8. GIOCANDOSELA BENE


"Sei così ipnotico
Potresti essere il diavolo?
Potresti essere un angelo? [...]
Vieni da un mondo totalmente nuovo
Una dimensione diversa [...]
Baciami, baciami
Contagiami con il tuo amore e
Riempimi del tuo veleno
Prendimi, prendimi
Voglio essere una vittima
Pronta al rapimento
Ragazzo, sei un alieno
Il tuo tocco è straniero
E’ soprannaturale
Extraterrestre
C’è questa trascendenza
A un altro livello
Ragazzo, sei la mia stella fortunata"
/ET - Katy Perry ft Kanye West/

Don uscì fuori strofinandosi il viso con le mani, mentre una ventata d’aria fresca lo fece respirare prima e rabbrividire poi.
Si appoggiò ad una parete mentre altri fumavano, al contrario di lui che aveva solo voglia di una birra.
“Cosa sto facendo qua? Non è il mio stile, il mio modo di condurre le indagini. Forse è una totale perdita di tempo. Tutti i baristi sono giovani, Tyler Wolf c’è ma lo potevo incontrare domani. Perché questo sopralluogo? Per sperare nella fortuna che dovrebbe farmi incontrare questo fantomatico killer? Andiamo, quando mai ho agito affidandomi alla fortuna?”
Si ricordò quando aveva accettato il misterioso aiuto del sensitivo che poi era morto. Anche Charlie a modo suo era un sistema azzardato di indagine. Aveva sempre accettato ogni cosa, di buon grado.
Forse anche quello poteva essere un metodo. Infiltrarsi nel mondo dei ricercati. Solo se serviva, se poteva essere utile.
Ogni tanto lo facevano, andava quasi sempre bene.
- Sembrano problemi belli grossi! - Una voce lo fece riscuotere dai suoi pensieri e Don guardò chi gli aveva parlato.
Quando vide l’uomo, era un po’ in ombra, ma le porte che si aprirono lasciarono la luce necessaria per vedere il colore dei suoi capelli e l’età che all’incirca poteva avere.
Era più o meno della sua età ed aveva i capelli rossi.
Don con l’istinto del predatore, si staccò dal muro per andare verso una zona più luminosa e sorrise.
- Niente che mi trasformi in un maleducato! - Disse deciso. L’uomo lo seguì pensando volesse rientrare, lo guardò indeciso ed esitò sotto un po’ di illuminazione migliore.
- Scusi, non volevo disturbarla, l’avevo notata elucubrare sulle sue e mi ero incuriosito. Ha un’aria così… - Cercando le parole, Don lo osservò bene.
Non era per niente bello. I capelli erano corti e ricci, perciò tenuti a pochi centimetri. Lentiggini. Molte lentiggini. Qualche chilo di troppo, alto e ben piazzato. Un mastino più che un uomo. Don pensò che se avesse fatto sul serio, avrebbe potuto avere la meglio, prendendolo di sorpresa.
Ma niente di eccessivo a vista.
Così pensò che doveva parlare con lui per capire se era il suo uomo, sebbene un campanello risuonasse.
- Scontrosa? - Finì per lui sorridendo.
L’uomo gettò la sigaretta.
- Strana. Non fuma e aveva un’aria cupa. Ho pensato che potessi essere un malintenzionato. - Don si strinse nelle spalle.
- Perciò tu parli con un malintenzionato? - L’uomo rise.
- Ho un debole per il fascino dei cattivi! - Dicendolo ammiccò e Don sorrise accattivante, senza sforzarsi, limitandosi ad essere sé stesso.
Poi gli tese la mano.
- Mi chiamo Don. - Si presentò. - Non ti ho mai visto da queste parti. - Improvvisò sperando che fosse vero. L’altro prese la mano, una presa decisa. Solo a quel punto capì che qualcosa nella mano non andava.
Calò lo sguardo automaticamente, senza farlo di proposito, e vide che mancavano il miglioro e l’anulare della destra. Don si sentì come colpire da un pugno allo stomaco, mentre realizzava che era lui. L’istinto iniziò a scalpitare, urlare fortissimo, dirgli di tornare dentro e chiamare Colby e prenderlo o seguirlo.
- Sono Jason, sono di qua, ma manco da dieci anni! - Lo sguardo quasi consapevole, come se dirgli quelle cose erano di proposito. Poi alzò la mano menomata e disse marcando sulle parole con un tono teso, che ostentava una falsa allegria:
- Visto? È la prima cosa che si nota di me. Bello no? Mi mancano due dita! Che ci vogliamo fare? Nessuno è perfetto! Immagino che non mi lascerai il tuo numero per bere ancora! - Don stava per vedere se si era visto pistola o distintivo, ma capì che aveva un modo di fare strano, di chi era sempre all’erta.
Così senza rifletterci un momento alzò la camicia dalla parte sinistra, facendo un’attenzione maniacale a non mostrare nemmeno di poco gli ‘arnesi’ del caso. Mostrò la cicatrice dell’operazione ormai vecchia ma sempre ben in vista.
Poi con aria decisa, un tono basso e penetrante, disse piano:
- A me manca mezzo polmone, come puoi notare. Nessuno è perfetto sul serio. - Poi si abbassò la camicia, lo fissò negli occhi con attenzione per capire se aveva visto la pistola e vedendo che fissava ancora il punto coperto della cicatrice, colpito, meravigliato, sospirò fra sé e sé. Il cuore continuava a battere impazzito, l’adrenalina lo stava ubriacando.
“Attento Don, giocatela bene. Se insisti per andartene con lui subito mangi la foglia, nessuno si apparta con uno sconosciuto subito! Lui non è bello, non si aspetta che io me lo voglia fare immediatamente.”
La lucidità era il suo forte, più le situazioni si facevano tese, più lui si raffreddava e diventava lucido.
Così prese il telefono e disse:
- Se mi dici il tuo numero ti lascio il mio con uno squillo. - Il metodo più normale per scambiarsi il telefono.
L’altro, trovandolo evidentemente giusto, glielo disse sorpreso. Don così gli fece uno squillo, poi con un occhiolino veloce e mezzo sorriso aprì la porta. Da dentro la luce glielo mostrò bene in faccia, lo guardò e lo memorizzò.
Brutto, in sovrappeso, muscoloso sulle braccia, lentigginoso, occhi verdi, capelli corti arancioni e ricci. E senza due dita nella mano destra.
Eccolo lì. Tutto quadrava.
L’eccitazione della caccia tornò a salire, voleva subito affondare il colpo ma ne aveva uno in canna e non poteva rischiare.
- Chiamami per un caffè. - Disse senza dare l’idea di voler correre. Era chiaro che non poteva essere già attratto da lui, ma l’idea che gli volesse dare un’occasione era incredibile.
Jason rimase fermo mentre la porta si richiudeva rubandosi Don, poi si prese il telefono e si salvò il suo numero con un’aria speranzosa.
Forse l’aveva trovato.
Nonostante lo pensasse sempre, questa volta sentiva qualcosa di diverso. Non poteva avere idea di che cosa fosse.


“Le cose sono due.” Pensò Don entrando nel locale con l’adrenalina a mille. “O mi ha visto oggi mentre prendevo in carica il suo furgone e mi ha avvicinato apposta e fa la scena per mettermi alla prova, o non sa chi sono e il famoso culo esiste. Anche se per esperienza propendo verso la prima. Avrebbe più senso. Comunque non posso che rigirarmelo in mio favore cercando di ricavare il meglio che posso. Ora ho un viso, una persona vera.” Eccitato da quanto scoperto, andò a cercare Colby e si fermò a mezza strada vedendo che un altro ragazzo ci stava di nuovo provando con lui. Colby cercava con calma e gentilezza di scaricarlo, ma l’altro era particolarmente svenevole con lui e complice qualche canzone troppo calda, sembrava per nulla intenzionato a staccarsi.
Don si sentì montare dentro da una rabbia cieca, una voglia di prendere a pugni quel ragazzo che metteva le sue mani su Colby. Non si era mai sentito tanto geloso.
Ora voleva solo mettere le cose in chiaro una volta per tutte. Era un gioco, ma ufficialmente loro due erano lì insieme, ufficialmente erano una coppia e tutti ci provavano col suo ragazzo. Per finta che fosse, non era giusto.
Così si girò per assicurarsi che Jason non fosse dietro di lui, vedendo che non era entrato, pensò che forse se ne sarebbe andato.
Un pensiero lampo per lui, poi tornò a Colby che metteva le mani sul petto del pretendente decisamente troppo svestito e troppo in mostra.
“Ma tu guarda questo!”
Pensò senza controllarsi. E sempre senza controllarsi, con una canzone chiamata dal DJ ‘ET di Kanye e Katie’ che irrompeva alzando la temperatura del locale, Don arrivò da loro, prese Colby, lo strattonò verso di lui e rivolto malamente verso il giovane latrò contro un:
- Ehy, guarda che sta con me! - Ed in aggiunta di ciò, un braccio intorno alla schiena, la mano sul viso a prenderlo con decisione, le dita a stringere sulle guance per marcare un territorio fino a quel momento troppo libero. Poi le sue labbra presero possesso di quelle di Colby. La sua bocca lo divorò aprendogliela prepotentemente e sempre prepotentemente lo violò con la sua lingua. Colby in un primo momento rimase inebetito, poi gli mise le mani ai fianchi e ricambiò il bacio chiudendo gli occhi e lasciandosi andare con trasporto al bacio irruente e a dir poco sconvolgente.
Il bacio divenne incandescente in un attimo e sebbene fosse stato un colpo di testa di un momento di follia, presto divenne qualcosa di estremamente sentito e voluto, così tanto che si appoggiarono di più uno all’altro escludendo il resto del modo che, intorno, non facevano niente di diverso da loro.
Il flash di Colby sotto la doccia, dopo delle escursioni finite rovinosamente che l’avevano obbligato a lavarsi all’FBI, vibrò nella sua mente in un attimo. E con esso tutte le volte che l’aveva fortemente desiderato fisicamente, fino a stare male.
Piegarono le teste di lato, girando, separandosi un istante, presero respiro e tornarono ad unirsi e fondersi. Le mani di Don scesero entrambe sui fianchi a stringerlo a sé, tenerlo ancorato fino a fargli sentire di nuovo quanto lo voleva ancora e irritato per non poter avere più privacy, si ricordò che era la prima volta che lo baciava e che non erano tecnicamente fidanzati.
Era una farsa, un gioco per parlare più agevolmente coi soggetti che interessavano a loro.
O forse era solo una scusa per fare esattamente quello e poter dedicarsi alle indagini seriamente il giorno dopo.
Per un momento non fu chiaro, ma Don si separò turbato, sconvolto, tornando bruscamente in sé ed in quello che erano.
- Sono… sono impazzito. Per un momento io… noi siamo qua come coppia e tutti ci provano con te anche se sono qua io e… ed ho pensato… cazzo, ma se sta con me, come osano? Possibile che non sembriamo una vera coppia? - Così dicendo si separò da lui e mani larghe ai lati in una sospensione forzata, lo guardò per capire come l’avesse presa.
Realizzò che nemmeno questo giustificava un bacio simile.
Ingoiò, guardò altrove, prese respiro, chiuse gli occhi e sospirando disse rassegnato, come se si stesse estraendo un dente senza anestesia:
- Ok, ti ho baciato perché volevo farlo. Da un sacco di tempo. Ed ero geloso. Ok, basta così. - Poi si ricordò dell’incontro con Jason e come se fosse una cosa secondaria, glielo comunicò. - Ah penso di aver trovato il nostro killer. Se tutto va bene ho fatto breccia. O forse mi sta tenendo d’occhio da quando ho preso in custodia il suo furgone e fa il doppio gioco per divertirsi. In ogni caso credo d’avercelo. Gli mancano due dita, è questo il complesso che ha. - Lo disse tutto d’un fiato a macchinetta e senza respirare, come se non potesse calmarsi, se non riuscisse ad essere ancora lucido, come se quella capacità fosse andata via e parlare del caso fosse il suo modo per tornare il Don controllato di sempre. Tentativi disperati.
Colby spalancò la bocca e gli occhi e lo fissò senza respirare, poi alzò le mani e lo fermò posandole sul suo petto.
- Wow Don rallenta! - Esclamò! Don si fermò di colpo. - Che hai detto? Hai incontrato il killer? - Don annuì e capì d’aver reagito male ancora una volta. E di essere stato ancora fuori luogo.
Un altro passo indietro, mani sul viso, sospiro. Guardò l’ora.
- Ok, è tardi. Direi che un bicchiere lo possiamo anche prendere, ora! - Inteso come qualcosa di più forte.
Colby pensò che fosse messo davvero male, era proprio allucinato. Non l’aveva ma visto così e preoccupato decise di assecondarlo e assisterlo.
- Ok, andiamo a farcelo mentre mi spieghi… -