*Ecco un altro capitolo, ormai siamo agli sgoccioli anche per questa fic. Rusty si è liberato fisicamente da Stroh, ma non mentalmente ed emotivamente. Ormai è nelle tenebre, come ne uscirà, come farà ora che ha allontanato anche Ricky per non sporcarlo? Come pensa di fare da solo un'impresa così difficile? La lotta per il ritorno alla luce non è facile, non è una passeggiata e c'è una cosa con cui si deve iniziare. Riuscirà Rusty a farla? Buona lettura. Baci Akane*

9. GRIDO



"Ascolta il tuo cuore  Quelle voci angeliche  Loro cantano per te Saranno la tua guida verso casa
Quando la vita ci lascia ciechi, l'amore ci mantiene gentili."
/The messenger - Linkin Park/


Quella sera l’uomo aveva puntato una ragazza, Rusty se ne accorse perché dopo le solite passeggiate serali senza senso e meta, si era messo a seguirne una in particolare.
L’adrenalina salì improvvisa, l’istinto della caccia provato quando cercava Stroh da solo, il cuore in gola non si sarebbe fermato, così come la sensazione di uccidere. Le dita vibravano, il sangue pompava così veloce che bolliva.
Presto il suo cervello andò in loop ed iniziò ad elencare le diverse possibilità.
Opzione uno: chiamare la polizia. Ci avrebbe messo una vita e ancora non c’erano stati crimini per intervenire se non la sua intuizione.
Opzione due: lasciarlo fare e farsi gli affari propri, fare magari il testimone a posteriori dicendo che l’aveva visto. A cosa sarebbe servito dopo? Sarebbe stato suo complice.
Opzione tre: coglierlo sul fatto ed ucciderlo prima che lui rovinasse quella povera ragazza per sempre.
L’opzione tre gli diede quell’aumento ormonale che gli fece venire un’erezione, la sensazione era molto simile a quelle scatenate da Stroh, con la differenza che era giusta, questa volta. Era eccitato perché stava per uccidere un mostro e niente l’avrebbe fermato.
Era sbagliato da un punto di vista legale, ma non da quello umano ed ora come ora era la sola cosa che gli interessava, la sola.
Il resto non contava.
Lui doveva curare sé stesso, doveva.
Fu così che vedendolo avvicinarla con uno scatto fino a spingerla in un vicolo, in un momento in cui era invisibile perché nessuno era presente in quel posto dimenticato da Dio, Rusty corse zoppicando, impugnò la pistola e col fiato corto e totalmente concentrato in quello che stava per fare, si affacciò nascondendosi silenzioso.
Non pensò minimamente di filmarlo per creare prove concrete, quelle mancanti, non pensò di avvertire comunque Andy, non pensò assolutamente alle cose che fino a qualche mese prima avrebbe fatto.
Pensò solo a stringere la pistola e ad intervenire nel momento giusto.
Ripensò alle altre vittime, le donne stuprate e massacrate, vive per miracolo perché questo non le uccideva, gli piaceva lasciarle in vita e rovinarle per sempre, era peggio della morte.
Si incise a ripetizione continua quelle immagini fino a che il mondo non svanì davanti a lui e la visione di Stroh che lo toccava si sovrappose all’uomo che iniziava ad aggredire la donna.
Rusty strinse gli occhi allucinati cercando di scacciare l’immagine dei propri errori, loro avvinghiati sul letto.
Forse per uccidere un colpevole doveva uccidere sé stesso.
La donna gridò e lui capì che era ora, od ora o mai più, così Rusty uscì dal nascondiglio e puntando subito la pistola verso la sua schiena ampia ricurva sulla ragazza, stesa schiacciata a terra sotto il suo corpo possente, gridò furioso.
- LASCIALA! - La sorpresa del suo intervento fece sì che lui allentasse la presa per girarsi a vedere, lei in quello lo colpì pronta con un calcio nelle parti basse e riuscì a sgusciare via.
Guardò Rusty con la pistola non avendo idea di chi fosse. Un poliziotto? Un giustiziere?
- VAI VAI! CHIAMA LA POLIZIA! - Gridò senza rendersene conto mentre invece lui si avvicinava di corsa all’uomo ancora a terra. Prima che si rialzasse impugnando la sua arma, in quel momento un coltello che cercava di sostituire con una pistola più utile. Rusty diede un calcio alla sua mano, poi premendo sempre il piede ancora mezzo slogato che gli diede una fitta di dolore allucinante che lo riportò brevemente in sé, lo schiacciò per terra.
Il piede sul collo, gli impediva di respirare.
La canna della pistola in fronte.
Era fredda quella pistola, tutto l’opposto di lui che era in fiamme.
Il viso deformato di rabbia, ma non rabbia verso quel tipo, bensì verso di sé.
Verso di sé e verso Stroh che rivedeva mentre uccideva e poi mentre lo faceva godere.
Lo rivedeva in prigione in attesa dei loro colloqui.
Doveva ucciderlo, doveva liberarsi di lui.
- Sono disarmato, non puoi farlo! - Tentò di dire mentre il dolore al piede di Rusty gli impediva di usare la forza sufficiente per soffocarlo ed impedirgli di parlare.
Rusty scosse il capo e sgranò gli occhi inorriditi, solo a quel punto si rese conto di stare piangendo.
Si toccò esterrefatto le guance.
Perché piangeva? Perché?
“Se lo ammazzi diventi come Stroh, ricordi cosa ha detto? Ammazzami e diventerai proprio come me, non potrai più smettere. Sto dando vita al progetto fatto con lui in quei deliranti due giorni? Se premo il grilletto non tornerò più indietro, sarò davvero suo, davvero suo per sempre, non mi libererò mai di lui, non tornerò indietro, non potrò farlo.”
- FERMO! - una voce corposa e tuonante lo fece saltare di sorpresa, tolse il piede ma non la pistola, l’uomo a terra disarmato ancora immobile con le mani alzate.
La donna aveva trovato un poliziotto nei paraggi e l’aveva condotto lì.
- NO NO LUI È BUONO! MI HA SALVATA! LO STA SOLO FERMANDO! NON GLI FACCIA NIENTE! - Il poliziotto fece cenno di aver capito e gli ordinò di farsi da parte mentre si avvicinava, una volta che lo ebbe sotto tiro lei replicò che ad averla aggredita era quello a terra, così annuendo lo prese, lo girò e gli mise le manette arrestandolo.
Rusty alzò le mani con la pistola per poi metterla nella cinta dei pantaloni da dove l’aveva presa, indietreggiò mentre il poliziotto lo guardava cercando di riconoscerlo e la donna lo abbracciava piangendo, grata del suo intervento.
Rusty non era molto lucido, ma tirò fuori il tesserino dimostrandogli di essere dell’ufficio del procuratore, così il poliziotto non lo toccò, ma come da protocollo gli chiese di fermarsi per il rapporto ufficiale.
Rusty rimase a fissare sotto shock l’uomo ammanettato e un’altra squadra della polizia che correva alla chiamata del collega, ben presto si riempì di detective che seguivano il caso, vennero anche Andrea, il suo capo, e Andy i quali lo guardarono male, consapevoli che non si era di certo trovato lì per caso.
- Cosa diavolo volevi fare, eh? Sei impazzito? Devi diventare il giustiziere? Ti manca la maschera ed il mantello, sai? - Cominciò a sgridarlo Andy appena fu possibile fare la sfuriata senza comprometterlo davanti ad altra gente.
Rusty si strinse nelle spalle e scosse la testa chiudendosi in un ostinato mutismo, per un momento ad Andy sembrò di vedere il vecchio Rusty, quello selvaggio, indisciplinato, indisponente e chiuso e sospirò invocando l’aiuto di Sharon dall’alto.
Non era in grado di gestire quelle cose.
- È finita bene perché c’era un poliziotto a fine servizio nei paraggi e possiamo seguire il protocollo. Con questo lo incriminiamo, però poteva andare male, poteva reagire, potevi dover sparare. Rusty, devi essere più lucido. Sei anche con un braccio rotto ed ora zoppichi di nuovo più forte. Quanto credi di andare lontano se prendi questa piega? - Anche Andrea lo rimproverò, lei con più freddezza, ma alla fine vedendo che non voleva dire mezza parola lo fece portare in centrale per la deposizione, prima si chiudeva quella storia e meglio era.
Già, ma quante altre se ne sarebbero aperte?
Quanto ci avrebbe messo prima di uccidere davvero, di andare a caccia da solo di tutti i vari Stroh del mondo e diventare esattamente quel che lui aveva visto?
Rusty ne era consapevole, eppure temeva ormai di avere imboccato una strada a senso unico.
“Ormai sono finito.”
Si disse. 

Il muro davanti a sé non era pieno delle indagini su Stroh, ma delle sue vittime massacrate.
Rusty andava a dormire guardandolo e si svegliava guardandolo per ricordare a sé stesso perché quell’uomo non poteva essere fonte d’attrazione in nessun modo.
Ma più lo faceva più si sentiva un mostro perché poi chiudendo gli occhi sognava quei due giorni insieme e immaginava il prossimo primo incontro in carcere e tutto si mescolava, ormai era diventato lui Stroh che massacrava vittime innocenti e non ne stava uscendo bene.
La vergogna di parlarne con il dottor Bowman era tale che nei loro incontri Rusty parlava a monosillabi e comunque si concentrava sul suo istinto di uccidere tutti quelli come Stroh, ma non spiegava che era così perché lo odiava per ciò che l’aveva fatto diventare.
A quel punto il dottore gli avrebbe detto che uccidendo lui voleva uccidere sé stesso, quella parte malata di sé che era salita in superficie. Ma gli avrebbe detto che non sarebbe servito, non avrebbe funzionato.
La notte era inoltrata quando tornò a casa e si piazzò davanti a quella parete, il cuore pompava sangue in tutto il corpo impazzito e lo sentiva in gola, le tempie sembravano volessero esplodergli nel cervello e stava sudando mentre anche la respirazione era alterata.
Stava avendo un attacco di panico e fissando quelle pareti piene di scempi stava peggiorando.
“Ecco come diventerò, diventerò così anche io! Fisso questo orrore per ricordare a me stesso perché non posso cedere a quel lato che mi chiama, ma la verità è che vedo il mio futuro. Forse ammazzerò criminali, poi un giorno ammazzerò lui e mi renderò conto che lo amavo in qualche modo assurdo, perché quando si è malati a quei livelli non c’è morale che tenga. E lì mi metterò ad ammazzare le povere donne innocenti come lui, per sentirlo più vicino. Ecco come farò. Dannazione. DANNAZIONE!”
Rusty al culmine del suo delirio e del suo dolore iniziò a spaccare tutto, stracciò le foto appese alla parete e mentre lo faceva sentiva le lacrime che volevano uscire ma erano bloccate da qualcosa. Diede un calcio al letto, di nuovo una fitta lo fece gridare ed era meglio che fosse solo in casa perché non ce l’avrebbe fatta, non poteva farcela quella volta.
Voleva romperselo quel piede, meglio così!
Continuò a dare calci con quello perché il dolore gli ricordava che era ancora umano, sentire male era una cosa normale, significava avere un cuore.
O forse no, forse sentire dolore fisico era un effetto placebo inutile.
Non lo sentiva, probabilmente se l’era rotto, doveva fargli un male cane ma non lo sentiva. Guardò il proprio braccio ancora severamente ingessato ed ebbe l’insano impulso di prendere un martello e batterci sopra per provare a sé stesso che sentiva ancora le cose come gli altri, che non stava impazzendo.
Ma quando si voltò per cercare un martello in giro per casa, la foto sulla scrivania con tutta la sua nuova famiglia, lo fermò.
Lui insieme a Sharon, Andy, Ricky ed Emily in una bellissima foto di famiglia il giorno del matrimonio, poco tempo prima della morte di lei.
Fu lì che si spense.
- Quando la vita ci rende ciechi, l’amore ci mantiene gentili... - Mormorò ad alta voce il verso di una canzone che gli aveva fatto ascoltare ventimila volte Ricky come se fosse un mantra. The Messenger dei Linkin Park.
Forse era ora di chiedere aiuto, per una volta. Anche se se ne vergognava e voleva proteggere chi amava.
Forse dopotutto valeva la pena prima di ritrovarsi davvero ad ammazzare la gente come un pazzo.
Fu a quel punto, prima di ripensarci, che prese chiavi e telefono ed uscì di casa.


Zoppicava e nemmeno se ne accorgeva, il taxi l’aveva lasciato direttamente davanti a casa di Ricky, ma percorrendo il tragitto dalla strada alla porta del suo appartamento aveva ricacciato indietro le lacrime per l’ansia del rivederlo; chiedergli aiuto a quel punto era da vigliacchi, come poteva farlo dopo averlo ferito, chiuso fuori e non inseguito?
Aveva lasciato se ne andasse in quel modo ed ora? Ora cosa era venuto a fare? Cosa pretendeva?
Non ne aveva idea, ma il fatto che nonostante tutto, ancora, non piangesse perché ormai il blocco emotivo stava diventando un’ombra gigantesca sulla sua testa, era sempre peggio.
“Cosa gli dico? Ricky, mi hai sempre detto che quando la vita ci rende ciechi, l’amore ci mantiene gentili. Tu sei la mia unica salvezza. Ho sbagliato a tagliarti fuori, cercavo di proteggerti dal buio che mi stava ingoiando. E non è giusto che tu ora ti prenda in carico una patata bollente simile, ormai sono un peso morto e forse non posso nemmeno essere salvato. Ma so solo una cosa. Non voglio andare a fondo. Non voglio. E tu sei il solo che mi può tenere a galla. So che è egoista da parte mia, ma non voglio essere quel mostro. Non voglio.”
Dopo tutto il discorso preparatosi cercando di essere il più lucido possibile, quando la porta di casa di Ricky si aprì e vide di nuovo il suo viso non attraverso uno schermo od una foto, la lingua si annodò, la testa si svuotò.
Fu un lampo, un istante, il tempo della saetta di attraversare il cielo ed illuminare tutto e prima del fragore del tuono, l’ondata si abbatté su di lui cancellando ogni proposito, discorso, blocco e follia.
Prima di pensarlo, di capirlo, di ragionarci su, si ritrovò a piangere davanti a lui e con disperato panico alla ricerca delle parole pensate prima, dalla sua bocca ne uscì solo una.
- Aiutami. -
Da qui il mondo ricominciò a roteare nel senso corretto.

Per un momento fu come sospendere tutto, come se l’atmosfera diventasse irrespirabile, il tempo si fermasse e niente si muovesse.
Per un momento fu proprio così.
Ricky pensava di non aver mai respirato bene in tutto quel tempo senza Rusty, con la dolorosa consapevolezza di aver fallito e di averlo perso.
Eppure ora che lui era lì quel respiro faticoso, quel svegliarsi per forza e trascinarsi nella sua vita normale, era diventato tutto offuscato, come se svanisse rapido ed inesorabile.
Rusty che non aveva più voluto vedere, Rusty che non si era fatto vivo per settimane, era lì davanti a lui appoggiato su un piede e con il braccio ingessato appeso al tutore al collo.
E piangeva in uno stato terribile, i capelli biondi ora erano lunghi e spettinati, l’aria selvaggia che non ricordava di avergli mai visto.
Gli occhi gonfi di lacrime che scendevano copiose.
Si era detto che non si poteva aiutare chi non voleva essere aiutato.
E poi... e poi eccolo.
Lui compariva giorni dopo la sua bella pietra sopra e piangente gli chiedeva aiuto.
E lui, che aveva respirato a fatica fino a quel momento, smise del tutto di farlo. Un momento solo, brevissimo. Il tempo di un altro lampo, poi le sue braccia ad avvolgerlo forti e con trasporto, una stretta accompagnata dal fragore del tuono e dalla pioggia che si mise a scrociare in quel momento, come se il cielo piangesse nel loro dolore, un dolore infinito di cui finalmente si liberavano.