitava su di lui.
-Ogni tanto è necessario essere difesi, che qualcuno ci ricordi che siamo importanti, speciali- disse piano Sebastiano, e Fabio sussultò perché nessuno gliel’aveva mai detto. Non così almeno, non con questa convinzione, non con quello sguardo intenso e perforante, lo sguardo di Sebastiano che adorava di più, perché era quello capace di togliergli il sonno.
Non che non nessuno si fosse mai innamorato di lui, ma lui non aveva mai permesso che nessuno si avvicinasse in questo modo, non aveva mai davvero avuto una storia importante, non si era mai innamorato, prima di Sebastiano. E così ora era davvero strano, ma anche davvero bello, sentirsi dire una cosa del genere da qualcuno che per lui era così importante.
Poteva quasi sentire il cuore battere all’impazzata, uscire fuori dal petto per riempire la stanza, era un momento intenso da far male, ma nessuno dei due sembrava volesse sottrarvisi.
-A volte dici delle cose che…- cominciò Fabio, senza realmente pensare, perché lui era fatto così.
Accedeva raramente il filtro tra il cervello e la parola.
-Non so, starei ore ad ascoltarti-
Ebbe il tempo di vedere Sebastiano arrossire e si incantò, perché era uno spettacolo davvero unico, ma non ebbe il tempo di ascoltare la sua risposta. La porta venne aperta e l’atmosfera si spezzò, mentre Michele correva dentro la stanza e chiudeva il fuoco sotto la salsa, borbottando.
-Ma che stavate facendo? Vi contavate le pagliuzze degli occhi? Si stava bruciando tutto!-
Esordì, guardando prima uno e poi l’altro, inarcando un sopracciglio quando li vide distogliere lo sguardo e mettersi a fare due cose differenti con una sincronia davvero invidiabile.
Sebastiano buttò la pasta nell’acqua ormai calda, Fabio cominciò ad apparecchiare la tavola.
Prima che potesse chiedere spiegazioni, tuttavia, Fabio parlò, stranamente nervoso.
-Michi mi aiuti a lavarmi dopo? Con questo caldo l’idea di una doccia mi sta uccidendo-
Michele era troppo occupato a ridere, dimenticandosi l’atmosfera strana che aveva percepito entrando, per notare Sebastiano irrigidirsi e borbottare qualche imprecazione sottovoce.
-Sì, anche se non so quanto una doccia sia l’ideale… non potresti comunque usare entrambe le braccia, forse è meglio un bagno fresco-
Fabio annuì, frenetico, qualsiasi cosa pur di allontanarsi da quella stanza e concedersi finalmente un po’ di acqua fresca addosso.