2. TRADIRE CHI AMI



"E' ’passato del tempo
da quando ho potuto di nuovo guardarmi in faccia
da quando ho detto scusa
da quando ho ritrovato la strada
[...]
tutto sembra la conseguenza
di quello che ho provocato io, ho fottuto
me stesso oltre il possibile"

/It's been awhile - Staind/


Il motivo per cui Colby non era più riuscito a legarsi a nessuno, anche dopo che le cose si erano risolte, era facile.
Sospirò mettendo giù la foto sua con Dwayne che era caduta, l’aveva guardata malinconico e poi si era fatto prendere dai flash con lui.
Da quanti anni era morto, ormai?
“Ho tradito il mio ragazzo che ha comunque dato la sua vita per me nonostante tutto. A volte mi sembra che andare avanti sia un lusso che non merito.”
E quando guardava quella bella foto di loro due insieme abbracciati e sorridenti a pesca, gli veniva in mente e si sentiva in colpa.
A volte quella foto cadeva, lui la raccoglieva e si ricordava di non poter voltare pagina, di non meritarlo.
Non era legato all’amore che era riuscito a provare per lui, nonostante la situazione difficile in cui era. Era legato al senso di colpa di averlo tradito facendo il doppio gioco come spia non per la mafia cinese, ma per l’FBI, divisione controspionaggio.
Colby aveva finto di essere un agente dell’FBI che faceva la spia per i cinesi insieme a Dwayne. Ma poi era venuto fuori che faceva il triplo gioco. Era un infiltrato dell’FBI, di un’altra sezione. Nessuno aveva mai saputo di lui e della sua vera identità, del suo vero scopo, della sua era missione.
Durante questo gioco di spionaggio, Colby aveva dovuto usare Dwayne, in contatto con la mafia cinese. Erano amici nell’esercito, si erano salvati la vita a vicenda in missione in Afganistan, aveva  riallacciato i rapporti proprio perché sospettava che fosse una spia dei cinesi. Colby chiaramente doveva arrivare ai pezzi grossi, perciò non aveva mai potuto far parola con nessuno.
Fingeva di essere un agente della squadra di Don perché cercava altre spie all’interno dell’FBI e non potevano sapere che lui era del controspionaggio e cosa cercava in realtà, aveva finto per molto tempo prima che la storia venisse fuori. Abbastanza per sconvolgere Don.
Il legame che aveva dovuto creare con Dwayne per entrare nelle grazie della mafia cinese, era stato molto forte e profondo e le cose gli erano molto sfuggite di mano.
Anni passati insieme fino al punto che quando Colby aveva dovuto mettere dentro Dwayne per affari criminosi,  questi non aveva aperto bocca su Colby, nonostante fosse affondato non l’aveva messo nei guai.
Il legame fra loro era a quel livello.
Quando gli capitava di fermarsi a pensarci, Colby rabbrividiva al modo in cui si era sentito Dwayne guardandolo, quando aveva realizzato che Colby era dalla parte dell’FBI e che faceva il triplo gioco.
Non avrebbe mai scordato il suo sguardo shoccato, tradito, sconvolto.
Come non avrebbe certo scordato quando gli aveva comunque salvato la vita uccidendo quello che lo stava torturando, il famoso pezzo grosso della mafia cinese a cui Colby con molta fatica ed uscendone come un traditore anche agli occhi di Don e gli altri, era arrivato. Il costo era stato caro.
Era quasi morto e Dwayne aveva dato la vita per salvarlo nonostante la scoperta del suo tradimento.
Una situazione difficile, molto dura.
Colby si preparò per uscire, per andare a lavoro.
Quando era finito in coma, ricordava d’aver sognato Dwayne, ricordava di essersi scusato con lui e ricordava l’odio, la rabbia e il dolore di Dwayne.
Aveva fatto lo stesso sogno per molte notti, dopo il suo risveglio.
Amare la persona di cui doveva conquistarsi la fiducia per lavoro, tradirla, pugnalarla.
Era una specie di copione. Si era accorto che nel periodo finale, poco prima che venisse fuori tutta quella storia e che lui venisse scambiato per un periodo come traditore degli Stati Uniti e spia cinese, i rapporti con Dwayne si erano chiaramente interrotti. Dwayne era in prigione e ce l’aveva con lui perché non l’aveva protetto nonostante tutto. Sapeva che l’aveva dovuto fare per mantenere la copertura di spia, però se l’era presa lo stesso e l’aveva lasciato.
Colby si era sollevato nel rompere e non dover più fingere e tradirlo. Ormai era agganciato al giro della mafia cinese, per cui doveva solo aspettare il momento giusto per arrivare ai pezzi più grossi.
Nel periodo di distacco con Dwayne, Colby si era avvicinato molto sia a Charlie che a Don. Li trovava particolarmente interessanti, così diversi, così a modo loro.
In particolare era stuzzicato da Charlie per il suo modo di essere genio e fuori dal mondo, mentre da Don era più una questione carnale e di profonda ammirazione. Don l’attraeva a livello sessuale, per Charlie era qualcosa di più strano, meno fisico.
Quando si era reso conto della cosa, era scoppiato il casino, Colby era stato riconosciuto come spia cinese ed era stato arrestato proprio da Don.
Quando ricordava Dwayne, ricordava anche Don e quell’arresto, quegli interrogatori, la sua calma gelida, i suoi sguardi intensi e penetranti che lo snudavano.
L’aveva sconvolto.
“Ho tradito due volte chi amavo.” Amare era sempre una parola grossa, ma lui la usava in senso esemplificativo, perché sapeva bene che l’amore arriva quando è ricambiato e coltivato. Lui provava. Provava qualcosa per Dwayne, per Don e per Charlie. Ma cosa di particolare fosse, fin dove arrivassero tali sentimenti, non si era mai voluto fermare a dirselo.
Amore? Forse non proprio, non per tutti e tre.
Poi le cose si erano risolte. Don aveva creduto in lui dopo che Colby gli aveva chiesto aiuto, Dwayne l’aveva salvato morendo e Don se l’era ripreso in squadra.
Perché chiedere di rimanere lì anche dopo?
Tutti si erano sentiti traditi da lui che per anni aveva fatto il triplo gioco. Eppure non era riuscito ad andarsene. Quando Don aveva indagato su dove volesse andare Colby, aveva sentito di slancio la volontà di rimanere lì. Quando glielo aveva chiesto e Don aveva detto di sì, si era sentito felice, estremamente felice. E gli era sembrato fosse soddisfatto e contento anche lui, per quando Don potesse dimostrarlo.
Durante l’appostamento notturno, durante quella conversazione dove Don aveva indagato sulle sue intenzioni, l’impressione di Colby era stata che in realtà Don lo volesse lì nonostante tutto. Ed era stato di una delicatezza, cura ed attenzione senza pari, sconcertante.
Aveva scoperto un lato di Don impensabile.
Lentamente, poco dopo, oppure forse ad un certo punto preciso, era successo quel caos con Charlie: dopo essersi avvicinati, Colby aveva fatto retromarcia e Charlie aveva accettato di rimanergli amico. Non aveva insistito, era stato come se avesse voluto evitare di competere col fratello.
Don non si era mai fatto avanti. Per Colby la questione Eppes era stata sempre un gran mistero e non si era ma dato pena per risolverla, visto che ogni volta che si avvicinava ad uno o all’altro, più a Don che a Charlie doveva dire, la fantomatica foto di Dwayne cadeva come a ricordargli i suoi tradimenti.
Come a ricordargli che non meritava di essere felice e andare oltre, perché di macchie ne aveva.
Aveva tradito tutti, ma Don era vivo, con lui si era potuto scusare e aveva potuto redimere. Dwayne no. Dwayne era morto.
Con che coraggio si metteva con qualcun altro, si innamorava, andava avanti?
Colby arrivò in ufficio e trovò Don a farsi un caffè nella stanza della macchinetta. Lo vide, si illuminò per quanto lui tenebroso di partenza potesse illuminarsi e gli diede una tazza calda.
Colby la prese e gli sorrise tirato come sempre, un po’ assonnato, un po’ in difficoltà.
Come sempre.
Andarsene? Oh Cielo, mai!
Finché avrebbe potuto, sarebbe rimasto lì con lui. Platonicamente. Senza osare nulla, specie non potendo visto la criptica via di Don.
Ma nemmeno volendo, in ogni caso.
- Tutto ok? - Chiese Don soffermandosi con uno sguardo più attento e penetrante. Colby sussultò.
- Sì, perché? - Don fece un sorrisino imbarazzato, non gli piaceva mostrarsi preoccupato.
- Hai una faccia… - Colby sorrise cercando di essere convincente.
- Ho dormito poco, capita… - Don ovviamente non chiedeva mai il motivo e a Colby andava bene così.
- Non è che la tua sia migliore! - Ribatté in contropiede, ironico. Don si accese in un sorriso più divertito che fece elettrizzare Colby.
- Ho sentito Charlie! - Colby si sorprese.
- Come sta? -
- Bene, bene… vi saluta… - Disse generico. Colby non chiese se avesse quella faccia perché gli mancava o se avessero parlato di cose che l’aveva turbato. Tanto non glielo avrebbe detto se Don stesso non avrebbe voluto per primo.
- Mi ha fatto un po’ la ramanzina. È il solito petulante. Anche a distanza oceanica non cambia mai! - Colby rise divertito, sollevato e felice che gli avesse concesso un pochino di sé. Se aspettava paziente, era ricompensato.
- Sarebbe un peccato se cambiasse! - Ammise scherzando. Don annuì concorde ed insieme andarono alle scrivanie sorpresi che non fosse arrivato ancora nessuna chiamata per qualche caso nuovo.
- Si è ambientato, ormai… - I due parlarono un po’ di Charlie che insegnava nella prestigiosa università inglese insieme ad Amita e Colby non fece una piega, né dentro né fuori.
Era felice per lui, si era fatto una vita, una bella vita, era uscito da quel piccolo tunnel nel quale l’aveva quasi spinto.
Colby sembrava uno che non si accorgeva di niente, in realtà era solo bravo a nascondere.
Aveva notato l’interesse di Charlie nei suoi confronti, su Don non aveva mai capito cosa e se provasse qualcosa. Però di Charlie si era accorto facilmente.
L’aveva stuzzicato. Era un buon diversivo, specie dopo l’arresto di Dwayne e l’interruzione dei rapporti.
Però si era frenato perché stava per fare a Charlie quello che aveva già fatto a Dwayne. Fare il triplo gioco era un conto, far innamorare le persone per usarle a suo vantaggio era un altro.
Nelle sue intenzioni c’era anche altro, non solo quello. Distrarsi, stare bene, svagarsi. Semplicemente gli capitava di legarsi agli altri, ma come gli capitava, riconoscendo il periodo non ideale, si fermava.
Dwayne aveva fermato Colby dall’accettare quelle goffe e dolci avance di Charlie.
Poi era arrivata la consapevole eccitazione suscitata da Don tutte le volte che c’erano contatti con lui, e le cose erano cambiate.
A quel punto la fantomatica chiamata arrivò e smisero di parlare di Charlie.
A Colby non faceva più effetto, era un buon amico ed era felice che ne fosse uscito. Tutto lì.
Don gli toccò il braccio.
- Abbiamo un caso, avverti gli altri che ci troviamo al… - Don iniziò ad impartire ordini fino a lasciargli il braccio, Colby rilasciò il respiro e lasciò che la scarica elettrica consueta si esaurisse.
Don, invece, gli faceva sempre il solito effetto. Sicuramente non sarebbe mai cambiato, quello.
Ma se da un lato non lo riteneva giusto, dall’altro c’era anche la questione più spinosa. Don era un muro di cemento armato. Chi ci vedeva attraverso?