Tu, mia madre

CAPITOLO I

La mattina che stava terminando era stata davvero stupenda.

E il resto della giornata si prospettava bellissimo.
Il sole splendeva senza possibilità di rivali in un cielo così azzurro da sembrare preso di peso da una cartolina.
Il sacerdote aveva appena dato la Benedizione e il coro formato da persone di età indefinibile ( dai 16 ai 65 anni) iniziò l’ultimo canto.
Partì la musica e il suono dolce del flauto-traverso riempì l’aria, facendo rabbrividire la gente presente in chiesa.
Il ragazzo suonava “Salve o dolce Vergine” con occhi chiusi, espressione rapita, totalmente immerso nella musica.
Il direttore lo guardò, estasiato, ancora per pochi secondi e poi diede l’attacco ai tre solisti.
Li seguirono i soprani e via via il resto del coro: Contralti e uomini.
Quando anche l’ultima nota tacque la gente non potè impedirsi di applaudire, anche se non erano ad  un concerto.
Era più forte di loro, la bravura di quel coro era innegabile.
Specie da quando quel ragazzo alto e biondo suonava il flauto –traverso.
Sapeva suonare anche il violino e l’organo ma quando aveva tra le mani quel flauto cambiava completamente e la gente rimaneva incantata ad ascoltarlo.
Era come essere in Paradiso, anche se per pochi minuti, il tempo di un canto.
Lentamente la chiesa si svuotò e in Michael, il nostro artista della musica, avvenne il cambiamento per molti incomprensibile.
Il suo volto dai lineamenti bellissimi cambiò completamente, divenne impenetrabile, di porcellana quasi.
Era come se tre dita di ghiaccio fossero scese su di lui, isolandolo da tutti.
Soltanto Roby, il giovane direttore, riusciva a scalfire questa facciata.
L’unico al quale veniva regalata una parvenza di sorriso.
La voce da bambino un po’ cresciuto di Roby gli fece alzare il capo dalla custodia del suo strumento per ascoltare attentamente quanto di più assomigliava ad un amico nella sua vita.
<< Venerdì facciamo il pezzo nuovo, per Pasqua ne abbiamo tre da far imparare e se non ci prendiamo in tempo non ce la facciamo …>>
Michael fece una piccola smorfia.
Venerdì.
Venerdì era il tre Febbraio.
L’anniversario della morte di sua madre.
Per un istante il cuore si fermò.
Una frazione di secondo infinitesimale al quale lui era abituato ormai fin troppo bene.
<<Non è il tuo compleanno, vero?
Se non sbaglio il tuo compleanno è il 31 Gennaio…>>
Un velo coprì gli occhi azzurri del più giovane, nonostante fossero passati diciannove anni il dolore era intatto, grande.
Immenso.
Nessuno poteva anche solo lontanamente immaginare quello che lui stava provando.
Nessuno, a parte la sua famiglia.
Nemmeno Roby, arrivato in quella parrocchia per dirigere il loro coro da tre anni soltanto.
E che abitava a 40 km da li.
L’unico amico che aveva.
“Che razza di amico sono se non gli dico tutto?” pensò con il cuore chiuso.
Eppure nulla trasparì dal suo volto che rimase immobile… a parte il leggero velo che oscurò per un attimo gli occhi.
<< Mik, non dirmi che non puoi…ti prego, se no rimandiamo le prove! Quando ti va bene?>>
Ormai Roby era partito in quarta, deciso a non iniziare un canto così difficile senza di lui.
Ignaro di quello che agitava l’animo del suo giovane amico.
<< No lascia Roby…va bene così, combino dai…>> La risolutezza della sua voce convinsero il direttore che così avvisò tutti dell’importanza delle prove di venerdì.
Chi le saltava andava in esilio a Katmandù.
O giù di li.
Si avviarono all’uscita e il resto del coro andò nel vicino bar per bere un caffè.
Quasi tutti.
A parte Mario che scappò  a casa per un impegno familiare.
Graziella che andò a mettere su il pranzo perché aveva degli invitati.
E Michael.
Lui non andava mai con loro.
Dopo messa si fermava un momento per parlare con Roby e poi filava via, prima che gli altri potessero fermarlo.
Un’ultimo sguardo al suo amico, l’accenno di un sorriso era quanto di meglio potesse aspettarsi da lui.
E poi la sua schiena che se ne andava con la custodia del flauto in una mano e il quaderno con gli spartiti nell’altra.
Roby si fermò un attimo ad osservare quella figura sottile che usciva dalla chiesa, interamente vestita di nero.
I capelli biondi che accarezzavano le spalle, appena appena però.
Come uno sfiorarsi leggero.
Scosse la testa con tristezza.
Sapeva che più di così non poteva dargli.
In lui c’era un abisso imperscrutabile e nessuno sembrava in grado di affacciarsi per portare un po’ di luce.
O perlomeno di provarci.
Michael chiudeva tutti fuori con ferma gentilezza.
Con distacco.
E con decisione.
Eppure quest’anno non aveva intenzione di essere fermato da lui.
Martedì sarebbe andato a casa sua con un regalo e non gli avrebbe permesso di restare senza amici in una giornata così importante.
Si era messo a cercare sull’elenco il numero di telefono di casa sua ed era stato fortunato: Era intestato a suo padre e visto che sapeva il nome della via non aveva avuto grosse difficoltà nel trovarlo, pur avendo a disposizione solo un cognome.
E così, d’accordo con la più giovane delle sue sorelle (avevano stretto una sorte di complotto a sua insaputa), martedì sarebbe andato a cena da loro, portando uno spartito abbastanza raro che Michael cercava da tanto, come regalo.
Gli era costato un occhio della testa ma ne valeva la pena se questo poteva portare un piccolo sorriso su quel volto così immobile e lontano.
Si stava imponendo?
Certo!
Altrimenti non andava avanti di un passo.
E non voleva, assolutamente, che si allontanasse ancora da lui.

Il 31 Gennaio, quell’anno, sarebbe entrato nella storia della città come la giornata più fredda.
O così almeno sembrava ai suoi abitanti .
In realtà i – 12 delle 14,30, ora in cui la temperatura in genere è più alta non era il record assoluto ma costituiva senza dubbio una temperatura difficile da battere.
Michael era appena tornato a casa dall’Università dove aveva avuto una lezione importante e al pomeriggio sarebbe andato in conservatorio.
Giornata programmata nei particolari, non c‘era spazio per nulla oggi, almeno così si riducevano drasticamente i tempi vuoti in cui pensava.
E pensare, in quella giornata così particolare, era pericoloso per lui.
Troppo pericoloso.
Rischiava di perdersi nella disperazione, di ricordare ciò che mai cancellerà dal suo cuore.
Fino a che avrà vita.
Mise un legno sul fuoco e il calore si alzò notevolmente.
Suo fratello Luca, di due anni e mezzo più grande di lui, stava finendo di mangiare mentre contemporaneamente cercava di guardare un telefilm in TV.
TV che spense subito appena Michael comparve sulla soglia della cucina.
Alzò quegli occhi particolari dove il blu intenso era screziato di grigio e gli sorrise, luminoso.
Non avrebbe mai capito come faceva, in quella giornata così terribile, a conservare la sua serenità.
La sua calma.
Era un ragazzo luminoso, solare seppur chiuso e silenzioso.
In famiglia parlava e parlava ininterrottamente, mentre fuori restava silenzioso, aprendosi unicamente con i suoi migliori amici, che però a differenza sua erano parecchi.
In genere si ha due o tre “migliori amici”, a volte uno solo che può vantare questo appellativo.
Luca invece ne aveva una decina di fedelissimi.
Senza contare i meno fedeli, un’altra decina.
E questo non riusciva proprio a capirlo.
Era cresciuto senza madre anche lui, anche se non aveva il peso immenso che gravava sul suo cuore.
Eppure, nonostante la sua timidezza e i suoi silenzi, riusciva ad aprirsi con gli amici.
<< Auguri fratellino, 19 mica sono pochi… si invecchia eh…>>
Michael aprì il suo viso in un sorriso e il ghiaccio si crepò per un istante, togliendo il fiato a chi lo stava osservando.
Luca ne era abituato.
In famiglia Michael non era così chiuso ed impenetrabile come lo era fuori, con lui poi sorrideva spesso, stupendo perfino se stesso.
Diceva sempre che era contagioso e che, probabilmente, il suo scopo nella vita era farlo sorridere.
E Luca era orgoglioso di questo.
Amava profondamente suo fratello e non gli passava nemmeno per l’anticamera del cervello di dargli la benché minima colpa della scomparsa della mamma.
Questo scaldava il cuore gelido di Michael più di qualsiasi frase, discorso o qual dir si voglia.
<<Senti chi parla…tu che hai già i capelli bianchi…>> scherzavano spesso su questo. In realtà i capelli di Luca erano biondi.
E qualche ciocca addirittura sembrava bianca.
Cosa che lo irritava notevolmente quando glielo facevano presente.
Si sedette anche lui per mangiare qualcosa, quello che la sorella maggiore Elisa aveva preparato per loro prima di andare al lavoro.
Quel giorno c’era una torta salata, con la pancetta e brie che a lui piaceva tanto.
L’aveva preparata per il suo compleanno.
In genere a quell’ora si arrangiavano con panini o simili ma quel giorno Elisa aveva voluto preparargli qualcosa di speciale.
Eppure non ci riusciva.
A lasciarsi andare.
L’angoscia restava li, minacciosa.
Pronta a sommergerlo.
Come faceva a dimenticare?
Come poteva non guardare quel posto a tavola che adesso occupava lui e che era stato di sua madre?
Lo stomaco gli si chiuse immediatamente ma sentì sulla sua nuca lo sguardo acuto di suo fratello.
L’ansia con cui osservava la rigidità improvvisa del suo corpo.
Così si tagliò una fetta di torta, prese un bicchiere pulito e si sedette al suo posto, quel posto così odiato e così amato.
Dolcezza e disperazione assieme.
Il resto della giornata lo passò come da programma, compreso lo stritolamento da parte delle sue sorelle, Selene e Astrid, quando gli fecero gli auguri.
Aveva tre sorelle e un fratello, tutti più grandi di lui.
Elisa di 30 anni e Astrid di 28, già fidanzate da tempo, non si erano sposate per lui.
E questo, dentro di se, lo sapeva benissimo.
Ma non se la sentiva di dirglielo, di dire loro che aveva capito e che potevano farsi una famiglia, lasciandolo li.
Solo quando erano tutti insieme il gelo si allontanava dal suo cuore e lui poteva scaldarsi ancora al calore del loro amore.
Era un bastardo egoista, se ne rendeva perfettamente conto, ma non riusciva proprio a comportarsi diversamente.
Si sentiva protetto e amato come nessuno mai potrebbe sentirsi.
Eppure non gli bastava, questo non scaldava il suo cuore a sufficienza per colmare il vuoto lasciato da sua madre.

Roby era arrivato, come al solito, in ritardo e adesso, mentre parcheggiava la macchina davanti alla casa del suo amico, sperava che anche loro fossero dei ritardatari cronici come lui.
Altrimenti avrebbe fatto l’ennesima pessima figura della sua vita.
Si ricordò all’ultimo momento di afferrare al volo il regalo e la bottiglia di vino che aveva portato.
Banale forse ma sempre utile.
Con un buon vino bianco non sbagli mai, amava ripetere suo padre e lui, nel tempo, aveva imparato che questa non era una frase di pragmatica ma davvero utile.
Sperava che anche questo fosse uno di quei casi.
Quando suonò il campanello anche nella mente di Michael, qualcosa, suonò con sospetto.
Una piccola campanella... senti la voce di Selene che urlava a squarciagola << VADO IO >> mentre un brivido gli corse lungo la schiena.
Cosa stava macchinando quella peste?
All'improvviso tutti i tasselli del puzzle andarono al loro posto.
I vestiti che le tre pesti gli avevano regalato per il suo compleanno e che lui aveva indossato per sfinimento dopo un'ora di estenuanti parole.
E Selene che gli aveva perfino piastrato i capelli...accidenti!!!
Avevano invitato qualcuno!!!
Scese le scale saltando i gradini a due a due per arrivare prima di lei ma...troppo tardi:  il danno era stato fatto e la fatidica porta aperta.
Chi mai avevano invitato quest'anno quelle menti diaboliche?
<< Scusate il ritardo ma... sono costituzionalmente incapace di arrivare puntuale, mi dispiace...>>
...
rimase senza pensieri, azzerati completamente da quella voce.
Roby.
Non poteva crederci.
E mentre il viso sorridente del suo unico amico comparve dalla porta si rese conto che era contento.
Contento che Roby si fosse messo daccordo con sua sorella per fargli una sorpresa.
Contento di essere obbligato a festeggiare un compleanno che ha sempre vissuto come una condanna.
La condanna a vivere senza sua madre.
Chiaramente Selene l'avrebbe pagata perchè era proprio questo che si aspettava quella impicciona meravigliosa che gli voleva più bene di quanto lui meritasse.
Come sempre Roby era vestito in maniera particolare, jeans aderenti all'ultima moda, maglia a righe corta che lo fasciava ma che non riusciva a slanciarlo chissa che.
Questo era il suo limite fisico :era piccolo di statura
...ma a lui non importava molto, perchè il suo innato senso del comando colmava alla grande questo...diciamo handicap che lui non viveva come tale.
Con un sorriso a trentadue denti lo abbracciò prima che Michael potesse fare qualsiasi movimento per sottrarsi al contatto fisico.
Da sopra la spalla di Roby Selene mostrò la lingua, soddisfatta e un piccolissimo movimento incurvo le labbra di Michael.
Un sorriso, senza dubbio.
Un sorriso che voleva dire...grazie.
Forse, per una volta, la disperazione sarebbe stata messa in disparte.
Forse l'amicizia avrebbe preso il suo posto.
Il regalo era davvero splendido.
Solo Dio sapeva la fatica che aveva fatto per trovarlo.
Dio e Roby evidentemente, visto che, chissa come, era riuscito a comprargli quello spartito che cercava da un sacco di tempo.
A tavola suo padre fece il terzo grado all'ospite inatteso.
In pratica, con molto tatto e savoir faire,gli chiese chi era, da quanto tempo era amico di suo figlio, che lavoro faceva e avanti così.
Come un carro armato, senza fermarsi davanti a nulla.
Così seppe che Roby era stato sposato, che aveva anche divorziato e che aveva una bambina splendida di sette anni.
Qualcosa, nel suo atteggiamento, lasciava intuire che Roby lo sconcertava.
Non potevi catalogarlo in un'unica parola o in una frase particolare.
Era incredibile, semplicemente.
Parlava e parlava tantissimo e uno si chiedeva, conoscendo Michael poi, come accidenti facesse ad essergli amico.
Travolgeva tutti con la sua irruenza salvo poi staccare i contatti e restarsene quasi rapito ad ascoltare il suo amico le rare volte che parlava.
Sembrava volesse entrare in lui, in profondità, per ascoltare anche quello che non diceva.
Il suo modo di vestire, di parlare, di porsi, tutto in lui gridava: guadatemi, io sono gay!!
Ma, chiaramente non ci credevi affatto perchè con lui non potevi essere sicuro di nulla.
Poteva essere una posa, un modo di fare per sconcertare la gente che giudicava dalle apparenze!!
E conoscendo Paolo, il padre di tanta prole così pestifera ma molto affettuosa, uomo tutto d'un pezzo, possessivo e abbastanza geloso, Roby non si sarebbe mosso da quella tavola prima di aver soddisfatto tutte le sue domande e messo in pace il suo cuore.