PATH

CAPITOLO 2

SCANDALO

PARTE I


Quella maledettissima sveglia si decise ancora una volta a suonare. Il motivo Ryan l'aveva sempre ignorato. Perché interrompere un sonno così meravigliosamente rilassante per riportare alla dura realtà la gente? Quello però era il compito, seppur ingrato, delle sveglie.
La testa di Ryan pulsava in modo terribile, che mai aveva fatto di male per meritarsi questo? Non capiva nemmeno il senso dei suoi pensieri, che ci faceva ancora al mondo? Se lo domandava ad ogni risveglio. L'emicrania non accennava a smettere nemmeno rimanendo a letto e quando la terza sveglia posizionata sulla porta, suonò, per la sua sopravvivenza fu costretto ad alzarsi e spegnerla. Odiosa sveglia, odioso risveglio, odioso mal di testa, odiosi postumi della sbornia... che ore aveva fatto la notte precedente? E come diavolo era arrivato fino a casa? Non ricordava proprio, ma nemmeno gli importava. Passò distrattamente lo sguardo sull'immagine riflessa allo specchio, lui e il suo aspetto pietoso: i capelli castani dal taglio giovanile gridavano vendetta da quanto erano irriconoscibili, presto li avrebbe rasati a zero così non avrebbe dovuto pensare a farsi la riga in parte per mantenere il taglio che la parrucchiera si era tanto affaticata a fargli; occhiaie; pallore... sembrava un fantasma. Non si curò di sistemarsi. Con passo strascicato si diresse in cucina, era vestito con gli abiti della sera prima tutti stropicciati e rovinati (raramente arrivava a casa sobrio tanto da cambiarsi e mettere il pigiama): la camicia slacciata che non sembrava più una camicia, i pantaloni sbottonati e scoloriti che, appena mosse qualche passo, gli caddero. Continuando il suo percorso coi pantaloni alle caviglie e i boxer in mostra, aprì il frigo desolatamente vuoto, come il resto degli scaffali e della sua casa. Sbadigliò per la millesima volta prima di decidersi ad andare in bagno e ficcare la testa sotto l'acqua fredda per svegliarsi. A qualcosa in effetti servì... a fargli tornare la voce, considerato l'urlo da primato che aveva lanciato. Si preparò un caffè e lo bevve coi capelli che gocciolavano ovunque.
Lo stordimento gli impediva di capire se era ancora in vita oppure no. Coi piedi urtò una delle bottiglie di whisky vuote che erano a terra da giorni, il vetro tintinnò e lui fece una smorfia al pensiero di quanto alcool ogni sera si scolava, ma non gli interessava nulla di se stesso e della sua vita... anzi... faceva il possibile per somigliare il meno possibile ad un uomo, intento che falliva ogni momento: lui era troppo umano, lo si vedeva da come soffriva. Si passò l'asciugamano sulla testa e con poco impegno accennò ad una riga per quel taglio che presto sarebbe finito nel cesso. Si tolse i vestiti che puzzavano di alcool e ne indossò altri puliti: solita camicia e soliti jeans. Si mise in bocca della gomma da masticare, si accese una sigaretta e ficcandosi gli occhiali scuri sul naso uscì di casa sbattendo la porta. Dopo cinque minuti rientrò, imprecando, perché aveva dimenticato la borsa scolastica.
Odiava la sua vita e non stimava se stesso, ma non si chiedeva come fare per migliorarla, l'unica cosa che gli riusciva bene era peggiorarla: non gli importava nulla di se e della sua immagine di professore. Ma quel che gli riusciva impossibile era odiare i suoi alunni… paradossalmente erano gli unici che lo facevano andare avanti. In un modo o nell'altro erano loro la sua vita. Senza di loro non sapeva che fine avrebbe fatto.

Ringraziò il cielo di essersi ricordato il giorno precedente di aver detto ai suoi alunni di andare direttamente in aula video, così non avrebbe dovuto fare le odiosissime scale che di prima mattina erano uno shock! Col solito odore di fumo e alcool, coi soliti occhiali scuri che avrebbe tenuto anche per vedere il film, con la solita gomma da masticare in bocca, con la solita aria trasandata e trascurata e i capelli bagnati sullo sconvolto andante, con la solita gente, fra prof. e studenti, che lo fermavano per chiedergli un sacco di cose, Ryan Del Gobbo riuscì ad entrare in quella benedetta aula video col suo solito ritardo.
Sospirando per essere arrivato anche quel giorno a scuola sano e salvo buttò a terra la sua borsa, alla quale non teneva più, si tolse la giacca appendendola, si slacciò la camicia e aprì la finestra brontolando sul fatto che faceva caldo quando invece erano in autunno inoltrato. Venne fissato dalla classe e molti gli chiesero con molta ironia e malizia, cosa avesse combinato la sera precedente per ridursi in quello stato... mentre Christine stava semplicemente sbavando dietro quella figura così attraente. Dopo dieci minuti di chiacchierata con voce roca e addormentata il professore si rialzò, indossò la giacca e richiuse la finestra brontolando perché faceva freddo.... dopo altri minuti ricompì il rito... al che Ivan con immensa malizia disse:
- Ma prof., ha le scalmane? E' forse in menopausa? -
uno normale lo avrebbe censurato o semplicemente ignorato... lui con semplice calma rispose:
- Probabile... -
alcuni risero non capendo se l'aveva detto apposta per stare al gioco di Ivan oppure se lo pensava veramente. La mente di quel prof era un mistero bello e buono!
Quando tutti gli argomenti furono esauriti e Ryan si stava finalmente apprestando a infilare la video nel registratore, la finestra socchiusa si spalancò con un rumore che attirò l'attenzione di tutti: entrò un ragazzo che con calma si sedette su una sedia accanto a Gabriele. L’alunno sconosciuto continuò pacatamente a fumarsi la cicca che aveva già iniziato e tirò fuori anche una bottiglia di birra sorseggiandola come fosse la cosa più naturale del mondo. C'era un silenzio abbastanza glaciale. In quel momento si levò la voce acuta di Christine che disse:
- Oh, il Dio è tornato fra i comuni mortali... quale onore... potevi benissimo rimanertene dov'eri prima, non mancavi a nessuno... nel pollaio i tuoi dolci sudditi ti aspettano per un nuovo attentato, su vai, cosa aspetti... -
insolente ed odiosa.
Ryan osservò attentamente la figura del nuovo ragazzo arrivato. Con noncuranza si era stravaccato nella sedia e Gabriele gli aveva lanciato un’occhiata strana. Aveva un cappello in testa e i capelli non si vedevano perché erano nascosti. Nemmeno i lineamenti si distinguevano, ma era convinto di non averlo mai visto: doveva essere uno di quelli che ancora non si erano presentati a scuola. Non si scomodò a estrarre il registro dalla sua borsa (sperando che ce l'avesse); chiese con aria seria:
- Tu sei...? -
l'alunno non lo calcolò minimamente. Fu l'efficiente e fedelissima Christine a rispondere:
- Oh, lui... nessuno, uno straccione che ogni tanto crede di far parte di noi esseri umani... non ci faccia caso -
Ryan non la considerò nemmeno e un altro rispose al posto suo:
- Lui è Alex Pierrè -
Ryan con molta fatica si alzò dalla sua sedia e gli si avvicinò coi suoi passi strascicati. Mise la mano in tasca e tirò fuori con aria assolutamente seria il suo pacchetto di sigarette... che avrebbe fatto? Non aveva mai avuto l'aria molto severa quel tipo, ma ora sembrava che lo stesse per sbranare. Poi, con la sua voce roca, senza togliersi gli occhiali da sole, disse, semplicemente:
- Buona idea… non è male iniziare con una fumata! ma andiamo fuori o ai servizi, qua non possiamo -
come fosse stata la cosa più naturale del mondo avere uno che gli entrava in aula dalla finestra, che si metteva a fumare e bere birra in quel modo, senza filare nessuno.
- La birra te la lascio, ne ho avuto abbastanza stanotte di alcool, ma la cicca si... andiamo? –
Vide posarsi su di lui due occhi viola molto belli ed una sola parola uscì dalle labbra di quella persona così enigmatica:
- No - e basta.
Ryan non poteva sapere che la persona che di primo impatto gli era stata più simpatica si sarebbe rivelata la sua rovina!