11. UN’ORRIBILE STORIA

"La campanella della scuola suona ancora nuvole di pioggia vengono per giocare ancora nessuno ti ha detto che non respira? Ciao, sono la tua mente, ti do qualcuno con cui parlare.. ciao Se sorrido e non ci credo Presto saprò che mi sveglierò da questo sogno non provare a ripararmi, non sono rotta Ciao, sono la bugia che vive per te così che tu possa nasconderti.. Non piangere Improvvisamente so che non sto dormendo Ciao, sono ancora qui Tutto ciò che resta di ieri.."
/Hello - Evanescence/

Tyler era seduto sulla sedia della cucina di Colby, una cucina bianca come il resto della casa, immacolata, ordinata e pulita.
L’odore di caffè aleggiava fra di loro, ma le tazze erano nel lavello.
Don stava meglio dopo il tempo trascorso, fra l’acqua fredda e il caffè si era ripreso. Del suo ci aveva messo anche il bacio a Colby, che gli aveva dato una di quelle scariche di adrenalina capaci di svegliare un cavallo addormentato.
Colby era seduto accanto a Don, davanti a Tyler, separati dal tavolo. Le mani sul grembo che si tormentavano, gli occhi bassi, la fronte corrucciata.
In quel momento si vedevano i suoi 37 anni.
La sua preoccupazione gli restituì gli anni che nascondeva con i capelli alla moda ed i vestiti costosi.
- Così è morto. - Don e Colby non avevano avuto bisogno di dirglielo, dallo sguardo di Don di prima Tyler aveva capito. Si morse il labbro mentre la palpebra cominciò a tremargli. Piccoli segni distintivi che Don notò e che gli fecero capire che era sincero nel suo dolore che cercava a tutti i costi di nascondere.
- Purtroppo possiamo darne conferma. - Disse piano e con una delicatezza insospettabile. Sembrava un altro. Tyler alzò lo sguardo su Don grazie a quel tono. Trovò la forza di guardarlo ancora e di chiedere con un filo di voce, il dolore vivo, le lacrime a schiarire ulteriormente quell’azzurro cielo incredibile, a renderlo ancor più trasparente e bello.
Un dolore così vivo e presente. Sembrava fosse scomparso dal giorno prima, non dieci anni fa.
- Posso vederlo? - Era come se quella lunga attesa l’avesse sospeso, lasciandolo nello stesso tempo dell’epoca. Forse era questa l’impressione snervante che aveva dato a Don, Tyler sembrava un ragazzo non cresciuto. Eppure era sopra i trenta.
Adesso sembrava invecchiato di colpo, come se il ritrovamento di Dylan l’avesse sbloccato in una sola volta, come se aspettasse quello per muoversi.
- Purtroppo no. - Fece Don gestendo l’interrogatorio con serietà e compostezza, ma sempre senza mancare di una delicatezza essenziale. - Abbiamo ritrovato solo una sua parte del corpo, con la quale è stato collegato ad un caso di pluriomicida a cui l’FBI di tutto il Paese lavora da moltissimi anni. - Tyler impallidì immediatamente sporgendosi sul tavolo, lo afferrò con le mani sui bordi, stringendo convulsamente.
- Un caso di pluriomicida?! - Disse come se fosse impossibile. Poi la mente registrò l’altro dato. - Quale parte avete trovato? Come fate ad essere sicuri che è morto? Forse è vivo, magari lo ha tenuto in vita, non è detto che… - Dieci anni erano troppi per credere che lo fosse. E dieci anni erano troppi anche per sperare a quel modo. Per stare male a quel modo.
Erano troppi per molte cose, tranne che per uno che aveva amato più che come un amico.
Don lo capì contemporaneamente a Colby, i due si guardarono e fu questi a dirlo:
- Lo amavi? - Chiese sviando l’argomento sulla parte mancante. Non era bello far sapere che il cuore della persona che amava era stata ritrovata dopo dieci anni di scomparsa.
- Sì. - Fece Tyler dopo un attimo di pausa dove aveva respirato e aveva lasciato il bordo del tavolo. Sospirò. Chiuse gli occhi. Li riaprì più straziati di prima. Faticava a rimanere lucido, improvvisamente l’alcool era andato via in un colpo solo. - Quale parte avete ritrovato? - Il tono di ora era di chi aveva capito anche che doveva essere una di quelle parti importanti.
Don così glielo disse:
- Il cuore, Tyler. Abbiamo trovato il cuore. -
Due grosse lacrime tornarono a scendere dai suoi occhi meravigliosi e si mise una mano sulla fronte, come a cercare di contenere quel mal di testa esplosivo.
- Dio Santo, il cuore! - Disse incredulo. - E… - tornò a guardarli facendosi forza, mentre le lacrime erano ancora sulla soglia degli occhi. - …e sapete se è stato ucciso il giorno della sua scomparsa? Potete sapere se l’ha ucciso recentemente o… - Don e Colby si stupirono della particolarità della sua domanda, ma Colby gli rispose dopo un cenno di Don il quale ora doveva concentrarsi sui dettagli del suo volto per capire meglio tutta la storia fra le righe. Quella che non riusciva a raccontare.
- Risulta morto da dieci anni, perciò abbiamo stabilito la sua come la prima morte ed abbiamo deciso di scavare su Dylan. - Tyler ora si era perso e Colby, paziente, si alzò, gli versò ancora dell’acqua nel bicchiere vuoto e si risedette. Tyler bevve e Colby continuò calmo. - Abbiamo ritrovato le parti dei corpi di altre vittime, molte vittime. Le abbiamo datate tutte in base al momento in cui risultano essere morte e ci siamo concentrati sulla prima perché… -
- Di solito è il primo che inizia tutto. - Completò per lui quasi automaticamente, con stupore, come se parlasse fra sé e sé. E Don vide chiaramente Tyler perdersi nel mare dei ricordi di dieci anni prima, come se quello risvegliasse tutto, come se venisse catapultato indietro nel tempo, come se tornasse all’epoca, come se non potesse fare a meno di rivivere tutto e capire, e comporre un puzzle mai composto. Ed ora era tutto lì davanti ai suoi occhi, ora capiva.
- Dillo ad alta voce! - Esclamò improvvisamente Don, capendo che stava andando in quegli anni, in quei giorni. Tyler lo guardò smarrito senza ricordarsi per un momento chi fossero e cosa volessero, poi si ritrovò e negli occhi decisi ed incoraggianti di Don, capì cosa volevano da lui.
E spinto da una forza invisibile, da un carisma a cui non poteva opporsi, parlò quasi da solo, come se la sua voce uscisse indipendentemente dalla propria volontà.
- Dylan era una persona solare e gentile, lo notavano e lo adoravano tutti. Io e lui eravamo molto amici, ci siamo conosciuti a scuola e da allora non ci siamo mai separati. Anche io ero popolare, io ero più quel tipo che sapeva come piacere, che si notava perché ero il partito più ambito. Benestante, buoni voti, bravo negli sport, attività di famiglia fruttuosa da ereditare. E ci sapevo fare, ci sapevo molto fare. Io e lui piacevamo a tutti, a volte facevamo a gara a chi piaceva di più, a chi ne conquistava di più. - Tyler si fermò ricordando un dettaglio divertente. - Dylan scherzava sempre dicendo che con lui andavano tutti quelli che non osavano farsi avanti con me, o quelli che io facevo piangere. - Sorrise.
- Era vero? - Chiese Colby cercando di metterlo più a suo agio per farlo parlare il più possibile. Don sentì un campanello in quello. Come se quel dato fosse importante.
- Sì, credo. Io… intimidivo… avevo un fare molto sicuro di me, sapevo di piacere e ne approfittavo… ero anche stronzo… perciò se qualcuno non mi piaceva non lo calcolavo o lo rifiutavo subito. E… - Inghiottì. - Alcuni non si facevano nemmeno avanti. Dylan dopo un po’ mi diceva ‘ecco, un altro che è venuto con me perché non ha avuto il coraggio di farsi avanti con te! Sai che a volte è umiliante, sì?’ -
- Come vivevate questa cosa? - Tyler alzò le spalle.
- Ci divertiva. Non credo che gli pesasse. Poteva avere chi voleva anche lui, era molto dolce. - Colby annuì mentre Don assottigliava gli occhi memorizzando questo dato.
- Perché non ti sei mai fatto avanti se lo amavi? - Chiese Colby per avere un punto completo della situazione. Tyler si strinse nelle spalle, perso in quell’epoca dove per un momento aveva dimenticato la tragedia appena appresa.
- Beh, non pensavo di essere il suo tipo. A lui piacevano persone più semplici, meno… - Cercò un termine adatto e si strinse nelle spalle: - mangiatori di uomini, sai… - Colby annuì capendo cosa intendeva. - Gli piacevano semplici, spesso non erano per niente belli. Era come se lui vedesse al di là dell’aspetto esteriore, come se andasse oltre. Non ho mai capito cosa ci vedesse lui. E lo amavo anche per questo. -
- Quindi eri convinto che non potesse amarti perché non vedevi niente dentro di te? - Chiese con un aria da psicoterapeuta esperto. O più come se ci fosse passato, come se lo capisse, se sapesse. Tyler si sentì compreso e non gli chiese in che modo quei dettagli erano importanti.
Non lo erano. Colby stava empatizzando. A volte gli capitava.
- Non c’era niente, dentro di me. Per quello mi sforzavo di essere perfetto fuori, bello, sicuro, pieno di qualità… per compensare quello che mi mancava. Io… - Tyler si perse con gli occhi fuori da lì, fuori da loro, vagò nella stanza bianca ed ordinata dove una cucina perfetta rispecchiava sé stesso. Tutto perfetto fuori, ma dentro? - Io non vedevo niente nelle persone che invece Dylan riteneva fantastiche. Non ci riuscivo. -
- Ma sapevi che lui era speciale. - Lo corresse Colby. Tyler lo guardò attonito.
- Lui ERA meraviglioso. - Colby sorrise con un che di tenero. Poi lo esortò a continuare mentre le lacrime si cristallizzavano e la voce tornava normale.
- L’anno dei 27 anni cosa è cambiato? - Chiese poi trascinandolo vicino a quel buio in cui Tyler doveva essere stato per dieci lunghi anni.
- Lui ha trovato un compagno. - Disse gelido, trasformandosi. Don si fece più attento.
- Non ti piaceva? - Tyler scosse il capo.
- Ero molto geloso perché di solito me li faceva conoscere e me li mostrava, con lui era tutto misterioso e non era da lui. Con lui Dylan è cambiato. Non mi parlava di lui come faceva per tutti i ragazzi che aveva. Ne ha avuti alcuni per molto tempo, altri per pochissimo. Però questo era diverso. Nessuno l’aveva mai allontanato da me. Lui sì! - Con questo Tyler tornò a stringere il bordo del tavolo, la mente in quell’anno.
- Ricordi come si sono conosciuti? Eri presente? - Tyler annuì.
- Passavamo tutte le sere al locale dove ci siamo visti stanotte. - Questo ovviamente lo sapevano. - Una di quelle sere lui era lì. Si sono conosciuti mentre Dylan andava a prendere da bere. Si sono parlati. Dylan mi ha detto che aveva trovato un ragazzo interessante, io ho scherzato dicendo che per lui ‘interessante’ significava ‘cesso’ per me. Quando anche io ho trovato uno con cui passare il resto della serata, l’ho salutato dicendo che poteva tornare dal suo ‘cesso interessante’. - Sorrise malinconico, combattuto. - Scherzavamo sempre. - Sospirò. Un silenzio strano. Poi gli occhi di nuovo alti dritti in quelli di Colby. - L’ho visto tornare al bancone, da questo giovane di spalle, dai capelli rossi, un po’ grosso ma non enorme. -
- Non hai visto niente altro? - Tyler scosse il capo rigido.
- Avrei dovuto insistere per conoscerlo, per vederlo. Di solito lo facevo, ma quella sera avevo puntato uno che volevo da un paio di sere. Avevo fretta. Merda, se non avessi ragionato col cazzo! - si rimproverò con uno scatto d’ira.
- Non potevi sapere chi era quel ragazzo. - Tyler sospirò.
- E chi era? - Chiese improvviso, come se tornasse bruscamente alla realtà. Colby riprese il controllo con abilità.
- Lo sai anche tu, credo. - Tyler sospese il fiato e lo guardò come se fosse colto in fallo. Dopo tutte quelle emozioni non riusciva più a controllarsi. Una volta era diverso, una volta lo credeva solo scomparso. Pensava che sarebbe tornato e avrebbe dovuto gestire anche la fiducia di Dylan. - Perché non hai detto a Sinners che avevi visto il suo ragazzo? Perché è così che è andata, vero? L’hai visto! È questo che aveva intuito il nostro collega! - Tyler si vide alle strette, Colby era molto bravo a controllare l’intensità degli interrogatori, a stabilire connessioni e ad incalzare nel momento giusto.
Irrigidì il corpo e si fece indietro sulla sedia, come per allontanarsi. Sapeva che questo ora lo metteva sotto una luce strana ed improvvisamente capì perché l’avevano cercato senza rivelare subito la loro identità.
- Volevate capire se sono complice di quel tipo! - Dopo di questo si inalberò picchiando le mani sul tavolo. - Io non ho niente a che fare con lui! Non ho detto niente a Sinners perché avevo fatto un patto solenne con Dylan dicendo che non avrei mai cercato di scoprire chi era il suo ragazzo, perché era pieno di problemi a casa e non doveva sapere nessuno che era gay. E perché altrimenti se anche solo una persona l’avesse saputo, l’avrebbe lasciato. E lui diceva di amarlo, diceva che era così bello, così splendido, così meravigliosamente fragile che non voleva lasciarlo andare. Aveva paura che… -
- Di cosa, Tyler? Di cosa aveva paura Dylan? - Incalzò Colby alzandosi in piedi e cominciando a girare per la cucina mentre Don rimaneva in silenzio, seduto a fissare. Tyler esitò e Colby picchiò la mano vicino alla sua, facendolo saltare sulla sedia. - Di cosa aveva paura? -
- Che se la storia fra loro fosse andata male, che se lui avesse tradito la sua fiducia, che… che da solo avrebbe fatto una sciocchezza. Disse che era troppo fragile per sopportare una sola, anche una sola tragedia ancora. Stava per chiudere con me definitivamente pur di stare con lui alle sue condizioni ed io ho accettato. Ho accettato di non conoscerlo, di non vederlo, di non seguirli. - Colby così capì il resto, si allontanò, tornò a sedersi e i toni si calmarono improvvisamente.
- Quindi non volevi tradire la sua fiducia, non volevi fargli sapere che avevi rotto la promessa. - Tyler ora si vergognava di aver omesso qualcosa di tanto importante per un motivo così futile. Ora non aveva più alcun rapporto da mantenere. Eppure quella volta gli era parso la cosa più importante.
- Ero convinto tornasse, in cuor mio volevo credere che fosse solo una fuga d’amore, ma che appena rotto con quello sarebbe tornato. Ero sicuro. O volevo crederci. E quindi se si fosse ritrovato dietro la polizia perché io gli avevo detto di cercare un tipo coi capelli rossi che abitava nella quarantacinquesima, poi avrebbe rotto per sempre con me. Pensavo di essere paranoico, speravo di esserlo. - Ora Colby voleva ucciderlo, capì che il momento della comprensione era finito e tornò ad alzarsi e a mostrarsi stralunato, furioso.
- Ti rendi conto che potevi salvare il tuo amico? - Tyler tornò a riempirsi gli occhi di lacrime e si coprì il viso con le mani, carico di una vergogna ed un dolore indicibili. Don però non lo fermò, si fermò da solo. Il silenzio rotto solo dai singhiozzi di un giovane non di 37 anni, ma di 27. Fermo a quell’età, a quel giorno.
- Lo so. Me lo sono ripetuto ogni giorno. Ma non avevo niente, né un nome, né una famiglia. Nulla. - Colby scosse il capo mentre lui singhiozzava, senza capire bene.
- Come puoi dire che non avevi nulla se sapevi dove abitava? - Tyler cercò di smettere di piangere per parlare e spiegarsi, ma non era facile.
- Li ho seguiti una sera perché non mi fidavo di uno che isolava così il proprio ragazzo. Ho visto che andavano in questa casa sulla quarantacinquesima. Appena Dylan è sparito prima di denunciare tutto coi genitori, sono andato a casa di questo qua. La casa era disabitata. Non c’era nessuno dentro. E risultava disabitata da anni, i proprietari precedenti erano dei vecchi senza eredi e famiglia che avevano vissuto lì per moltissimo tempo. Una volta morti la casa è andata allo stato. Non è mai stata affittata, ma era un quartiere pieno di case sfitte, alcune più in condizioni migliori di altre, non si distinguevano tutte. -
- Si muoveva con un furgone rosso? - Chiese Colby sperando di avere qualcosa che confermasse.
Tyler si aggrottò e scosse il capo.
- No, erano sempre con la macchina di Dylan. Comunque l’ho visto solo una volta, poi mi sono sentito in colpa e non li ho più seguiti. - Fece una breve pausa dove chiese dell’altra acqua e Colby gliela diede. Bevve e tornò lucido. - Credevo davvero che pur dicendolo alle autorità non fosse stato d’aiuto. Avrei dovuto dire che era un rosso, un po’ grosso, nostro coetaneo probabilmente, senza nome, senza casa, senza auto, bruttino, strano, coi complessi, una vita difficile, paranoico, ossessivo, possessivo, fragile sull’orlo del suicidio e… e cosa? Senza due dita? Come poteva servire? Non avevo niente, niente! E così mi è rimasto solo di sperare che quella fosse una normale fuga d’amore e che Dylan sarebbe tornato con lui, con quel bastardo. Ed io non volevo… non lo so… volevo avere la coscienza pulita il più possibile. Volevo dirgli che nonostante il suo abbandono, io lo perdonavo e avevo mantenuto la nostra promessa. Anche se non era proprio vero. Io speravo che tornasse subito. Quando non ho detto niente a Sinners, speravo che tornasse subito. - Tyler tornò ad incrinarsi e a respirare, ma mentre lui era alle prese coi suoi fantasmi, Colby e Don si guardarono pallidi, i cuori in gola.
‘Due dita mancanti’.
Quelle parole risuonavano nelle loro menti.
L’avevano trovato. Avevano trovato la storia. La sua storia. Gli erano più vicini che mai. Stava per succedere, poteva succedere ora.
Potevano mettere fine a quell’orribile storia che durava da dieci lunghi macabri anni.
O lo facevano loro, ora, o non sarebbero mai riusciti.