CAPITOLO LII:
LA VOLPE ARRIVA


Stiles non andò a scuola, nei giorni successivi rimase a casa dicendo che non stava ancora bene e non si sentiva sicuro per gli altri.
Scott decise di lasciargli i suoi spazi, era chiaro che fosse preoccupato per quel discorso del non controllo, macinava possibilità e sicuramente quando avrebbe decretato la soluzione finale, gliene avrebbe parlato.
Con soluzione intendeva la sua personale conclusione sul caso che riguardava sé stesso.
Scott non immaginava quanto vicino era andato.
Stiles in effetti era proprio quello che stava facendo incessantemente a casa in quei giorni.
Indagò su sé stesso. Indagò incessantemente su sé stesso rendendosi conto di una verità sconcertante, tutti i casi irrisolti di quell'ultimo periodo, i casi appesi al muro delle stramberie, erano collegabili a lui.
O per lo meno così parve a lui, così lui vide, così lui si convinse.
Non era per niente vero che tutti i casi irrisolti di suo padre erano collegabili a lui, la volpe glielo stava facendo credere perchè voleva assolutamente che oltre a convincersi di essere malato, sapesse di essere posseduto.
Doveva essere dilaniato da tutte quelle catastrofi che gli stavano capitando.
Così Stiles vide i fili rossi collegati al proprio letto dove conficcato nel mezzo c'era una grossa forbice.
Impallidì e cominciò a tremare.
Ok, era tutto collegato a sé.
Tutto.
Tutto c'entrava con sé stesso, in qualche modo.
Rimase tremante, col fiato corto, a fissare la parete ed i fili rossi. Non ci poteva credere. Non poteva.
Eppure la verità era lì davanti ai propri occhi.
Aveva passato i giorni rinchiuso ad indagare, fino a che non aveva trovato quella risposta. Una risposta davvero tragica, peggiore di tutte quelle che aveva mai potuto immaginare.
Da quanto tempo aveva quel mostro?
E che mostro era?
Di cosa si trattava di preciso?
Cosa gli stava capitando?
Stava impazzendo, ecco cosa stava succedendo.
Cercava in Derek la sua ancora, ma la verità era che se aveva fatto davvero tutte quelle cose senza controllarsi e senza rendersene conto, poteva ferirlo in un qualunque momento.
Scosse il capo stralunato, gli occhi sgranati, rossi e lucidi. Non poteva permetterlo.
Non poteva permettersi di fare male a Derek.
Derek con lui era vulnerabile perchè si fidava e non pensava che qualcosa di malvagio lo potesse colpire. Lo rifiutava. Parlava sempre di cause umane, mai sovrannaturali.
Ma se era questo?
Se era davvero questo?
Follia, possessione, malattia... qualunque cosa, doveva proteggerlo.
Non poteva permettersi di fargli del male.
Né a lui né a Scott. Anche Scott rischiava. Non poteva fargli niente. Non poteva far nulla a nessuno di loro.
Doveva eliminarsi, doveva fermarsi, doveva trovare la forza di fermarsi.
Quando guardò le forbici che aveva conficcato nel letto con sguardo folle, disperato, visionario, ebbe il fortissimo insano impulso di fermarsi in un unico definitivo modo.
C'era solo un sistema per evitare di far del male alle persone che per lui contavano troppo, come suo padre, Scott, Derek, Lydia... e quel modo era farla finita.
Allo stremo della propria salute mentale, con quel filo sottile che lo teneva ancorato ad una realtà sempre con meno forza, si trovò a tendere la mano verso le forbici senza davvero sapere cosa stava per fare.
In ogni caso se ho la malattia della mamma, se è davvero quello... io sono finito. Sono morto. Solo che non ho solo quello... qua ne ho le prove. Non ho solo quello. Io sono malvagio, qualcosa mi ha preso e mi ha fatto commettere atti osceni, dei veri crimini. E presto comincerò con le persone che amo. Non lo farò. Non lo farò mai.”
Fu lì che la mente di Stiles si spezzò e con le dita sulle forbici, dita che tremavano vistosamente, improvvisamente si sentì immobilile.
Sentì che le proprie dita smettevano di tremare, vide la mano fermarsi.
Si vide immobile.
Si vide calmo.
Si vide asciugarsi gli occhi pieni di lacrime.
Si vide respirare pacifico.
Si vide dritto.
Poi si vide uscire, scendere in cantina, ignorare il cane che era andato a nascondersi in un altro angolo, molto lontano da sé, e prendere un borsone con delle cose. Cose particolari.
Cavi elettrici come quelli della batteria dell'auto, catene, pinze, tenaglie e diversi altri attrezzi per sabotare un impianto elettrico.
Poi si vide andarsene in auto.
Si vide andare all'ospedale, salire sul tetto e trafficare con dei cavi elettrici dell'impianto dell'edificio.
Capì cosa stava facendo e si fermò.
La volpe voleva che Stiles vedesse, doveva rendersene conto.
Capendo che stava sabotando l'impianto elettrico dell'ospedale, si fermò cercando disperatamente di riprendere possesso di sé.
Ci provò davvero, ma era la volpe a permetterglielo, dargli l'illusione di riuscire a fare qualcosa, di poter lottare per il possesso del suo corpo.
Stiles ci credeva, ci provava sul serio, si impegnava.
Non voleva permettergli di far del male a qualcuno e sapeva a chi, inconsciamente lo sapeva.
Si leggeva nella sua stessa mente di chi si trattava.
I suoi amici.
Nella mente aveva i suoi amici. Stava facendo qualcosa a loro. Ne era certo.
Era assolutamente certo che si trattasse di quello.
Non poteva permetterlo.
Vedeva chiaro i nomi di Derek, di Scott, di Isaac, di tutti quanti.
Li vide e gli venne il panico.
Derek e Scott. Non poteva star cercando di ferire Derek e Scott. Non poteva.
Stiles tentò con tutte le sue forze di farlo smettere e di andarsene e la volpe, divertita ed ammirata, decise di dargli un piccolo premio e fargli credere, nel suo delirio, di essere capace di opporsi.
Così lasciò il borsone con le prove del sabotaggio sul tetto e se ne andò. Gli permise di guidare verso un posto che la sua mente concepiva come sicuro. Era dove avevano trovato il coyote nel bosco, Milia.
Milia gli piaceva, Milia piaceva alla volpe, era terreno fertile.
Si rintanò là come un animale selvatico e si illuse di essere al sicuro.
Quel che Stiles stava vivendo, era una specie di incubo nel quale era convinto di star lottando.
Pensava di opporsi e di essersi messo al sicuro, ma era tutto un incubo. Non sapeva che lo stava facendo davvero.
Dato che la volpe si stava divertendo molto coi suoi stupidi tentativi, gli fece credere di essere in un altro incubo. Come tempo fa gli era capitato spesso. Un sogno in un sogno in un sogno, così all'infinito.
Poi lo svegliò, o per lo meno gli diede la sensazione di svegliarsi dal suo incubo durante il quale aveva lottato con un sé stesso malvagio.
E vide.
Stiles vide la propria gamba incastrata in una trappola per animali e si vide rinchiuso in un posto buio simile ad uno scantinato.
La volpe gli diede l'illusione di essere rinchiuso in un centro di salute mentale di proposito.
Un po' era il gioco ideale.
Far credere a Stiles di essere rinchiuso in un manicomio nelle mani di un pazzo che gli aveva intrappolato la gamba, era fantastico.
Sentire la sua paura nera e cruda.
Dall'altro gli serviva che lui vedesse quel posto. Visto che non era riuscito ancora a portarcelo dentro, farglielo vedere era vitale. Sicuramente da sveglio e cosciente ci sarebbe voluto andare di persona. Lui ci doveva andare, era lì che stava il corpo della volpe, lì c'era la spada, lì c'erano tutti gli indizi per poter giocare con quel branco e divertirsi.
Stiles credeva di essere stato rapito da un pazzo che lo teneva imprigionato in un posto chiuso e freddo, nel mentre lo vedeva.
Vedeva questo essere coperto di bende che parlava male facendogli indovinelli per penetrare la sua mente.
Fra un indovinello e l'altro era essenziale che lui credesse di avere una grave malattia, che credesse di avere questo mostro dentro che lo stava salvando dalla morte certa e dalla follia.
Era questo che doveva credere, per rendersi indispensabile, per fare in modo che comunque l'avrebbe scelto sempre, anche senza essere costretto. Stiles doveva arrivare a volerlo, ad invocarlo, a chiamarlo. Era questo lo stato ideale che voleva raggiungere.
Così la volpe lavorò con molta astuzia e furbizia in lui, creando il caos.
Stiles non aveva idea che in realtà era tutto nella sua testa e che invece era all'aperto, in una tana nel bosco.
Cercava disperatamente di fermarsi, convinto di poterlo fare, la verità però era che la volpe gli dava l'inutile illusione di potersi fermare.
Stava solo giocando con lui, ma ormai era ora di smettere.

Eppure nel suo delirio, Stiles concepì con disperazione che gli stava capitando qualcosa di grave e che questo avrebbe potuto coinvolgere chiunque avrebbe chiamato. Per questo tenne fuori Derek. Fu l'ultimo disperato tentativo di proteggerlo allo stesso modo che lui aveva fatto qualche mese prima, nel caso del branco di alpha.
Doveva proteggerlo, doveva assolutamente proteggere Derek da sé.
Così, nel suo delirio, chiamò Scott pur volendo impedirgli di farsi male.
Era che voleva essere salvato. Voleva proteggere quelli che per lui contavano, ma voleva anche essere salvato.
La lotta in lui era in atto ed era la cosa più ardua che avesse mai compiuto in vita sua.


Derek era in apprensione per partito preso ogni volta che Scott lo chiamava.
Se era di notte era anche peggio.
Quando rispose aveva un tono da finto calmo. Dopo le molte vicende che l'avevano costretto a crescere e maturare, si era rilassato, appariva molto controllato e calmo, ma in realtà era sempre pronto ad aizzarsi contro chiunque con una facilità sconcertante.
Tutti quelli che avevano conosciuto 'il vecchio Derek' lo sapevano.
- Derek... -
- Sì, dimmi... -
- Ho bisogno di aiuto, si tratta di Stiles! - Certo dire le cose in quel modo non aiutava. Derek imprecò mentre sentiva lo stomaco serrato in una morsa di ferro.
L'unica notte che non passavano insieme, cosa gli succedeva?
Si dominò a stento.
- Cosa ha fatto? -
- E' sparito, ha detto che sente freddo ed è ferito ad una gamba e non sa dov'è, è un seminterrato o qualcosa di simile... - Derek prese un gran respiro, anche lui aveva voglia di dare di matto come stava facendo Scott, ma non poteva permettersi quel lusso, infatti stringendo i denti disse con un tono marcato.
- Fermati e raccontami bene che non sto capendo niente! - Scott si sorprese di sentirlo calmo, ma capì che se Derek impazziva dall'agitazione, erano tutti nei guai.
- Mi ha chiamato dicendo che non sa dov'è, ma che fa un gran freddo, ha detto che è tipo uno scantinato... ha la gamba ferita, si sente sanguinare, non riesce a muoversi ed è buio, vede poco. Ha spento il telefono per non usare tutta la batteria. Dobbiamo trovarlo, Derek! Dice che c'è qualcuno con lui! - Derek imprecò ancora chiudendo gli occhi mentre saltava in piedi e prendeva i vestiti soffermandosi sulla parte della tuta di Stiles che si era tenuto.
Tese tutti i muscoli, contrasse la mascella e prese ancora dei respiri ripetendosi di stare calmo.
Stai calmo, Derek. Sii cosciente. Se perdi la testa non puoi aiutare Stiles. Stai. Calmo. Usa la testa ed i sensi al meglio per lui. Non gli succederà niente, arriverai in tempo, glielo hai promesso.”
- Vado subito a cercarlo... -
- Ci troviamo da Stiles per prendere delle cose sue per l'odore da cercare fuori... - A quello però Derek lo fermò.
- Non mi serve, ho già qualcosa di suo... - Fra una notte e l'altra, di cose di Stiles ne aveva accumulate su cui c'era il suo odore. A volte aveva l'impressione di averlo anche addosso, quell'odore.
La tuta era troppo vecchia, non aveva più il suo odore, però alcune maglie sì.
- Lo troveremo. - A Derek impensieriva il fatto che avesse detto di trovarsi in uno scantinato e che aveva freddo. Cercava di focalizzarsi sulle cose importanti ed utili senza riflettere su come fosse arrivato ovunque fosse e soprattutto sul perchè.
Doveva rimanere concentrato sull'unica cosa davvero importante.
Trovare Stiles.
Prendendo la sua maglia ed una coperta per lui, convinto di trovarlo subito, sperandolo ardentemente, andò verso la porta e poco prima di varcarla diede un pugno alla parete facendola crepare.
L'unica cosa che si concesse per sfogare l'ansia che stava accumulando.
Doveva essere lucido, si ripeteva. Non c'erano margini d'errore di alcun tipo.
Qualunque cosa fosse capitato a Stiles, la priorità era trovarlo.
E comunque non era niente di grave, sicuramente non era niente di grave. Non poteva. Lui era Stiles. Aveva giurato che non gli sarebbe mai successo nulla!

E' con qualcuno. Qualcuno è con lui. L'ha detto a Scott dopo che ha detto che è ferito e che fa freddo e che è al chiuso. Qualcuno l'ha preso, qualcuno l'ha rapito. Qualcuno ha osato rapirlo l'unica notte che non è stato con me. Maledizione!”
Seguendo il suo odore Derek pensava e rielaborava inevitabilmente le informazioni, mentre lottava con sé stesso e la voglia di dare di matto e fare fuoco e fiamme; non poteva, non doveva. Doveva rimanere lucido e sveglio.
Qualcosa non andava, qualcosa era sbagliato. C'era davvero qualcosa in tutto quello che stava succedendo che gridava al suo sesto senso di lupo, qualcosa che gli diceva di stare attento, che non era come sembrava.
Per questo fra una voglia di spaccare tutto e l'altra, si calmava e cercava di ragionare.
Raggiunto l'ospedale, dove il suo odore l'aveva portato, salì sul tetto realizzando che era lì che poi finiva.
Cosa diavolo stava succedendo?
Derek camminò cauto per tutta la superficie del grande terrazzo guardando le zone elettriche. Era stato lì, ma lì non c'era.
Chiuse gli occhi e respirò a fondo calmandosi. Ne aveva un disperato bisogno per capire, capire quello che non riusciva ad afferrare.
Quando i battiti diminuirono e la mente si liberò dalle mille paure che lo facevano impazzire, realizzò cosa c'era che non gli quadrava.
Stiles era stato lì ed aveva lasciato traccia delle sue emozioni. Paura. Lotta. Ma non lotta con chi l'aveva rapito.
Lotta con sé stesso.
Era chiaro.
Era come se ci fossero stati due Stiles, un'unica persona, due intenzioni diverse, uno che lottava con l'altro.
Quando capì con precisione ogni percezione, si agghiacciò rimanendo immobile.
Stiles non era stato rapito, era impazzito.
Per un angosciante momento fu quella la sua sola conclusione.
Ma ora? Ora dov'era?
Andiamo, non può essere impazzito...”
In quel momento, mentre rifiutava una realtà abbastanza inoppugnabile, arrivò Scott.
- Non è qui, non più. - Disse senza girarsi verso di lui, rimase fermo a guardare la gabbia che copriva l'impianto elettrico composto da cavi ad alta tensione, come se lì fosse concentrato il maggior odore di Stiles.
- Senti com'è forte l'odore qui? - Disse controllato. Era ancora molto turbato, ma dovendolo spiegare a Scott, riuscì a concentrarsi seppure si sentisse estremamente inquieto ed a stento si conteneva.
Disse a Scott che il sudore delle persone emanavano segnali chimici per loro che erano lupi e che ognuno di questi aveva un particolare dettaglio emotivo che indicava ciò che in quel momento l'individuo provava.
In breve anche Scott, aiutato da Derek, capì cosa era successo a Stiles lì.
- Ansia. -
- E stress. -
- Cosa ci faceva qui? -
- Non lo so. Ma c'è sicuramente segno di lotta. - Rispose Derek esternando quel che aveva percepito e che ora, col suo aiuto, sentiva anche Scott.
- Con chi... - A quel punto dovette dirgli anche questo, sebbene lo facesse risultare peggio di quel che gli fosse sembrato il limitarsi a pensarlo.
Dirlo lo rese vero, irremovibile, incancellabile.
- Sé stesso. - Scott impallidì e questo rese Derek più calmo per contro che, nel sentire la sua ondata di breve panico e paura, capì tutto quel che sarebbe stato inutile per Stiles.
Farsi prendere dall'ansia.
Un'ansia che aveva già inglobato il suo ragazzo.
Doveva rimanere calmo e lucido.
E' la stessa cosa che non lo fa dormire. È quello. Non è niente altro. Nessuno lo ha rapito. Ha allucinazioni. Ha solo allucinazioni che l'hanno portato non so dove, ma lui sta bene, non ha nulla, nessuno gli ha fatto nulla.”
Se lo ripeté in più modi e più volte fino a che riuscì a crederci.
Poi, dopo che ci fu riuscito, ignorò la propria stessa domanda.
Ma cos'è che lo riduce in questo stato?”
Cos'è che lo faceva sembrare addirittura schizofrenico?
Scott cominciava a pensare la stessa cosa, ma non poteva crederci fino in fondo... qualunque cosa avesse Stiles, per Scott era più facile pensare avesse a che fare col sovrannaturale perchè per lui era più affrontabile e risolvibile. Per Derek era l'opposto. Sapeva molto meglio di lui quanto peggio fosse avere problemi in quel senso, però ignorava quanto potessero essere altrettanto gravi i problemi a carattere umano.
I due si guardarono a quel punto, Scott molto più agitato di Derek che stava riuscendo a trattenersi bene, per lui avere delle specie di risposte era qualcosa di positivo.
- Cosa diavolo gli sta succedendo? - Chiese a quel punto Scott smarrito. Derek sospirò e liberò un'espressione che non si scostò molto dalla sua, non era proprio smarrito ma confuso.


Eppure lui lo vedeva.
Lui vedeva quel posto, quel seminterrato, quel muro col simbolo del 'se stesso'. Ma come poteva sapere che quella specie di cinque significava 'sé stesso'?
E comunque vedeva quell'altro essere bendato che parlava in modo strano, avevano conversazioni. Non si stava inventando nulla, non era possibile.
Il dolore alla gamba era reale, anche se poi lui aveva insinuato che prima fosse stato all'altra gamba. La trappola era alla destra o alla sinistra?
Caos.
Il caos cresceva in lui, alimentando la volpe.
Una volpe alimentata anche dalla sua paura e dal dolore che pensava di avere.
Stiles era dilaniato fra mille convinzioni, non si era nemmeno reso conto, prima di 'svegliarsi' lì dentro, che prima aveva lottato con lui sul tetto dell'ospedale cercando di sabotare il suo piano. Inutilmente, ovvio.
Però ci aveva provato.
Ora non se lo ricordava, non ne aveva la benchè minima idea.
Adesso la volpe gli stava insinuando lentamente il dubbio divertendosi molto.
Lo vedi che qualcosa ce l'hai?
Lo vedi che è grave?
La trappola era chiusa intorno all'altra caviglia, prima, non a questa.
Quindi cosa ti sta succedendo?
Le parole che diceva, gli indovinelli, per lui erano cose prive di senso eppure era più forte di lui... doveva sapere, doveva capire. Doveva trovare schemi e collegamenti a tutto ciò che trovava, su qualunque cosa si imbattesse. Lui era fatto così. Era così che agiva.
Per questo era intelligente e sapeva aiutare gli altri. Perchè trovava schemi ovunque.
Ma ora quell'essere che aveva dentro, quel mostro che sapeva, sentiva aver avuto da un po', dal nementon... da quella volta lui aveva sentito, percepito, visto quel mostro ed ora era davvero lì. Non lo poteva ignorare.
Perchè gli cercava di far credere che la realtà, che ciò che vedeva era diverso? Perchè gli faceva cambiare le cose così?
Lo confondeva, continuava a confonderlo.
Era stato quel mostro a fargli fare quelle cose?
Ad aver ordinato a Barrows di uccidere Kira?
Ad aver fatto tutte quelle cose in quei crimini irrisolti?
Da quanto c'era quel mostro?
Quante cose gli aveva fatto fare?
Quanti orrori?
Lui sapeva d'averlo avuto, ma ora era lì.
Lì davanti a lui.
Lì davanti, fuori, non dentro.
Cosa significava?
Cosa diavolo doveva capire?
Come poteva tradurre tutto quello, ora?
Fu peggio realizzare d'aver avuto le allucinazioni.
Quando i genitori di Scott lo tirarono fuori dalla buca nel bosco, fra urla atroci di terrore e pianti disperati, si rese lentamente conto di una verità atroce e sconcertante.
Non era mai stato in alcun seminterrato. Non aveva mai avuto un mostro davanti. Mai la caviglia in una trappola che lo faceva sanguinare.
Quando riuscì a smettere di gridare e a realizzare lentamente queste cose, capì che aveva sognato tutto e che si era mosso da solo dormendo.
Trovò tutte le sue risposte, risposte che non poteva avere il coraggio di darsi, non del tutto.
In silenzio in macchina, dietro con loro, li sentì vagamente parlare al telefono con suo padre e Scott e dire che l'avevano trovato e che lo stavano portando in ospedale, ma che stava bene.
Bene? Bene... allora è questo... è la malattia della mamma... lo sapevo che era questo. È sempre stato solo questo, solo questo. Niente altro.”
Poi guardò il finestrino, la sua immagine riflessa nel buio della notte e ripensò a quella figura bendata che parlava con lui nella sua visione.
Sicuro che non c'è niente altro? Sicuro sicuro? E se oltre alla malattia che mi sta uccidendo e mi dà visioni e mi fa fare cose di cui non ho idea, c'è anche quest'altro? Se questo è vero?”
Stiles non si rispose, rimase sfinito a fissare la propria sagoma sul vetro, serio, tormentando il telefono che alla fine si decise ad accendere.
Lo guardò e con gli occhi che bruciavano ed il terrore gelido dentro sempre più grande ed oscuro, scrisse a Derek.
'Sono in ospedale, ti prego vieni.'
Perchè lui non era forte come Derek che, sapendo di essere un pericolo per gli altri, li aveva allontanati stoico.
Lui era solo un ragazzino spaventato dalle cose troppo brutte e troppo grandi che gli stavano capitando e che stava guardando seriamente per la prima volta.
La malattia di sua madre.
E quel mostro.
Quel mostro può essere la malattia. La malattia che la mia mente ha formato in qualche modo. Cos'altro vuoi che sia?”
Ma sapeva che stava mentendo a sé stesso.
È che voleva solo riuscire a tirare avanti fino a che non avrebbe visto e riabbracciato Derek.
Non sono forte come vorrei...”