*Ecco un altro capitolo. Usciamo un po' dalle indagini che fanno una breve fermata: il killer è in fuga e Tyler lotta per la propria vita in ospedale. Don e Colby possono solo staccare e riposare una notte, finalmente approfitteranno per parlare come si deve per la prima volta sul serio. Di cose da dirsi in realtà ne hanno parecchie. Buona lettura. Baci Akane*

25. PROTEZIONE


"Lava via il veleno dalla mia pelle
Mostrami come essere di nuovo completo
Fammi volare su un’ala argentata
Oltre l’oscurità, dove cantano le sirene
Riscaldami sotto l’incandescenza di una supernova
E fammi scendere sul sogno che c’è in bassoPerché sono soltanto una crepa in questo castello di vetro
Non è rimasto quasi niente da vedere per te
Da vedere per te"
/Linkin Park - Castle of glass/


- Ti ha visto bene. - Insisteva Colby in ospedale. Erano andati a vedere le condizioni di Tyler il quale si era salvato per un pelo, voleva raccogliere la sua testimonianza e sapere di cosa avevano parlato, ma i medici avevano detto che avrebbe potuto parlare non prima del giorno dopo. Così Don stava predisponendo la guardia per proteggere Tyler, dal momento che il killer non era stato ancora trovato.
- Stai cercando di dire che ho bisogno di protezione anche io? - Colby inarcò le sopracciglia ovvio.
- Non sto cercando di dirlo, lo sto proprio dicendo! - Asserì deciso.
- È lui che ha bisogno di protezione da me, non il contrario. Vuole venire? Che venga, l’aspetto volentieri! Con la pistola in mano! - Tuonò arrabbiato Don per averlo fatto scappare. Avrebbe dovuto sparargli a vista, invece di permettergli di saltare in quel maledetto cubicolo.
Che l’avesse preparata o meno, gli era venuta maledettamente bene.
- Ed esporrai Robin al rischio? - Chiese Colby tornando a nominare la sua fidanzata con la quale aveva avuto così tanti tira e molla che c’era da chiedersi come mai stessero ancora insieme.
Don si fermò e lo guardò torvo. Era seccato dal dover cambiare i propri piani per lui, ma era anche vero che aveva pensato di passare la sera con Colby per chiarire il loro rapporto. Affrontare Robin in quello stato d’animo non era il caso, l’avrebbe capito subito che le nascondeva qualcosa.
Così sospirò e si coprì gli occhi con la mano, li strofinò con le dita e poi scivolò sulla bocca. Era stanco ed esasperato. Aveva bisogno di staccare un paio di ore e sentirsi al sicuro, per essere lucido il giorno dopo. La notte precedente aveva dormito poche ore su un divano, aveva bisogno di una dormita come si doveva, su un letto. Più di qualche ora.
- Ok, vengo da te. - Colby sorrise soddisfatto, sorpreso di quanto facile fosse stato.
- E poi abbiamo quel discorso da finire. Anche se avevamo detto di farlo a caso risolto, possiamo anche anticipare i tempi! - Don finì per scuotere la testa e ridacchiare mentre andava incontro agli agenti di guardia.
Anche in quell’occasione Colby era riuscito ad alleggerire la situazione, a volte era unico in quello.

Aprirono una birra a testa e le scontrarono fra di loro prima di bere, mentre Colby testava il calore della piastra per cuocere la carne.
Vedendo che era del giusto grado, mise le due bistecche di roast beef che fecero subito il sibilo tipico della carne sulla piastra calda.
Ci mise sale e pepe ed aspettò un po’ prima di girare, Don con le indicazioni di Colby stava apparecchiando la tavola della cucina, per due.
Come una coppia che conviveva a tutti gli effetti.
Si erano messi comodi, con i bottoni aperti e le maniche arrotolate.
- Prima o poi dovrò tornare a casa, puoi continuare ad imprestarmi vestiti e casa, ma da qualche parte ho tutto! - Commentò Don mettendo le posate sulle tovagliette piccole.
Colby rise sorpreso che facesse anche dello spirito in una situazione così difficile.
- Hai sentito Robin? - Don si fece un po’ più teso.
- Ha detto che in questo caso è più tranquilla se mi sa con te. - Colby rise di nuovo scuotendo la testa mentre girava la carne.
- Se sapesse! - Esclamò volendone parlare e non vedendo l’ora. Don si fece ancora più teso e serio sedendosi alla sedia dopo aver finito di preparare la tavola, sorseggiò ancora la birra.
- Non va bene fra me e lei. Non è mai andata bene. Cerchiamo una data che non riusciamo a trovare, un momento che sembra non esserci mai… - Colby si morse il labbro.
- Per sposarvi? - Chiese con un filo di voce. Don annuì rimanendo zitto, così l’altro gli lanciò un’occhiata ansiosa. Con lui si andava in punta di piedi e si sperava di fare le domande giuste o di beccare il momento ideale.
- Credi che vi lascerete? - Don si strinse nelle spalle rimanendo a fissare la bottiglia scura di birra.
- Non ne ho idea. Ci siamo presi e lasciti così tante volte che… farlo ancora non ha quasi più senso. - Colby si aggrottò.
- Lasciarvi o riprendervi? - Don alzò le spalle.
- Entrambe. - Questo non diceva nulla e Colby mise le bistecche nei piatti e chiuse la piastra. I piatti a tavola e si sedette anche lui.
- Devi prendere una decisione definitiva. - Don lo fissò penetrante.
- Perché? Cosa cambia? - Colby rimase con le posate a mezz’aria a fissarlo chiedendosi se davvero glielo stava dicendo, constatando che non scherzava, ripose ovvio.
- Per noi, Don. Cambia per noi. Perché per me non ci sono problemi nello stare insieme anche se hai un’altra compagna. Ma tu sei quello tutto d’un pezzo. Sei tu che non potresti rifarlo altre volte. Una volta è un conto, ma seriamente, quanto la porteresti avanti stando anche con lei? Comunque le vuoi bene, stai con lei da tanto, ti lascia i tuoi spazi ed è per questo che ti va a genio… - Don l’ascoltò mentre parlava a ruota libera, senza andare più leggero e cauto. L’apprezzò, si stava schiarendo le idee attraverso lui. Tagliò un pezzo ed iniziò a mangiare senza rispondere.
Probabilmente aveva ragione. Era per questo che aveva esitato tanto e che ancora ora non sapeva se fosse il caso o meno.
- Robin è venuta perché tu non eri chiaro fra me e Charlie. Ho capito che avevi qualcosa con me, ma l’avevi anche con mio fratello. E so che lui ti ricambiava. - Colby per poco non si strozzò. Ora ne parlava facilmente, chiaro e diretto come se per anni non avesse fatto finta di nulla con molta cura. Tossì e bevve la birra, Don ridacchiò della sua reazione ma continuò calmo a mangiare.
- Perciò è colpa mia? - Don decise di essere chiaro e dire ogni cosa senza passare per gradi, ne era passata di acqua, era ora di parlarne.
- Flirtavi con Charlie. E a lui tu piacevi. Capisco subito quando a mio fratello piace qualcuno. Solo che non ti decidevi mai ed ogni tanto lanciavi segnali anche a me. - Di segnali, di episodi ce n’erano stati molti in tanti anni di lavoro insieme. - Poi non so come mai, ma Charlie se ne è uscito con il fatto che si tirava indietro e che dovevo fare quello che volevo con te, di non pensare a lui. Si è buttato su Amita seriamente, se ne è innamorato. Se ne è andato. E noi siamo qua a non sapere cosa fare, sai perché? - Colby scosse il capo pur sapendolo. - Perché non so cosa provi, cosa vuoi. Cosa provavi in tutti questi anni, cosa volevi, perché non hai mai fatto niente di chiaro verso di noi. Adesso mi dici che faccio con Robin? Dimmi tu che cosa vuoi fare con me, per prima cosa! - Colby lo fissò quasi spaventato da quel suo discorso. Si era tolto la maschera. Completamente.
Ovviamente non poteva che essere così aggressivo e diretto.
Lo guardò nel panico, mentre nella propria testa troppe cose si sovrapponevano. Così rimase zitto e continuò a mangiare, senza dire nulla.
Don fece altrettanto senza aggiungere nulla, macinando una bella rinnovata delusione.
Dopo tanto tempo e tutto quello che era successo, non sapeva ancora se lo voleva o no?
Don era disposto a lasciare Robin una volta per tutte per stare con lui, però Colby doveva volerlo allo stesso modo. Altrimenti non ne valeva la pena.

Mangiarono il resto della cena in silenzio, Don si sentiva parecchio deluso dal suo silenzio, ma non l’avrebbe forzato. Aveva già fatto troppo parlandone ora.
Uscirono dalla cucina quasi insieme, Don aiutò Colby a sparecchiare e mettere le cose nel lavello, poi lo vide pulire e sorrise. Non aveva idea di questo suo lato maniacale: odiava il disordine e lo sporco. Lo aspettò seppure non osassero parlare. Una volta in salotto Don si grattò la nuca fissando il divano, poi sospirò e scosse il capo.
- No senti, mi dispiace però non posso fare un’altra sera sul divano. Ho bisogno di un letto, di dormire come si deve. - Era forse la prima volta che Don esprimeva un bisogno piuttosto specifico e che non faceva lo stoico.
Colby lo guardò stupito affiancandolo.
- E ci mancherebbe! - Esclamò ovvio allargando le braccia. Don lo fissò di rimando incerto, le sopracciglia alzate.
- Sicuro? -
- Siamo adulti e vaccinati e poi ti devo tenere d’occhio, se siamo in stanze diverse come facciamo? - Don così annuì stringendosi nelle spalle di buon grado.
I due si avviarono alla camera, Don fece due conti ad alta voce su cosa avrebbe fatto l’indomani e Colby non rispose. Non significava che non ascoltava, di solito non parlava quando lui dava ordini.
Finirono di spogliarsi ognuno un po’ perso nel proprio mondo.
Colby aveva una camera matrimoniale, arredata principalmente di bianco.
Rimase con una canottiera intima bianca ed i boxer, come dormiva sempre. Non pensò di mettersi qualcos’altro. Don lo fissò di sbieco ma non disse nulla, scosse solo il capo. Continuava a stare zitto.
Prima voleva parlarne e poi non diceva nulla. Evidentemente non gli era piaciuto quello che aveva detto.
Don non aveva nulla da indossare per la notte e non usava le canottiere intime sotto le camice. Così rimase solo in slip. Colby si girò a guardarlo e rimase fermo in piedi al di là del letto, a mordersi il labbro con aria eloquente. Decisamente in difficoltà.
- No, così… così non… - Tossì e cercò di tornare in sé. - Così non va bene. - Disse con un tono più corposo, comunque carico di un imbarazzo strano per lui.
- E cosa dovrei fare? Non dormo vestito! - Colby sospirò e si strofinò il viso, non capiva se lo faceva apposta o cosa. Don non era tipo da provocarlo in quel modo, anche se ricordava un’occasione in cui era rimasto in mutande a parlare al telefono negli spogliatoi. Venti minuti di conversazione così.
E Colby era rimasto a guardarlo chiedendosi quanto ci potesse mettere ad infilarsi dei maledetti pantaloni e perché diavolo fosse nudo lì dentro.
In quel momento sospirò e mordendosi il labbro aprì un cassetto, lo richiuse e ripeté l’operazione un paio di altre volte. Imprecò.
- Una tuta non ti va? - Don brontolando si infilò nel letto senza dire mezza parola di troppo.
- Dormo nudo, Colby. Sempre. Figurati se mi infilo una tuta! - Colby alzò gli occhi al cielo chiudendo forte l’ultimo cassetto, raro gesto di stizza. Don lo fissò dal letto dentro cui ormai era accomodato e lo fissò curioso.
- Scusa tanto, ma io non dovrei lamentarmi di te che dormi così? - Colby si guardò e sbuffando ancora si stese e chiuse la luce sperando di far sparire tutto per magia.
- Ok. - Disse secco.
Don era supino ma lo guardava mentre si rigirava prima in un verso e poi in un altro. Don era ancora fermo all’ennesimo giro di Colby sotto le lenzuola. A fissarlo incredulo. Era come un’anima in pena, non aveva mai fatto così, era sempre molto saldo e calmo. Era stato una sfinge emotivamente parlando. Sempre. E da lì i loro problemi personali.
All’ennesimo giro, si alzò a sedere sbuffando rumorosamente e Don allargò le braccia da steso.
- Andiamo, che c’è ora? - Chiese infastidito ed esasperato.
Colby lo guardò col broncio oltre la propria spalla nuda, si morse il labbro e lo fissò alla penombra della camera. Lui steso nel suo letto, dalle lenzuola si vedeva solo il torace, ma sapeva che anche il resto era a sua disposizione.
- È come hai detto stamattina. - Disse poi improvviso tornando a girare lo sguardo davanti a sé, evitando di guardarlo. Don si fece serio e zitto. Ora ne voleva parlare? In quel modo? Nemmeno ricordava cosa gli aveva detto quella mattina. Al suo silenzio Colby gli spolverò la memoria con un filo di voce colpevole. - Non ho superato del tutto quei due anni a tradirvi. So che facevo il mio lavoro, so che l’avete capito ed archiviato. Però prima di tradire voi ho tradito Dwayne e con lui ci sono andato pesante, ho superato i limiti che con voi non ho più osato superare. - Ora lo stava tirando fuori come se non potesse più tenerlo dentro, come se l’avesse macinato senza nemmeno sapere bene cosa fosse. Semplicemente c’era e lo doveva sputare.
Don non l’avrebbe interrotto. Fissava la sua schiena avvolta nella canottiera bianca, la sua nuca bionda.
- Cosa… cosa hai fatto? - Chiese poi dopo un po’ che Colby non riusciva a riprendere. Colby si girò verso di lui.
- Non lo immagini? - Lo sguardo ironico, disilluso, scontento di sé. Quel sorriso amaro. Don sentiva tutto lo stato d’animo di Colby che si schifava di sé stesso.
- Te ne sei innamorato? - Colby si strinse nelle spalle abbassando lo sguardo rimanendo girato col capo verso di lui pensieroso.
- Lui lo era. L’ho fatto innamorare perché si fidasse ciecamente di me e non mi tradisse quando ho dovuto incriminarlo, sapevo che il rischio c’era e dovevo assicurarmi di averlo sempre dalla mia. -
Dwayne era il contatto fra i cinesi ed i pezzi corrotti americani a cui Colby dava la caccia, infiltrato nella squadra di Don dove doveva fingere di fare il doppio gioco, facendo invece il triplo.
- E tu? - Chiese Don, steso, lo sguardo penetrante sul suo profilo basso, la fronte aggrottata di entrambi.
- Sono riuscito a provare qualcosa. Se non fossi stato sotto copertura e lui una spia per i cinesi… penso che poteva essere una gran bella storia… - Lo ammise. Don fece una piega con le labbra. Questo non rispondeva davvero.
- Lo amavi? - Chiese insistendo, il tono più basso. Le braccia abbandonate lungo i fianchi, la testa sollevata sulla spalliera del letto.
Colby alzò gli occhi.
- È troppo difficile l’amore. Non so cosa sia. Provavo qualcosa, ma non credo fosse amore. Non tradisci chi ami, no? - Don capì finalmente l’enigma rappresentato da Colby in tutti quegli anni.
- Per questo non riuscivi ad andare oltre con me e con Charlie? Ci hai traditi nascondendo che eri sotto copertura? E pensi che se tradisci non puoi amare? - Colby non rispose, si voltò di nuovo dall’altra parte a fissare l’armadio chiuso che al buio sembrava nero, invece che bianco.
Quello era un sì, Don lo capì molto bene. E fu come avere un’apparizione. Finalmente era tutto chiaro. Finalmente era perfettamente chiaro.