CAPITOLO UNDICESIMO

I sentimenti più dolorosi e le emozioni più pungenti, sono quelli assurdi: l’ansia di cose impossibili, proprio perché sono impossibili, la nostalgia di ciò che non c'è mai stato, il desiderio di ciò che potrebbe essere stato, la pena di non essere un altro, l’insoddisfazione per l'esistenza del mondo.
- Pessoa -


Il treno viaggiava veloce verso la città dove viveva il teppistello che aveva inciso il torace di Matt, facendolo finire in ospedale e costringendo i suoi genitori a fuggire dalla città per paura che potesse ripetersi. Non avevano nemmeno sporto denuncia per paura di ritorsioni e questo aveva fatto incazzare Giò forse più della violenza stessa. Manuele poteva capirli, sapeva come andavano queste cose e una denuncia avrebbe assicurato a Matt una condanna sicura per una ritorsione sicuramente più dannosa, ma la rabbia nel sapere che tutta quella violenza, l’ingiustizia di cui si erano macchiati nei confronti di un ragazzino appena tredicenne, quella, non poteva certo acquietarsi con queste considerazioni fin troppo razionali. 
Giò sospirò accanto a lui e Manuele alzò lo sguardo dal giornale che stava sfogliando per dedicargli attenzione.
“Che c’è Giò? Sei strano da quando siamo partiti. Se non vuoi davvero farlo torniamo indietro, non c’è problema” disse, l’amico scosse la testa ricambiando lo sguardo: “ Non è questo, io voglio davvero dare una lezione a quel bastardo, è che mi sa che Matt ha capito tutto e l’idea non gli piace per niente”
Manuele corrugò la fronte “Perché dici così?Ti ha detto qualcosa?” Matt sapeva essere straordinariamente acuto, molto più di Manuele o Eleonora, e se davvero aveva intuito qualcosa ci avrebbe messo niente a capire tutto.
“No ma stamattina mi ha chiamato tipo all’alba insistendo per vederci. Io gli ho detto che ero impegnato con te e lui si è arrabbiato e mi ha intimato di non fare cazzate e di andare da lui immediatamente” Manuele sospirò: “Avete litigato quindi” vide l’amico annuire triste e gli posò una mano sulla spalla, voleva essere un gesto rassicurante ma gli era venuto in mente lo sguardo stupito di Gabriele quando gli aveva detto che quel giorno non potevano vedersi, lui sicuramente non aveva la più pallida idea di quello che stava succedendo ma dopo tutti quei discorsi strani sul suo passato forse aveva intuito che doveva centrare qualcosa. 
“Quando torneremo gli racconterò tutto e affronterò le conseguenze” Proseguì Giò, stringendo convulsamente il bordo della maglietta. Manuele sorrise: “Stai diventando un uomo… sono fiero di te! Forse dopo non avrò più un amico ma sono comunque fiero di come affronti la morte con sguardo impavido!” il ragazzo gli lanciò un occhiataccia scrollandosi la mano dalla spalla e borbottando: “Ma uno che bisogno ha di nemici quando ha amici così?” però la sferzante ironia di Manuele era riuscito a rasserenarlo e l’amico lo sapeva. 
“Quando torniamo gli raccontiamo tutto assieme” fu la risposta di Manuele e Giò sorrise fra sé, non lo avrebbe mai lasciato solo, di questo poteva esserne certo. 

La città dove viveva il loro uomo era piuttosto grande, la sua famiglia si era trasferita per via del lavoro del padre e Roberto, così si chiamava, ora lavorava in un officina come meccanico. Grazie agli appunti dettagliati raccolti da Dom e Davide, sapevano alla perfezione dove trovarlo e come affrontarlo e Manuele, pur odiandosi per questo, aveva mandato un sms a Davide informandolo del giorno e dell’ora. Aveva iniziato questa storia per chiudere una volta per tutte i conti con suo fratello e ora gliene stava offrendo la possibilità. Era la prova del nove, se si fosse presentato avrebbe saputo che c’era la possibilità di parlare, se non altro. L’officina dove lavorava Roberto si trovava nella periferia della città e il ragazzo a quell’ora era solo. Apriva lui la mattina, cominciava a lavorare alle macchine e prendere gli ordini dei clienti, il padrone arrivava solo in tarda mattinata. Era un officina piccola e avevano lavoro a sufficienza solo per loro due, non avevano altri lavoranti. Prima di entrare si scambiarono uno sguardo veloce e tirarono fuori tutto il necessario: corda, bomboletta spray e un coltello, giusto nel caso che Roberto girasse armato. Contro una pistola non sarebbe servito ma loro contavano sull’effetto sorpresa e sul fatto che il ragazzo non si sarebbe nemmeno accorto di quello che loro si stavano accingendo a fare. Lo sguardo di Giò, determinato e sicuro, si specchiò in quello colmo di gelida furia dell’amico e seppero di essere pronti e che nessuno dei due si sarebbe tirato indietro. 
Manuele aveva pianificato tutto gestendo nei minimi dettagli l’operazione più delicata: immobilizzarlo legandolo con la corda. Dopodiché sarebbe stato compito di Giò portare a termine tutto. 
Osservarono di nascosto il ragazzo immerso nel cofano di un auto, la visuale sulla porta nascosta. Manuele sorrise, cattivo, perfetto era perfino più facile di quello che aveva immaginato. Giò si stupì della velocità e della precisione dell’amico, quando scattò sembrò un felino pronto a balzare sulla sua preda e, per quanto questa avesse potuto dimenarsi, non avrebbe avuto scampo. Si portò dietro di lui in un lampo e prima che quest’ultimo potesse anche solo voltarsi stupito, lui aveva già tolto il sostegno del cofano e premuto il metallo contro la sua testa. Preciso e letale. 
“Ciao” esordì con tutta la calma del mondo Manuele, la mano premuta sul cofano con noncuranza, fece cenno a Giò di avvicinarsi e questi si riscosse, svolgendo la corda e correndo a legare le mani del ragazzo dietro la schiena. 
“Ma chi cazzo siete?” strepitò Roberto, troppo stupito per accennare una reazione. Manuele tuttavia non lo sottovalutò, continuando a tenere la mano premuta sul cofano e facendo segno a Giò di legargli anche i piedi. 
Solo allora tolse la mano e gli permise di sollevarsi in piedi. 
“Siamo amici di una certa persona” rispose Manuele posandogli una mano sul petto e spingendolo sul pavimento. Aveva lo sguardo imperscrutabile e feroce che gli aveva già visto al pub, quando avevano attuato la vendetta su Tommaso. Giò guardandolo rabbrividì, non aveva conosciuto Manuele quando faceva parte della banda di suo fratello ma sapeva che sicuramente quell’aria spietata veniva da lì. 
Quell’espressione chiedeva solo una scusa per picchiarlo selvaggiamente, un movimento inopportuno e lo avrebbe ridotto a brandelli. Ma Roberto non era stupido come Tommaso, sapeva riconoscere una persona pericolosa quando la vedeva. 
“Che persona? Di che cazzo parli?” fu lì che Giò intervenne, le labbra strette e gli occhi ridotti a due fessure, lui non era controllato come Manuele, lui stava bramando dalla voglia di pestarlo e si tratteneva a malapena. 
“Un ragazzino che all’epoca aveva tredici anni e che tu hai sfregiato e lasciato mezzo morto in un parco, bastardo” lo vide sgranare gli occhi forse cercando di ricordare a cosa si riferisse, cercò di mettersi seduto ma il piede di Manuele arrivò implacabile a schiacciarlo sul pavimento, mentre un sorrisetto divertito gli si apriva sul volto. 
Metteva i brividi.
“Fermo lì, dove credi di andare…” schiacciò ancora e sentì il lamento dell’altro alzarsi, ora vedevano la paura aprirsi nei suoi occhi spalancati, cominciò a dimenarsi sempre più forte nel tentativo, completamente infruttuoso, di liberarsi.
Un calcio di Manuele lo costrinse a gemere dal dolore e lo convinse a stare fermo. 
“Ecco bravo” sibilò quest’ultimo, “Tu ora devi solo stare fermo e in silenzio e forse uscirai quasi indenne da questa stanza” Giò ghignò e tirò fuori il coltello, sotto lo sguardo allucinato e pieno di paura dell’altro, cominciò a scuotere la testa e più la scuoteva più il sorriso dei due ragazzi si allargava. 
Manuele si chinò su di lui, arrivando a sfiorargli il lobo dell’orecchio con la bocca: “Oh si Robbie, ora scoprirai come ci si sente a stare dall’altra parte” fu un bisbiglio così inquietante da mettere i brividi perfino a Giò. 
“Ma che piacere vedere che il fratellino ha fatto sue le tecniche di persuasione più efficaci che gli ho insegnato” una voce beffarda si alzò dalla porta e Giò voltandosi di scatto vide per la prima volta il fratello di Manuele. 
Quello accanto doveva essere Davide. 
Aggrottò la fronte vedendo un ragazzo rannicchiato per terra, Dom aveva afferrato il colletto della sua camicia impedendogli di scappare e lui si copriva il viso cercando di arginare il sangue che usciva. 
“Stava per interrompervi” disse Dom scrollando il ragazzo e strappandogli un gemito dolorante. 
Nel momento in cui alzò il viso Giò lo riconobbe: era il terzo ragazzo su cui volevano vendicarsi, quello che aveva seguito fedelmente Roberto e su cui ancora non avevano un idea chiara su come procedere. 
Si voltò a guardare Manuele facendo scivolare gli occhi sulla sua espressione imperscrutabile e completamente chiusa, non riusciva a capire cosa gli stesse passando per la testa, non muoveva un muscolo. 
“Ci contavo a dire la verità” sibilò Manuele facendo cenno al fratello di appoggiarlo sul pavimento, vicino all’amico. Fu in quel momento che Giò comprese appieno il piano dell’amico e comprese quanto in realtà avesse messo alla prova suo fratello. Aveva calcolato tutto, sapeva che il terzo ragazzo li avrebbe raggiunti e sapeva che da soli sarebbe stato difficile affrontarli entrambi e contava sull’aiuto di suo fratello, solo il suo intervento avrebbe risolto la questione facilmente. 
Aveva messo Dom davanti all’ennesima scelta, quella definitiva. 
Se non l’avesse aiutato, se non si fosse presentato, avrebbe saputo che non aveva sbagliato due anni fa a giudicarlo così duramente. 
Sollevò lo sguardo in quello di Giò, occhi cupi e freddi “Ora sono tutti tuoi” disse, passandogli il serramanico. 
Giò fece una smorfia prendendo il coltello e accucciandosi davanti ai due, guardandoli con occhio critico. Se dava retta al suo istinto li avrebbe pestati fino a fargli sputare i polmoni e tutti i loro organi interni, ma doveva ammettere che la vendetta architettata da Manuele era molto più soddisfacente, anche se meno liberatoria. 
Avvicinò la lama al collo di Roberto mentre Manuele teneva fermo l’altro ragazzo che aveva ricominciato a dimenarsi guardando tutti terrorizzato, con un ghigno poggiò la lama sulla pelle e la scorse verso il basso, di piatto, fino ad arrivare alla canottiera che tagliò via con un movimento brusco. Sentì il ragazzo rilasciare il fiato, sollevato, sapeva di avere un espressione da pazzo omicida ed era consapevole che Roberto aveva temuto seriamente per la sua vita. E aveva fatto bene perché la tentazione di affondare la lama era stata enorme. 
Dom e Davide avevano chiuso la porta e controllavano che tutto andasse bene. Ghignarono quando videro Giò slacciare i pantaloni del ragazzo e sfilarglieli. Risero apertamente quando gli tagliò i boxer. 
“Oddio Manu questa dev’essere opera tua!” commentò Davide senza pensare davvero alla familiarità che usare il suo diminuivo implicava. Se ne rese conto immediatamente, lanciò uno sguardo a Dom che non commentò, non lo guardò neppure. Aveva lo sguardo fisso su Manuele che sorrise e annuì. 
“Ovviamente si” rispose il ragazzo, senza davvero guardare suo fratello, né Davide. 
“Si può sapere cosa volete fare, bastardi?” chiese Roberto, cercando di mantenere una parvenza di virilità pur senza vestiti. 
Giò scattò.
Non aspettava che una scusa per farlo e ora quel tipo gliene aveva offerta una su un piatto d’argento, almeno l’altro ragazzo stava in silenzio, probabilmente perché aveva già sperimentato le dolci maniere di Dom e Davide e non voleva fare il bis.
Gli scagliò un pugno in pieno viso, con tutta la rabbia che aveva, la soddisfazione che sentì nel momento stesso in cui le nocche colpirono lo zigomo, non era davvero descrivibile.
“Tu…” iniziò continuando a tempestargli il viso e il corpo di pugni “Tu devi solo stare zitto!” urlò, fermandosi ansante e dando modo all’altro di ribattere: “Sei un vigliacco, liberami e allora vedi cosa ti combino frocetto” E in quel istante, mentre le mani di Giò si chiudevano attorno al collo dell’altro e cominciarono a stringere, Manuele imprecò mentalmente. Sapeva che c’era il rischio che Giò perdesse il controllo, ma quell’idiota gliel’aveva proprio tirata fuori. 
L’altro ragazzo sembrò risvegliarsi in quel momento e cominciò a strepitare, stava tentando di alzarsi per scagliarsi contro Giò quando Davide lo ributtò a terra, un braccio sotto la gola a immobilizzarlo nuovamente. 
“Lo uccide porco cazzo!FERMATELO!” continuò nonostante tutto a urlare, Manuele capì che aveva ragione, che Giò non si sarebbe fermato perché ormai aveva oltrepassato il suo limite. Aveva degli occhi allucinati e sebbene il suo corpo intero tremasse dalla rabbia, le mani erano salde. 
“Giò” lo chiamo piano, avvicinandosi a lui, doveva ringraziare il fatto che non lo avesse pugnalato ma avesse preferito usare le mani. Dom guardava la scena in silenzio, Manuele sapeva che non sarebbe intervenuto, per lui quei due non contavano niente, non gli importava nulla se vivevano o morivano.
L’amico non diede cenno di averlo sentito e Roberto si dibatteva sempre più piano, Manuele lo afferrò per una spalla e lo scosse forte: “Giò basta, piantala, lo uccidi così!” capì di avere detto le parole sbagliate nello stesso momento in cui le pronunciò. In questo momento ucciderlo era esattamente la cosa a cui mirava Giò, la mente resettata e solo una cieca furia a invaderla. Conosceva bene la sensazione, l’aveva provata mille volte anche lui, l’adrenalina che pompava e il corpo che scattava, sapeva meglio di te cosa doveva fare e lo faceva, come se nei muscoli e nei nervi fossero impresse scene primordiali che reclamassero sangue. 
“Giò cazzo BASTA! Non è quello che vorrebbe Matt!” sospirò di sollievo quando vide la ragione tornare negli occhi dell’amico e le mani schiudersi. 
A quanto pareva il nome del compagno era l’unica  cosa in grado di risvegliarlo. Spalancò gli occhi e si allontanò di scatto, mordendosi il labbro a sangue. Solo ora si rendeva conto di cosa stava per fare. Guardò Manuele e lo sguardo che gli rivolse fu così perso, ancora annebbiato dalla rabbia che lo aveva accecato prima, da risvegliare nell’amico l’impulso fortissimo di abbracciarlo stretto e dirgli che andava tutto bene, come Giò aveva fatto milioni di volte con lui. 
“Faccio io?” chiese piano, indicando con una mano i ragazzi, Giò si limitò ad annuire osservando i movimenti precisi dell’amico mentre passava il coltello a Davide perché tagliasse gli abiti dell’altro ragazzo e tirava fuori la bomboletta dalla borsa. 
Si alzò in piedi guardandoli entrambi con occhi critici. 
Roberto che ancora non si era ripreso dalla paura di prima, aveva spalancato gli occhi terrorizzato quando Manuele aveva affondato la mano nello zaino, per poi rilasciare il respiro solamente quando aveva visto che ne emergeva solamente una bomboletta.
Manuele si mordicchiò il labbro soprappensiero e poi cominciò a scrivere soddisfatto. 
Man mano che le parole si delineavano sul corpo dei ragazzi, Davide, Giò e persino Dom, cominciarono a ridacchiare senza freni. La scritta di vernice rossa che prendeva tutto il corpo nudo di Roberto diceva: ‘Sono una puttana’ mentre quella sul corpo dell’altro ragazzo suggeriva modi molto alternativi per dargli piacere, di cui ‘scopami’ e ‘frustami’ erano i più puritani. Manuele si allontanò da loro per guardare il capolavoro da lontano, schioccò la lingua e sorrise soddisfatto sotto lo sguardo atterrito dei ragazzi sul pavimento che non capivano ancora cosa stesse succedendo e chi diavolo fossero quei quattro pazzi. Sembravano tutti pericolosi ma sicuramente quello che incuteva più paura era quello rasato pieno di tatuaggi, quello che era rimasto in silenzio e fermo per tutto il tempo. Emanava un’aura colma di forza e potenza, così distruttiva da togliere il fiato. 
“Hei eroe” chiamò piano Manuele, Giò si riscosse e smise di ridere guardandolo interrogativo, cos’altro aveva in mente ora? “Ce la fai ad avvicinarti senza uccidermeli?” Giò sembrò valutare seriamente la questione che la domanda poneva, poi, seppure a malincuore, annuì: “Cercherò di trattenermi” Manuele sogghignò indicando Roberto : “Alzalo in piedi e appoggialo alla parete.”
Ormai i due ragazzi erano talmente scossi da quello che stava succedendo che non si resero conto immediatamente delle intenzioni del moro. 
Ne ebbero un’intuizione quando Manuele costrinse l’altro ragazzo in ginocchio e cominciò a legargli le gambe fra loro e le mani dietro la schiena, in modo da immobilizzarlo in quella posizione. 
“Oddio ma che cazzo state facendo? Basta ora liberateci!” Strepitò questo, senza ottenere risposta da Giò se non un occhiata omicida. Manuele si concesse un sorrisino sarcastico e una replica sibillina: “Non crederete di cavarvela così vero?Giò, Davide, aiutatemi” i ragazzi, che ormai avevano intuito dove Manuele voleva andare a parare, non se lo fecero ripetere e alzarono il ragazzo di peso per sistemarlo davanti a Roberto. Praticamente a un soffio, in modo che la sua testa sfiorasse il suo inguine. Avrebbero dovuto stare perfettamente immobili per non toccarsi. 
“Manu, conoscevo la tua vena perversa ma non credevo fosse davvero così spiccata!” commentò Giò una volta posizionati i ragazzi. Manuele incrociò le braccia sul petto e sorrise: “La mia creatività non ha limiti… immagina la faccia che faranno i clienti e il datore di lavoro vedendoli così…” a quelle parole, ma soprattutto alla faccia spaventata che fecero i ragazzi, scoppiarono tutti a ridere e sordi ai richiami dei due sfortunati uscirono dall’officina, lasciando la porta bene aperta. 
Vendetta era stata fatta. 

Manuele sapeva esattamente cosa avrebbe dovuto fare ora. Adesso che l’emergenza era stata superata l’imperativo categorico era tenere Giò lontano  da Dom. 
Se la sarebbe vista brutta altrimenti. 
Giò ovviamente, non suo fratello, perché conoscendo l’amico ora si sarebbe gettato come una furia contro di lui rimediandoci una bella scarica di pugni, suo fratello non risparmiava certo nessuno, anche se quel nessuno era il suo migliore amico. 
Per cui con un tempismo degno di un centometrista fece un cenno a Davide che capì immediatamente cosa voleva e afferrò Giò per un braccio.
“Dai andiamo a bere una roba, muoviti” Giò lo guardò stranito, aveva intuito chi doveva essere quel ragazzo dai capelli neri ma non l’aveva mai conosciuto e ora pretendeva di dargli ordini in quel modo?
Lo stava per mandare dove meritava: ossia a quel paese, un paese molto ma molto lontano, quando vide l’espressione di Manuele e cambiò idea.
Dopotutto una birra non gli avrebbe fatto male. 
Manuele li guardò allontanarsi sospirando, bene ora non c’erano più scuse. Tirò fuori una sigaretta, le mani tremavano leggermente e si sorprese a pensare che avrebbe voluto Gabriele vicino: l’ultima volta che gli erano tremate le mani per accendere una sigaretta lui gliel’aveva afferrata e lo aveva accarezzato, un gesto così tenero e spontaneo da riscaldarlo. Suo fratello si limitò a prendere l’accendino e ad accendergliela prima che potesse dare sfoggio a un inutile teatrino di pateticità cercando di farlo da solo. 
Guardando gli occhi blu del fratello così identici ai suoi, l’espressione imperscrutabile che possedevano, si rese conto che Dominic non avrebbe mai cominciato il discorso. Sospirò e si decise a parlare, aveva solo questa possibilità, lo sapeva bene. 
“Dom… so perché l’hai fatto” e queste parole stupirono abbastanza l’altro, tanto da permettergli di scorgere un lampo di dolore sul viso abbronzato. Quanto lontani erano l’uno dall’altro? Davvero non avrebbero potuto incontrarsi da nessuna parte? Davvero le distanze che avevano preso ormai erano incolmabili? Dom non disse nulla, si accese a sua volta una sigaretta ed espirò il fumo, aspettando che il fratello continuasse a parlare.
“E’ stato lo sbaglio più grande che tu potessi fare trascinarmi dentro quella merda e quando te ne sei reso conto hai fatto l’unica cosa che mi avrebbe permesso di andarmene senza voltarmi mai indietro.” Un occhiata al viso stupito del fratello gli diede conferma che aveva ragione, aveva centrato il punto e anche se faceva un male del diavolo averlo capito solo ora, ora che ormai era tardi, ora che erano irrimediabilmente troppo lontani l’uno dall’altro, si ritrovava ad esserne in un certo senso felice. 
Sorrise amaro.
“Sei l’unica persona che è stata in grado di manovrarmi a quel modo per portarmi a fare una cosa che altrimenti non avrei mai preso in considerazione di fare” espirò di nuovo il fumo, senza guardarlo. Dominic taceva ancora e faceva male il solo sentirlo respirare accanto a sé. 
“Complimenti, davvero.” il sarcasmo come arma, l’unica cosa che gli permetteva di non crollare mettendosi a piangere come un moccioso, palate di ironia e di cattiveria per nascondere quanto avrebbe voluto cancellare tutto e tornare indietro, per capire prima che avrebbe dovuto dire no, quella volta. Avrebbe dovuto dire che lo voleva vicino ma non a quel prezzo, avrebbe dovuto insistere perché fosse Dom ad andare da lui e non viceversa. A quel tempo erano così fragili e spersi l’uno senza l’altro che forse Dom avrebbe accettato. 
Forse per lui se ne sarebbe tirato fuori. 
“Cosa ti aspetti che ti risponda Manuele?” disse dopo un po’, il tono basso mentre lo sguardo continuava ad essere puntato contro la sigaretta che lentamente si consumava. 
Continuò a parlare evitando accuratamente di dire quello che voleva davvero: “Non pensi che ormai sia inutile perdersi dietro queste cose?Cosa vorresti che facessi ormai?” 
Manuele scosse la testa, il nodo che sentiva crescere in gola non gli dava tregua, sentiva che se avesse parlato ancora non sarebbe più riuscito a trattenerlo e quindi si limitò a pensarlo: abbracciami cazzo, abbracciami e stai zitto. 
“Non voglio niente Dominic” l’unica cosa che era riuscito a tirare fuori usando un tono di voce decente. 
Era ancora bravo a mantenere il controllo, perfino davanti a Dom. 
“Grazie per avermi aiutato” non era certo di riuscire a dire altro per cui tacque, buttando la sigaretta ormai consumata e prendendo un respiro profondo, quella conversazione l’aveva ridotto a pezzi. 
“L’avrei fatto con ogni mezzo” alzò lo sguardo, stupito dalla concessione che gli stava facendo Dominic e si ritrovò rispecchiato in due iridi identiche che lo guardavano con un misto di malinconia e tristezza che quasi lo fece vacillare.
Cazzo abbracciami.
“Quindi potrò contare su di te per la prossima vendetta macchinosa che mi verrà in mente di fare?” Vide il fratello sorridere sinceramente divertito e sorrise a sua volta. 
Se solo si potesse… 
Se solo.
“La prossima volta si fa a modo mio” rispose gettando a sua volta la sigaretta e guardando in direzione del bar dove erano spariti Giò e Davide.
“Non sono sicuro di essere pronto a compiere truculenti e brutali omicidi, sai.” ribatté guardando nella stessa direzione del fratello. Sapeva cosa stava pensando. Sapeva che suo fratello aveva intuito con precisione cosa aveva rappresentato Giò dopo che era stato abbandonato da lui, sapeva cosa rappresentava ancora. 
Come lui sapeva cosa rappresentava Davide per Dom. 
Una cosa dannatamente simile per entrambi. 
Erano proprio fratelli.
Il fratello scosse la testa alzando un angolo della bocca in un sorriso storto: “Nah, io non uccido… torturo e basta” Manuele alzò gli occhi al cielo ridendo: “Ma certo… tu torturi e poi li lasci a morire dissanguati… questo non è uccidere proprio no” 
Mi abbracci ora?
Sentì la risata di Dom alzarsi a sua volta e poi un braccio si avvolse attorno alle sue spalle, la mano strinse appena mentre lo dirigeva verso gli altri. Chiuse per un attimo gli occhi sentendo la voglia di mettersi a piangere stritolarlo, erano lì a un solo passo l’uno dall’altro e il braccio di Dom e il calore che sentiva erano delle mani tese timidamente che tuttavia non bastavano a colmare la distanza. 
“Andiamo dagli altri” disse piano Dom e lui annuì e appoggiò brevemente la testa sulla sua spalla, era un contatto così insperato e voluto, così dolce e terribile allo stesso tempo, da lasciargli addosso solo la voglia di strapparsi il cuore dal petto perché faceva troppo male. Dov’era scritto che voler bene dovesse essere questo minuzioso sterminio che soffocava qualsiasi altra cosa? 
Dov’era scritto che doveva per forza fare così male?
Si staccarono l’uno dall’altro senza guardarsi, avviandosi lentamente verso il bar. 
Temeva di trovare una scena apocalittica degna della disfatta di Caporetto, non era sicuro che mettere Giò e Davide a un tavolino del bar da soli fosse la scelta migliore del mondo, ma entrando non poté fare a meno di spalancare la bocca assolutamente stupito dalla piega che stavano prendendo le cose.
Giò e Davide ridevano come vecchi amici, uno dei due diceva una parola e l’altro giù a ridere come un pazzo. 
“No no tu devi capire che era serio! Mi guarda e mi fa: Giò nel tuo cervello c’è il vuoto cosmico tanto che ho paura di incontrare il neurone che vaga chiamando disperato: ‘c’è nessuuuuuuuuuno?’ Ma proprio così eh, allungando la u e sfalsettando!” Davide si piegò in due mentre Manuele aggrottava le sopracciglia, stavano parlando di lui!
“Oddio è contorto perfino mentre insulta! Alle volte devi prendere un vocabolario per capire che cazzo ti ha detto e rimani per un attimo interdetto a cercare di capire se ti ha insultato o no” correzione: non stavano parlando di lui, stavano ridendo di lui! Si avvicinò a passo di carica infilandosi in mezzo a loro due e prendendoli per un orecchio.
“Se voi siete degli idioti che a stento hanno finito la quinta elementare non si sa per quale miracolo, non è colpa mia!” commentò strattonando, sordo ai lamenti di dolore dei ragazzi che seguivano il movimento della mano cercando un modo per non farsi staccare l’orecchio.
“Manuuuu, dai scherzavo! Lo so che il tuo cervello potrebbe essere messo in formalina e venduto al migliore offerente per un sacco di soldi!” tentò di rimediare Giò.
“Ma Giò mio Dio che schifo! E poi sono i miei insulti ad essere strani?” però aveva ottenuto l’effetto sperato, la mano di Manuele aveva smesso il suo tentativo di staccare l’orecchio dalla testa e, per evitare che ci ripensasse, ci piazzò la mano sopra, massaggiando. 
“Il mio non era un insulto” borbottò continuando a massaggiare e guardandolo storto. 
“Manu, questo ragazzo è uno spasso! Posso tenerlo per un po’? Te lo riporto per cena, giuro!” disse Davide ridendo ancora più forte tenendo le sue orecchie e ogni sporgenza del suo corpo lontano dalle mani di Manuele. 
“No Dade, non puoi tenerlo, potrei rischiare la morte se non lo riporto a casa, ha già un padrone” 
“Non sono un cane!” sbottò Giò, col solo effetto di far ridere entrambi i ragazzi ancora più forte. 
“Dai andiamo Fido, è già ora di pranzo quasi” lo sguardo di Giò si scurì all’istante immaginando l’accoglienza che avrebbe subito, a casa lo aspettava l’ira di Matt che aveva intuito buona parte di quello che erano andati a fare e non ne era per niente contento. 
“Sicuro? Non è che possiamo stare qui ancora un po’?E’ simpatico!” disse puntando il dito contro Davide che li guardava sorridendo. Dom non aveva ancora detto niente, era rimasto in disparte a osservarli con un sorriso in faccia che diceva molto di quello che stava pensando. Era bello vederli scherzare tutti e tre assieme, vedere come Davide e Manuele avevano ripreso familiarità così facilmente e vedere come Giò lanciasse occhiate preoccupate a Manuele, continuando nel frattempo a scherzare e farlo ridere solo per distrarlo. 
“Davide, andiamo anche noi è tardi” per cosa non lo disse, ma Davide parve capirlo perché si alzò in piedi e guardò Manuele. 
Lo guardò e basta, di uno sguardo che non pretendeva nulla, sapeva che non era un addio anche se le loro strade si separavano di nuovo.  Si avvicinò per abbracciarlo brevemente, sussurrando al suo orecchio qualcosa che poté sentire solo Manuele ma che era tremendamente simile a un ‘ti voglio bene’. Guardandoli così Giò poté capire perché Manuele avesse cercato di proteggerlo, era qualcosa che andava al di là della semplice solidarietà, qualcosa che aveva a che fare con il modo in cui Davide si era aggrappato alla sua maglietta e al modo in cui Manuele sussurrava al suo orecchio con un espressione tenera che solo Gabriele aveva avuto su di sé. Si staccarono senza nemmeno guardarsi attorno, non erano due persone che si vergognavano di quello che erano e sentivano e sia Dom che Giò si sentirono, in un qualche modo contorto e inespresso, fieri di loro. Del modo in cui erano cresciuti entrambi e come erano riusciti ad affrontare tutto. 
Giò rivolse un occhiata fugace a Dom e borbottò : “Suppongo di doverti ringraziare” per nulla contento, Dom alzò le spalle senza mostrare nessuna espressione, fece un cenno al fratello ed uscì dal locale, senza aspettare Davide che ora si era avvicinato a Giò e lo guardava, grato.
Non disse nulla ma non ce n’era bisogno, era chiaro quello che provava per Manuele ed era chiaro quanto gli fosse riconoscente per tutto quello che aveva fatto per lui. Giò sorrise e annuì, come a dirgli che aveva capito e andava bene così. Non c’era davvero bisogno di dire nulla. 
Solo quando furono al sicuro sprofondati nei sedili del treno, lontani da occhi curiosi e orecchie indiscrete, Manuele si concesse di scivolare  sull’amico, affondare il viso sul suo petto e piangere silenziosamente.