CAPITOLO QUARTO

Tieni il tuo cuore in questa oscurità;
la luce ti farà risplendere
o ti farà cadere lasciandoti bloccato?
O tu sarai il solo a rimanere in piedi?
-My Chemical Romance-

Ginevra era seduta sul divano, composta, rigida quasi, torcendosi le mani nervosamente. Ogni tanto lanciava un occhiata a Fabio, per poi abbassare subito lo sguardo e sospirare.
L’avevano chiamata quella sera stessa, non appena Michele era tornato a casa dal bar. Ne avevano già parlato assieme a pranzo, concludendo che la cosa migliore era coinvolgere la ragazza e decidere con lei quale strada percorrere.
Il pomeriggio poi era passato lentamente, almeno per Fabio.
Michele era tornato al bar, Sebastiano si era chiuso nel suo studio a lavorare al nuovo fumetto di cui era il disegnatore e Fabio aveva guardato la televisione fino ad annoiarsi a morte. Tuttavia andare a chiedere compagnia a Sebastiano non sembrava davvero un opzione considerabile.
E ora la ragazza stava lì, con i suoi occhioni castani e dolci puntati su Fabio.
-Dio Santo, dovrò farmi una foto e spacciarla in giro, almeno così la smetterete tutti di fissarmi in questo modo.-
Il tono non voleva essere davvero così acido, tuttavia dopo un pomeriggio di noia mortale non riusciva ad essere accomodante e spiritoso come sempre.
-Fabio.- Michele disse solo questo, ma fu sufficiente.
-Mhh, scusa Gin, non volevo. Ma vorrei evitare tutto il teatrino dell’ ‘è colpa mia oddio scusa’, visto che l’ho già superato con questo qui, prima.- tentò di scusarsi Fabio, indicando Sebastiano che stava seduto sul divano, rannicchiato a guardare tutti gli altri come se quella fosse una questione che non lo riguardava affatto.
Ginevra sbuffò, sistemandosi i capelli lunghi dietro la schiena, con uno scatto nervoso.
-Non era mia intenzione iniziarlo Fabio. Non ho interesse nell’assumermi colpe che non mi competono. Né che competono a voi, visto che la responsabilità di tutto questo è solo di Enrico-
Fabio si rilassò, Michele sorrise a Ginevra e Sebastiano la guardò, quasi stupito. Lui la conosceva davvero poco, ma a quanto sembrava era una persona che sapeva come prendere in mano la situazione e dire la cosa giusta al momento giusto.
-Quindi suppongo che la questione per cui mi avete chiamata sia il provvedimento che intendete prendere- disse poi la ragazza, stringendo il bicchiere di Coca Cola che le avevano offerto e bevendone un sorso.
Fabio annuì, cercando di bere anche lui un sorso di birra senza sfiorare il labbro spaccato.
Gli piaceva Ginevra, era in gamba e non si perdeva dietro falsi moralismi, aveva affrontato la questione di Enrico con molta praticità: all’inizio l’aveva compreso, dedicandogli tempo e attenzione per cercare di fargli capire le sue ragioni, che era finita davvero e che doveva rendersene conto. Poi si era allontanata progressivamente per mettere distanza e consentire ad Enrico di togliersela dalla testa. Quando tutto questo non aveva funzionato, allora era diventata fredda e scostante, tagliando di netto i ponti con lui e non facendosi spaventare dalle sue minacce.
Tuttavia ora Enrico aveva decisamente passato il segno.
Neppure lei aveva previsto una reazione del genere, Fabio lo sapeva.
-Spero che vorrai denunciarlo Fabio-
Disse quindi la ragazza, stupendo tutti.
-Ha esagerato e deve capirlo, deve capire che non è un gioco, che non può andare in giro a picchiare la gente, che ha seri problemi di origine psicotica e che ci siamo tutti stufati delle sue cazzate.-
Espose, seria e fredda, glaciale quasi. Era arrabbiata, ma arrabbiata in un modo che nessuno dei tre ragazzi aveva mai visto, e nessuno avrebbe scommesso un centesimo che la sua rabbia si potesse esprimere in questo modo gelido.
-Gin, io voglio denunciarlo quanto te, ma ho paura che poi lui possa rifarsi su di te, capisci?-
Rispose Fabio, era questa l’unica cosa che l’aveva trattenuto fin dall’inizio, finché picchiavano lui si sarebbe difeso, ma lei? Non avrebbe sopportato l’idea di metterla in pericolo.
A quel punto Michele si inserì, rivolgendosi a Fabio:
-Non credo che tu abbia molta scelta. Di certo non vuoi che la passino liscia no?-
E quando Fabio si voltò di scatto verso di lui, non fu davvero perché voleva rispondergli male, quanto perché quella notte era stata devastante, quella mattina l’aveva confuso e il pomeriggio l’aveva passato a rigirarsi i pensieri nella testa senza fare nulla, cosa a cui lui non era assolutamente abituato.
Per questo usò un tono insofferente e arrogante quando disse:
-Tu non centri Lesizza, non dire cazzate e lasciami parlare con lei-
La reazione di Michele stupì tutti, tranne Sebastiano.
Di solito si sarebbe limitato ad alzare gli occhi al cielo e lanciargli una sberla leggera dietro la nuca, riprendendolo.
Stavolta si alzò in piedi, il viso paonazzo e le labbra serrate, non lo picchiò perché, davvero, non era il caso ridotto com’era.
Ma fu chiaro a tutti che l’avrebbe fatto più che volentieri.
-Non azzardarti a fare lo splendido adesso!Tu sei l’essere più idiota e coglione che io conosca, non solo baci Gin, Gin cazzo! Lo sai quanto ci tengo a lei! Ma pure la metti potenzialmente in pericolo! Ma si può sapere cosa stavi pensando quando l’hai fatto? Ai Miny pony che viaggiano nel tuo cervello al posto dei neuroni?Non hai pensato che forse Enrico non l’avrebbe presa bene? Non hai pensato che avresti potuto ritrovarti con una cazzo di bottiglia di vetro conficcata nel braccio, le costole un colabrodo e il viso peggio degli zombie nel ‘ritorno dei morti viventi’? No tu non hai proprio pensato!-
Non diede a nessuno il tempo di replicare, uscì dalla stanza sbattendo la porta, lasciando dietro di sé un silenzio surreale.
Quando Sebastiano e Fabio, contemporaneamente, diedero segno di volerlo seguire, Ginevra li bloccò con un cenno della mano, in modo così autoritario da ridurli all’immobilità.
-Vado io- disse solo, e nessuno si azzardò a contraddirla.
Lo raggiunse che Michele stava dando calci al muro della cucina, imprecando. Non perdeva mai il controllo in questo modo, lui era quello razionale e calmo che sapeva sempre cosa fare e come affrontare le situazioni, ma c’era di nuovo che si era stufato di questo stato di cose, e non ce la faceva più.
Smise quando sentì il tocco leggero di Ginevra posarsi sulla sua spalla.
-Michi- disse solo, ma bastò per calmarlo.
-Scusa, non volevo urlare in quel modo- borbottò il ragazzo, senza voltarsi. Dopo quello che aveva detto non era sicuro di riuscire a guardarla in faccia.
Per un momento non disse nulla, limitandosi a stringere la presa sulla spalla, poi l’altra mano salì a circondargli il viso, il piccolo palmo non riusciva a contenere tutta la guancia, ma ebbe il potere di far voltare finalmente il ragazzo.
Quello che vide gli fece trattenere il fiato. Il viso della ragazza si era sciolto in un sorriso dolce, non avrebbe mai sperato di vedersi rivolgere un sorriso del genere, né di vedere il viso di Ginevra avvicinarsi sempre di più, fino a sfiorare il naso con il suo, e fermarsi lì.
-E’ vero che ci tieni a me?- sussurrò, a un millimetro dalle sue labbra.
E anche se in quel momento le connessioni neurali di Michele gli stavano mandando cartoline dalle Maldive, riuscì a sussurrare un:
-Sì- strozzato, prima di avvicinarsi definitivamente alle sue labbra e accarezzarle dolcemente con le proprie.
L’attimo dopo l’aveva stretta tra le braccia, una mano saldamente appoggiata sulla sua nuca, incastrata fra i capelli, a tenerla ferma anche se non ce n’era nessun bisogno.
Non sarebbe mai voluta scappare per nessun motivo, Ginevra, soprattutto ora che Michele la baciava come se esistesse solo lei in tutto il mondo.

Nell’altra stanza, intanto, Fabio stava stringendo a pugno le mani, così forte da farsi male, ma non importava. Non aveva mai visto Michele ridotto così e sapeva che aveva tirato troppo la corda, che le cose che gli aveva urlato contro erano tutte vere e che lui era una testa di cazzo colossale. I punti tiravano ma lui non ci fece caso. Si meritava di stare così, era lo scotto per la sua immensa stupidità, ecco.
Solo quando la mano di Sebastiano si infilò nella sua, ad aprirgli le dita e intrecciarle lieve con le proprie, Fabio si riscosse dai suoi pensieri e lo guardò, stupito.
Non lo aveva sentito avvicinarsi,era stato seduto dall’altra parte della stanza e l’aveva ignorato tutto il tempo, e adesso invece di difendere suo fratello gli prendeva la mano e non accennava a lasciarla.
-Me lo sono meritato- bisbigliò Fabio, senza accennare a lasciare la mano perché insomma. Se a Sebastiano non dava fastidio lasciarla là, chi era lui per toglierla?
Sebastiano sorrise, lieve, e fu uno di quei sorrisi che Fabio adorava, tutti fossette e accompagnati da uno sguardo quasi tenero.
-No invece. O almeno non solo tu. Ma Michele è stanco ed è fatto così. Pretende sempre di farsi carico di tutto e di tutti e quando poi non ce la fa se la prende con se stesso per non essere riuscito a proteggere le persone che ama.-
Fabio aprì la bocca, stupito, ma non ebbe modo di parlare perché Sebastiano gli posò due dita sulle labbra e continuò:
-Non è davvero arrabbiato con te, anche se probabilmente pensa davvero le cose che ti ha detto. È principalmente arrabbiato con se stesso, non sopporta l’idea di non esserci stato quando avevi bisogno di lui, non sopporta l’idea di averti lasciato da solo mentre cadevi nel tuo personale inferno e lui ti guardava impotente, incapace di capire cosa fare per tirartene fuori. Così alla fine ha fatto qualcosa ma non è stato sufficiente e tu ora sei così chiuso e stupido ed egoista, da non capire che anche lui soffre quanto soffri tu e che non è giusto rovesciargli tutte quelle responsabilità sulle spalle. E adesso non sai bene cosa fare perché lui è spezzato quanto te, ma tu hai lui che ti rimette assieme, mentre lui chi ha?-
Solo il silenzio accolse questo lungo monologo, a Fabio era stato chiaro fin dalle prime parole che Sebastiano non si stava rivolgendo a lui. Non stava parlando di lui e Michele ma di sé stesso. E non aveva mai avuto idea che il rapporto fra loro potesse nascondere tutto questo.
Non aveva mai avuto idea che tutti e due nascondessero questa sofferenza e questa capacità di capire l’altro talmente in profondità da farsi male.
Michele voleva proteggere Sebastiano almeno tanto quanto voleva farlo Sebastiano con Michele. Solo che capirlo provocava solo sofferenza in entrambi ed era una cosa strana e contorta, forse, ma anche terribilmente bella.
Perché era vero quello che aveva detto Sebastiano quella mattina.
Tutti avrebbero dovuto avere qualcuno che si preoccupasse per loro in questo modo, tutti avrebbero dovuto avere qualcuno da considerare speciale e che li considerava speciali a sua volta.
Ma era anche terribilmente triste perché non capivano che facendo così si facevano solo del male a vicenda, non capivano che esisteva un momento in cui una persona doveva farcela da solo, e ferirsi, farsi male, morirne anche.
Ma c’erano cose che andavano affrontate e gli altri potevano solamente raccogliere i pezzi dopo, ma non affrontarle al posto tuo.
-Shhh- sussurrò Fabio, posando a sua volta due dita sulle labbra di Sebastiano. Quelle dell’altro erano ancora sulle proprie, così che ora, a vederli da fuori, risultavano vagamente comici, ma a loro non importava davvero.
Era l’unico momento che Sebastiano gli aveva concesso per vedere dentro di lui in profondità, l’unico momento in cui aveva abbassato la guardia e si era mostrato e lui ne era onorato, sì.
-Ho capito. Davvero. Non ce l’ho con lui, né con nessuno. Va tutto bene- mormorò, non sapeva cos’altro dire e non gli sembrava il caso di aggiungere parole inutili che avrebbero potuto solo fare del male.
L’espressione di Sebastiano si contorse, come se fosse stato colpito da qualcosa di pesante e doloroso; gli occhi si spalancarono, stupiti, e la bocca si socchiuse, sotto le dita di Fabio. Forse si stava rendendo conto di quello che aveva detto solo in quel momento.
Accennò a parlare, ma Fabio premette le dita sulle labbra e strinse la mano ancora intrecciata alla sua, mentre scuoteva il capo e sussurrava:
-Non dire nulla. Non ce n’è bisogno-
E poi vedendo l’espressione di Sebastiano ricomporsi, a fatica, vedendo i suoi occhi farsi lucidi e la mano stringere la sua spasmodicamente, non poté fare a meno di dire:
-Vieni qui-
Per poi stringerlo forte, e sospirare quando le mani di Sebastiano artigliarono la sua maglietta e la testa si posò sull’incavo del suo collo, appallottolandosi tutto nel suo abbraccio, come volesse scomparirvi dentro.
-Grazie-
Disse solo Sebastiano, mentre Fabio gli accarezzava i capelli e la schiena, reprimendo l’impulso di alzargli il viso e baciargli via quell’espressione persa e confusa. Si stava perdendo per Sebastiano sempre di più, e non era sicuramente una cosa positiva.
Tuttavia non riusciva davvero a pentirsene.

Era strano per Michele guardare Sebastiano interagire con sua madre. Non che lui la odiasse davvero, però non riusciva a guardarla senza provare quel risentimento che piano piano l’avvelenava. Era sua madre, non avrebbe dovuto sentirsi in quel modo, non voleva sentirsi in quel modo, però non poteva farne a meno.
Sebastiano invece preparava il caffè, lo versava in tre tazze e lo portava a tavola, si sedeva accanto a loro e poi, con una naturalezza disturbante, le prendeva la mano, accarezzandola teneramente.
Era disturbante anche guardare il modo in cui sua madre osservava suo fratello, con un affetto che sconfinava nell’adorazione.
Erano così dannatamente simili da non avere bisogno di parole per capirsi.
Lui aveva dovuto faticare per entrare nel mondo di Sebastiano, per capirlo, per riuscire a muovercisi bene. Sua madre sembrava essere sempre a un livello superiore al suo, sembrava che quel mondo l’avesse creato lei e vi si muoveva con una sicurezza che aveva imparato ad odiare. Un sentimento che reprimeva a fatica, stringendolo in un angolo di sé e negando fino allo sfinimento che esistesse, ma in momenti come questo, mentre sentiva sua madre e Sebastiano parlare dell’università e dei progetti futuri del fratello, non riusciva a sopprimerlo con la solita efficienza.
Era ingiusto e lo sapeva, dopotutto era stata sua madre a insegnare a Sebastiano a disegnare, anche solo per questo motivo il fratello le sarebbe stato per sempre grato.
Non sapeva dire, in tutta onestà, se era più geloso di lei o di lui.
Di entrambi probabilmente.
Osservava tutta l’attenzione che suo fratello aveva per lei e si sentiva un po’ morire.
Aveva un modo speciale di guardarla: ogni volta che lei si incupiva lui lo intuiva infallibilmente, allora le accarezzava il viso, le sorrideva, le diceva qualcosa di stupido e di tenero, e lei tornava a sorridere, luminosa.
Con lui non era mai stata così.
Quando era triste non bastava una sua parola per farla sorridere. Strinse i pugni, sotto il tavolo, abbassando un po’ la testa a fissarsi le scarpe. Sapeva che le cose andavano in questo modo, ormai conosceva il modo che avevano quei due di estraniarsi dal mondo per entrare nel loro, non avrebbe dovuto ferirlo come invece faceva.
Non era sua abitudine esibirsi in scene di cattivo gusto, era sempre molto controllato e razionale, ma quando aveva a che fare con loro due sembrava che la razionalità andasse in vacanza alle Maldive.
Per questo si alzò di scatto dal tavolo, finendo in fretta il suo caffè e dirigendosi verso la sua camera, borbottando un:
-Devo finire i compiti- che sapeva di scusa lontano un miglio.
Non riusciva a sradicare dalla testa la sensazione, precisa e orribile, di essere escluso.
Si era rintanato in camera sua, infilandosi le cuffie e aprendo davvero un libro a caso, quando qualcuno gli tolse le cuffie dalle orecchie. Non ebbe certo bisogno di girarsi a guardare per capire chi era stato.
Rivolse un’occhiata rabbiosa a Sebastiano e tornò a concentrarsi sul libro.
Era una scenata da bambino, non da diciottenne, ma in quel momento non gli interessava molto.
-Che vuoi?- chiese, sgarbato.
Sebastiano sospirò, sedendosi accanto a lui e piantandogli addosso i suoi occhi verdi, di quel verde screziato d’oro che incantava chiunque.
Che incantava lui.
Non disse nulla. Non che ce ne fosse bisogno.
Sotto quello sguardo Michele si sgonfiò improvvisamente, sentendosi stupido e infantile. Erano suo fratello e sua madre, era assurdo essere geloso del loro rapporto.
-Non dire niente- disse, distogliendo lo sguardo a disagio.
-Lo so che è da idioti, ma non riesco a farci niente-concluse, afferrando una matita e cominciando a scarabocchiare i bordi del libro.
-Sai perché è da idioti?- replicò suo fratello, togliendogli la matita dalla mano e stringendogliela, usando la stessa tenerezza che aveva usato prima con sua madre. Forse era proprio questo a disturbarlo, rifletté distrattamente Michele, forse lui voleva essere l’unico a cui Sebastiano riservava quella dolcezza, quell’attenzione.
Scosse il capo.
-Perché siete le persone più importanti della mia vita e non riuscirei a immaginarmi senza di voi. Perché con lei c’è un affinità incredibile, ma sei tu che riesci sempre a trovarmi, quando mi perdo nei miei pensieri emo. Senza di lei sarei forse perso, ma senza di te non sarei niente.-
la dolcezza con cui lo disse arrivò dritto al cuore di Michele, strappando qualche arteria per fare prima. Come faceva Sebastiano a dire quelle cose con tutta quella semplicità? Cose che lui non riusciva nemmeno a dire a sé stesso, cose che avrebbero imbarazzato qualunque essere umano.
-Vorrei davvero essere in grado di volerle il bene che le vuoi tu- sussurrò, era sua madre dannazione, certo che avrebbe voluto. Invece si ritrovava a osservarla con un distacco sempre maggiore, la sola idea che lei capisse qualcosa di Sebastiano che a lui non era concesso, lo faceva impazzire. Si sentiva vagamente orribile, per questo.
-Ma tu gliene vuoi, solo che lo fai in modo diverso da come lo faccio io. Non amiamo tutti allo stesso modo Michi, e solo perché ti sembra di odiarla, a volte, non vuol dire che in realtà tu la odi davvero.-
E ora arrivava addirittura a salvarlo da tutto il male che stava arrivando a pensare di sé stesso.
-Vorrei capire cosa vedi tu in lei che io non riesco a vedere-sussurrò Michele, guardando intensamente Sebastiano negli occhi. Era una cosa che si era sempre chiesto. Al di là dell’amore per l’arte che avevano in comune, al di là del mondo che riuscivano a condividere, perché Sebastiano la adorava così tanto, nonostante tutto quello che aveva fatto loro?
-Cosa vedo in lei?- ripeté a bassa voce il fratello, abbassando per un attimo la testa e poi rialzandola per guardarlo con un intensità quasi dolorosa. Era una donna che si era annullata nell’amore per il marito e quando questi era morto era morta anche lei. L’amore ossessivo e malato che provava per i figli, per Sebastiano in particolare, era solo un pallido riflesso della scintilla vitale che l’aveva posseduta prima.
-Me stesso- rispose infine Sebastiano.
Solo un anno dopo avrebbe capito cosa intendeva suo fratello con quelle parole.

-Mi sto annoiando!- proruppe Fabio, stravaccato sul divano dello studio di Sebastiano. Quest’ultimo alzò gli occhi al cielo, cercando di ignorarlo. Stava lavorando, stava intensamente provando a lavorare con tutto sé stesso, ma non era un compito facile con Fabio steso a pochi metri da lui che parlava ogni due secondi, non accettando il fatto che lui aveva bisogno di silenzio e concentrazione per lavorare.
-Io no- rispose Sebastiano, tracciando una linea a china e imprecando a mezza voce. Era colpa di Fabio che stava steso mezzo nudo sul suo divano, in quella posa assolutamente indecente.
Come poteva pretendere di riuscire a lavorare, poi? Afferrò la lametta e cominciò a raschiare, ma non sarebbe mai riuscito a rimediare a quel disastro.
Era già il terzo foglio che rovinava.
-Cazzo, Fabio, si può sapere perché hai deciso che non puoi lasciarmi lavorare in pace ma devi assolutamente invadere la mia sacrosanta privacy?-
Esclamò voltandosi verso il ragazzo, e non era stata decisamente una buona idea, perché oh! Fabio ora si stava accarezzando lo stomaco, facendo scorrere le dita su e giù lungo la pelle leggermente abbronzata, e Santo Cielo, quanto avrebbe voluto sostituire quelle dita con la sua lingua.
Ma poi doveva ancora capirlo quando si era trasformato in un essere grondante desiderio e demenza alla sola vista di Fabio.
Che era bisessuale l’aveva sempre saputo, anche se l’unico che era a conoscenza della storia disastrosa che aveva avuto con un coetaneo ai tempi del liceo, era Michele. Che gli piacesse Fabio l’aveva sempre sospettato, ma era riuscito sempre a lasciare quel desiderio in un angolino di sé, senza farci molto caso.
Il fatto che si vedessero poco aiutava.
Probabilmente per questo motivo ora che l’aveva in giro per casa notte e giorno non riusciva più a trattenere i pensieri.
-Suona strano sentir parlare di Privacy uno che ha la camera dipinta di nero e dorme nudo- replicò Fabio, asciugandosi il sudore che cominciava a scendere dalla fronte.
-Appunto perché dormo nudo ho bisogno della mia privacy-
Commentò Sebastiano, voltandosi definitivamente verso di lui, arrendendosi all’evidenza che il ragazzo non aveva nessuna intenzione di lasciarlo stare.
-Cosa vuoi fare Fabio?- chiese, sapendo già che si sarebbe pentito di quella domanda. E non perché suonava equivoca perfino nella sua testa.
-Un bagno!- rispose Fabio entusiasta, con la solita allegria che sfoggiava quando finalmente aveva l’attenzione di chi desiderava.
Gli faceva un effetto strano pensare che questa volta l’attenzione che voleva era la sua.
-Ma l’hai fatto ieri!- esclamò, con una sfumatura di puro panico nella voce.
E di solito ti aiuta Michele, cazzo, per motivi che sia io che te sappiamo alla perfezione. Soggiunse mentalmente.
Ma a quanto pareva, questa volta Fabio aveva deciso di mandare all’aria il delicato equilibrio che reggeva la loro convivenza forzata e momentanea, visto che rispose:
-Eh, ma fa caldo! Se tu vuoi puzzare come un caprone e non ti lavi ogni giorno non è colpa mia!- berciò Fabio, imbronciando le labbra in un modo così delizioso che Sebastiano afferrò i braccioli della sedia con forza, per impedirsi di levare via quel broncio mordendoglielo.
-Non puoi aspettare Michele?- chiese, tentando un’ultima difesa.
Fabio inarcò un sopracciglio, guardandolo con uno stupore che sarebbe suonato falso perfino a un bambino di cinque anni.
-Ma hai problemi ad aiutarmi per caso? Ti turbo?- e la sfacciataggine con cui glielo chiese gli fece venire voglia di picchiarlo ulteriormente.
Poi Fabio si chiedeva perché faceva quest’effetto alla gente.
Andava in giro a provocare impunemente!
Da lì gli venne l’illuminazione. Fabio lo stava provocando, cazzo! Lo stronzo doveva aver capito qualcosa e ora stava evidentemente testando quello che la sua testolina bacata aveva intuito.
Strinse i denti, sorridendogli a sua volta, altrettanto falso.
-No ma che dici. Perché mai dovresti turbarmi in qualche modo? Su dai, andiamo, che tanto ormai per oggi ho capito come gira-
Fabio non saltellò in piedi per il semplice fatto che, anche se era ormai passata una settimana, le costole facevano sempre un male dannato.
Almeno l’occhio era tornato normale, il labbro era guarito e il naso si stava riprendendo.
Per sfortuna di Sebastiano però, i punti ancora non li avevano tolti.
Fu mentre riempiva la vasca con acqua prevalentemente fredda, che Sebastiano realizzò davvero la portata di quello che si era impegnato a fare tanto a cuor leggero.
Fabio si stava togliendo i pantaloni, con notevoli smorfie di dolore per via del doversi piegare così tanto; per un attimo ebbe il terrore che si sarebbe tolto anche i boxer, ma per il momento fu fortunato. Certo che effettivamente non poteva farsi il bagno con quei dannati boxer addosso.
Porca puttana, sarebbe stato un pomeriggio maledettamente lungo.