*Ecco un altro capitolo. Le indagini continuano, seguiamo passo per passo quel che fanno per avvicinarsi a Jason che ha rapito Tyler, il tempo corre e non sanno quanto ne resta alla prossima vittima. In poco tempo devono organizzare l'incontro con Don e scoprire il più possibile sul suo conto, vero nome, vera identità, come ha agito. Il tutto si intreccia con le vicende personali di Don e Colby che cercano di rimanere professionali e concentrati sul lavoro. Buona lettura. Baci Akane*

19.  L’APPROCCIO MIGLIORE



"Tutto sommato era solo un altro mattone nel muro"
/Pink Floyd - Another Brink in the Wall - pt1/

Appena arrivato, Don mise tutti al lavoro dando ordini su ordini senza nemmeno respirare, di cose da fare e verificare ce ne erano molte, per di più doveva prepararsi e creare una strategia.
- Per prima cosa va accertata la sua identità, chi è e se è lui il killer. -
Concluse visionando i filmati della videocamera di sorveglianza del locale della sera prima.
- Pensi che possa non essere quello che ti ha contattato? - Chiese Colby che stava studiando una strategia di manovra in base alla piantina del ristorante in cui voleva incontrare Don di lì a poche ore.
- No, credo che sia lui, ma una conferma prima di agire è sempre meglio. -
Colby annuì tornando alla sua cartina scaricata dal satellite che mostrava tutta la zona, compresi gli edifici confinanti e la strada.
Un’altra era dell’interno da cui doveva accertare le vie di fuga.
- Comunque c’è da considerare che anche una volta che lo prendiamo non parlerà mai, non ci porterà mai da Tyler. - Replicò Don mentre con lo sguardo corrucciato guardava in modalità veloce le immagini. Voleva trovare i momenti in cui erano arrivati sia Jason che Tyler, poi quando Jason aveva parlato con lui fuori dal locale ed infine quando se ne erano andati tutti. Però riusciva a fare due cose insieme. Lo sguardo attento non perdeva un viso anche se andava veloce, la bocca parlava quasi da sola.
Colby lo guardò stralunato.
- Ehi, e i pensieri positivi? - Don rispose serio senza fermarsi.
- Quelli sono tuoi! - Colby sospirò scuotendo il capo, tornando alle piantine, a segnare dei punti col pennarello rosso. Le vie di fuga da tenere sotto controllo. Con il blu fece invece i punti strategici, dove potevano piazzarsi gli agenti in copertura. Con uno verde cerchiò la zona migliore per Don, dove possibilmente avrebbe potuto stare. - Comunque se arrivi prima di lui scegli il posto migliore, dove possiamo tenere d’occhio la situazione con i minimi rischi. - Don annuì staccando un istante lo sguardo dal monitor per vedere la cartina e il posto che gli stava indicando.
- Jason dissangua e poi scolpisce, può avere già iniziato il processo. Se lo prendiamo prima che ci porti da lui, non salveremo mai Tyler. - Replicò di nuovo sicuro. Colby lo sapeva bene e sapeva anche cosa significava.
 - Don, è già pericoloso farti incontrare con lui senza la certezza che lui sa chi sei e perché vuole vederti. Vai ad improvvisare nella speranza che non ti conosca e di poterlo gestire, ma se invece sa già chi sei e ti dice ‘ehi, adesso che fai? Se mi fermi Tyler muore!’ Tu… tu cosa credi di fare? - Ed era per questo che Don ne parlava ora.
- La migliore opzione che ho è assecondarlo finché non mi porta da Tyler. Voi non vi dovete rivelare, mi seguite ed il gioco è fatto. - Colby alzò gli occhi al cielo.
- E se non ti porta da Tyler ma in un altro posto? - Don lo fissò torvo.
- Quanti laboratori può avere? Non sta più qua da molto, chi lo sa se ha ancora proprietà? - Colby si strinse nelle spalle alzandosi in piedi, finendo di studiare il piano d’azione. Si avvicinò a Don con le mani ai fianchi e l’aria contrariata seppure cercasse di mantenere la pazienza. Faticando.
- Senti Don, il tuo compito è catturare il killer e salvare la vittima, ma il mio è assicurarmi che torni a casa sano e salvo. Sai, avevamo quel discorso in sospeso ed odio non concludere le cose! - Aggiunse con ironia per alleggerire la situazione che iniziava ad essere tagliente. Don scosse il capo testardo, tornando allo schermo e trovando più facile ignorare Colby piuttosto che dargli retta.
- Ti ringrazio ma io ho un lavoro da fare. Di solito non condivido le mie strategie, agisco direttamente. Adesso lo faccio perché abbiamo sottolineato i nostri problemi di comunicazione. Mi sto sforzando per te. - Ovviamente lo stava dicendo perché non c’era nessuno con loro alle scrivanie, una a fianco dell’altra, separate solo da dei divisori metallici che creavano i famosi uffici della divisione.
Colby si sentì in un misto fra l’euforico e l’irritato. Voleva comunque strozzarlo, ma era commosso che lo dicesse e che effettivamente lo facesse.
- E ti ringrazio anche io. - Disse sforzandosi di rimanere calmo. Chiuse gli occhi e si stropicciò gli angoli degli occhi con un gesto esasperato. - Come capisco David e Megan, ora. - I suoi due precedenti bracci destri avevano sempre faticato molto a stargli dietro quando si metteva a fare l’eroe in quel modo. Quando Don entrava in modalità cacciatore non ne lasciava per nessuno.
Ricordò quando Buch era evaso di prigione per cercare proprio Don. Tutti avevano capito che voleva ucciderlo, ma nessuno aveva capito cosa pensasse Don, cosa volesse fare, cosa avesse in mente. Si era estraniato da tutto, aveva chiuso fuori tutti. E si era gettato infine ad un faccia a faccia da solo e disarmato con Buch, il criminale che voleva decisamente ucciderlo.
David l’aveva disperatamente pregato di dirgli cosa aveva in mente, perché aveva sempre fatto tutto senza comunicarlo a loro, senza condividerlo. Alla fine si era fatto promettere di aspettare il suo segnale per intervenire.
David non aveva potuto che accontentarlo, senza immaginare quali fossero le sue intenzioni.
Era andato ad affrontare disarmato un noto psicopatico killer fuori controllo che ce l’aveva a morte con lui.
Colby ricordava la sensazione che aveva provato, ma ora capiva come si era sentito David nel pregarlo di aprirsi e nel vedere che non c’era verso.
Alla fine Don non aveva preso la pistola perché aveva capito, era stato il solo a capire che Buch non voleva uccidere Don, ma essere ucciso da lui. Per questo non gli serviva la pistola.
Don aveva rimesso Buch in prigione senza far volare una sola pallottola.
“Sono davvero fortunato che mi sta parlando, in effetti.”
Pensò stanco Colby sedendosi nella sedia vicino e spuntando oltre la spalla per vedere i suoi nastri che scorrevano.
Immagini passavano, volti in scarsa illuminazione.
Don non si spostò e non gli diede altri compiti, felice in cuor suo che evitasse di dargli contro.
- Non ti perderemo mai di vista, qualunque cosa dica. In qualunque modo si metteranno le cose, non ti perderemo mai di vista. Che segnale userai per dirci quando intervenire? - E con questo Don si sentì stranamente leggero, decisamente più sereno.
Appena Colby disse quello, Don seppe che poteva agire senza riserve e rimpianti. Non doveva passare il tempo a convincere gli altri ad ascoltarlo, al contrario poteva fidarsi. Colby l’avrebbe sostenuto, come aveva bisogno in quei momenti.
Non era solo a gestirla. Davvero, non era solo.

Don individuò con precisione i momenti dell’arrivo di tutti. Sia di Tyler che di Jason. All’arrivo non riuscì a vederlo bene, poté solo intuire che era lui ricordando come era vestito. La sua nuca non era utile.
Non era arrivato subito dopo, era venuto lì nella speranza di incontrarlo.
- Comunque poteva seguirlo da casa, Tyler non si è mai trasferito e sicuramente tutte le volte che Jason tornava a Los Angeles, tornava per vedere di lui. La sua ossessione. - Fece notare Colby. Don concordò con lui, era un po’ strano.
- Però è venuto prima di noi. Quindi significa che non ci stava seguendo. - Gli fece notare Don mostrando il loro ingresso.
- Può essere che ha avuto da fare, avrà dovuto preparare il laboratorio, la base operativa, no? Gli servono una serie di attrezzi, il luogo giusto… - Don pensò che fosse l’ipotesi migliore e fermò la scena sull’uscita di quello che sembrava Jason. Si morse il labbro seccato. Immagini scarse. Andò avanti e poco dopo vide sé stesso uscire a sua volta per respirare.
Aveva appena fatto la scenata di gelosia a Colby, proprio per colpa di Tyler fra l’altro.
“Quell’uomo ne fa di danni!” Pensò incredulo ed ironico tornando a fermare. Involontariamente quando Don aveva portato Jason sotto la luce della porta d’ingresso per vederlo meglio, si era fornito da solo la miglior visione per il video.
Fra la luce vicino alla porta e l’angolatura, finalmente vide bene il viso del fantomatico Jason.
- Eccolo qua, è lui! - Disse trionfante puntandolo col dito.
Colby si protese oltre la sua spalla e lo fissò concentrato, non l’aveva notato.
- Bruttino ed insignificante. Comunque si vede abbastanza, forse non serve migliorare l’immagine per il riconoscimento facciale. Vediamo se viene fuori qualcosa… - Andando col braccio su quello di Don, gli tolse la mano dal mouse per attivare la ricerca senza farlo prima spostare, perciò si appoggiò ancora di più a lui ed alla sua spalla. Don girò la testa verso di lui, poi si fermò prima di ritrovarsi a tu per tu con la sua bocca ed avere pericolose tentazioni. Ma si sentì subito caldo, morbido. La voglia di riprendere quel discorso, di tornare a toccarlo. Il desiderio che fosse eterno, quell’istante, quel tocco.
Poi il passaggio proprio lì davanti di altri agenti li fece spostare, Colby finì e si raddrizzò senza dire nulla, strofinandosi la bocca. Don tornò con fatica alla sua revisione, accelerando per vedere quando se ne erano andati.
Videro loro due andarsene con Tyler, notando che dopo la chiacchierata con Don, Jason era rimasto un po’ fuori e solo dopo era entrato.
Dopo che loro se ne furono andati, i filmati mostrarono di nuovo Jason uscire, ma non rivelarono altro.
Sospirò deluso, aveva sperato in qualcosa di meglio, ma anche quello non era male.
- Come va il riconoscimento? - Chiese Don speranzoso.
- Ci vorrà tempo, però stampiamo la foto e mostriamola a Colton Martin, magari lo riconosce fra i suoi clienti dell’epoca. È passato tempo, ma… -
Lo stava dicendo quando Nikki arrivò interrompendoli, comunicando il risultato delle sue ricerche sulla lista dei clienti di Colton Martin.
Concluse che erano tutte fattorie, allevamenti o negozi di animali. Di quelle nessun Jason, né fra i proprietari né fra le famiglie dei proprietari.
Dedussero che Jason era un nome fittizio, cosa che fece perdere le speranze di qualche riscontro utile se non magari su qualche segnalazione della polizia, in qualche altro distretto e contea. In dieci anni senza documenti e con un furgone rubato aveva dovuto tenere un profilo basso, sicuramente non aveva potuto lavorare in modo regolare, con tanto di assunzioni. Poteva aver fatto lavori a nero, poteva anche aver rubato e vissuto clandestinamente. Magari qualche segnalazione era stata fatta.
Nikki continuò che non aveva molto su cui lavorare, ma prendendo in mano la foto stampata del viso del killer, azzardò l’ipotesi di andare a bussare cliente per cliente mostrando la foto e cercando un riscontro.
- Vai prima da Colton Martin. - Disse Don sperando che lui le potesse risparmiare un bel lavoro. - È passato del tempo, ma magari può ricordarselo se lo vede. Digli delle dita. - Nikki annuì ed andò senza farselo ripetere.
Subito dopo arrivò anche Liz che aveva il compito di seguire le ricerche sul furgone.
Trionfante sventolava un foglio in una mano.
- Abbiamo qualcosa, anche se non è molto. - Don e Colby la guardarono mentre mostrava loro il foglio. - Ci sono impronte ma non sono di Tyler. Nella sua auto ci sono solo due serie di impronte, le sue e quelle di uno sconosciuto. Credo che Tyler non portasse nessuno in auto… - Ipotizzò. - Pare che le impronte in più fossero proprio nella zona del guidatore, non del passeggero. Erano sul parasole, sulla radio e sul cruscotto, ha aperto il cassetto ed ha guardato dentro. Risultano recentissime. - L’unica conclusione logica la diede Colby, mentre Don sentiva una sorte di accelerazione. Erano vicini, ma non gli erano ancora addosso.
- Stanotte lo aspettava al parcheggio per rapirlo, ma visto che era via con noi e non tornava più, nell’attesa gli è entrato in auto. - Liz annuì.
- Infatti risulta scassinata. - Nessuno se ne stupì ovviamente.
- Ha rovistato, ha cercato qualcosa di suo, di personale. È la sua ossessione, si può immaginare cosa cercasse. - Liz si strinse nelle spalle inarcando le sopracciglia schietta.
- Aveva una scatola di preservativi, ne mancavano diversi e le sue impronte erano anche sulla scatola. - Colby non si stupì nemmeno di quello, mentre Don immaginò in che condizioni psicologiche avesse dovuto gettare questo fatto Jason.
- Sta di fatto che non ci sono riscontri. Giusto? - Commentò poi Don lugubre. Liz scosse il capo dispiaciuta.
- Però se lo prendiamo possiamo compararle e collocarlo lì, violazione di proprietà privata. - Liz sapeva che il procuratore era bravo, visto che si trattava di Robin. Don sentendola nominare indirettamente si irrigidì e si alzò in piedi sospirando seccato, non era abbastanza.
- È comunque poco. Ci serve la sua storia, la sua vera identità! Abbiamo tante prove, ma nessuna ci dice chi diavolo è, qual è la sua storia! Per fermarlo mi serve la sua storia! - Con questo Don scosse la testa e guardando l’ora realizzò che la salvezza di Tyler era appesa ad un filo molto più di quanto avesse immaginato. Colby lo guardò andarsene come una nuova carica di pioggia e tuoni, sospirò dispiaciuto, poi lasciando un breve sguardo a Liz lo seguì.
Era preoccupato per mille cose che lo riguardavano e voleva solo permettersi il lusso di ragionare come il suo compagno di vita, ma ora a Don serviva il suo braccio destro, il suo sostegno, la sua roccia, la sua ancora.
Così decise che avrebbe fatto questo, se questo era ciò che gli serviva.