NOTE: Beh come avrete capito, questa storia è ispirata alla bella e la bestia, dal celebre cartone della Disney. Io ho preso la trama, l'ho calata in un contesto moderno e l'ho yaoizzata:P
Noah è la bestia, di aspetto perché è bruttino e poco curato, e nel carattere, scorbutico e aggressivo come la bestia, e proprio come lei, in fondo solo bisognoso di contatto e calore umano.
Lorenzo è la bella XD di bell'aspetto, intelligente e amante dei libri, capace di andare a fondo e non fermarsi alla superficie.
Lily rappresenta tutti i domestici animati XD Esuberante come Chicco, pazza come Lùmiere, perspicace come l'orologio (che non ricordo come si chiama ç_ç) ed è chiaramente la migliore! L'adoro^^.
Ora indovinate chi è Gastone ^O^.
Il progetto sarebbe quello di scrivere una shot o una breve long per ogni fiaba che mi possa passare per la testa, questa mini long conta due capitoli, già scritti, in settimana avrete la fine.
Spero che vi piaccia, io adoro Noah!

SORRY I CAN’T BE PERFECT


CAPITOLO PRIMO
Quando il cielo non bastava

I mostri sono reali, e anche i fantasmi sono reali. Vivono dentro di noi, e a volte vincono.
-Stephen King-

Noah guardò cupo fuori dalla finestra, dove le pesanti tende scure erano state scostate lievemente per consentire ai deboli raggi solari di illuminare appena la stanza. L’inverno stava per volgere al termine ma il freddo attanagliava ancora la città e non permetteva al sole di scaldare davvero la casa.
Non che gli interessasse comunque.
Sospirò facendo scivolare lo sguardo lungo la stanza: era ampia, dai soffitti altissimi e dalle enormi finestre che avrebbero potuto inondare la stanza di luce se solo le tende glielo avessero consentito. Il mobilio antico e prezioso testimoniava quanto davvero valesse quella sola sala, senza pensare a tutto il resto dell’appartamento, arredato altrettanto riccamente. L’espressione del ragazzo si incupì ancora di più pensando che avrebbe sicuramente dovuto vendere buona parte di quei mobili se voleva continuare a vivere lì con sua sorella. L’eredità lasciata dai suoi genitori non sarebbe durata a lungo e in ogni caso era assai minore di quanto si era aspettato, per quel motivo si era trasferito lì con Lilith, vendendo la ricca villa di famiglia.
Si passò una mano fra i capelli neri sistemandoseli dietro le orecchie, ignorando l’aspetto terribile che dovevano aver assunto dopo aver passato due ore a sonnecchiare sul divano; non era una persona amante dell’estetica né ci teneva particolarmente, era sempre stato il cruccio dei suoi genitori questo, ma lui non poteva farci assolutamente nulla. Aveva un carattere terribile, ne era consapevole, e non cercava di fare nulla per mitigarlo o almeno dare un impressione migliore alla gente.
Si strinse nella felpa scura, decisamente troppo grande per le sue spalle esili, faceva un dannato freddo lì dentro ma cercava di risparmiare il riscaldamento per quando era a casa la sorella, in modo che almeno lei non patisse il freddo. Era l’unico essere umano di cui gli importasse qualcosa, l’unico essere umano che aveva imparato a convivere con il suo caratteraccio e che non si faceva scoraggiare dalle sue occhiatacce o dalle sue risposte sgarbate.
Era l’unico essere umano per cui Noah avrebbe ucciso.
Ed era solo per garantire a lei di vivere senza preoccuparsi del denaro ancora per un po’, che aveva deciso di prendere un inquilino in casa per cercare di dividere almeno in parte le spese. Da solo non ce l’avrebbe mai fatta, anche se la casa apparteneva a loro, c’erano comunque molte spese da sostenere, per non parlare della scuola privata di Lilith e della sua università.
Avere un inquilino sarebbe stata solo una goccia nel mare ma sicuramente l’avrebbe aiutato.
Guardò l’orologio spazientito, il ragazzo era già in ritardo, non era un biglietto da visita ottimale. Sbuffò sistemandosi nervosamente il collo della felpa che si ostinava a scivolare sulla spalla, forse avrebbe dovuto vestirsi in maniera più consona alla sua posizione o all’ambiente, ma con un sorriso amaro scacciò quei pensieri assurdi. Lui non aveva più una posizione e quell’appartamento era solo fumo negli occhi. Aveva già venduto gran parte delle cose di valore che vi conteneva, rimaneva ben poco ormai. Per cui non si curò di indossare un maglione decente o un paio di jeans nuovi, quelli vecchi e sdruciti andavano benissimo. Così come andavano bene i suoi capelli arruffati e la pelle così bianca da apparire cadaverica. A lui certamente non importava, quindi andava bene così.
Finalmente il campanello suonò e non appena aprì la porta maledisse in mille lingue la sua ostinazione nell’essersi rifiutato di parlare a voce col nuovo inquilino.
Non appena due occhi così azzurri da sembrare cristallo si fissarono nei suoi gli fu subito chiaro che lui da quella situazione non ne sarebbe uscito indenne.
Era il ragazzo più bello su cui avesse posato gli occhi. I capelli biondi incorniciavano un volto dai lineamenti delicati ma decisi, un filo di barba sottolineava la mascella volitiva e le labbra carnose erano appena dischiuse.
Dio quel ragazzo era un inno al sesso.
Le spalle larghe erano modellate alla perfezione da un maglione blu che esaltava i suoi occhi, la vita stretta sottolineata dai jeans aderenti e le cosce… Cazzo quelle cosce avrebbero dovuto essere vietate per legge, se le immaginava strette attorno a lui, si immaginava già quel corpo perfetto madido di sudore sopra il proprio, che spingeva e lo schiacciava sul letto e…
“Ciao” parlò il suo nuovo sogno erotico. Noah si riscosse e di riflesso si chiuse maggiormente in sé stesso e strinse le labbra sottili. Se questa cosa doveva funzionare era molto meglio dare fondo a tutta la sua stronzaggine, se non voleva ritrovarsi inginocchiato di fronte a lui a implorarlo di scoparlo con tutta la forza e la violenza di cui era capace.
Cristo santo, non era certo ammissibile una cosa del genere.
“Sei in ritardo” borbottò voltandogli le spalle, ignorando l’aiuto di cui sicuramente aveva bisogno con i bagagli.
“Lorenzo” affermò il ragazzo, leggermente intimorito. Bene, doveva avere paura di lui, un terrore sacro, almeno gli sarebbe stato lontano.
“Eh?” chiese scortese voltando la testa verso di lui, inarcando un sopracciglio con tutta la supponenza di cui era capace.
“Mi chiamo Lorenzo” precisò il ragazzo, che era intimorito era chiaro, però non si lasciava sopraffare, non si era zittito e non era scappato via.
Noah agitò una mano, come a dire che per lui non aveva nessuna importanza.
“Comunque tu ti chiami, non importa. Siamo coinquilini, non amici del cuore. E non ci tengo a diventarlo. Ora porta dentro la tua roba che ti mostro la stanza”
Detto questo, mentre il ragazzo si affrettava ad afferrare le valigie per corrergli dietro, Noah si incamminò lungo il corridoio.

Rimase impassibile fino a quando il ragazzo coi capelli neri non chiuse la porta dietro di sé, dopodiché cominciò a imprecare dando calci al letto.
Era l’essere più insopportabile, arrogante, stronzo e idiota che avesse mai conosciuto.
Porca miseria, se essere ricchi ti riduceva in quel modo lui preferiva mille volte fare due lavori per mantenersi e dare soldi ogni mese a suo padre per aiutarlo a pagare l’affitto.
Che poi non doveva esattamente essere ricco, altrimenti non si spiegava la sua presenza in quella casa, a meno che non avesse voluto coinvolgerlo in qualche macabro rituale satanico. In effetti avrebbe dovuto controllare meglio l’identità del tipo, magari era uno scienziato pazzo che faceva esperimenti sugli esseri umani. Non voleva ritrovarsi con tre mani o quattro gambe.
E poi se fosse stato ricco avrebbe curato di più il suo aspetto, invece era pallido come un morto, aveva due occhiaie terribili, capelli dal taglio improponibile e dei vestiti che gli pendevano addosso come a un attaccapanni. Tra l’altro era davvero uno scricciolo, così esile e basso che avrebbe avuto bisogno di anni di palestra per avere un fisico decente. Un piccolo concentrato di veleno e arroganza che avrebbe volentieri sciolto nell’acido muriatico.
Sbuffò dando un occhiata alla stanza.
Si passò le mani sul viso sconsolato.
Era cupa, deprimente e vecchia.
Non era nemmeno sicuro di voler restare ancora lì, lui con quel tipo non voleva avere decisamente niente a che fare, altroché vivere in quella specie di mausoleo.
Aprì la porta deciso a trovare quel insopportabile ragazzo e dirgli che se ne andava, quando un piccolo ciclone lo investì.
Una ragazzina dai lunghi capelli rossi, un visino delicato spruzzato di efelidi e dei magnifici occhi verdi.
Si abbarbicò a lui abbracciandolo stile koala, strofinando il viso contro il suo collo come un gattino.
“Tu devi essere Lorenzo!” esclamò mentre il ragazzo si affrettava a sorreggerla per impedirle di cadere rovinosamente a terra.
“Presente” scherzò lui, cercando di farla scendere delicatamente.
Non appena la ragazzina posò i piedi per terra si guardò attorno ansioso, non voleva incontrare ancora quell’essere di prima.
“Tranquillo, mio fratello è in cucina, sta preparando il pranzo. Mangi con noi? Ti prego! Devo sapere ancora un milione di cose su di te!” disse la ragazzina a velocità supersonica, sembrava una macchinetta.
Lorenzo rise e le scompigliò i capelli, erano davvero bellissimi, sembravano una fiammata rossa che portava un po’ di luce in quella casa cupa.
“Mio Dio ma parli sempre così tanto?” le chiese dandole un pizzicotto sulle guancie. Erano così piene e rosate da aver voglia di prenderle e strizzarle all’infinito.
“Si!Me lo dice sempre anche Noah che parlo tanto…è mio fratello ed è bravissimo a cucinare… allora mangi con noi?” Lorenzo era troppo sbalordito per prestare attenzione alle parole successive a: ‘è mio fratello’. Non poteva davvero essere il fratello di questo terremoto che si era chiaramente appostato dietro la porta aspettando che uscisse per assalirlo. Non quell’essere cupo e inquietante! E se invece lei era solo l’ennesima vittima degli esperimenti di quel pazzo? Magari sotto i capelli aveva una seconda faccia senza naso che parlava sibilando di voler diventare il più grande mago oscuro dei tempi.
La ragazzina nel frattempo continuava a parlare ininterrottamente:
“Davvero studi?Cosa?”
Le rispose meccanicamente, cercando di intravedere se dietro la testa ci fosse qualche altra faccia che spuntava.
“Letteratura”
Il ciclone non si fermava:
“E quanti anni hai?”
La nuca pareva essere a posto, con tutti i movimenti che faceva la ragazza se avesse avuto un Signore Oscuro nascosto dietro la testa ormai l’avrebbe visto.
“Ventidue…e tu?” si riscosse finalmente, cercando di mettere un freno al terzo grado cui lo sottoponeva la ragazzina.
“Quattordici e mi chiamo Lilith. Ma tu puoi chiamarmi Lily, come Lily Evans! Sai chi è Lily Evans?” chiese ancora, Lorenzo sospirò cercando di non perdersi dietro il mare di parole che gli riversava addosso.
Doveva avere strani poteri, era assurdo che se ne fosse venuta fuori con quella citazione di Harry Potter proprio mentre lui si interrogava sulla possibilità che da lei potesse spuntare Voldemort.
“Lilith basta così” una voce secca e gelida interruppe il fiume di parole e per un attimo fu lieto di vedere la figura esile e sparuta di Noah fare capolino dalla parte opposta della casa.
“E’ pronto in tavola, vieni” si voltò e fece per andarsene, ma la ragazzina fu più veloce di lui e per nulla spaventata dal tono alterato, chiese: “Lorenzo può mangiare con noi?Ha fatto un lungo viaggio per arrivare da noi, è tanto stanco e non ce la fa a uscire per comprarsi qualcosa” Lorenzo la guardò sbarrando gli occhi, lui non aveva mai detto niente del genere! Quella ragazza si inventava le cose! E poi come faceva a parlare con quel tipo con tutta quella noncuranza? Non aveva paura di venire sbranata? Gli venne il dubbio che il vero pericolo di quella casa fosse Lily, non il fratello.
Si ricredette quando uno sguardo di pura acredine gli si piantò addosso. Quel tipo aveva occhi così neri da perdersi dentro, erano liquidi e scuri come inchiostro.
“Se proprio si deve” Lily saltellò contenta e gli afferrò la mano, per niente intimorita dallo sguardo rabbioso e dalle parole scortesi del fratello.
“Vieni ti faccio vedere il salotto” disse, trascinandolo nell’altra stanza.

Non appena la porta della camera si fu richiusa dietro Lorenzo, quest’ultimo gemette lasciandosi cadere sul letto a peso morto.
Quei due l’avrebbero ucciso, ne era certo.
Lily toglieva ogni energia possibile, non si sentiva in grado di muovere nemmeno un muscolo da tanto l’aveva sfinito.
Ora sapeva ogni cosa di lui, il suo numero di scarpe, il suo cibo preferito, quante volte andava in bagno, che era figlio unico, che sua madre era andata via di casa quando era piccolo e che suo padre era in cassa integrazione. Sapeva perfino quanti esami gli mancavano alla laurea e che da piccolo aveva paura del buio! In compenso suo fratello era stato silenzioso tutto il tempo, mugugnando commenti indistinguibili di tanto in tanto e guardandolo malissimo.
Era decisamente inquietante.
Sospirò chiudendo gli occhi, un pisolino gli ci voleva, dopo avrebbe pensato a cosa fare. Ora doveva riprendere le energie che quel demonietto gli aveva succhiato via.

Noah aprì il frigo, afferrò una birra e si lasciò cadere sulla sedia accanto al tavolo. Aveva studiato tutto il pomeriggio, preparato la cena per Lilith e poi l’aveva convinta ad andare a dormire. Sapeva alla perfezione che in realtà la sorella stava leggendo manga nascosta sotto le coperte, ma entro poco sarebbe crollata addormentata, utilizzava troppe energie di giorno per non aver bisogno di una nottata di sano sonno ristoratore. Era così fin da quando era piccolissima, di giorno faceva impazzire tutti e di notte cadeva in letargo per almeno dodici ore filate. La prima volta che l’aveva fatto sua madre era andata a controllare che respirasse ancora almeno una dozzina di volte. Ora che aveva sistemato la cucina e aveva davanti a sé tutta la notte era letteralmente esausto, non sarebbe riuscito a muovere più un passo. Stare dietro alla casa, allo studio e a Lilith era davvero sfiancante, non pensava che avrebbe retto ancora a lungo, senza sua madre che era l’unica in grado di penetrare davvero le sue difese senza ricevere in risposta un grugnito indisponente, o senza suo padre che scuoteva la testa benevolo ai suoi scatti isterici e lo spingeva ad uscire e farsi degli amici.
Amici.
Non c’erano stati quando tutto era crollato attorno a lui e il dolore minacciava di strappargli il cuore dal petto, non c’erano stati quando si era dovuto a fatica ricostruire una parvenza di vita per sua sorella.
Non esisteva conforto o consolazione, era sempre stato solo e andava bene così. Si passò le mani sul viso, chiudendo gli occhi. Andava male quando cominciavano quei pensieri lì, andava malissimo perché erano una spirale in cui si perdeva ogni volta e poi era ancora più irritabile e stronzo. Il fatto era che in un certo senso gli sembrava quasi dovuto pensarli, ricordare ogni più piccolo gesto, ogni parola, ogni dolore. Tutto. Perché loro erano esistiti, erano esistiti al di là dell’incidente di suo padre e del suicidio di sua madre, erano esistiti nella loro vita ed erano stati dei genitori fantastici e a lui mancavano in modo così terribile e assoluto che gli mancava il fiato se solo si fermava un attimo a pensarci. E adesso che in quei pensieri era immerso da almeno un ora, il fiato faceva molto più che mancare, sembrava di non riuscire nemmeno a respirare liberamente, come se avesse un nodo in gola che impediva all’aria di scendere. Li aveva amati terribilmente e in modo così assoluto che ora la loro mancanza lo stava uccidendo. Appoggiò la fronte contro il tavolo, lasciandosi quasi scivolare sul legno scuro, stringendo i denti. Perché non lo avevano portato via con loro? Non era lui che avrebbe dovuto salvarsi in quel dannato incidente, a nessuno importava davvero di lui, non aveva amici ed era sempre stato solo, perché suo padre e non lui?
Alzò la testa di scatto non appena sentì un rumore provenire dall’altra parte della casa. Che Lily si fosse alzata? Poi aggrottò la fronte, si stava dirigendo verso il suo studio, non era sicuramente Lily, lei al massimo andava in bagno o nella stanza che avevano riservato alle cose dei loro genitori, quelle che non avevano avuto il coraggio di buttare.
Si alzò in fretta, se quel ragazzo si era messo davvero a frugare nelle sue cose, scopabile o non scopabile, lo avrebbe buttato fuori di casa immediatamente, anche se erano le undici di notte.
Non fu davvero il fatto che fosse entrato nel suo studio a scatenarlo, no, fu quello che teneva in mano.
Era la foto della famiglia che teneva nascosta nel cassetto della sua scrivania. Quella dove erano felici, quella dove lui sorrideva abbracciando sua madre. Strinse le labbra, si era perfino azzardato a frugare nella sua roba, e ora stava guardando la foto con un’aria talmente sbalordita in viso da aver voglia di strappargli la pelle con le unghie per vedere se poi avrebbe mantenuto la stessa espressione.
“Cosa stai facendo?” esordì con voce gelida, l’inferno al confronto era un posto piacevole. Cercò di trattenersi in tutti i modi, non voleva diventare violento, non voleva davvero aggredirlo.
Lorenzo si voltò, aveva la foto ancora in mano, si voltò e lo guardo con quegli occhi lì, gli occhi di una persona che ha intuito qualcosa su di te e prova pena perché quello che ha intuito è davvero brutto.
“Non riuscivo a dormire” mormorò lui in risposta, il tono era di scuse e lo guardava lievemente intimorito. Male. Doveva avere paura adesso, perché davvero non sapeva come avrebbe fatto a trattenersi ancora.
La risposta arrivò quando il ragazzo posò la foto e parlò ancora:
“Sei diverso in questa foto… sorridi”
…ecco. Semplicemente non si sarebbe trattenuto.
Sentì una vampata di calore inondargli il viso e la rabbia che aveva tenuto a bada a fatica, si liberò alzandosi violenta fra loro.
“Non saresti dovuto venire qui” le parole uscivano a fatica, quasi come se dovesse sputarle fuori.
“ Scusa, io…” non lo lasciò finire.
“Ma chi cazzo ti credi di essere dannazione?” Stavolta l’urlo uscì potente e liberatore e per un attimo si sorprese di quanto bene stesse dopo che l’aveva lasciato andare. Se avesse saputo prima che bastava urlare per stare meglio l’avrebbe fatto una vita fa.
Non bastò, comunque.
Afferrò la foto, strappandogliela dalle mani e la schiantò sul pavimento, osservando distrattamente i frammenti spargersi per la stanza.
Il resto delle cose posate sulla scrivania fecero la stessa fine.
“Vieni qui e ti metti in mezzo a cose che non ti riguardano, con che cazzo di diritto? Solo perché hai un bel visino e la vita tranquilla?Ma fottiti cazzo! Fottiti e vattene!”
Continuava ad urlare, fuori di sé, non riusciva a fermarsi, metteva in fila una parola dopo l’altra e non riusciva più a fermarsi, fu questa la cosa che lo spaventò. Lorenzo non c’entrava davvero, non era colpa sua e in fondo non aveva commesso un reato orribile, era lui che si stava sfogando su quel ragazzo per cose che avrebbero dovuto rimanere ben stipate dentro di sé.
Quando si calmò, piantandola di distruggere lo studio e urlare cose assurde addosso a Lorenzo, si accorse che quest’ultimo non c’era più.
Spalancò gli occhi respirando a fatica, si diresse in fretta nella camera che gli aveva assegnato, ma era vuota anch’essa.
“Merda” sussurrò Noah, prima di prendere la giacca e uscire.
Poteva essere uno stronzo ma si rendeva conto lui stesso di aver esagerato, nessuno si meritava di essere aggredito in quel modo, gli doveva minimo delle scuse.

Lorenzo non stava esattamente camminando. Stava correndo a più non posso lontano da quella casa e dal quel ragazzo che sembrava essere la reincarnazione di qualche pazzo omicida, altroché scienziato folle.
Quello era Hannibal Lecter in incognito, o suo fratello.
E poi quel tono arrogante, quel menefreghismo assoluto, come se lui non fosse una persona, come se fosse nel suo pieno diritto vomitargli addosso tutto quel veleno per aver guardato una stracazzo di fotografia.
Lui aveva sbagliato ma se sperava che gli chiedesse scusa per aver curiosato in quella che sarebbe diventata anche la sua casa, si sbagliava di grosso. Soprattutto dopo la scenata che gli aveva appena fatto.
Non aveva la minima intenzione di tornare indietro da quel borioso pallone gonfiato che si credeva chissà chi.
Ma andasse un po’ a scaricare l’adrenalina lontano il più possibile da lui!
Il suo piano era semplice ed efficace: avrebbe passato la notte in qualche pub e il mattino dopo, quando Noah sarebbe stato a lezione, sarebbe entrato in casa con le chiavi che gli aveva quasi lanciato di malagrazia a pranzo, e avrebbe portato via tutte le sue cose. A costo di dormire in stazione come un barbone ma lui in quel posto non ci avrebbe più rimesso piede.
Si fermò ansante, posando una mano su un muro e cercando di calmarsi, pensare tutto il male possibile del suo coinquilino lo aveva un po’ tranquillizzato, ma restava comunque una rabbia sorda di fondo di cui ancora non riusciva a liberarsi.
Lui aveva soltanto tentato di conoscerlo un po’ meglio, di scoprire il perché della sua stronzaggine, non certo offenderlo. Sarà stato invadente ma l’aveva fatto a fin di bene, non per ficcare il naso e basta.
Sbuffò per risistemare un ciuffo biondo che era finito sugli occhi… non riusciva a smettere di pensarci, cazzo. Alla sua faccia sorridente in quella foto e a come si era arrabbiato quando l’aveva scoperto. Doveva essere una cosa molto importante per lui se aveva reagito in quel modo. Si stava quasi decidendo a entrare in un pub quando sentì una voce chiamarlo e… santo cielo non poteva davvero essere lui!
Si voltò, totalmente incredulo, già immaginando di doversi andare a ricoverare pure lui per scompenso mentale dato dalla frequentazione della Casa Matta, quando dovette ricredersi.
Era proprio Noah, capelli neri scintillanti e vestiti sciatti e sbiaditi compresi.
Imprecò riprendendo a camminare, se sperava che adesso lui tornasse indietro come un bravo cagnolino si sbagliava di grosso.
Noah l’aveva lasciato spiegare? No.
Bene, nemmeno lui voleva sentire quello che aveva da dirgli.
“Vuoi fermarti un attimo, Cristo?” lo apostrofò Noah. Bene, pure pretendeva che lo ascoltasse, nemmeno chiedeva per favore.
“Mi chiamo Lorenzo, non Cristo” borbottò, continuando a camminare.
Non vide Noah alzare gli occhi al cielo e mordersi le labbra a sangue per non replicare, ma poté immaginarlo benissimo.
“Comunque tu ti chiami, fermati!” e pensava che quello fosse un tono abbastanza gentile? Gli venne quasi da ridere.
“Ma fottiti un po’ va! Domani prendo la mia roba e me ne vado.” Ma quello non mollava dannazione, gli stava dietro come un mastino, se la sua carriera da scienziato folle o pazzo omicida falliva, poteva sempre ripiegare sullo stalkeraggio.
O sulla rottura di coglioni, quella gli veniva da Dio.
“Non fare il bambino adesso” esclamò Noah, seccato.
Spalancò gli occhi, voltandosi di scatto per assicurarsi di aver davvero sentito quello che aveva sentito.
“Cioè… tu mi sbatti fuori di casa urlandomi insulti in tutte le lingue conosciute, solo perché io ho preso in mano una fotografia, e poi sono IO il bambino?Ma tu non sei normale!” esclamò, e con quello non voleva davvero avere più niente a che fare con quel tipo. Quella conversazione, con lui che camminava veloce e Noah che gli stava dietro come una specie di maniaco ansimante, era decisamente fuori da quello che lui definiva ‘condurre una vita un po’ sopra le righe ma fondamentalmente sana e regolare’. Fu per quello che si decise ad attraversare la strada velocemente, senza nemmeno guardare. Voleva solo togliersi dallo stesso marciapiede di quel tipo, voleva seminarlo e andarsene, solo quello.
Quello che successe dopo fu troppo veloce perché lui lo registrasse immediatamente, gli ci volle un attimo bello lungo per capire.
Si ritrovò a terra, schiacciato contro Noah, nelle orecchie ancora il fischio dei freni dell’automobile.
Rimase immobile chiudendo gli occhi, le braccia di Noah lo avvolgevano, proteggendolo. L’unica cosa sbagliata in tutto quello, l’unica cosa che la sua mente registrava come pericolosa era il fatto che Noah era immobile e che erano nella posizione sbagliata.
Erano stesi a terra, non in piedi.
Poi qualcosa lo liberò dall’abbraccio di Noah e una voce preoccupata lo investì: “Oddio state bene? Sei sbucato all’improvviso, non ti ho visto assolutamente!” Ecco cos’era successo, aveva attraversato senza guardare e lui gli si era gettato addosso per proteggerlo.
Spalancò gli occhi, terrorizzato, Noah non aveva ancora detto una parola!
Lo scosse delicatamente, scostandogli i capelli dal viso e chiamandolo piano.
Ok che era un coglione, ma insomma da qui a desiderare che morisse ce ne passava.
“Hei… Noah… non fare lo splendido adesso, apri gli occhi” lo disse con un tono vagamente isterico ma dovette funzionare perché il ragazzo sbatté le palpebre e si decise a socchiudere gli occhi per guardare il mondo.
“Che cosa…?” chiese con un filo di voce, era evidentemente confuso e in quel momento a Lorenzo fece una tenerezza assurda.
Così.
Era un po’ da coglioni, doveva ammetterlo, ma lui si guardava attorno con quell’espressione persa, da bambino indifeso addosso, una cosa lontana anni luce dalla smorfia snob e vagamente aggressiva che aveva per il resto del tempo. E poi quando i suoi occhi si posarono sul suo viso vi rimasero appesi per un infinità di tempo e sembrò tranquillizzarsi. Il volto si rilassò e le spalle si abbassarono leggermente.
Niente di ché, e questa cosa vista su una persona normale non voleva dire nulla, ma Noah non era una persona normale, per cui voleva dire tantissimo.
“Hai fatto l’eroe… stai bene? Riesci ad alzarti?” a quelle parole cercò di mettersi seduto e vi riuscì senza intoppi, per cui Lorenzo tirò un sospiro di sollievo, non rinunciò però a mettergli un braccio attorno alle spalle, per sostenerlo.
“State bene? Sicuri? Non volete andare in ospedale? Vi accompagno immediatamente!” Fece allora l’uomo che non se n’era ancora andato, stazionava in piedi davanti a loro e li guardava frugandoli con lo sguardo, come se potesse scongiurare traumi interni o emorragie terribili solo guardandoli.
Noah fece una smorfia e, per una volta, Lorenzo si divertì all’idea di vedere la furia della piccola arpia diretta contro un’altra persona.
Solo che, evidentemente, Noah non riteneva l’uomo degno nemmeno di avere la sua attenzione, per cui si voltò verso di lui e sibilò al suo orecchio: “Togliemelo da davanti”. E, forse perché l’aveva appena salvato da una sicura frattura ad almeno il novanta per cento del suo corpo, o perché lo guardava ancora con l’espressione di chi diceva che lui era l’unico degno di attenzione in tutta la fottuta strada, insomma per tutta una serie di cose, Lorenzo non si arrabbiò per il tono supponente o per l’ordine ricevuto.
Si limitò a scoppiare a ridere e si alzò in piedi tirandoselo dietro.
“Andiamo a casa eroe, vah che ti sei meritato una vodka doppia stasera”.
La strada la percorsero molto più lentamente di quanto avessero fatto all’andata, Noah si appoggiava a Lorenzo perché camminare gli faceva male, doveva aver slogato una caviglia e sentiva tutto il corpo bruciare. Certo non sarebbe stato completamente onesto con sé stesso se non avesse ammesso che si appoggiava anche perché era estremamente piacevole sentire il braccio del ragazzo circondargli la vita e il fianco premuto contro il suo. Gli risvegliava addosso dei pensieri assolutamente indecenti, che non pensava nemmeno di poter formulare.
Grugnì, un po’ perché la caviglia gli faceva male sul serio, un po’ perché lui quei pensieri non li aveva chiesti, nemmeno li voleva cazzo e adesso si ritrovava la mente invasa da immagini sconce su corpi sudati avvinghiati in un letto.
Dio che squallore.
“La pianti di mugugnare? Sembri un cane e non è bello”
Noah si incupì, aveva perso tutto il vantaggio acquisito con quel salvataggio, ora non gli faceva più un sacro terrore ma sembrava quasi divertito da lui e dai suoi modi.
Però non si era pentito di averlo gettato lontano dall’auto, non riusciva a pentirsene nonostante tutto.
“I cani sono belli” replicò seccato.
“Ma tu sembri uno di quei topi rompicazzo, quei cosi minuscoli che quando abbaiano ti sfasciano i timpani… come si chiamano…” lo interruppe prima che continuasse lo sproloquio.
“Lorenzo” detto con un tono assolutamente impassibile. Fece mentalmente i complimenti con sé stesso.
“Ah ah, molto divertente Pittino, mi sto schiantando dalle risate” il fatto che lo chiamasse per cognome non riuscì a non strappargli un sorriso, era una cosa così da amici, prendersi per il culo usando non il nome ma il cognome, o un diminutivo del cognome, da scaldargli un organo che non credeva più nemmeno di possedere ormai.
“Dio volesse!” replicò ironico, sicuro che l’augurio sarebbe risultato niente più che aria fritta dopo la pantomima che aveva appena fatto in strada. Insomma, aveva rischiato di farsi investire al posto suo, che non era poi un mostro insensibile doveva averglielo dimostrato, no?
“Siamo arrivati idiota… ma di un po’, e Lily l’hai lasciata a casa da sola? Si sarà spaventata dopo tutte quelle urla!” Noah si staccò dal rifugio confortante delle sue braccia, e in tutta onestà non gli dispiacque nemmeno, stava dando fondo a tutta la sua scorta di autocontrollo per non sbatterlo al muro, o non implorarlo di sbattere lui al muro per fare cose quantomeno oscene.
“Lily si sarà appena voltata dall’altra parte. Può cascarle il ponte di Brooklyn addosso e lei nemmeno si sposta. Non è umana quella ragazza”
Lorenzo ridacchiò mentre aspettava che Noah aprisse la porta per entrare e dirigersi a passo sicuro verso l’ascensore. Di solito prendeva le scale, erano appena due piani, ma con quella caviglia non c’era davvero verso.
Anche se il demonietto inumano dormiva, fecero comunque attenzione, a vederli così malconci avrebbe tirato giù il cielo a furia di domande ed era l’ultima cosa di cui entrambi avevano bisogno. Non adesso che sembrava fossero riusciti a stabilire una tregua che consentiva a entrambi di tirare un sospiro di sollievo.
“Spogliati e dimmi dove tieni la cassetta del pronto soccorso”…ecco, come non detto.
“Tu sei uscito di testa” fu la risposta subitanea di Noah. E non si era limitato ad articolare le parole, no, le aveva scandite una a una in modo che fosse assolutamente sicuro che Lorenzo le avesse assimilate.
“Ma dai! Mica ti vergogni?” disse in tono insinuante, perché se c’era una cosa che aveva capito di lui, era che l’unico modo per fargli fare esattamente quello che voleva era provocarlo.
E ovviamente Noah ci cascò come un pollo.
Scrollò le spalle che gli fecero un male cane, e sibilò un: “Ma figurati! Comunque è in bagno” cominciando a spogliarsi.
Lorenzo tornò che lui stava cercando di mantenere un aria impassibile e indifferente, non cercava di coprirsi le cicatrici perché sapeva che così avrebbe inevitabilmente attirato lo sguardo proprio dove non voleva che andasse.
Sapeva di avere un torace magro da paura, dove si potevano vedere tutte le costole e pure i nervi in trasparenza, da quanto era pallido. Le gambe erano due stecchini attaccati al corpo e l’unica cosa che poteva dirsi decente era il fondoschiena. Quello per fortuna era rotondo e ben formato anche se sprofondato in un paio di boxer sformati.
Non era minimamente paragonabile a Lorenzo, sapeva di essere inguardabile confrontato a lui, alle sue spalle larghe e alla sua pelle morbida, si chiedeva che sensazione dava sotto le dita e le sue mani stavano bruciando dalla voglia di scoprirlo.
L’idea di lui gli stava togliendo la ragione, sentiva che sarebbe impazzito se non avesse passato le mani sopra i suoi muscoli, se non avesse percorso la strada dei suoi nervi e non si fosse stretto a lui così forte da non riuscire più distinguere l’uno dall’altro.
Quell’avvicinamento era pericoloso, lo sapeva.
Ma quando lo vide tornare con la cassetta rossa, un espressione preoccupata in viso al guardare la quantità di escoriazioni che aveva e i denti che martoriavano le labbra, non riuscì davvero a fare nulla per allontanarlo nuovamente. Vide gli occhi azzurri, quegl’occhi impossibili che lo scrutavano fino a strappargli via l’anima da dentro, fissarlo e sgranarsi lievemente vedendo le cicatrici che gli percorrevano il corpo.
“Piantala” ruggì a disagio, stava già per afferrare una coperta posata sul divano, quando Lorenzo si avvicinò in fretta e gli bloccò la mano.
“Scusa” disse solo, guardandolo negli occhi stavolta, per dimostrargli che quella era l’unica cosa che lo interessava davvero.
Lui e non le sue cicatrici.
Noah annuì a disagio e si sedette, era teso come una molla e sentiva che una sola mossa sbagliata da parte di Lorenzo e lui sarebbe scattato, l’avrebbe aggredito di nuovo e stavolta il ragazzo non lo avrebbe perdonato. Ma non riusciva davvero a trattenersi, era più forte di lui, il meccanismo che scattava per preservarsi da eventuali dolori, dolori che sarebbero arrivati troppo forti per lui, troppo potenti per riuscire a rialzarsi nuovamente, lo spingeva ad attaccare, attaccare sempre.
“Ma cazzo, brucia! Vuoi fare un po’ di attenzione?” quasi lo urlò, quando il batuffolo di cotone imbevuto di disinfettante si posò suoi primi graffi.
Guardò Lorenzo sicuro di vederlo seccato e invece un sorriso ironico sbocciò sulle sue labbra carnose e rischiò seriamente di provocargli gravi danni alle coronarie.
“Se tu stessi fermo brucerebbe di meno” replicò senza scomporsi minimamente.
“Se tu non avessi dato sfoggio di un’infantilità senza pari scappando in quel modo, tutto questo non sarebbe successo!” esclamò Noah vittorioso, a quello non avrebbe potuto replicare, era assolutamente vero.
Ma lo scoprì presto, che Lorenzo non era il tipo da spaventarsi o farsi zittire in quel modo. Era un tipo orgoglioso almeno quanto lui e quando pensava che qualcosa ne valesse la pena, non mollava.
Evidentemente pensava che Noah valesse la pena, perché si limitò a guardarlo negli occhi, serio e deciso, e rispose: “Io ho sbagliato Noah, ma tu hai un carattere di merda. Hai esagerato su tutti i livelli di comunicazione esistenti a questo mondo” il ragazzo lo guardò incredulo e furioso, nessuno gli aveva mai parlato in quel modo, nessuno si era mai azzardato.
Ma gli occhi azzurri restavano piantati nei suoi, sicuri, e lui si chiese come facessero ad essere così trasparenti e incredibili, non esitavano, non avevano paura né si schifavano di lui.
Sotto i suoi occhi, per la prima volta dopo moltissimo tempo, si sentiva un essere umano e non una specie di mostro insensibile e orrendo.
“Lo so” mormorò, rilassando d’un tratto le spalle e stringendo i denti quando Lorenzo passò a un’altra escoriazione.
Il coinquilino sorrise, non fu un sorriso trionfante e sbruffone, no, fu un sorriso così tenero che a Noah si fermarono tutte le connessioni neurali residue.
Nessuno era riuscito davvero a scalfirlo, mai, adesso arrivava quel ragazzo e gli sorrideva.
Sconfitto da un sorriso.
Assurdo.
“Comunque scusa, non dovevo ficcare il naso nelle tue cose. E’ che mi incuriosivi… mi incuriosisci ancora e volevo capire”
Noah scrollò le spalle, trattenendo un lamento.
“Non c’è molto da capire” non era pronto a dire altro e sperava che Lorenzo lo capisse, non voleva ancora reagire male con lui, non lo meritava, e sapeva che se avesse insistito si sarebbe chiuso in sé stesso come al solito e l’avrebbe aggredito.
Lorenzo parve capirlo perché non insistette, si limitò ad aprire il tubetto della crema e spremersene un po’ nelle dita, in silenzio, per poi dire: “Penso invece che ci sia tanto che non dici a nessuno e questo è brutto. Ti conosco di vista…e poi all’università sei famoso!” si interruppe per ridere dell’espressione seccata ed esasperata di Noah, poi riprese: “Dicevo…ti conosco di vista e ti vedo sempre da solo, in più hai una fama che non ti dico…” Noah alzò le spalle, ignorando la stilettata di dolore che gli arrivò. Non poteva negare che fosse vero.
“Non mi importa. Non ho un buon rapporto con le altre persone, te ne sarai accorto di come sono… sto meglio così, credimi” rispose, il tono di voce era lievemente infastidito e l’atteggiamento decisamente sulla difensiva. Lui era questo e sebbene ora avesse stabilito una tregua con Lorenzo, sperava che si fermasse qui perché questi discorsi li odiava. Finivano sempre per scivolare sul moralismo e sulla retorica, una cosa insopportabile. Ma Lorenzo non si fermò, usò un tono delicato e discreto, per fargli capire che non lo stava giudicando o non stava cercando di spargere la sua saggezza sul mondo, ma voleva solo condividere alcuni pensieri con lui.
“Stai davvero meglio così? Non ti conosco e non posso dirlo…” Noah lo interruppe per sibilare un: “Ecco, appunto” ma l’altro proseguì imperterrito. Era delicato ma testardo.
“… però mi sono spesso chiesto una cosa. Non è questione di farcela o non farcela da soli, certo che si sopravvive lo stesso… ma come?Voglio dire, non è infinitamente meglio avere qualcuno vicino che non ci sorregge ma è pronto a farlo casomai serva?”
Noah strinse le labbra, gli occhi ostinatamente puntati verso un punto indefinito nel pavimento. Le mani di Lorenzo correvano sulla sua pelle, sfiorando delicatamente la spalla gonfia, massaggiò finché la crema non fu riassorbita e la delicatezza che ci mise fu un po’ la risposta al silenzio di Noah. Non erano in una fiaba dove arrivava il principe e con quattro parole ben piazzate riusciva a salvare la principessa dal proprio abisso. Anche perché lui non era una principessa e il suo personale abisso era troppo profondo, questo Lorenzo lo capiva benissimo.
“Quindi dovrei fidarmi degli altri perché da solo non ce la farei?” chiese dopo un po’ Noah, il sarcasmo grondava da ogni parola e stava stringendo i denti perché la spalla faceva male ma ancora più male facevano le dita leggere di Lorenzo, il modo che aveva di accarezzarlo, come fosse una cosa fragile che avrebbe potuto rompersi da un momento all’altro.
“Ma no scemo… non ho detto questo. Non è che devi per forza fidarti, semplicemente non escludere a priori che un giorno potresti farlo, ecco. Non è una cosa brutta.” non alzò lo sguardo, nemmeno quando Lorenzo prese una benda e cominciò a fasciargli stretto la spalla per impedirle di muoversi e peggiorare la situazione.
“Non capisco come fai, davvero. Mi sono informato su di te prima di accettarti qui e so che nemmeno tu hai avuto una vita facile…” Lorenzo sorrise, quello di Noah era un tentativo maldestro di andare in profondità, di non fermarsi alla facciata da bravo ragazzo che si portava appresso ma capirlo davvero e questo non capitava di frequente, per questo rispose sinceramente: “Mia madre se n’è andata quando ero piccolo e mio padre ha sempre fatto di tutto per me… nessuno ci ha aiutato, nessuno ci aiuta nemmeno adesso che lui è in cassa integrazione e si sta disperando perché non può aiutarmi negli studi come ha sempre desiderato. Però ho capito una cosa: non è colpa mia, né sua. Se gli altri sono così non è colpa di un nostro ipotetico difetto, noi meritiamo tanto quanto gli altri la felicità. Non siamo noi quelli sbagliati. ” Non lo guardava in faccia mentre parlava, consapevole che se solo avesse tentato un contatto più profondo, se avesse esagerato, Noah si sarebbe chiuso nuovamente in sé stesso e stavolta per sempre. Gli tolse la scarpa e tastò la caviglia, ignorando il grugnito di dolore che emise l’altro e il tentativo di togliergli il piede dalla mano.
“Sta fermo” ordinò, prendendo la crema e cominciando a spalmargliela con lenti movimenti circolari che partivano dalle dita dei piedi per finire sul polpaccio.
“Quindi tu, grazie alla tua sconfinata fiducia in te stesso, riesci a perdonare gli altri per non averti mai compreso?” chiese Noah cercando di tenere fermo il piede, cercando di ignorare il bruciore che le sue dita provocavano sulla pelle e il desiderio che proseguissero, che lo toccassero ovunque, che il corpo si premesse al suo e basta.
Cercando di ignorare anche il bruciore che le sue parole provocavano in un posto segreto che aveva sempre ritenuto inaccessibile.
“Non è sconfinata idiota…” rise Lorenzo, cominciando a fasciargli anche il piede, “E non è questione di perdonare ma di capire che come noi siamo troppo impegnati a salvare noi stessi, ogni giorno della nostra vita, forse anche gli altri sono troppo impegnati a fare lo stesso. Non è questione di cattiveria ma di sopravvivenza, quindi se siamo noi per primi ad aprirci è più facile per gli altri poi fare lo stesso” fissò la benda e finalmente alzò lo sguardo per puntarlo in quello di lui, sicuro ma delicato, come se fosse perfettamente consapevole che muoversi nella mente e nell’anima di Noah richiedesse un abilità da equilibristi: un solo movimento sbagliato e si sarebbe spezzato per sempre.
Si insinuava con abilità fra i suoi dubbi e le sue paure e con un gesto gentile tentava di sbrogliarli dolcemente, senza rompere niente.
Noah distolse lo sguardo e posò il piede a terra, sottraendolo alle sue mani che ancora bruciavano, non riusciva davvero a sopportare di sentirsi rivolgere parole simili, di sentire che forse era lui che aveva sbagliato e che questo ragazzino sembrava aver capito meglio di lui quello che lo tormentava.
“E’ davvero una visione delle cose semplicistica, sai. E’ una cosa che non sopporto, la vita non è mai così semplice come la dipingi tu, sembra tutto così facile che ti dimentichi di quanto invece faccia male.”
Lorenzo non disse nulla, si limitò a sorridergli e alzarsi in piedi, non era una cosa di cui poteva convincerlo e intuiva che doveva essere un pensiero così radicato in lui che certo non sarebbero bastate un paio di parole piazzate bene a fargli cambiare modo di essere. Non si offese né si lasciò abbattere dalle sue parole, gli tese una mano per aiutarlo ad alzarsi e quando Noah la rifiutò e, orgoglioso come la morte, si alzò da solo fra mille smorfie, gli scappò un risolino.
Quel ragazzo così orgoglioso e cocciuto lo intrigava parecchio.
“Non dimentico quanto faccia male… proprio perché lo so parlo in questo modo. “ e quelle parole riuscirono a incastonarsi con precisione assoluta in mezzo a tutti i dubbi e le paure di Noah, riuscirono a infilarsi proprio lì, dove faceva più male.
“E’ tutto così utopistico e idilliaco che ho seriamente bisogno di vomitare, siine consapevole” replicò secco il ragazzo, senza tuttavia ricevere la reazione alterata che si aspettava.
Lorenzo si limitò a scrollare le spalle e non rispose, Noah sapeva che non era riuscito a smuoverlo di un millimetro nelle sue certezze. La stessa cosa non poteva dire di sé stesso.
Quella notte, quando finalmente posò la testa sul cuscino e chiuse gli occhi, per la prima volta dopo un infinità di notti, si addormentò immediatamente e risposò davvero.
Non gli capitava da quando era morto suo padre.

L’indomani avevano entrambi lezione al mattino ma Noah non lo aspettò. Alla luce del sole, tutto quello che avevano vissuto e di cui avevano parlato la sera prima sembrava soltanto un sogno un po’ sfocato. Non era sicuro di volerlo concretizzare di più perché avrebbe fatto male. Aveva paura che non volesse davvero farsi vedere vicino a lui davanti agli altri, che alla luce del sole quelle si rivelassero solo questo. Belle parole e basta. Uscì presto, ben prima del solito orario, tanto doveva in ogni caso svegliarsi all’alba per preparare la colazione a Lily quindi non fu difficile prendere la porta di casa non appena sentì Lorenzo alzarsi e andare in bagno.
Portare lo zaino non fu facile, la spalla faceva male e tenerlo solo da una parte pesava troppo ma non avrebbe chiesto aiuto per nessuna ragione, quindi strinse i denti e, zoppicando, si diresse a piedi all’università. Non era vicinissima ma nemmeno troppo lontana e lui non era sicuro di riuscire a guidare; l’autobus non era nemmeno contemplato, c’era troppa gente che non voleva vedere dentro.
Seguì le lezioni con la testa completamente da un’altra parte e questo lo spaventò alquanto, lui era sempre preciso quando si trattava di studiare, Medicina era una facoltà difficile e impegnativa e lui ci teneva a uscire col massimo dei voti. Sbuffò e guardò male alcune ragazze che tentavano di sedersi accanto a lui, ridacchiando. Era una prassi comune ormai, loro lo prendevano per il culo e lui rispondeva sempre allo stesso modo, guardandole male e mandandole a ‘fanculo, sia interiormente che a parole quando capitava. Non aveva rapporti all’interno dell’università, non gli era mai interessato costruirsene e guardava con diffidenza tutti i ragazzi così ben vestiti e perfetti che solcavano i corridoi. Di costruire rapporti con gli sfigati come lui gli importava ancora meno, quindi il risultato era che lui vagava da solo per l’edificio, col suo zaino storto e la sua caviglia dolorante. Vedeva alcuni ragazzi bisbigliare al suo passaggio, chiedendosi cosa fosse successo e inventando ipotesi assolutamente surreali ma non si curò di smentirli, pensassero quello che volevano.
Solo in mensa incontrò Lorenzo e in fondo avrebbe dovuto aspettarselo quello che successe dopo.
Era seduto con alcuni ragazzi e ragazze, una delle quali lo guardava decisamente adorante, ma non appena lo vide si alzò in piedi portandosi dietro il suo pranzo e lo salutò allegro: “Hei! Ma a che razza di ora sei uscito di casa? Non ti ho sentito!” non si curò dei borbottii che emetteva Noah, né delle occhiate curiose e dei sussurri che percorrevano ora la stanza, si sedette accanto a lui, posando il vassoio accanto al suo e continuando a parlare come se fosse assolutamente normale.
“Piantala di borbottare sei inquietante” commentò Lorenzo, sordo ai continui rimbrotti di Noah.
“Ma pensa. Io trovo inquietante tutta questa allegria invece” rispose seccato Noah, ficcandosi in bocca un pezzo di pane.
Lorenzo lo ignorò e continuò il suo sproloquio: “Avresti potuto aspettarmi comunque, razza di idiota. Ti avrei aiutato con lo zaino e con quel piede… avrei potuto guidare al posto tuo invece di farti prendere l’autobus” il tutto detto con la bocca piena, cercava di non perdere tempo mangiando e contemporaneamente continuando a parlare ininterrotto, solo che il risultato era qualcosa di non molto comprensibile.
“Non ho preso l’autobus” rispose Noah, guardando a disagio la gente che continuava a indicarli. Vedere uno dei ragazzi più belli dell’università parlare tranquillamente con il più sfigato e asociale, certo non era scena da tutti i giorni.
Lorenzo sgranò gli occhi: “Sei venuto a piedi?” chiese incredulo, al suo cenno affermativo gli riservò uno scappellotto sulla nuca e lo rimproverò: “Ma sarai scemo! Chissà che male la caviglia! Studi medicina, dovresti sapere che non devi sforzarla se non vuoi che ti trascini all’ospedale” lo rimproverò, cieco alle occhiate omicide che gli lanciava Noah.
“E smettila di guardarmi così che non mi spaventi! Da domani ti porto io a lezione, finché il piede non è guarito” e non era una proposta.
“Tu comandi troppo per i miei gusti” grugnì in risposta Noah.
“Se tu sei un idiota che non è in grado di prendersi cura di sé, non è colpa mia” replicò serafico Lorenzo.
Continuarono a battibeccare per tutto il pranzo e Noah non poté negare che quell’atmosfera complice e leggermente familiare lo faceva sentire bene. Riuscì perfino a ignorare gli sguardi degli altri, se ne dimenticò proprio, preso com’era a scherzare con Lorenzo.
Finché la ragazza accanto cui era seduto prima non venne a reclamarlo.
Aveva i capelli ossigenati che risultavano quasi bianchi, li teneva corti e tirati indietro da un cerchietto con un fiocco nero che Noah reputò semplicemente osceno. Un vestitino di lana grigio perla sottolineava la vita snella e scivolava suoi fianchi magri.
“Lori, è quasi ora… se non ci muoviamo Mansutti ci ucciderà. Sai quanto odia i ritardatari” lo disse guardando Noah dall’alto in basso, squadrandolo per bene nello sfacciato tentativo di metterlo a disagio. Cosa in cui riuscì piuttosto bene ma ovviamente Noah non lo diede a vedere, rimase impassibile alzandosi in piedi e nascondendo una smorfia alla fitta che la spalla e la caviglia gli diedero.
“Vai pure Ilenia, ti raggiungo dopo” rispose il ragazzo, afferrando lo zaino di Noah e guardandolo sorridente: “Che lezione hai adesso?” Noah si passò una mano sulla faccia, esasperato.
“Non c’è speranza che mi liberi di te, vero?” chiese esasperato, al suo divertito cenno negativo decise di punzecchiarlo un po’: “Dì un po’… sai che quella ragazza ti muore dietro vero?” Lorenzo gli lanciò un occhiata sconsolata.
“Taci… lo so!”

Quando tornarono a casa Lily era già arrivata da un po’ e aveva cominciato a saltellare sul divano giocando con la playstation, inveendo contro il gioco, il suo personaggio e l’avversario, cacciando fuori parole così colorite e pittoresche da strappare una sonora risata a Lorenzo.
“Però! Di fantasia ne hai eh?” commentò il ragazzo sedendosi accanto a lei e fregandole il joystick: “Da qua che ti faccio vedere come si fa” disse Lorenzo cominciando a giocare, ridendo dei commenti di Lily, sotto lo sguardo stupefatto di Noah.
Chi diavolo era quel tipo che non si faceva intimorire nemmeno da Lily? Dopo il primo momento di giusto terrore per quella ragazzina iperattiva ora sembravano andare d’amore e d’accordo.
“Ma non preoccupatevi, mi raccomando. La cena la preparo io eh, state pure comodi e non aiutatemi, non vorrei disturbarvi” sbottò Noah guardando come ridevano assieme e sentendosi assalire da una fitta acuta al centro del petto.
Erano così naturali assieme, come se fosse del tutto normale strapparsi il joystick a vicenda e darsi sberle scherzose sul braccio ogni volta che il gioco virava al peggio.
Non avrebbe mai raggiunto lo stesso grado di intimità e naturalezza con Lorenzo, sapeva che paragonarsi alla sorella era ingiusto, lei era solare e allegra, estremamente diretta e sincera, non aveva problemi a relazionarsi con nessuno e nessuno riusciva a metterle i piedi in testa. A volte sembrava che tutte le doti positive fossero andate a lei, saltando lui a piè pari. Compresa la bellezza.
Sebbene lei si crucciasse a ogni efelide che compariva sul suo viso, era innegabile che avesse dei lineamenti delicati e un viso incantevole, il fisico era presto per giudicarlo ma aveva una linea magra e per niente spigolosa. Sarebbe cresciuta benissimo e Noah ne era estremamente contento, almeno non avrebbe avuto tutti i problemi che aveva avuto lui. Era innegabile che l’aspetto influenzasse il modo in cui gli altri si rapportavano con una persona e l’autostima che una persona aveva in sé stesso.
I due risero alzando una mano come a dire che l’avrebbero raggiunto dopo, così lui sbuffando si diresse in cucina. Appoggiò le mani al lavello lasciando che i capelli coprissero il viso, non gli piaceva quello che stava cominciando a provare per Lorenzo, non gli piaceva per niente. Era fin troppo facile adesso provare qualcosa di totalmente sbagliato per l’unico ragazzo che avesse mai dimostrato per lui un interessamento sincero. Era assurdo pensare di avere il diritto di vivere e approfondire quel sentimento, per cui si rimise dritto con un sospiro e cominciò a tirare fuori la carne per la cena. Non avrebbe mai e poi permesso che il primo arrivato sconvolgesse il piccolo mondo che aveva costruito con cura fino a quel momento.

Eppure in quei giorni si avvicinarono fin troppo per i gusti di Noah. Lorenzo lo seguiva ovunque, gli portava lo zaino e lo aiutava a fare le scale; anche quando la spalla e il piede guarirono ormai divenne un abitudine per loro camminare affiancati nei corridoi, aspettarsi l’un l’altro al termine delle rispettive lezioni per andare a casa assieme e commentare la giornata.
Capitava fin troppo spesso che Lorenzo lo aspettasse fuori dall’aula e lo salutasse allegro, come se lui fosse la prima persona che valesse davvero la pena salutare nell’arco dell’intera giornata. E gli sguardi delle altre persone che li squadravano scettici non riuscivano a scalfire Lorenzo di un millimetro, se ne fregava delle voci che circolavano e delle risatine che li seguivano, era solito scrollare le spalle e commentare: “Se ne stancheranno prima o poi… sono così fastidiosi perché siamo la novità, fra qualche giorno già non si ricorderanno nemmeno di noi”. Noah era molto scettico a riguardo ma non riusciva davvero ad allontanarsi da lui, si era scoperto ad aspettare con ansia il momento in cui l’avrebbe visto, ad aspettare il tocco causale della sua mano e insultarsi per ogni pensiero osceno gli venisse in mente ogni volta che lo guardava. La cosa peggiore era che non si trattava più di una cosa puramente fisica come la prima volta che l’aveva visto. Non gli interessava più farsi scopare da lui e basta, ascoltava interessato tutte le diserzioni che Lorenzo faceva sui libri che leggeva, anzi si scopriva a leggerli a sua volta per avere qualcosa di cui parlare con lui. Era un vero appassionato di letteratura e sebbene sapesse che nel suo studio erano custoditi molti libri preziosi, eredità di sua madre, non ci era mai più entrato, rispettando il volere di Noah. E il fatto che non gli bastasse più essere guardato o toccato da lui, ma volesse essere anche l’unico che Lorenzo guardasse o toccasse, gli dava l’esatta dimensione di quello che aveva cominciato a provare per lui. Terrorizzandolo.

Era sera quando Lily entrò in cucina trafelata, lui stava preparando la cena come al solito, Lorenzo studiava in camera e Lily aveva appena finito di fare i compiti. Era un routine consolidata ormai da mesi, Noah preparava i pasti dato che cucinare gli piaceva, e Lorenzo sistemava la cucina. Non si erano nemmeno dovuti parlare per accordarsi sui compiti vari. Lorenzo poi lavorava in un locale come cameriere nei fine settimana, faceva degli orari assurdi, capitava che rincasasse anche alle cinque del mattino, così Noah aveva preso l’abitudine di lasciargli qualcosa da mangiare in caldo, perché non si rovinasse lo stomaco mangiando schifezze al pub. Gentilezze che chiunque altro che non fosse la sorella si sarebbe sognato da parte sua, ma che con Lorenzo venivano estremamente naturali. Una parte del merito ne aveva sicuramente il sorriso che la mattina dopo Lorenzo gli rivolgeva.
“Hei hei! Senti, ho scoperto una cosa. Lori adora Dickens e ucciderebbe per vedere la prima edizione di ‘Grandi speranze‘… perché non gliela regali, Noah?” Noah quasi si strozzò con l’acqua che stava bevendo, diede dei forti colpi di tosse e guardò la sorella esterrefatto.
“Perché dovrei fare una cosa del genere? Sai quanto vale quel libro?” Lily gli rivolse un sorriso furbo prima di sedersi sul tavolo, lasciando dondolare le gambe.
“Vale più di lui?” il ragazzo rimase senza parole, osservò il sorriso consapevole della sorella e si chiese da quando lei era diventata così intuitiva e da quando poi si fosse messa in testa di essere una specie di Cupido.
“Tu sei pazza” decretò, voltandosi per tornare alla sua cena.
Ci fu un attimo di silenzio prima che la sorella parlasse, ma Noah non si illuse, che avrebbe risposto era fuori questione, non si lasciava abbattere da niente lei.
“Sono grande ormai” e questa affermazione fece sorridere Noah, era un classico dei ragazzini ritenersi adulti quando in realtà non lo erano affatto, ma la sorella aveva una convinzione tutta sua al riguardo.
In ogni caso lei proseguì: “Non mi devi dire nulla se non vuoi, ma io non mi spavento all’idea che siate due uomini, la sorella di Stella ha sul Pc tante immagini di uomini che fanno cose”e Noah ringraziò il cielo il fatto che non stava bevendo nulla in quel momento, altrimenti sarebbe davvero finito all’altro mondo. Si voltò a guardarla esterrefatto: “Che cosa?!” Lily ignorò gli occhi sgranati e increduli e continuò a parlare.
“L’ho capito sai. Tu non fai che guardare lui e non hai mai guardato così nessuna ragazza, nemmeno quelle carine. E lui guarda te allo stesso modo in cui guarda le ragazze, quelle belle davvero. Come se tu fossi una torta alla crema” rimase senza parole, la bocca aperta e il viso che andava a fuoco. Santo cielo, sua sorella aveva quattordici anni!
Come diavolo faceva a sapere quelle cose? E poi… torta alla crema? O tutti erano impazziti e nessuno si era premunito di dirglielo, o lui era finito su una realtà parallela dove il pazzo era lui e tutti gli altri erano sani. “Lily! Esci subito di qui e piantala di dire queste cose!” sbraitò il ragazzo agitando il mestolo e facendo scappare la ragazzina. Tuttavia sua sorella era tenace quanto lui, non si sarebbe certo fatta fermare da così poco.
Si fermò sulla porta e prima di uscire parlò a bassa voce: “Sono felice sai che finalmente tu abbia qualcuno per te. Ti voglio tanto bene” chiuse la porta prima che il bicchiere si schiantasse contro di lei. Era stato tutto calcolato, sapeva che il fratello avrebbe reagito in quel modo colto dall’imbarazzo, e il fratello sapeva che lei sapeva.
Era contorto da pensare, ma Lily si capì perfettamente e con un sorriso soddisfatto andò in camera di Lorenzo ed entrò senza preoccuparsi di bussare.
“Tutto bene? Ho sentito urla in cucina” la salutò il ragazzo, alzando gli occhi azzurri su di lei e trafiggendola con quello sguardo chiarissimo. Certo che se fosse stata più grande se lo sarebbe tenuto tutto per sé Lorenzo, bello com’era.
“Sì sì tranquillo” disse, alzando le spalle “Noah ha solo tentato di uccidermi per avere tutta l’eredità per sé, ma sono dura a morire” vide Lorenzo ridere divertito e si sedette accanto a lui soddisfatta. Sì, era proprio perfetto per il fratello.
“Non dovresti dire quelle cose su di lui, qualcuno potrebbe crederti” la ammonì scompigliandole i capelli rossi. Lei aggrottò la fronte, ogni volta che lo faceva poi le guardava la nuca incuriosito, come se temesse che le fosse spuntata un’altra testa lì dietro. Era bello ma decisamente strano.
“Ma io non lo dico a chi non capisce Noah” replicò serafica. Lorenzo arrossì distogliendo lo sguardo, quella ragazzina era diabolica, l’aveva sempre pensato.
“Ti serviva qualcosa?” chiese noncurante, era più bravo di Noah a nascondere l’imbarazzo ma Lily era un mago nel mettere a disagio la gente e non si curò del color pomodoro che avanzava sulle guancie di Lorenzo.
“Sì. Volevo dirti che io voglio molto bene a mio fratello. Dopo la morte di mamma ci siamo trasferiti qui vendendo la villa di famiglia e so quanto gli sia costato, so che l’ha fatto perché voleva darmi lo stesso tipo di vita che avevo prima e non voleva farmi cambiare scuola, anche se quella che frequento costa molto. So che anche prendersi in casa un’altra persona non gli è andato giù, anche se alla fine è andata bene. So tutto quello che ha passato e quello che sta passando ed è una cosa che né tu né io potremmo mai capire fino in fondo, ma io, credimi, ne capisco e ne so più di te e quello che capisco non mi è mai piaciuto” disse la ragazzina, il tono era assolutamente serio e consapevole, una cosa assurda da sentire in una ragazzina di quattordici anni, come assurdo era il concetto, nemmeno un adulto avrebbe saputo esprimerlo così bene.
“Cosa stai cercando di dirmi?” chiese piano il ragazzo, anche se aveva intuito dove Lily voleva andare a pararare.
“Che non voglio che soffra ancora, più di quello che sta soffrendo adesso cioè. Tu non sai alcune cose, anche se forse le intuisci, ma credimi… non se lo merita. Se lo farai soffrire ti ucciderò in modi così dolorosi che nemmeno Sauron aveva mai contemplato” Lorenzo rimase a guardarla a bocca aperta, non riusciva a fare a meno di pensare a quanto assurdo era questo dialogo, non era il fratello di solito a fare un discorso simile all’uomo della sorellina? Non era scritto da nessuna parte che dovesse succedere l’opposto! E poi come diavolo aveva fatto quel demonietto a capire una cosa che stava cominciando a capire ora lui stesso? Non rispose, era troppo stupefatto per articolare una qualunque risposta
che avesse senso, rimase a guardarla a bocca aperta mentre sorrideva angelica, come se non avesse appena minacciato di morte orrenda un ragazzo con quasi il doppio della sua età, e uscì dalla camera saltellando.


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