*Ecco un altro capitolo. Abbiamo scoperto il complice manipolatore, vediamo finalmente che succede fra Max e Colton mentre Don, Colby e Nikki si preparano per l'assalto finale. Passiamo da uno scenario all'altro, mentre tutti convergono nell'ultimo palco. Buona lettura. Baci Akane*

38. VERSO L'ULTIMO ATTO


don eppes

"É il momento dell’annientamento, È il momento di essere un criminale Non c’è tempo per esitare È tempo di essere un’animale"

/Papa Roach - Crash/


- Sai ho avuto un’intuizione. - La voce sottile e tesa che lo raggiunse per telefono, gli fece capire subito che aveva qualcosa che non andava.
- Era ora che ti facessi vivo, aspettavo tue notizie da molto, ero preoccupato. - Rispose calmo Colton senza tradire ansia. Era a casa, quando aveva ricevuto la chiamata, appena tornato da lavoro, e si apprestava ad andare a trovare Tyler in ospedale. Guardò l’ora al polso.
- Sai, ho avuto un po’ da fare… per esempio non farmi prendere dai federali! Non so se lo sai, ma quel tipo di cui ti parlavo che mi piaceva molto e che era come me… in realtà è un agente che cercava di prendermi! - Il tono era sempre molto teso, di chi non voleva urlare per rimanere lucido, ma non era facile perché era davvero molto alterato.
- Potevi chiedermi aiuto… - Disse calmo Colton, consapevole di dove stava per andare a parare. Sorpreso che se ne uscisse solo ora con quel discorso, dopo tanti anni che si gestivano così ed andava bene a tutti.
- Ma te lo devo chiedere? - Quella volta urlò.
- Calmo, Max… lo sai, ne abbiamo parlato tante volte. Quella è la tua vita, te la sei scelta tu. Non è la mia, io non sono così, non voglio vivere come fai tu. Quella è una tua scelta, io ho scelto una vita regolare e legale. Perché adesso sei arrabbiato? - Max aveva respirato a fondo, sempre in modo teso, poi aveva risposto piano:
- Ne voglio parlare. Di persona. Vediamoci a scuola. - A Colton era venuta la pelle d’oca fin dietro la nuca, si era irrigidito, aveva chiuso gli occhi e cercando di non mutare tono, aveva continuato a parlare apparentemente calmo:
- Perché? Non ci siamo mai visti, ti ho dato consigli telefonici e sono sempre andati bene. Perché vedersi ora? Parliamo per telefono. Come è andata con l’agente? Se mi chiami significa che te la sei cavata… è stato una brutta tempesta, là fuori, ero preoccupato. - Colton parlava tanto di proposito, per confonderlo. Il tono sempre uguale e controllato. Max però non ce la faceva più e dopo aver cercato di infilarsi nelle sue parole, tuonò furioso:
- NO, ADESSO PARLIAMO DI PERSONA, TI DEVO GUARDARE NEGLI OCCHI, CAZZO! - Colton conosceva quel suo lato, quando la pressione era troppa, lui esplodeva e la sua parte instabile prendeva il sopravvento, a volte era un attacco di panico, altre era un raptus. Se lo avrebbe visto in quel momento probabilmente l’avrebbe ucciso e lui non sapeva difendersi.
- Non intendo incontrarti se sei arrabbiato. - Rispose gelido. Max si era fermato, aveva respirato un po’, poi aveva ripreso:
- Allora mettiamola così. Se non vuoi vedere me, forse vuoi vedere il tuo Tyler. - Silenzio. Quel silenzio simile ad uno sparo. Il silenzio che poi crea disagi ed echi nel tempo che non verranno dimenticati.
- Cosa… - si schiarì la gola secca. - cosa hai fatto, Max? -
- Ancora niente, è quello che voglio fare il problema. Tyler è la mia ennesima storia fallita, avevo una scultura in mente per rendergli omaggio. Non l’ho potuta eseguire un po’ perché siamo stati interrotti sul più bello, un po’ perché era un peccato rovinare uno che opera d’arte lo è già. E poi ama ancora Dylan. Lui non mi è mai appartenuto. Però adesso è qua con me ed io ho in mente qualcosa di epico per lui. Sono disposto a cambiare regole se non vieni a parlarmi di persona a scuola. - Max aveva iniziato a parlare a sproposito, con un tono quasi isterico, sul filo della follia più acuta.
Colton respirava a fatica, i muscoli tesi, gli occhi chiusi.
Il suo mondo stava per crollare, stava per andare in mille pezzi.
Le cose erano state precise, riguardo Tyler.
Lo doveva uccidere. Punto. Non farlo sopravvivere. Se sopravviveva c’era il rischio che scoprisse che lui aveva sempre aiutato Max, per cui lo poteva bruciare, proprio con lui.
Alla fine però non l’aveva ucciso e non gli aveva detto niente di lui, perciò in realtà gli aveva fatto un bel favore ed era ancora in corsa.
Con Tyler non aveva mai avuto speranza, negli anni ci aveva provato in molti modi ed ogni piano era fallito, alla fine si era rassegnato e sofferente del non riuscire mai ad averlo, aveva convinto Max che era ora di ‘vivere la sua storia, che era pronto per Tyler’. Perché lo uccidesse. Sapeva che l’avrebbe ucciso, alla fine.
Invece era andato tutto diversamente, tutto. Però, con sorpresa, gli aveva inaspettatamente presentato un’ottima nuova occasione preziosa.
Forse ora che era stato preda del killer del suo Dylan poteva avere qualche occasione. Aveva appena saputo che il suo grande amore era morto, c’era un’ottima possibilità per loro.
Colton ne era convinto.
“Non mi rovinerà tutto proprio ora, cazzo!”
- Gli hai detto di me? - Chiese piatto.
- No, sta dormendo, gli ho sparato tutta la morfina che gli rimaneva nella flebo per farlo dormire. Penso che si sveglierà a momenti, cosa gli devo raccontare, AMICO? - Chiese calcando sull’ultima parola, canzonato.
- Niente. Non dirgli niente. Sto arrivando a scuola e parliamo. Per… per favore, non dire niente a Tyler. - Colton era nel panico ma si stava controllando. Da un lato era furioso che Max alla fine gli stava rovinando tutto quello per cui aveva sempre lavorato da anni ed anni, dall’altro era terrorizzato che lo incastrasse e lo facesse finire dentro come suo complice.
Però non poteva permettere che lo uccidesse ora che lo stava per ritrovare. Ora che stava per avere Tyler. Non poteva permetterlo.
Non sapeva come fare, in realtà. Non sapeva.
Però in qualche modo ne doveva uscire pulito agli occhi di tutti: di Tyler soprattutto e della legge. Doveva togliere di mezzo Max in modo che per lui fosse innocuo per sempre. Doveva chiudere le cose per lui. E soprattutto doveva apparire come un salvatore agli occhi di suo cugino.
Ce la poteva fare, aveva manovrato situazioni fra le più disparate, ce la poteva fare.
- Arrivo. Dove ci vediamo a scuola? -
- Dove Tyler dava spettacolo mentre noi lo ammiravamo sparandoci seghe. - Colton capì subito nonostante il tono allucinato.
- Aula magna? -
- Ti aspetto lì. - E lì le cose sarebbero presto finite, in un modo o nell’altro.


Fuori il pomeriggio stava ormai finendo ed il tramonto era nel pieno del suo svolgimento. Dopo che aveva sfogato il finimondo, il cielo si era placato soddisfatto. In giro si vedevano danni consistenti per la tempesta che si era appena abbattuta su Los Angeles.
Foglie e rami in giro per le strade, l’acqua che ancora scorreva ai lati, negli scoli. Però sotto le nuvole che finalmente si stavano diradando, il sole stava avendo ragione finalmente.
In macchina Don e Colby recuperarono qualcosa da indossare poiché Nikki era venuta con la macchina di quest’ultimo, prelevata al limitare della pineta quando erano andati a cercare Don.
Colby aveva sempre abiti di ricambio per le postazioni oppure imprevisti durante le indagini. Così per sé si mise una maglia, avendo riciclato i pantaloni coi quali era arrivato in ospedale, sporchi e bagnati ma non rovinati. Poi aiutò Don ad infilarsi il giubbotto antiproiettile e la giacca. Gli aveva proposto anche i pantaloni di ricambio, ma aveva detto di poter fare con quelli dell’ospedale, che tanto cambiava poco in un momento simile.
Per la pistola Colby gli diede la sua di riserva, assicurarono di averle tutte cariche e mentre Nikki guidava per le strade cercando di evitare incidenti, parlava con un tecnico informatico dell’ufficio.
Aveva già richiesto i rinforzi e con esso aveva chiesto di tracciare il telefono di Colton Martin.
- Il telefono del signor Martin risulta acceso, il suo GPS lo colloca al liceo Beside School sulla diciottesima. - Disse il tecnico al telefono.
- Eccellente. Ha ricevuto chiamate? SMS? -
- Una chiamata da parte di un numero irrintracciabile. -
Nikki parlava con la centrale per coordinare a distanza gli altri agenti, richiamò infatti quelli che stavano setacciando la pineta alla ricerca di Max Carver e li indirizzò a scuola. Nel frattempo dava un’occhiata allo specchietto retrovisore dove Colby stava aiutando un incredibilmente collaborativo Don.
Doveva stare davvero male, lo constatò per il fatto che non brontolava e si faceva fare mentre lo aiutava a mettere il braccio sano dal momento che non poteva usare due mani per infilarsi la giacca.
Eppure c’era qualcosa nel modo in cui Colby lo faceva, nel modo di allacciargli le stringhe del giubbotto e nell’assicurarsi che fosse a posto. E c’era qualcosa di particolare nel modo in cui Don non si opponeva e lo guardava mentre lo faceva.  Nikki pensò di avere le visioni e decise di concentrarsi sul suo doppio compito di coordinare gli altri colleghi e arrivare il prima possibile senza sirene per non allarmare i due soggetti interessati.
- Penso che poi una bella vacanza non ce la toglierà nessuno. -
Disse sorridendo con un pizzico di dolcezza Colby. Don lo guardò dimenticandosi per un momento di Nikki davanti a loro, fece così uno sguardo stanco e stufo che permise a Colby di sistemargli il colletto della giacca che gli andava piuttosto bene.
- Non mi opporrò. - Rispose facendo fischiare Nikki sorpresa che accettasse di andare in ferie. Da che era lì non sapeva di Don in vacanza.
- Perciò prepariamoci ad una seconda apocalisse, ora? - Chiese ironica mettendo giù il telefono.
- Intanto prepariamoci ad affrontare uno che ha ammazzato un sacco di gente e l’ha fatta franca per dieci anni. Lì abbiamo la mente ed il braccio, ma Max non era così fuori da non sapersela cavare da solo. Colton gli dava delle dritte, ma sicuramente molte cose Max le faceva da solo. Lui… - Don tornando a lui si oscurò mentre ci pensava. - Lui non è sempre fuori di sé, ci sono momenti in cui è lucido. Colton ha saputo fare leva su quelli instabili. È un manipolatore. Non so cosa potrebbe succedere. - Colby annuì e gli mise la pistola in mano dopo averla controllata.
- La priorità è Tyler. Deve uscirne vivo. - Replicò poi, Don annuì.
- Devono pagare entrambi allo stesso modo. Non voglio scappatoie per nessuno, specie per Colton. Voglio che escano incriminati al cento percento in ugual misura e vivi. Morire ora per loro sarebbe facile. - Aggiunse poi tornando col piglio di comando che non poteva mettere a riposo nemmeno con una mano fuori uso, imbottito di antidolorifici e con un torace tutto indolenzito.
Aveva anche una medicazione sulla fronte dove aveva dei punti. Ai polsi e alle caviglie si vedevano i segni rossi delle catene a cui era stato appeso, crocefisso.
Però era lì seduto a pensare e dare ordini, con un giubbotto antiproiettile addosso ed una pistola in mano. Nikki e Colby si chiesero come ce la poteva fare, ma non suggerirono di rimanere indietro e di risparmiarsi, era inutile a quel punto. Doveva sfruttare l’adrenalina che gli circolava per il momento decisivo in cui erano, una volta finita quella, avrebbe ricevuto il duro conto di tutta la giornata e non si sarebbe più mosso.
Ma poi la macchina si fermò con una gran frenata davanti al liceo.
Erano arrivati. Si andava a concludere l’ultimo atto.
Nikki scese subito prendendo in mano la pistola, controllando il caricatore inserito e poi di avere quello di riserva. In quel breve istante, poco prima di scendere a loro volta, Colby trattenne Don che rimase lì con una smorfia di dolore.
- Don. - Lo chiamò un attimo. Don si girò a guardarlo, la sua mano sul braccio sano che gli impediva di scendere. Pochi centimetri a separarli. Un momento, un istante. Il tempo fermo. - Non ad ogni costo, ok? - Disse con un tono deciso, per assicurarsi che Don fosse d’accordo. Don lo guardò negli occhi e capì cosa intendeva, capì perché lo diceva e capì la sua paura. Per cui annuì con un breve luccichio presente, quel luccichio che aveva avuto quando si erano finalmente parlati e messi insieme.
- No, non ad ogni costo. - E con questo, Colby lo lasciò scendere faticosamente dall’auto.

Insieme a loro arrivarono anche le altre auto di sostegno, molti agenti scesero pronti al peggio, provvisti tutti di giubbotti antiproiettile e mitragliette, il necessario per una sparatoria pesante.
Anche Nikki e Colby si munirono di quella, Don non potendo usare niente di più di una pistola semplice, non ne chiese. Erano pronti ad ogni evenienza nonostante non pensassero ad affrontare una sparatoria in stile gangster.
Gli agenti si radunarono intorno a loro tre pronti a ricevere ordini e fu Don a darne. Si spostò dall’auto alla quale appoggiava per recuperare un po’ le forze, si mise in piedi dritto in mezzo ai suoi uomini e con un tono alto e chiaro iniziò a spartire ordini suddividendoli in zone, con la priorità di mettere in salvo tutti gli studenti che trovavano.
Era ormai sera, non c’erano più lezioni, ma qualche club poteva essere ancora in zona. Perciò bisognava fare attenzione prima ai civili e poi chiaramente trovare i tre soggetti, di cui uno era in brutte condizioni ed era la vittima.
- Non sparate. Se li trovate mi chiamate e controllate la situazione, ma non agite, aspettate ordini! - Fu molto chiaro, Don, su questo punto.
Non voleva che morisse nessuno perché morire era facile in certi casi. Vivere era la giusta punizione per loro due.
Dopo che fu tutto chiaro, diede l’ordine di partire.
Non aveva idea di dove potevano essere, perché in realtà dipendeva un po’ dalla storia dei tre, quattro se si pensava a Dylan che non c’era più.
Per cui avrebbero dovuto setacciare tutto da cima a fondo.
- Nikki tu vai dal retro, noi cominciamo da davanti. - Dopo di questo anche loro si mossero.