*Ecco un nuovo capitolo. Questa volta seguiamo Don e Max. Don finalmente vede Max ed i due possono parlare a carte scoperte, Don non può fare molto se non provare a capire i tasselli mancanti e prendere tempo per permettere a Colby di arrivare a lui. Nel frattempo per sopportare il feticismo del killer può solo tornare con la mente a periodi e momenti migliori. Buona lettura. Baci Akane*

30. NON ESSERE VITTIMA


"Questa è la fine che conosci, i piani che avevamo in mente sono falliti non siamo nient'altro che lotte grida e lacrime siamo arrivati ad un punto che non posso tollerare sono arrivato al limite, non posso essere il tuo uomo non sono più di un minuto di cammino non possiamo allontanare il dolore non possiamo trovare un bisogno di restare ho lentamente realizzato che non c'è niente dalla nostra parte fuori dalla mia vita, fuori dalla mia testa fuori dalle lacrime che non possiamo negare abbiamo bisogno di inghiottire tutto il nostro orgoglio e lasciare tutto questo casino dietro di noi"
- Fairytale Gone Bad - Sunrise Avenue -

Quando aprì la porta, Don vide al di là luce artificiale e fu invaso da un forte profumo di vento e di mare.
- Sta arrivando una di quelle tempeste indimenticabili a Los Angeles. -
Disse ad alta voce quasi allegro, come se tutto andasse bene e lui fosse venuto col sacchetto della spesa.
Il sacchetto lo posò, ma dentro dubitava ci fosse la spesa.
- Non siamo né in campagna né in una riserva di caccia… - Constatò dall’odore che aveva lasciato entrare dopo essere rientrato.
Max sorrise amichevole.
- Preferisco i boschi, da sempre. Mi sento più a mio agio. Però quello che conoscevo come le mie tasche era andato, così ho dovuto scendere a compromessi. Qua non siamo proprio in un bosco, ma è qualcosa che ci somiglia… -
Don provò a capire di cosa si trattava.
- Ho sentito l’odore del mare, il tipico vento che c’è sulla costiera… - Max allora lo guardò ammirato.
- Sei davvero bravo come agente! Non mi stupisce che mi avevi trovato. Ti è bastato il furgone ed in un paio di ore mi tendevi una trappola al locale e mi abbordavi sotto copertura. Eccezionale davvero. - Quindi tirando fuori le cose che aveva preso, disse: - Siamo nella pineta a ridosso nella spiaggia preferita dai surfisti… - Don conosceva bene quel posto, ci erano andati ad indagare per il caso di quel loro amico surfista morto, avevano anche fatto surf un paio di volte.
Era mare aperto, c’erano delle onde eccezionali ed un vento micidiale. Nella pineta a ridosso che si alzava su per la collina e la scogliera adiacenti, nella zona nord, c’erano diverse rimesse di tavole da surf o rifugi per surfisti in attesa dell’onda perfetta.
Erano come i rifugi di caccia nelle riserve condivise dai cacciatori in attesa, solo che erano rivolte ai surfisti.
Don si chiese come avrebbero potuto trovarlo.
“Lo cercherei in tutti i boschi limitrofi, rifugi, fattorie in zona, anche magazzini o fabbriche abbandonate, ma non certo verso il mare. Non è tipo da mare, non rispecchia il suo profilo. Deve avere un complice.”
Don era convinto della questione, non poteva essere altrimenti. Era troppo furbo da parte sua cambiare zona in quel modo.
- Me lo presenti? - Chiese Don sorvolando sul discorso del chi aveva abbordato chi. Poteva essere pura fortuna o come diceva Nikki, un etero in un locale gay si notava molto più di chiunque altro.
“Seppure Colby sia la mia eccezione, credo di essere etero….”
Non lo sapeva bene nemmeno lui, non aveva voglie o istinti verso altri uomini, mai avute.
Max finì di esporre tutto sul tavolino e lo guardò accendendo la luce.
- Chi? - Chiese curioso.
- Il tuo amico! - Chiese Don sicuro. Max si tese e si oscurò senza capire.
- Quale amico? -
- Vuoi dire che sei schizofrenico? Hai una seconda personalità furba e scaltra? - Max continuò a fissarlo senza capire di cosa parlasse, Don, da steso e legato al letto, continuò senza esitare, sicuro per convincerlo a non nascondersi e venire allo scoperto. - Non può essere, non esiste che tu abbia tirato fuori delle idee tanto furbe ed intelligenti per non farci mai arrivare a te in dieci anni, dopo tutti quegli omicidi! Prima o poi in dieci anni di omicidi trovi indizi, trovi qualcosa che portano all’omicida. Tu sei stato troppo furbo. Hai per forza un aiuto. - Max ora capì di cosa parlava, ma scosse il capo e senza perdere la testa tornò a quel che aveva preso. Selezionò gli oggetti e prese le forbici da stoffa.
- Per quanto incredibile sono io ogni giorno della mia vita, non ho vuoti di memoria, nessuno prende possesso del mio corpo. - Disse calmo prendendo la stoffa degli slip e tagliandola per denudarlo del tutto. Non gli aveva reso il compito difficile visto che Don si era fatto trovare già quasi del tutto nudo a dormire.
Don cercò di rimanere concentrato e parlare con lui, voleva capire come far breccia in lui e cavarsela. Ad un certo punto l’avrebbe sciolto per appenderlo e dissanguarlo.
Max, però, si sedette sul letto, vicino a lui, senza fretta apparente.
- Vuoi dire che non hai personalità multiple? Quindi dov’è il tuo amico furbo? - Max non sembrava offeso per le insinuazioni velenose che faceva Don, stava dicendo che era stupido. Lasciò cadere gli occhi sulla sua cicatrice e abbandonando le forbici sul materasso, gliela toccò delicatamente. Don trattenne il fiato, la cicatrice era sensibile, era un segno verticale tutto rialzato e frastagliato. Max fremeva, lo sentiva mentre lo toccava. Don lo guardò rimanendo in silenzio, lo toccava con le dita della mano destra, quella menomata. Era un po’ impressionante da vedere, ma era abituato a visioni particolari.
Quel che lo turbò davvero, era che Max si stava eccitando. Stava toccando la sua cicatrice con la mano con tre dita, era teso, fremeva e si succhiava il labbro. Quando vide che anche l’altra mano andava fra le sue gambe a masturbarsi da solo, sotto la stoffa dei pantaloni, Don chiuse gli occhi e girò la testa dall’altra parte per evitare che gli si rivoltasse lo stomaco.
Non lo stava violando in alcun modo, a parte per il fatto che stava steso nudo e legato davanti a lui. Ma non lo stava toccando nelle parti basse, gli toccava solo la cicatrice mentre si masturbava.
Provò a pensare a Colby, che voleva lo facesse lui. Ripensò a quando, pochi giorni dalla sua dimissione dall’ospedale, Don era venuto a cercare Charlie per un caso ed invece aveva trovato lui nel divano. Gli aveva chiesto aiuto per alzarsi, che suo padre che voleva fargli da infermiere era sparito chissà dove, ma lui aveva bisogno di andare in bagno, solo che il dolore era ancora così acuto da impedirgli il movimento del sollevarsi a sedere.
‘Perché non sei rimasto in ospedale? Sapevo che era troppo presto. ‘
Colby si era preoccupato mentre l’aveva preso per il braccio, circondato col proprio intorno alla vita e tirato su con forza e delicatezza insieme.
A Don era piaciuto. Sia la sua preoccupazione, che il suo tocco.
‘Diventavo matto in ospedale. Ho detto che avrei sempre avuto qualcuno ad aiutarmi. Mi hanno anche detto come medicarmi da solo. Devo fare un impacco nuovo al giorno, poi ogni tre devo andare in ospedale dal chirurgo.’ Don ricordava quella conversazione come ricordava quando l’aveva portato in bagno e lui gli aveva detto imbarazzato ‘ok, ok, ora riesco’. Anche Colby si era imbarazzato, aveva aspettato fuori dalla porta, poi l’aveva ripreso per il braccio e la vita appena era uscito con le sue lamentele. Poi l’aveva appoggiato al tavolo della cucina e l’aveva guardato con aria d’attesa.
‘Beh?’
‘Beh cosa?’
‘Beh, cosa devo fare?’
‘Ma per cosa?’
‘Per medicarti!’ Don aveva faticato a non arrossire, ma aveva deciso di approfittarne. Era convinto che Colby provasse qualcosa per Charlie nonostante ormai stesse con Amita ed avesse rinunciato a lui, però c’erano sempre quei momenti fra loro. Sempre. Fra Colby e Don. E Don li ricordava tutti, incisi a fuoco nella memoria ed ora li capiva.
Gli aveva detto come fare e lui aveva tirato fuori tutto, si era disinfettato le mani e gli aveva sollevato la maglia larga del pigiama. Don la teneva mentre lui toglieva la benda dal lato del torace.
Delicatamente.
‘Sai, in guerra tutti ci trovavamo ad improvvisarci medici d’emergenza.’ Aveva detto piano, delicato come lo erano le sue mani che si muovevano su indicazione di Don. Scoperta la ferita Don aveva chiuso gli occhi e girato la testa dall’altra parte. Non perché non sopportasse la vista della propria ferita o perché il dolore fosse insopportabile. Bensì perché gli piaceva troppo che Colby gli mettesse le mani addosso, seppure per medicarlo.
Aveva finito e non gli aveva procurato molto dolore.
‘È una bella ferita, comunque.’
‘Non l’avevi vista?’
Colby aveva scosso il capo e prima di richiudere, l’aveva sfiorata delicatamente con due dita intorno alla lesione cucita, rossa e gonfia. Don aveva girato di nuovo la testa e l’aveva guardato trattenendo il fiato, questa volta eccitato, emozionato e quasi fuori di sé. Aveva stretto convulsamente le mani sul bordo del tavolo su cui poggiava.
‘Ti rimarrà un bel segno.’
Colby e la sua voce bassa, roca. Quel giorno anche dolce come il suo tocco. Don non avrebbe mai dimenticato, come non avrebbe dimenticato la propria erezione che si gonfiava proprio sotto i loro occhi. Colby fermò le mani e se ne rese conto raddrizzandosi.
‘Scusa’ Aveva detto capendo di essere andato oltre. Don non aveva detto nulla, non si era più girato dall’altra parte, l’aveva guardato per capire cosa pensava, perché si fosse imbarazzato, perché l’avesse toccato. Non aveva capito. Capiva i criminali, non chi amava.
‘Grazie.’ Aveva risposto dopo che l’aveva richiuso.
Si era coperto con la maglia ed era rimasto fermo mentre Colby imbarazzato e meccanico aveva messo via tutto quello che aveva usato per medicare. Poi l’aveva ripreso sotto il braccio e l’aveva cinto accompagnandolo al divano di suo padre e di Charlie, nel salotto.
L’aveva adagiato seduto e Don aveva scivolato la mano sul suo collo, poi era andato giù per la spalla ed il braccio, infine aveva preso la sua mano e l’aveva trattenuto prima di farlo allontanare.
‘Grazie. ‘ Aveva ripetuto fissandolo negli occhi senza paura, per fargli intendere che anche se c’era stata quell’erezione imprevista andava tutto bene. Colby aveva sorriso sollevato, capendo.
‘Di nulla.’ Non si erano detti null’altro, Colby aveva parlato un po’ del caso corrente e l’atmosfera era tornata normale. Poi, una volta uscito di casa, Don era rimasto solo e la propria mano aveva completato l’opera iniziata fra le proprie gambe, provocata dal tocco di Colby.
Quel ricordo lo riscaldò e gli rese più sopportabile quel momento osceno che lo faceva sentire un oggetto, violato, calpestato.
Una sensazione sgradevole. Orribile. Mai provata.
“Vittima. Mi fa sentire come una vittima. Come si sono sentite tutte le sue vittime. Come si sentono tutte le vittime fra le mani degli psicopatici. E non voglio sentirmi vittima. Non sono una vittima. Io posso difendermi. Io posso cavarmela. Se non ho armi fisiche, posso entrargli nella testa. Devo dare tempo a Colby di trovarmi, devo solo prendere tempo. Questo posso farlo. Don, tu non sei una vittima. Tu sei quello che se la caverà.”
Max raggiunse il suo orgasmo con dei versi liberatori osceni che fecero rabbrividire Don, il quale decise di concentrarsi su quel che poteva aver capito di lui.
Finalmente si alzò dal letto ed andò nell’altra stanza, al lavandino a lavarsi le mani. La porta aperta rivelò un’altra stanza molto disordinata, piena di attrezzatura da pesca, da surf e da mare. Una finestra non sbarrata dalle travi mostrava della boscaglia non molto fitta, un pezzo di cielo coperto da minacciosi nuvoloni ed un vento implacabile. Fra poco si sarebbe messo a piovere.

- Perché mi hai lasciato il furgone con tutti i tuoi souvenir? - Max tornò da Don più rilassato di quanto già non fosse prima. Don voleva studiare ogni sua reazione e capire se si innescava l’altra personalità o se gli scappava di questo complice. Due modus operandi, ci doveva essere un secondo per forza.
- Ho deciso di voltare pagina. Mi sentivo arrivato alla fine del mio percorso, il percorso per arrivare a Tyler. - Disse piano, quasi soave, mentre prendeva la corda.
Don non si perdeva un solo gesto, mentre pensava velocemente a tutto quel che poteva dire.
- Perché mi hai lasciato un biglietto di saluti? Potevi lasciare il furgone giù per un burrone, bruciare tutto… quei souvenir sono importanti, per te. Rappresentano le vostre somiglianze. Anche loro alla fine mancava qualcosa, giusto? - Sperava d’aver capito bene il motivo per cui lo aveva fatto. Max si fermò dallo srotolare la corda presa, inghiottì a vuoto e si girò verso di lui, rimanendo fermo in piedi in mezzo alla stanza.
- Sai… - Cominciò poi con uno sguardo sottile, a Don sembrava avesse gli occhi lucidi. - A pranzo insieme avevo sentito qualcosa, avevo capito che tu potevi comprendermi, che avevi un lato oscuro, che ci somigliavamo in qualcosa. Pensavo davvero che dopo la delusione di Tyler, tu fossi il segno del destino. Ho passato la vita a plasmarmi in funzione di Tyler, convinto di dovermi preparare per lui, per piacergli. Diventare forte, degno di nota, acquistare il coraggio di parlargli. Poi quando ho capito che non mi avrebbe mai potuto amare perché amava troppo Dylan… mi sono scontrato con la realtà. Tyler non era il mio uomo del destino, anche se l’avevo amato tanto. Poi sei arrivato tu in quel momento, mi capivi, eravamo simili, c’è stata quella connessione. È successo per caso, non stavo cercando nessuno, ero qua per Tyler. Però tu hai attirato la mia attenzione, è stato come un colpo di fulmine, non potevo starti lontano. Quando ho capito che eravamo simili ho detto eccolo, era lui. Così volevo fare spazio per te, per accoglierti nella mia vita. Il fatto che tu mi capisca anche ora, mi fa piangere. Perché hai rovinato tutto essendo un federale. Se non lo eri, saresti stato il mio compagno perfetto. Tu mi capisci, io lo so. - Max si avvicinò e si sedette sul letto di nuovo per guardarlo meglio, questa volta lasciò che le lacrime cadessero lungo le guance e Don rabbrividì inorridito, ma rimase impassibile a fissarlo.
- Ti sentivi solo. Cercavi un compagno, qualcuno che fosse come te, che ti capisse. Quando trovavi qualcuno dopo un po’ qualcosa si rovinava, si spezzava. Loro non erano come te. Tu li rendevi uguali, ma non lo erano. E tenevi quel qualcosa che te li aveva fatti rendere uguali a te. Quelle piccole parti di loro. - Don continuava su quella strada ammaliandolo con una voce bassa e conciliante ed uno sguardo penetrante fisso nei suoi occhi. Doveva catturarlo.