12. TIRA E MOLLA



"Amore, amore è un verbo

Amore è una parola che implica un'azione
Intrepida nel mio sussurro
Dolce stimolo
Mi fa tremare mi rende più leggero
Intrepida nel mio sussurro"

/Teardrop - Civil Twilight version/



- Non hai detto una parola. - Disse Colby a Don una volta che si decisero a lasciar andare Tyler con la promessa di rimanere disponibile per qualunque altra necessità.
Don sospirò guardando l’ora, gli mancavano poche ore prima di ricominciare il turno e la testa gli faceva male, aveva bisogno di riposare almeno un po’.
Così si tolse la camicia che aveva allacciato e slacciato un paio di volte e andò verso il divano, bianco anche quello ovviamente.
Colby lo guardò senza capire cosa stava per fare a torso nudo nel proprio divano.
- Che fai ora? - Chiese cercando di rimanere calmo, a fatica.
Don si sedette con aria ovvia.
- Mi riposo. Ho bisogno di dormire almeno queste tre ore che restano. Domani sarà massacrante. - Disse criptico con tutta l’intenzione di non approfondire nulla, né le proprie idee sull’interrogatorio appena avvenuto, né quello che era successo prima con Colby, non così su due piedi e stanco com’era. - Posso usare il tuo divano? - Chiese pensando che era sconcertato per quello. Colby scosse il capo e indicò il letto scettico.
- Il letto è troppo comodo? - Chiese infatti ironico. Don finalmente fece una specie di sorriso e alzò le spalle.
- Il divano va benissimo, grazie. - Con questo si stese, mise una mano dietro la nuca e, senza scarpe, sollevò i piedi sull’altro bracciolo. Si sentì subito meglio, al contrario di Colby che voleva andare a buttarsi giù dalla finestra.
“Eccolo il vecchio Don. Dopotutto di cosa mi illudevo? Che avesse finalmente tolto il muro? E perché?” Con questo scrollò le spalle e fece per andarsene, arreso. Perché Colby non faceva casino, non gridava, non insisteva. Colby non insisteva mai.
Poi si fermò un attimo.
- Pensi che puoi dirmi almeno perché non hai detto niente durante l’interrogatorio? - Don riaprì gli occhi posandoli su di lui serio, pensieroso.
- Dovevo concentrarmi su di lui, sulle impressioni che mi dava. Per capire bene la storia e trovare i punti importanti. - Colby allora chiese.
- E li hai trovati? - Don alzò le spalle.
- Forse. - Colby scosse il capo seccato, ma si limitò a sospirare e a togliersi la maglia e la canottiera, rimanendo a torso nudo a sua volta. Don si morse il labbro sentendo l’ondata di calore partire dalle parti basse. E pensò che se fosse tornato tuonando di non ignorarlo, perché prima era stato bello, l’avrebbe accettato e tenuto con sé. Sarebbe andato nel suo letto.
Ma Colby come sempre non prese posizione e non insistette, chiudendosi seccato nella propria camera.
Gli piaceva quel lato di Colby, lo amava. Per questo era l’unico che poteva stargli vicino. Non insisteva quando lui voleva stare nel suo mondo.
Ma a volte doveva. A volte serviva qualcuno che buttasse giù la porta a calci ed insistesse. Solo in certi casi.
Quello era uno di quei casi.
Se Colby lo voleva davvero, doveva fargli capire quanto. Doveva prendere una posizione, mantenerla, insistere e lottare. Allora avrebbe capito che poteva farlo.
Poteva andare contro la promessa che aveva fatto fra sé e sé a Charlie.
“Cederò a quel che provo per Colby solo se lo vuole anche lui quanto lo voglio io. Se è semplicemente il solito che si fa trasportare dagli eventi no, grazie. So che Charlie l’ha superata e ama Amita e tutto. Ma lo ferirei lo stesso. Fra amici, fra fratelli queste cose non si fanno. Andare con l’ex del fratello o con la persona che gli piaceva. Non si fa. Lo farei solo se non potremmo evitarlo. Charlie ha detto che va bene, vuole che io sia felice. Ma io non me lo perdonerei se lo facessi alla leggera. Colby deve dimostrarmi di più, su di noi.”
E pensando questo, mentre si addormentava sfinito, la sua mente trasformava il proprio concetto nella storia di Dylan e Tyler.
Chissà se Dylan fosse rimasto lì, se non se ne fosse andato con Jason, chissà se un giorno lui e Tyler avrebbero avuto un lieto fine?
Domanda che non avrebbe mai avuto risposta.

Quando Colby uscì dalla doccia, aveva l’asciugamano alla vita ed era ancora bagnato.
Andò in cucina come d’abitudine per mettere su la colazione e convinto di trovare Don in piedi, rimase stupito di vederlo ancora a dormire. Si fermò ai piedi del divano, lo sguardo sorpreso.
Don dormiva ancora profondamente, evidentemente distrutto da una nottata non facile.
Nonostante la cocente delusione dopo la meravigliosa speranza concessa prima, Colby sorrise dolcemente guardandolo. Si avvicinò mentre ricordava  quando era andato a trovarlo a casa di Charlie ed Alan per vedere come stava, dopo l’intervento a causa dell’accoltellamento.
Dormiva sul loro divano. Lo trovava sempre lì così.
Pallido, segnato, stanco.
Ora era decisamente meglio. La preoccupazione di quei giorni non l’aveva raggiunta mai in altri casi.
E la furia. Quando avevano dovuto occuparsi del caso specifico, con Don in sala operatoria, lui era diventato quasi matto. Tendeva a mantenere sempre la calma, ma lì Colby non era proprio riuscito a trattenersi dall’esagerare. David l’aveva dovuto fermare diverse volte.
Per lui era  stato come stare in un incubo. In quel momento aveva capito quanto amava Don, che amava lui e non solo ne era attratto. Lì non aveva avuto più dubbi.
Colby gli mise la mano sul braccio e lo scosse leggermente chiamandolo:
- Don… - Appena lo toccò, Don aprì subito gli occhi e lo guardò di soprassalto. Per un momento, guardandolo con un asciugamano e bagnato dalla testa ai piedi, il torace nudo, la pelle lucida e i capelli gocciolanti, per quel momento rimase confuso.
- Cosa… - Colby capì che aveva un attimo di scombussolamento e sorridendo divertito nonostante i precedenti, disse alzando le mani in segno di ‘stop’.
- Niente, ti sei fermato a dormire da me perché era tardi, abbiamo parlato con Tyler Wolf, ricordi? - Evitò di ricordargli che aveva abbordato il killer scultore, quello poteva essere un risveglio troppo brusco.
Don però se lo ricordò da solo poco dopo, si mise a sedere e si strofinò il viso, stropicciandosi gli occhi in modo infantile. Colby rimase a fissarlo sorpreso di quanto sembrasse vulnerabile in quelle vesti. La coperta che si era messo addosso scivolò e si mostrò anche lui a torso nudo. Colby si morse il labbro.
- Puoi… puoi fare la doccia se vuoi… - Don annuì senza dire nulla, faticando a mettere insieme vocali e consonanti di senso compiuto. Al mattino per lui era così, non parlava nemmeno.
Si alzò mostrando i jeans aperti, Colby distolse subito lo sguardo da quella visione troppo faticosa da sostenere.
- Puoi prestarmi dei vestiti? Vorrei evitare di passare da casa. - Non disse null’altro, era già tanto che lo chiedesse. Colby immaginò perché voleva evitare Robin a casa che lo aspettava.
L’aveva tradita, si disse. Anche se non intendeva più rifarlo, l’aveva fatto.
- Te li preparo sul letto. - Con questo lo lasciò chiudersi in bagno mentre lui, solo in cucina, si appoggiava al tavolo chiudendo gli occhi tormentato.
Quel momento di debolezza nel quale si era lasciato trasportare e ci aveva addirittura creduto, l’avrebbe pagato caro. Molto.
Colby sarebbe andato via se non fosse stato per Don.
Don gli aveva chiesto di rimanere, gli aveva goffamente e sentitamente impacciato detto di rimanere nella sua squadra se voleva. E così lui, che pensava di andarsene perché vedeva che lo guardavano tutti diversamente, era rimasto. Si sentiva comunque il traditore. Li aveva spiati per due anni, tutto il tempo che era stato lì.
Lui l’aveva sempre fatto.
Però Don gli aveva chiesto con un giro di parole non da lui, cosa voleva fare e gli aveva infine detto che se voleva, era l’avrebbe aiutato a restare.
Non era una cosa da lui, non si esponeva e non si imbarazzava nel dire le cose. L’aveva fatto.
Con lui.
Per questo era rimasto.
Don era stato il suo punto di ripartenza.
Don l’aveva trattato prima di tutti in modo giusto, l’aveva incoraggiato, l’aveva osservato con preoccupazione tramite Liz, cosa di cui si era accorto.
In quel periodo stava con Liz e Don gliela aveva messa vicino in turno molto spesso. Chiaro che volesse vedere come stava.
Allora piano piano si era rimesso in gioco, aveva recuperato i rapporti, era ripartito.
Grazie a Don, solo grazie a lui. In qualche modo era iniziato tutto da lì.
Ed ora? Cosa doveva fare con lui?
Lo sentì uscire dal bagno e si riscosse nel rendersi conto che aveva solo preparato la colazione per entrambi, ma non si era né vestito, né aveva preparato i vestiti di ricambio da prestare a Don.
Lo vide infatti spuntare dalla porta della camera che dava nell’ampio salone open space sulla cucina.
Quando lo vide ancora in asciugamano, Don si aggrottò impaziente.
- Beh? Sei ancora così? Dobbiamo sbrigarci! - Cominciò a brontolare subito e trasalendo Colby si scusò andando subito in camera.
- Mi ero perso nei pensieri… riflessioni… - E naturalmente era troppo dire che pensava a lui.
Don voleva che Colby prendesse posizioni più nette invece che stare lì a vivere gli eventi. Colby voleva che Don la smettesse coi muri.
In poche parole, era il dialogo il problema.
Colby lo sfiorò, lo stesso profumo di bagnoschiuma al pino selvatico fece riscuotere entrambi.
Una volta in camera lo vide tirare fuori i vestiti, gli lanciò degli slip della sua misura nel cellofan.
- Ho sbagliato a prenderli. - Disse Colby. - Penso ti andranno. - Don sapeva che Colby preferiva i boxer. La visione sua nuda non gli era mancata nonostante all’FBI si venisse vestiti.
Erano capitati turni massacranti dove era stato necessario cambiarsi e lavarsi. Le docce maschili erano insieme, come quelle degli sportivi.
Quando gli consegnò anche dei jeans ed una maglia, Don realizzò che se fosse andato a cambiarsi in bagno sarebbe stato da ragazzini, ma farlo davanti a lui che faceva la stessa cosa poteva essere provocatorio.
Titubò un istante, cosa non da lui, e vide Colby cominciare lì senza problemi.
Si tolse l’asciugamano dalla vita e Don si dimenticò cosa era lì a fare e dal guardare se si cambiava lì o meno, passò al fissarlo ebete.
Il suo corpo, per quante volte l’avesse visto, era sempre piacevole da. Ogni volta l’effetto era identico.
Il flash di quella volta che era tornato bagnato fradicio da un inseguimento perché aveva dovuto fermare il sospettato placcandolo in piscina.
Vestito e bagnato aveva il suo perché, ma seguirlo negli spogliatoi dove si era cambiato per parlare di una cosa che poi ormai non ricordava nemmeno cosa fosse, era stato davvero stupido.
Colby quella volta aveva fatto un eccellente spogliarello, ma la maglia non aveva voluto saperne di levarsi e così mentre gli parlava spiegandogli chissà poi cosa, si era girato di spalle verso di lui e gli aveva chiesto una mano.
‘Scusa, per il tuffo carpiato a freddo mi devo essere stirato la spalla… mi aiuti? I vestiti bagnati sono difficili da togliere.’
Don spiazzato era entrato e l’aveva aiutato.
‘Questo perché vesti stretto.’ Aveva commentato. Le sue mani sulla sua maglia, sulla schiena. L’aveva sollevata e gliel’aveva proprio tolta imbarazzandosi, trovando difficile togliere poi le sue mani da lui.
Colby l’aveva ringraziato voltandosi subito ed era rimasto davanti a lui, così vicino. Improvvisamente non aveva più respirato, Don ricordò subito quel momento. Così simile a quello.
Si erano guardati in quel modo, perdendo il filo dei pensieri e del dialogo. Il silenzio che era calato era pesante, strano. Il caldo, l’eccitazione.
Poi guardandolo serio e zitto negli occhi si era aperto i jeans e sedendosi se li era sfilato, distogliendo lo sguardo per fare una smorfia di dolore.
‘I jeans sono ancora più difficili con una spalla fuori uso, eh?’
Aveva detto Don chinandosi davanti a lui. Si era accucciato e di nuovo aveva messo le mani su di lui, sulle sue gambe.
Quell’elettricità di prima era tornata e si era sentito così bene, nonostante l’imbarazzo.
Era così bello toccarlo in quel modo intimo.
Aveva fatto scendere i jeans dalle cosce e li aveva tirati via facendo fatica lui stesso.
Poi Don aveva riso, non tanto per l’imbarazzo quanto per il divertimento.
‘La prossima volta togliti almeno i jeans prima di tuffarti!’ Commentò ironico. Colby aveva riso imbarazzato, succhiandosi il labbro, stringendo la mano sulla spalla che gli doleva e non sapendo come muoversi, come respirare.
Quel momento era vivido, era così vivido che ricordava anche cosa aveva pensato.
‘Sarà normale che mi piaccia toccarlo e spogliarlo?’
Per Don era stata la prima volta che aveva coscientemente pensato che Colby gli piaceva.
Poi aveva ricordato Charlie. Conosceva suo fratello, anche se non si era mai confidato sapeva che gli piaceva Colby. Così si era ritirato bruscamente, staccando le mani da lui come se avesse la peste. Si era alzato, aveva distolto lo sguardo dal suo e rigido e nervoso, si era incupito andandosene, dicendo che lo aspettava in ufficio.