CAPITOLO SETTIMO

Ho amato fino alla follia, ma quello che gli altri chiamano follia per me è l’unico modo sensato di amare. 
-Françoise Sagan-

Ogni volta che Michele tornava a casa aveva paura. Non poteva farci nulla, era più forte di lui. La paura irrazionale e potente di non trovarci più Sebastiano. E forse non era così irrazionale, ma perfettamente comprensibile, ed era questa la cosa orribile.
Anche quel giorno aprì la porta di casa, chiamando immediatamente il fratello. Fosse stato per lui non lo avrebbe mai lasciato, nemmeno per andare al lavoro, ma di qualcosa dovevano pur vivere visto che Sebastiano non lavorava. Il fatto che la casa fosse loro era già un grande aiuto. 
Non sentì nessuna risposta e si accigliò, posando le chiavi della macchina sul mobile dell’ingresso e andando a cercarlo. In cucina non c’era, in salotto nemmeno. Salì al piano di sopra e controllò le camere. Prima la sua, perché ormai Sebastiano praticamente dormiva con lui. Niente. Aprì le altre velocemente, lasciando la camera di sua madre per ultima. Era impossibile che fosse lì, ma le vette di masochismo che suo fratello riusciva a raggiungere erano davvero incredibili a volte. Comunque niente nemmeno lì. 
Cominciò a sudare freddo, perché rimanevano solo i bagni e lui non li aveva aperti perché aveva il terrore di trovarcelo. 
Trovarlo nella vasca con i polsi tagliati. 
Era stupido, Sebastiano non lo avrebbe mai fatto, però era da mesi che andava avanti quella storia, era da mesi che suo fratello tornava a casa ubriaco perso a notte fonda e di giorno stava immobile in un punto della casa, senza fare nulla se non pensare. Michele era esausto, terrorizzato e ci sarebbe morto dietro questa storia. Sentì le lacrime salirgli agli occhi mentre apriva con mani tremanti la porta del bagno del piano di sopra. Quando lo vide vuoto si mise una mano davanti alla bocca, per soffocare il singhiozzo che minacciava di uscirgli. Si precipitò fuori e scese le scale di corsa. Quando aprì la porta del secondo bagno tremava vistosamente. 
Niente. 
Per un attimo fu tentato di rannicchiarsi lì, nello spazio fra il box doccia e il lavandino, era piccolo ma lui ci sarebbe stato. Si sarebbe infilato lì, si sarebbe rannicchiato su se stesso e avrebbe aspettato. Avrebbe aspettato di vedere se suo fratello sarebbe venuto a prenderlo. Come quando erano piccoli e lui era triste per qualcosa e si nascondeva in un punto della casa, piangendo. 
Suo fratello era sempre l’unico in grado di trovarlo, con un istinto infallibile. 
Solo che ora non era sicuro che l’avrebbe fatto, non era sicuro che lo sarebbe venuto a cercare. Non lo fece proprio per questo motivo. 
Non era bello nascondersi quando sapevi che nessuno ti sarebbe venuto a cercare. 
Rimaneva solo la cantina da controllare.
Scese le scale con gli occhi annebbiati dalle lacrime, senza nemmeno guardare dove metteva i piedi. Quando aprì la porta del seminterrato le lacrime gli impedirono di vederlo subito. Quello che vide fu che la stanza era stata sgombrata da tutte le cianfrusaglie, era stata ripulita completamente, probabilmente la roba che c’era prima ora riposava nel giardino sul retro, in attesa di essere buttata. 
In un angolo della stanza completamente vuota, c’era suo fratello.
Era rannicchiato per terra e ogni tanto si dondolava su se stesso.
Fu lì che gli argini si ruppero completamente, lasciò andare le lacrime e i singhiozzi, tutto il suo corpo ne fu scosso; si lanciò contro suo fratello e lo strinse forte, così forte da temere di romperlo, anche se Michele era decisamente più piccolo e magro di Sebastiano. Erano dimagriti tantissimo entrambi nell’ultimo periodo, e se Sebastiano ora aveva acquisito una forma che prima gli mancava, Michele sembrava solo uno scheletro ambulante. 
-S-sei qui- balbettò Michele, stringendosi suo fratello al petto e continuando a piangere. 
-Non farlo mai più, non hai idea di che paura ho avuto- continuò a sussurrare, dondolandosi sul posto, facendo scorrere le mani lungo il corpo del fratello, sui capelli, sul viso, per assicurarsi che fosse davvero lì, che stesse bene. 
Il fratello lo guardò negli occhi, confuso. Probabilmente aveva perso la cognizione del tempo e dallo vacuo che gli rimandava non capiva il motivo di tutta questa paura. Si era perso nel suo mondo da mesi ormai, vi si era addentrato quando era morta sua madre, e si era perso definitivamente quando Laura l’aveva lasciato. 
Non pensava che vi avrebbe più fatto ritorno.
Si lasciò stringere, comunque, perché era sempre bello quando Michele lo abbracciava, erano gli unici momenti in cui sentiva di poter fare ritorno, gli unici momenti in cui gli sembrava di intravedere il sentiero che l’avrebbe condotto fuori dalla sua follia. 
Appoggiò la testa sull’incavo del suo collo, annusandolo, il suo odore gli ricordava vagamente quello di mamma, era odore di famiglia, odore di buono. 
Riusciva sempre a calmarlo.
Quando parlò, Michele ebbe un sussulto. Era una delle pochissime volte che lo faceva, e non per delirare come quando era ubriaco o per rovesciargli addosso fiumi di tristezza, ma per fargli una richiesta ben precisa.
-Mi compri della vernice nera? Voglio dipingere il seminterrato di nero. E rosso anche. Sarei uscito io ma…- alzò la testa, guardandolo smarrito.Vide lo sguardo di suo fratello intenerirsi, gli sorrise e gli posò la mano sulla nuca, attirandolo nuovamente a sé.
-Ti compro tutto quello che vuoi- sussurrò Michele. 
Sebastiano tornò a rannicchiarsi nel suo abbraccio, soddisfatto.
Lui non riusciva a trovarsi, ma finché l’avesse trovato Michele allora forse poteva dirsi salvo. 

Stavano preparando la cena, ridendo e scherzando come sempre, quando Fabio affrontò l’argomento. Non era sicuramente una scelta appropriata, a breve sarebbe arrivato Michele, ma Fabio non era un maestro nello scegliere i momenti giusti. 
-Ma senti… che dobbiamo dire a Michi?- chiese; stava curando l’insalata, mentre Sebastiano si occupava di cuocere la carne. 
Avevano passato tutto il pomeriggio in camera di Sebastiano, e sebbene non avessero fatto nulla se non baciarsi, erano entrambi rilassati e molto più che consapevoli della presenza dell’altro. Il solo stare vicini provocava un sentimento di sottile euforia che dovevano esprimere ad ogni costo, anche solo sfiorandosi mentre si passavano gli oggetti. 
-In che senso?- chiese Sebastiano, gli occhi puntati sulla carne che cuoceva e la mano sinistra appoggiata con estrema noncuranza sul sedere di Fabio. 
Fabio sapeva che al ragazzo piaceva il contatto fisico, lo vedeva nel modo che aveva di rapportarsi a Michele, e la cosa gli piaceva davvero tanto, quindi era bel lungi dal lamentarsi.
-Nel senso… abbiamo deciso di vivere questa cosa come viene no? Però con una certa serietà… insomma mi sono impegnato a non scopare in giro. A proposito, ritieniti fortunato per avere l’esclusiva su di me, sono piuttosto richiesto, sai.- 
Sebastiano ghignò, stringendo la presa sul sedere di Fabio e aspettando di vedere dove voleva andare a parare. 
-Ecco… mettiamo al corrente Michele di tutto ciò?- concluse, guardando Sebastiano. Sapeva che una cosa del genere avrebbe scombussolato Michele, sapeva che ci avrebbe messo un po’ ad accettarlo e all’inizio sarebbe stato diffidente, ma pensava che prima o poi ce l’avrebbe fatta. Insomma non gli stava rubando il fratello, né aveva intenzione di rapirlo e ucciderlo. Supponeva che fossero delle basi piuttosto buone per far accettare a Michele la cosa senza troppi drammi. 
Ma dalla reazione di Sebastiano suppose che no, evidentemente non era abbastanza.
Il ragazzo tolse la mano, incupendosi e cominciando a mangiucchiarsi le unghie, come faceva sempre quando era nervoso. 
-Non vorrei sembrare uno stronzo Fabio, ma non saprei proprio come mettertela altrimenti- esordì. E decisamente non era un buon inizio.
-Non pensarci nemmeno.- 
Ecco, lo sapeva. 
Sospirò, voltandosi per appoggiarsi al lavandino e guardare meglio Sebastiano. Incrociò anche le braccia, non voleva sembrare minaccioso, no, però magari intimidirlo un po’. 
-E perché mai?- chiese, con tutta l’ironia e il sarcasmo che si poteva infondere in una frase. 
Vide Sebastiano guardarlo dispiaciuto, forse anche in colpa, però non ritrattò nulla. Si avvicinò cercando di sciogliergli le braccia, senza successo.
-Spiega- incalzò Fabio, inarcando un sopracciglio.
Sebastiano sospirò, rinunciando all’intento di stordirlo con un po’ di sano contatto fisico. Evidentemente Fabio aveva capito la strategia.
-Beh Michele è un po’ particolare quando si tratta di me…- esordì. Fabio annuì, questa era una cosa universalmente accertata.
-E la sua particolarità maggiore viene fuori quando si tratta di avere a che fare con i miei probabili, futuri, presenti o passati fidanzati o fidanzate- continuò. Fabio sciolse le braccia, osservandolo guardingo. Avrebbe dovuto chiedergli delucidazioni su quel “fidanzati” prima o poi.
-Continua- lo esortò. 
Prima di continuare Sebastiano sorrise e si accoccolò contro di lui, stringendolo forte e appoggiando la guancia sulla sua testa. Fabio non era alto abbastanza per potersi appoggiare al petto. 
Il ragazzo alzò gli occhi al cielo e lo circondò con le braccia, sbuffando.
-Sei un ruffiano incredibile- borbottò.
-Puoi anche darmi della puttana, non mi offendo se me lo dici tu- ridacchiò Sebastiano, Fabio lo ignorò, pizzicandogli il fianco.
-Okay, Okay… beh ecco, è possessivo e geloso, ha una paura folle che chiunque possa farmi star male e non reagisce bene quando capisce che sto frequentando qualcuno. L’ultima volta è finita davvero male quando la mia ex mi ha mollato, anche perché ha dovuto dirmelo lui ed è stato un casino nel complesso, perché la situazione in sé era incasinata. E poi ha sempre paura che qualcuno possa portarmi via da lui, è stupido lo so, gliel’ho detto anche io, ma è un qualcosa di totalmente irrazionale che non riesce a controllare- 
Fabio stette un attimo in silenzio. C’erano così tante cose che voleva chiedergli dopo una frase del genere, da non riuscire nemmeno a processarle tutte. 
Iniziò dalla più pressante.
-Ma scusa… che dovremmo fare, fare finta di nulla per quanto tempo?- chiese, incredulo.
-Non lo so- borbottò Sebastiano, lasciando andare un sospiro.
-Suppongo finché non capirò che è pronto ad accettare una cosa del genere… magari facciamoglielo capire per gradi, mostrandoci sempre più vicini e cose così- 
Fabio lo allontanò leggermente da sé, per poterlo guardare negli occhi.
-Questa è una cosa ridicola e totalmente assurda, lo sai vero? Lui non sarà mai pronto ad accettare una cosa del genere se è come mi dici tu. In più io sono suo amico ed è ancora peggio perché si sentirà tradito anche da me. E più aspettiamo più si sentirà tradito- disse seriamente. Non c’era più traccia di ironia adesso nella sua voce, sebbene stringesse ancora Sebastiano. Sapeva che si stava infilando in una storia complicata, per questo aveva sempre evitato ogni coinvolgimento prima, ma non pensava davvero che lo fosse fino a questo punto.
Sebastiano ebbe un moto di stizza, sistemandosi la frangia e schioccando la lingua.
-Credi che non lo sappia? È una situazione del cazzo, per questo non volevo iniziare nulla.- 
Fu il tono in cui lo disse a irritare Fabio, come se lui non potesse capire, come se fosse stato un suo capriccio iniziare questo qualcosa che avevano iniziato. 
-Scusa sai se ho cercato di sbloccare questa situazione e ho fatto il terribile sbaglio di provarci con te. Potevi mandarmi a ‘fanculo subito- 
Disse, chiaramente arrabbiato. Lasciò andare le mani che erano ancora sui fianchi di Sebastiano e si voltò, aprendo l’acqua del rubinetto per lavare la verdura. 
Sentì Sebastiano trattenere il respiro, forse rendendosi conto di quello che aveva detto, e poi appoggiare la fronte contro la sua schiena.
-Scusa, non intendevo dire questo. Sai che l’ho voluto anche io e che non tornerei indietro. Volevo solo dire che Michele ha fatto davvero tanto per me, tu non hai idea dell’inferno in cui l’ho infilato dopo la morte di mia madre e quando Laura mi ha lasciato. Nemmeno raccontarlo rende l’idea.- si interruppe, per baciargli piano la schiena. Aveva caldo e si era tolto la maglietta, in questo modo restava solo una distesa di pelle coperta dai suoi mille tatuaggi e dalle bende. Una distesa di pelle da baciare e mordicchiare, su cui si sarebbe perso per non ritrovarsi più, a Dio piacendo. Lo sentì rabbrividire. 
-Quando ne sono uscito, quando ho capito che stavo portando Michele al manicomio, e tu dovresti averne un idea perché l’hai conosciuto in quel periodo, ho giurato che non avrei mai fatto niente che l’avrebbe fatto soffrire- concluse, avvolgendogli la vita con le braccia e restando così, appoggiato contro di lui per sentire il suo respiro, il suo odore. 
-Sono giuramenti del cazzo questi- esclamò Fabio, ancora rigido -È impossibile mantenerli, finisce solo che si soffre in due, anzi in tre in questo caso.-
Però il tono di voce si era addolcito e aveva appoggiato le mani sopra quelle di Sebastiano. 
-Per ora facciamo come vuoi tu- concluse in un sospiro Fabio. Sebastiano sapeva quanto gli stava costando, a lui, una persona così diretta, che odiava mentire e prendere in giro gli altri. Sapeva che lo faceva solo per lui e questo gli strinse il cuore. 
Non era sicuro di meritarlo. 
-Però voglio sapere di più- aggiunse poi, voltando appena la testa e appoggiandosi contro il petto di Sebastiano. 
-È giusto- sussurrò Sebastiano, continuando a baciargli le spalle, alternando piccoli morsi a lievi sfioramenti di labbra. 
-E ora piantala che la cena si brucia e subito arriva Michi- 

Quando arrivò Michele fu subito chiaro che il Nano rompicoglioni, come l’aveva amorevolmente apostrofato Michele una volta, non aveva accettato poi così tranquillamente la decisione di Sebastiano.
Si impegnava, e tanto anche, per provocarlo il più possibile, facendogli andare la cena di traverso in più riprese. Per esempio quando infilò una mano sotto il tavolo per accarezzagli sensualmente una coscia. O quando si appiattì contro la sua schiena per preparare il caffè, strusciandosi così attentamente al povero ragazzo da provocare brividi anche nella punta del pollice. Sebastiano non diceva nulla, consapevole che avrebbe dovuto aspettarselo e forse, in fondo, un po’ se l’era meritato. 
L’idea che Fabio potesse avere ragione, che sarebbe stato meglio dirlo subito a Michele e cercare di fargli accettare la cosa, l’aveva effettivamente sfiorato. Ma non riusciva a fare consapevolmente del male a suo fratello, era una cosa forse assurda e che capivano solo lui e Michele, ma da quando era passato quel brutto periodo, da quando Sebastiano aveva smesso di bere, stavano molto più che attenti a rapportarsi all’altro. 
Avevano entrambi il terrore di ricadere in quell’incubo e non era una cosa che desideravano. Stavano bene adesso, Michele aveva ripreso a sorridere e uscire con i suoi amici, aveva persino una ragazza! E Sebastiano lavorava di nuovo, non beveva, era tranquillo, stava riprendendo i contatti con alcuni dei suoi vecchi amici. 
Era ancora presto, era troppo fresca la ferita. 
Quando si spostarono sul divano Sebastiano ormai sudava freddo.
Aveva qualcosa in mezzo alle gambe che stava gradendo molto le attenzioni di Fabio, ed era un qualcosa che non doveva assolutamente far notare a Michele. Solo che Michele aveva il vizio di spalmarsi su di lui quando guardavano la televisione, e non appoggiarsi e basta, no, proprio stravaccarsi sopra di lui. Cercò di pensare a tutte le cose orrende di questo mondo, sentendosi molto Neville quando sfidava il Molliccio. Forse immaginare Piton in tanga poteva funzionare. 
-Sese, hai una faccia strana… è tutta la sera che sei strano, vero Fabio?- chiese Michele, con la sua faccia innocente, la voce innocente e il corpo innocentemente premuto contro il suo, a un soffio dallo scoprire che nemmeno il pensiero di Piton aveva funzionato.
-Già… forse sta avendo un pensiero felice- commentò Fabio, ghignando.
Sebastiano quasi si strozzò con la Coca Cola. 
Brutto bastardo!
Gli lanciò un occhiata torva, una delle sue, quelle che spaventavano chiunque perché assumeva un aria da folle omicida ogni volta che le sfoggiava.
-Stai pensando di nuovo alla cameriera del ristorante indiano Sese?- chiese Michele, provocando un ulteriore accesso di tosse a Sebastiano e una risata folle a Fabio.
-Non sapevo che ti piacessero straniere… forse dovrei farmi qualche lampada, così diventerei nero e interessante anche io- disse Fabio, con l’aria più innocente e falsa che riuscì a tirare fuori.
Oh, non avrebbe superato la notte quel Nanetto malefico, parola sua. 
Anche perché si stava accarezzando con noncuranza l’addome, sfiorando le rondini tatuate che partivano dai fianchi per involarsi in basso e Cristo Santo, quella era una cosa che avrebbe assolutamente dovuto fare lui prima o poi, ma con la lingua. 
-Piantala Fabio, tanto non te lo molla- commentò Michele allegramente; quando suo fratello rischiò seriamente un episodio di false vie che avrebbe potuto tranquillamente portarlo al creatore, si voltò verso di lui, preoccupato.
-Oddio Sese, ti è andata di traverso la Coca?- 
In questo modo si perse l’espressione assolutamente indecente di Fabio. Purtroppo non fu così per Sebastiano, che ebbe modo di guardare con occhi sempre più spalancati la mano del ragazzo che spariva sotto i pantaloncini. 
-Oddio- mormorò, sull’orlo del collasso.
-Ma che diavolo hai?- chiese Michele, sempre più preoccupato.
-Niente, mi sono ricordato che devo finire assolutamente delle tavole per domani- sbottò Sebastiano, alzandosi a una velocità supersonica dal divano e precipitandosi fuori dalla stanza.
Quando sul cellulare gli arrivò il:
“Codardo”
di Fabio, lo mandò a ‘fanculo in tutti i modi che conosceva. 

Quando Michele annunciò che era stata una giornata pesante e che andava a letto, Fabio si ritrovò solo nel salotto. Era presto e lui non aveva minimamente sonno, quelle giornate di far niente l’avrebbero ucciso prima o poi. Lui non ci era abituato, gli mancava fare paracadutismo e parapendio, gli mancava giocare a calcio con i suoi amici e fare il pazzo in giro. Gli sembrava di essere un carcerato e non sapeva più come passare il tempo quando tutti e due i fratelli lavoravano. Non appena gli avessero tolto i punti alla mano destra avrebbe costretto Michele a portarselo al lavoro. Che cavolo, il bar restava pur sempre suo! Aveva il diritto di andare a controllare come andavano le cose nel suobar. 
Anche perché Sebastiano era davvero uno stacanovista, era capace di stare chiuso nello studio per ore intere, disegnando come un invasato e uscendo solo per andare al bagno. Chissà se adesso sarebbe riuscito a distrarlo adeguatamente, si chiese Fabio ghignando. 
Sbuffò, stirando il collo per sciogliere i muscoli, in TV non trasmettevano niente di interessante e lui aveva finito di leggere tutti i libri della libreria dei fratelli. Magari stare un po’ al PC era una buona idea. Si alzò per andare a prenderlo ed era troppo occupato a cercare di ricordare dove l’aveva messo per sentire gli strani rumori che provenivano dal corridoio.
Se ne accorse quando una mano lo scaraventò contro il muro, facendolo quasi urlare dal dolore alle costole, e un corpo si premette contro il suo.
-Sese, cazzo volevi uccidermi?- brontolò Fabio, cercando di riprendere a respirare normalmente.
-Sì- ringhiò il ragazzo, per poi attaccarsi freneticamente alle sue labbra in un bacio violento e aggressivo.
Fabio mugolò, rispondendo con altrettanta voracità e infilando le mani nei capelli inesorabilmente intricati di Sebastiano, stringendo le ciocche con tanta foga da temere di strapparle, provocando un gemito di dolore nel ragazzo, che fu ignorato.
Il livello di frustrazione che avevano raggiunto con quel giochetto idiota di prima era tale che ormai non si baciavano nemmeno più, si mordevano con foga, in ogni punto che riuscivano a raggiungere.
Il mento, la guancia, la linea del collo, la spalla, e poi fu troppo. 
Il corpo di Sebastiano si premeva contro il suo, le unghie erano piantate sulle spalle. 
-Letto. Subito- sussurrò Fabio, con un urgenza che testimoniava quanto le provocazioni di prima non erano passate indenni neanche su di lui. 
-Non penso di arrivarci- rispose Sebastiano, tracciando con la punta della lingua tutti i tatuaggi di Fabio. Il Drago sulle spalle, il tribale sulla clavicola che poi si perdeva sotto la benda, ma non importava, leccò anche quella, e il calore umido delle sue labbra e della sua saliva costrinse Fabio a premersi una mano sulla bocca per non urlare e svegliare Michele. Era troppo, la lingua di Sebastiano che ora si spostava sempre più giù, seguendo i contorni delle rondini sull’addome,
lo stava facendo impazzire. Strinse di più le ciocche nere, appoggiando la testa contro il muro e sbattendola piano, per ricordarsi di non urlare, per ricordarsi che doveva respirare e stare in piedi e per ricordarsi nuovamente di non urlare, nemmeno quando le mani di Sebastiano tirarono giù i boxer. 
-Sese- mugolò, emettendo versi totalmente incoerenti, con un tono così disperato che fece sorridere Sebastiano sulla pelle sensibile del suo inguine. Leccò, soffiando piano sulla scia di saliva che lasciava dietro di sé. 
Fabio stava letteralmente impazzendo dietro quella bocca, soprattutto immaginando cos’avrebbe fatto da lì a poco. Non poteva davvero crederci; era Sebastiano e stava immergendo il viso in mezzo alle sue cosce. C’era da morire al solo immaginare una cosa del genere, figurarsi vedere la testa scura del ragazzo fare su e giù, con le sue mani ancora infilate in mezzo ai capelli. Cercò di seguire i movimenti di Sebastiano con il bacino e il ragazzo glielo permise, sentì che stava cercando di rilassare la gola il più possibile per lasciarlo libero di… di scopargli la bocca, Cristo Santo. 
Era davvero troppo.
Quando si fu svuotato con un lungo gemito che cercò di soffocare il più possibile, Sebastiano si rialzò da terra, baciandolo con urgenza, facendogli assaggiare il suo sapore e mandandolo di nuovo ai matti. 
Si stava strusciando disperatamente contro la sua gamba, nascondendo il viso nell’incavo del suo collo e ansimando sempre più velocemente. Era a torso nudo Sebastiano, la pelle di entrambi ormai era percorsa da gocce di sudore che si mischiavano e a Fabio non importava davvero di avere ottanta chili di ragazzo addosso. Era Sebastiano e si sarebbe fatto pure uccidere da lui per avere la possibilità di sentirselo addosso in questo modo per sempre. 
Fece scivolare la mano in mezzo a loro, la infilò all’interno dei pantaloni della tuta e la mosse piano, osservando incantato le smorfie che si susseguivano sul suo viso. Avrebbe potuto perdersi solo guardando la bocca che si apriva, boccheggiando quando andava un po’ più veloce, o la fronte che si corrucciava quando invece andava troppo piano. 
Quando si appoggiò contro di lui, finalmente soddisfatto, Fabio prese ad accarezzargli i capelli, quasi teneramente. E questo andava annoverato fra le stranezze che non avrebbe mai pensato di poter fare. 
Le coccole post orgasmo proprio non le aveva mai concepite. 
-Facciamo tipo schifo- sussurrò Sebastiano, la bocca premuta sulla sua pelle che gli accendeva nuovi brividi.
Fabio alzò le spalle, onestamente non gliene importava niente, non quando poteva avere Sebastiano stretto così a sé. 
-Adesso letto finalmente?- 

La seconda volta, a letto, fu dolce e lento. L’urgenza e l’impazienza si erano consumate sul muro del salotto, questa era l’ora di sentire centimetro per centimetro il corpo di Sebastiano, la sua pelle, il suo odore, i suoi gemiti. Era l’ora di lasciare che il compagno esplorasse il suo corpo con calma e dedizione, era l’ora di farsi percorrere tutti i contorni dei suoi numerosi tatuaggi con molta più attenzione. Sebastiano aveva preso una spugna, prima, e l’aveva passata sulla pelle con accortezza, stando attento a ripulirlo per bene. Quando poi Fabio aveva fatto la stessa cosa con Sebastiano, era stato come sigillare una sorta di patto. Non si sarebbero arresi, non avrebbero mai lasciato perdere, si sarebbero presi cura l’uno dell’altro. 
Si sarebbero voluti bene fino in fondo. 
E ora Fabio stava impazzendo in una lenta agonia mentre il corpo di Sebastiano scivolava sopra il suo e la sua lingua faceva giochi perversi sui suoi tatuaggi. 
Dovevano piacergli molto, ci si stava davvero perdendo.
Raramente era stato passivo nelle sue scorribande notturne, ma adesso non gli importava davvero quale ruolo avrebbe avuto, anzi, pregava quasi che Sebastiano si muovesse, qualunque cosa avesse voluto fare. Gli aveva lasciato campo libero, ma non sapeva quanto avrebbe resistito ancora. 
-Sese…- implorò, non sapeva bene cosa, ma quando sentì le dita del compagno farsi strada dentro di sé, percepì distintamente il click di un ingranaggio andare al suo posto. Ecco cosa aveva appena implorato, ecco cosa cercava quando andava in discoteca e si nascondeva col primo ragazzo disponibile. 
Gemette incontrollato, inarcando la schiena e allargando le gambe il più possibile. Sentì Sebastiano soffiare un imprecazione fra i denti e i suoi movimenti farsi più affrettati. Anche lui doveva essere al limite. 
Quando si spinse dentro di lui, piano, fu difficile trattenere i singhiozzi che volevano uscire. 
-Dio, Sese…- mugolò, il respiro spezzato, le mani artigliate alle spalle dell’altro. Gli sarebbero rimasti parecchi lividi, fra le sue due dita che stringevano forte e le unghie che scorrevano sulla pelle. 
-Non hai idea da quanto tempo…- mormorò Sebastiano mentre lo baciava affannato, mordendogli le labbra e soffocando parole e gemiti nella sua bocca.
-Anche io- rispose Fabio, perché lo sapeva cosa voleva dirgli, ma nella lotta sul desiderio represso più a lungo sicuramente vinceva lui. 
Serrò gli occhi quando Sebastiano si spinse più a fondo, intrecciando le dita con le sue mentre l’altra mano stringeva alcune ciocche di capelli. 
-Di più… ti prego…- le implorazioni si susseguivano, quasi incoerenti, mentre le spinte si facevano più forti e quasi violente, le gambe di Fabio erano strette attorno alla vita dell’altro e il corpo era teso a toccare ogni centimetro di pelle raggiungibile. 
Poi ci fu solo il silenzio dei gemiti, degli ansiti e dei singhiozzi, delle urla soffocate e delle mani che scorrevano frenetiche per aggrapparsi a qualcosa, per dare piacere all’altro, per morire di piacere, in un intrico di gambe, braccia e corpi uniti.
Quando Sebastiano ricadde su Fabio, respirando pesantemente, Fabio lo strinse forte, serrando le braccia attorno alle sue spalle.
-Se solo osi toccare qualcun’altro con un dito, ti strappo tutti i tatuaggi con le pinzette- mormorò Sebastiano, mordendo la pelle sensibile della gola. 
Fabio rise piano, rotolando nel letto per riuscire a restare abbracciato al ragazzo senza che le sue costole urlassero vendetta a gran voce. 
-Questa sì che è una minaccia pittoresca- sussurrò, mentre le dita di Sebastiano continuavano a percorrere la sua pelle, tracciando nuovi segni su quelli vecchi e perdendosi un po’. 
-Non hai idea di quanto cruento io possa diventare- sorrise Sebastiano, un sorriso che gli riempì di fossette le guancie, oltre a dargli un’aria da pazzo. 
-Spero di non sperimentarlo mai… piuttosto… che hanno i miei tatuaggi di così interessante?- chiese, seriamente incuriosito.
Sebastiano ridacchiò, pizzicando lievemente la pelle dello stomaco.
-Beh la prima volta che ho immaginato di fare cose strane col migliore amico di mio fratello è stato proprio a causa di quei dannati tatuaggi- rispose, tralasciando il fatto che in realtà era successo molto prima di quanto Fabio potesse pensare.
-Davvero?- chiese Fabio, sollevando le palpebre che aveva chiuso per appisolarsi giusto un po’ e guardandolo, curioso.
-Mh-Mh- assentì l’altro, continuando il suo percorso inesistente sotto lo sguardo intenso di Fabio.
Poi si decise a raccontarlo, perché ormai poteva farlo no? Ormai stavano cadendo tutte le barriere che a fatica avevano eretto per stare lontani.
-La scorsa estate, ci eravamo conosciuti da poco. Tu eri venuto a casa nostra a pranzo e poi ti sei messo a giocare in giardino con l’acqua, assieme a Michele, mentre io sistemavo la cucina. Ho iniziato a guardarvi perché era una delle prime volte che vedevo Michele così allegro e felice dopo il brutto periodo passato. Era così a suo agio che in quel momento ho deciso che ti adoravo e che avrei fatto qualunque cosa per aiutarti a rendere felice mio fratello. Poi ti sei tolto la maglietta e lì sono morto- Fabio ridacchiò, ricordava la scena. Non si era accorto che Sebastiano lo stava guardando ma anche lì lo batteva. Lui era perso dalla prima volta che l’aveva conosciuto; a cena con un Michele nervosissimo che li occhieggiava sperando con tutto il cuore che andassero d’accordo. E loro due avevano capito immediatamente il timore del ragazzo perché, beh, era davvero un libro aperto. Avevano fatto il possibile entrambi per accontentarlo, solo che Fabio era molto facilitato dall’immediata e istantanea cotta che aveva preso per il fratello del suo amico. 
-Comunque fu la prima volta che li vidi. Quelle dannate rondini! Non sai quante notti insonni mi sono costate- borbottò Sebastiano, facendo definitivamente scoppiare a ridere Fabio.
-Ecco perché non la smettevi più di tormentarle prima!- Sebastiano annuì, compito, e poi gli regalò uno dei suoi sorrisoni inquietanti, quelli dove allargava gli occhi e che lo facevano assomigliare a un folle omicida.
-E non ho nemmeno iniziato!- commentò, soddisfatto, strusciando lievemente la testa sul petto per trovare una posizione comoda per dormire. Gli occhi si stavano chiudendo quasi da soli.
-Ogni tatuaggio ha un senso sai- mormorò Fabio, mentre già Sebastiano faceva fatica a sentirlo.
-Dovrò farne uno anche per te-