*Ecco un nuovo capitolo, questo è tutto dedicato al caso che stanno seguendo, perciò ci spostiamo dagli affari di Don e Colby per tornare da Dylan e Tyler, in particolare oggi conosciamo un altro personaggio della loro storia, il proprietario del furgone rosso rubato ed usato dal killer in quei 10 anni. E niente, fremo per dire un sacco di cose ma mi mordo la lingua! Buona lettura. Baci Akane*

16. IL SENTIERO GIUSTO

"É stato un romanzo alla rinfusa fin dall’inizio
Prendi questi ricordi che mi hanno perseguitato
Un uomo di carta tagliato a brandelli
dal suo stesso paio di forbici
Non ti dimenticherà mai…"
/Papa Roach - Forever/

Colby parcheggiò l’auto poiché arrivati a destinazione, poi scese senza parlare, seccato per quella precisazione che non serviva.
Non dopo la loro nottata.
Come a mettere ancora le distanze.
Don sospirò scuotendo il capo, Colby era più cristallino nei suoi sentimenti, più di lui. Più che altro gli stati d’animo. Salvo poi non dire a lui e a Charlie cosa provava.
Aveva il potere di farlo sentire un verme.
- Senti Colby… - Cercò di fermarlo prima di entrare nell’edificio. Colby scosse il capo andando spedito, alzò la mano senza guardarlo.
- Non serve. -
- Sì… - Replicò lui fermandolo per il braccio visto che non intendeva fermarsi. Si guardarono attraverso le lenti scure, nessuno dei due se le tolse, entrambi rigidi e sulla difensiva.
- Non volevo intendere nulla di personale… è solo che non ho mai avuto altre esperienze omosessuali, a parte… beh, lo sai. - Disse imbarazzandosi e guardando per un momento in giro. Poi tornò a lui che sospirò ed annuì.
- Certo, certo… - Rispose sbrigativo non volendo avere quella conversazione che sembrava un cerotto su una ferita da taglio profonda. Lì andavano praticati dei punti, il cerotto faceva il solletico.
- Non sono gay come quelli con cui lui ha avuto a che fare fino a qua. - Colby si strinse nelle spalle buttando un po’ infuori il labbro inferiore, dimostrando un disaccordo infantile.
- Non so sai… - Don si aggrottò di nuovo alzando il mento.
- Perché? -
- Perché lui ieri ti ha visto in un locale gay, hai pomiciato con me davanti a tutti. Se era lì per spiarti l’avrà fatto per tutta la sera. E ha visto un uomo che stava con un altro uomo. Potresti colpirlo sul serio. - Don rimase zitto. Non voleva dargli frecciate di alcun tipo, erano i fatti e lo capì. Ci pensò abbassando lo sguardo mentre ci rifletteva rivedendosi dall’esterno.
Era esattamente quello che sembrava, era vero.
- Ma lui era là per Tyler… sa che frequentava quel locale, sperava o sapeva che era là… mi ha trovato per caso, probabilmente ha capito che stavamo indagando sotto copertura, ed ha visto un’opportunità. Mettiti nei suoi panni… - Cominciò mettendo il palmo verso l’alto, gesticolando.
- Non ci tengo particolarmente a vedermi come un assassino grazie… - Disse ironico Colby alleggerendo l’atmosfera. Don fece un mezzo sorriso.
- Però io penso questo. Sono un killer. Torno nella mia città natale per finire il lavoro che non ho mai avuto il coraggio di fare. Lo cerco, lo studio. Intanto mi imbatto nell’agente che ho visto prendere in carico il mio caso. Con stupore mi chiedo come faccia ad essersi avvicinato già così tanto a me, cosa ci fa lì, come fa ad essere arrivato nella mia zona. D’istinto, sapendo che non sa che faccia ho, cerco un modo per sapere che combina, come sono le indagini, a che punto… -
- Quindi lo avvicini con un trucco e vedi come reagisce. - Continuò Colby concordando con la sua versione.
- Gioco con lui. - Concluse Don.
Colby dovette ammettere che come ragionamento filava.
- Sei sconvolgentemente bravo a metterti nei panni dei serial killer… - Commentò poi riprendendo a camminare.
- Era un complimento od un’offesa? - Chiese incerto Don fissando la sua schiena entrare dalla veranda. Colby si girò a metà con un ghigno ironico e malizioso che piacque fin troppo a Don, il quale si affrettò a seguirlo.
Momenti interessanti, si disse dimenticando per un momento il resto del mondo. Momenti molto interessanti.

L’autotrasportatore faceva ancora il corriere libero professionista, ma aveva cambiato ditta.
Dieci anni fa aveva 30 anni, la ditta per cui lavorava produceva cibo biologico dei migliori, per animali. Teneva in considerazione delle caratteristiche necessarie a seconda del genere e della tipologia e metteva insieme il miglior cibo su piazza, rigorosamente cultura biologica. Costava un po’ ma si poteva avere buona roba.
L’uomo si chiamava Colton Martin, ora da quarantenne aveva cambiato ditta. In qualità di libero professionista forniva i suoi prestigi alla ditta che offriva meglio e da un punto di vista economico, ad un certo punto, aveva deciso di passare a trasportare materiale tecnologico.
- Sa, dopo il furto, coi soldi dell’assicurazione, mi sono preso un nuovo furgone, più grande e con più qualità elettroniche. L’altro era molto vecchio, non aveva praticamente niente, fu il primo che mi presi. - Disse Colton, un uomo palestrato che amava tenersi in un certo modo. Non era bello di suo, però si curava e questo gli dava molti punti.
Don non aveva un grande occhio per capire a prima vista l’orientamento sessuale di uno che non si esponeva, Colby era più bravo in quello. Chi era gay e doveva nasconderlo per una questione professionale o per motivi personali, era più bravo a riconoscere gli altri che lo facevano.
Colton non sembrava. Non aveva sopracciglia sottili, la barba disegnata con il rasoio di precisione e dalle braccia non mancavano i peli levati col laser. I vestiti non erano alla moda ed aderenti fino a non respirare, tanto meno i capelli non erano perfetti e all’ultimo grido.
Però era curato. Le maniche tirate su mostravano una peluria che probabilmente c’era anche nel resto del corpo, del tutto nella norma.
I capelli biondi erano privi di gel, il taglio molto semplice e corto. Niente barba. Abiti che gli stavano a pennello, perciò non aderenti, ma nemmeno larghi e trasandati. Aveva un eccellente gusto nel vestire.
Colby lanciò un’occhiata a Don per intendere che secondo lui lo era.
Primo segnale. Dovevano scavare.
- Mio padre morì che mi ero appena diplomato ed io dovevo occuparmi di mia madre che aveva un forte esaurimento. Così con pochi spiccioli riuscii a recuperare questo furgone rosso, non era in brutte condizioni, ma non aveva optional di nessun tipo. Così presi tutti i lavori che potevo fino a che non riuscii a mettere via un po’ di risparmi. L’assicurazione derivata dal furto mi aiutò a metterci quello che mancava, così presi un nuovo furgone, più moderno. Sapete, ci sono molte ditte che accettano trasportatori solo con furgoni di un certo genere, dipende dall’immagine che hanno. Le ditte di tecnologia solitamente sono fra queste, perché stampi il loro nome sul tuo furgone e li pubblicizzi, perciò devono essere… - Colton era logorroico, parlava molto. Era come se avesse voglia di raccontare la sua storia personale. Don si fece l’idea di uno che aveva faticato a risalire la china, che aveva avuto molte difficoltà, a partire probabilmente dalla propria omosessualità che all’epoca ti segnava negativamente. Ed ora che era agiato, era orgoglioso di sé ed era felice di poterlo raccontare a qualcuno, di espandere un po’ la sua storia.
Ma all’epoca non doveva essere così interessante. Non era un banchiere o il capo di qualcosa, ma farsi una buona vita trasportando materiale significava che avevi testa e ci sapevi fare.
- Sono riuscito a lavorare anche 15 ore. Sai, nel mio lavoro si prendono i giri, no? Non ti pagano a ore, ma a chilometri e a giri. Io arrivo e garantisco di poter fare il giro di questa zona. Questo giro lo devi fare entro un orario, ma se lo finisci prima meglio per te. Così puoi prenderti due giri. Tre giri. Non importa quanti sono, l’importante è che li fai, che tu consegni quella roba entro gli orari che ti dicono. Più ne fai, più ti pagano. Se lavori tanto, ti pagano tanto. - Spiegò ancora gentilmente e con orgoglio per sottolineare che aveva lavorato molto.
Al momento Colton aveva un’ora libera e li stava ricevendo a casa, era una casa grande, indipendente, con giardino, piscina e di un certo buon gusto.
Si stava mettendo in mostra.
“Decisamente gay.” Pensò Colby il quale sapeva che questo non era un indizio caratteristico, ma unito ad altri segnali che aveva notato, lo era.
- Molto bene. Pensa di sapere chi è stato a rubargli il furgone e per quale motivo? - Chiese tagliando corto Don, spazientito di tutte quelle spiegazioni che non portavano a nulla.
- Non ne ho idea, agente. Come le ho spiegato quel furgone non aveva nulla di speciale. Era in buone condizioni, certo, lo curavo. Però non era nuovo, non era moderno, non aveva optional, GPS, attacchi per il telefono… capisce? Era anche rosso, un colore che non sempre piace, è appariscente… io davvero non lo so! -
- Bene, è stato ritrovato. - Comunicò a quel punto Colby. Colton se ne stupì, poi parve pensarci meglio e si aggrottò:
- Come mai l’FBI se ne occupa? - Don gli fece cenno e Colby gli spiegò di cosa si trattava senza scendere nei particolari, notando che era sinceramente impressionato che il suo furgone potesse essere stato rubato ed usato per dieci anni come base mobile del famoso serial killer scultore.
Don aveva la sensazione che stessero perdendo tempo, aveva sperato in un colpo di scena, un collegamento con Dylan che potesse saltare all’occhio.
- Conosceva questo ragazzo per caso? - Chiese per velocizzare la cosa, mostrandogli la foto di Dylan. Colton si riscosse guardando la foto, poi sembrò concentrarsi come se si ricordasse di qualcosa.
Le antenne di Don si raddrizzarono e lanciò un’occhiata di attenzione a Colby che si fece attento anche lui.
- Beh lui… lui è quel ragazzo scomparso dieci anni fa… è la stessa foto che passavano i notiziari… era… - Tossì sforzandosi di ricordare. - Era del mio quartiere, ma non lo conoscevo di persona, frequentava posti che non erano per me… - Precisarlo era come per dire ‘ehi io non sono gay, eh? Non fraintendere.’ E questo lo facevano i gay che volevano nasconderlo.
Colby fece un mezzo sorriso d’intensa con Don che rimase serio. Puntò il dito sul viso di Dylan e perentorio continuò:
- Si sforzi, cosa può dirmi di lui? L’ha mai incontrato, ci ha mai parlato? Eravate dello stesso quartiere, nei quartieri ci si conosce tutti e quando uno sparisce la sua storia diventa un mantra per tutti… - Colton capì subito, tirando le somme, di cosa si trattava.
- Credete sia collegato al killer scultore anche lui? È di questo che indagate, giusto? - Don sospirò spazientito.
- La prego, si concentri sulle nostre domande. - Lo riprese.
- Certo, dunque… - Incrociò le braccia al petto e si toccò il mento guardando in alto per ricordare in che modo ci aveva avuto a che fare. - Ecco, non io direttamente ma se non sbaglio mio cugino lo conosceva. In quel periodo ci è stato male. Mia madre e la sua sono sorelle e noi ogni tanto usciamo insieme, ma non quando frequenta quei locali che a me non piacciono. Lui e questo ragazzo qua frequentavano insieme quei posti. Ma senza di me. Quando sparì passai un po’ più di tempo con mio cugino per tirarlo su. -
Don e Colby si guardarono, non avevano mai avuto bisogno di parlare, nemmeno in quel momento ne ebbero.
Poi Colby chiese cauto, come se sentisse sotto la pelle che c’erano arrivati.
- Suo cugino è Tyler Wolf? - Colton annuì.
- Le nostre madri sono sorelle, come le dico avendo un paio di anni di differenza è capitato si uscisse insieme, ma solo quando lui non andava per i suoi posti. Gusti diversi. - Disse alzando la spalla con una certa grazia che non era riuscito a controllare.
Colby annuì mentre Don fu attraversato da un brivido lungo la schiena. Un brivido che gli fece drizzare tutti i peli.
Il famoso campanello risuonò di nuovo nella mente, rumoroso.
Tutto conduceva a lui, a Tyler Wolf. Da quando partiva l’ossessione per lui? Magari dai tempi della scuola? Valeva la pena indagare.
- Perché lo conoscete? È implicato in qualcosa? - Chiese con stupore, come se non fosse possibile. Colby si affrettò a negare.
- No, ma stiamo indagando sul signor Cherry e siccome lui era il suo amico più vicino, abbiamo parlato con lui. La prassi. - Colton annuì facendosi bastare quella spiegazione.
Si appoggiò allo schienale del divano su cui erano a parlare e rimase con lo sguardo perso, fisso nella foto di Dylan.
- Le viene in mente nulla? Magari dagli sfoghi di suo cugino… -  Colton si strinse nelle spalle.
- Se ci avete parlato avrete notato che per quanto sia egocentrico e narcisista e anche parecchio acido, spaccone e via dicendo… beh, non si apre. Non parla di sé, di quel che prova. Si mostra, ma questo è diverso dal aprirsi sul serio. - Silenzio, alzò gli occhi di un grigio che si avvicinava a quelli azzurri del cugino. Facendo attenzione certi tratti potevano accomunarli. - Stava con me per non fare una sciocchezza. - Concluse come se avesse fatto uno di quei rumori insopportabili che ferivano le orecchio.
- Era molto legato a Dylan Cherry, ci ha detto. - Incoraggiò Colby con un tono dolce, per invogliarlo a continuare.
- Per questo. - Confermò. - Era distrutto, ma non ha mai detto niente a riguardo. Arrivava a casa mia ubriaco e mi diceva di fare qualcosa perché se stava solo andava a prendersi tutta la scorta di medicine che trovava in casa. Così anche se ero un po’ nei guai anche io con il furto del furgone, prendevo ed uscivo con lui. -
Un rapporto normale fra cugini con 3 anni di differenza, si dissero. Colton era gay ma non voleva viverlo con Tyler, probabilmente si erano resi conto di esserlo insieme, era una cosa più comune di quel che potesse sembrare.
Lasciarono passare un po’ di tempo per fargli pensare, era nel vortice dei ricordi e magari in una di quelle sere, Tyler poteva avergli detto qualcosa, mentre era ubriaco.
- Pensate ci sia speranza di riavere Dylan Cherry vivo? Sa, Tyler si è ripreso ed ora sta bene, ma sarei felice se potesse riabbracciarlo. Passavo le sere a dirgli che sicuramente un giorno sarebbe tornato, che non gli era successo niente di brutto, ma era solo andato via di sua iniziativa. - Don e Colby si guardarono di nuovo dispiaciuti, Colby a dimostrarlo più di Don.
Lo sguardo di Colton era pieno di speranza, una speranza sincera derivata da un affetto altrettanto sincero per suo cugino che, probabilmente, alla fine non si poteva odiare davvero.
- Signor Martin, ci dispiace comunicarglielo ma Dylan è morto. Le confermiamo che è una delle vittime del killer scultore. C’è stata la svolta peggiore che potessimo aspettarci. - E per un momento infinito fu come tornare indietro nel tempo, di nuovo, ma questa volta con tutto il corpo e non solo coi ricordi. Per un momento videro in Colton lo stesso sentito dispiacere derivato dallo stare vicino a suo cugino.
- Tyler… - Si schiarì la voce roca. - Tyler lo sa? - Colby annuì dispiaciuto.
Colton scosse il capo, si strinse le mani cercando di ritrovare lucidità, di uscirne, di capire cosa fosse il caso di fare. - Allora è meglio che vada da lui… non so come può reagire dopo dieci anni… credo… credo si sia fatto una ragione, che abbia capito da solo che doveva aver fatto una brutta fine. Lui ne era sempre convinto, mentre io gli dicevo ‘vedrai che sta bene’, lui diceva rabbioso ‘non può stare bene con quel pezzo di merda vicino! Un giorno lo ammazzerà e giuro che se lo rivedo, giuro che se un giorno lo rivedrò e lui non sarà vivo al suo fianco, lo ammazzerò con le mie mani! Non importa quando sarà!’ Questa era la cosa che ripeteva più spesso. Credo che sia meglio vada da lui. - Don si raddrizzò e si alzò con lui, imitato da Colby. Lo fermò con una mano usando un tono più deciso, realizzando qualcosa al volo.
- Mi scusi, ma le ha mai detto niente di più su questo compagno? - Colton cominciò a raccogliere le sue cose e a cercare il telefono per chiamare Tyler. Nel mentre parlava.
- No, niente. Niente di più. Lo odiava, ma quando gli chiedevo perché, diceva che glielo aveva cambiato e portato via. Io penso che Tyler amasse Dylan. - Silenzio. Poi si ricordò che aveva per tutto il tempo cercato di evitare l’argomento omosessualità anche se sapeva che Dylan e Tyler erano da sempre dichiarati. Li guardò come per controllare la reazione e Colby lo tranquillizzò.
- Va tutto bene, sappiamo anche questo. - Colton si rilassò e trovò il telefono.
Volevano dirgli che forse era scomparso, ma come dire una cosa simile su due piedi? Forse non era scomparso, forse era a casa che dormiva dopo una nottata terribile ed aveva spento il telefono assentandosi da lavoro per malattia. Dovevano sperarlo, ma avevano troppa esperienza per farlo seriamente.
Don lo fermò con un’altra domanda.
- Un’ultima cosa, signor Martin. - Disse facendosi guardare un po’ spazientito. - Vorremmo avere la lista dei clienti da cui andava lei in prima persona a rifornire, specie quelli degli ultimi mesi antecedenti alla scomparsa di Dylan. - E solo lì Colton capì davvero e fu come se un fulmine attraversasse il cielo.
- Quindi io ho conosciuto il killer ed il rapitore ed assassino di Dylan! - Don non rispose, ma il suo silenzio fu molto comunicativo. E così Colton annuì. - Certamente, diedi già la stessa lista agli agenti che si occuparono dell’indagine del furto, all’epoca. - Andò in un cassetto, prese una cartellina in cartoncino azzurrina, l’aprì e consegnò un foglio di carta leggero dove sopra c’erano nomi, cognomi, indirizzi e recapiti dei suoi clienti degli ultimi periodi.
Don la prese e la guardò brevemente ed un altro brivido l’attraversò di nuovo. Nessun campanello, ma gli parve come se quella lista fosse importante. Sentì che dovevano concentrarsi lì, che lì c’era qualcosa.
Quel furgone rosso lo usava per lavoro, lo vedevano i clienti. E lui era il cugino dell’ossessione di Jason, il killer. Non poteva essere tutto una coincidenza. Non poteva.