CAPITOLO 4
SOLO UN'ALTRA STUPIDA GIORNATA

PARTE I



La campanella arrivò a salvarlo dal casino che si era creato e dal mal di testa che stava emergendo nel suo cranio… tutta colpa dell'astinenza da fumo. Ryan non dovette nemmeno chiudere i libri e mettere via le sue cose nella valigetta piena di fascicoli e giornali per passare il tempo, dal momento che non aveva tirato fuori nulla per quell'ultima ora del sabato.
Il povero professore di italiano si trovò a sbuffare mentre i suoi alunni passandogli davanti lo salutavano. Una ragazzina seduta sulla sua scrivania gli prese il pacchetto di sigarette dalla tasca della camicia stropicciata e ne tirò fuori una, poi gli scoccò un occhiolino e gli lanciò un bacio al volo che avrebbe tanto voluto fosse sulla bocca da come se lo stava mangiando con gli occhi. Lui salutò paziente tutti e ignorò quest'ultima prendendo le sue sigarette e mettendosene una fra le labbra aspettando il momento in cui l'avrebbe accesa. Si sistemò gli occhiali da sole sul naso e si infilò la leggera giacca rosso scuro sbiadito, prese la sua valigetta da professore e si avviò verso le scale e l'uscita della scuola quasi felice della fine della giornata…ora poteva fumare quanto cavolo voleva e lo si capiva, di questa sua impazienza mista a felicità, da come muoveva su e giù la sigaretta spenta tenuta fra i denti.
All'aria aperta se l'accese e fu accolto dal solito gruppetto di studenti fermi anche loro per lo stesso motivo, fumarsi la cicca prima di andare a casa. Si misero a parlargli a mitraglietta e lui ascoltò tutto quello che si dicevano sparando le solite battute che li fecero ridere e apprezzarlo sempre di più. Quando cominciarono ad andarsene anche lui si avviò alla sua macchina, una vecchia panda verde scuro tutta sporca e malandata. Come faceva ad accendersi era un mistero. Salito prese un'altra sigaretta mandando al diavolo i propositi fatti a Tea di fumare e bere di meno….in fondo aspettava sempre impaziente il week end per poter fumare e bere di più! Aveva promesso di non farlo durante la settimana perché in fin dei conti un professore doveva essere tale e non un alcolista tossicodipendente che stava a scuola per grazia ricevuta! Ma almeno il sabato e la domenica si concedeva i piccoli sgarri… solo per andare avanti ed arrivare al lunedì. Perché altrimenti non ce l'avrebbe fatta nella solitudine più totale a sorbirsi le solite chiamate e sentire i soliti rimorsi e desideri.
Ogni minuto di più si rendeva conto di quanto la sua vita facesse schifo e la scuola gli facesse male perché sentendo i problemi di mezzo istituto sentiva che non solo la sua vita ma anche il mondo intero faceva merda da tutte le parti! Era molto stufo di tante cose, troppe forse, per questo non si affannava più di tanto a provare a migliorare la sua piccola ed insignificante esistenza!
A casa parcheggiò la macchina nel solito posto dove i piccioni e i gatti facevano spesso visita, salì le scale arrivando al suo buco d'appartamento e una volta dentro si tolse finalmente gli occhiali da sole. I suoi occhi erano meno arrossati di poco tempo prima, la promessa fatta alla sua studentessa di quinta era servita: bere meno effettivamente non gli faceva male al fisico, ma allo spirito si.
Era troppo nervoso.
Aprì le finestre cambiando l'aria come se potesse importargliene qualcosa. Andò in cucina tirando fuori dall'armadio un pacchetto di pasta da cuocere e un vasetto di salsa da scaldare. Riempì una pentola di acqua e la mise sul fuoco, mentre aspettava che si scaldasse ascoltò i messaggi in segreteria. C'era solo un messaggio, era una donna che parlava americano, una voce distinta sulla mezza età. Si capiva che era un aristocratica con la puzza sotto il naso.
- Ciao caro, sono io, tua madre, ascolta, che ne dici se questo week end lo passassi da noi? Sei sempre solo lì, se vuoi ti abbiamo prenotato un biglietto aereo andata-ritorno, so che lavori ma è bene che ti svaghi, sai… guarda abbiamo anche un ricevimento coi nostri soliti amici, se parteciperai li vedrai dopo tanto tempo, non sarà bellissimo? Io verrei volentieri lì, ma l'Italia non mi piace molto, lo sai, altrimenti non mi sarei trasferita in America. Chiamaci quando torni, tuo padre vuole parlarti di affari, ha una proposta migliore dell'ultima che sicuramente non potrai rifiutare… sai, non capiamo ancora come puoi fare un lavoro simile… per me è una sciocchezza la tua ostinazione a stare lontano e solo. Potresti avere tutto quel che vuoi…ma se verrai ne parleremo meglio. Ti aspetto mi raccomando. Arrivederci caro. -
All'udire ciò Ryan ebbe un moto di ribellione che durò giusto il tempo di cancellare il messaggio con un gesto secco e ripromettersi mentalmente che non sarebbe mai andato fin là solo per vedere quelle brutte facce degli amici vecchio stampo e stacanovisti: non li vedeva da secoli i suoi genitori e se ci avrebbero tenuto veramente a lui non sarebbero mai partiti lasciandolo lì, sarebbero rimasti con lui, venendolo a trovare spesso. Non erano venuti nemmeno una volta, lui era andato spesso durante le vacanze ma ci andava sempre meno. Non li sopportava, non avevano mai capito niente di lui. Proprio niente. Non è che li odiasse o che lo trattassero male, anzi, lo chiamavano spesso e facevano la parte dei genitori coscienziosi, a parole erano proprio bravi, ma poi ai fatti cadevano troppo in basso. Sbuffò spazientito cancellandoli subito dalla sua testa. Non era masochista fino a quel punto, non sarebbe mai andato da loro per sorbirseli un intero week end loro e i degni amichetti, il lavaggio del cervello non gliel'avrebbero mai fatto!
Si diresse in soggiorno cominciando a rovistare fra i DVD che aveva, cosa vedere? Era indeciso su diverse opzioni. Ma alla fine prese in mano "The Wall! di Roger Waters e dei Pink Floyd e lo mise su facendo partire il film con quella loro musica così inconfondibile e per lui rilassante.
Squillò il telefono. Andò a rispondere e quando udì la voce dall'altro capo del filo i suoi occhi verdi si spalancarono e la sua voce riuscì a balbettare solo un lieve:
- M-Michelle…?! -
- Sono io… ciao Ryan… come va? Sai, mi ero dimenticata di quanto la tua voce fosse sensuale e calda…-
il suo volto si incupì all'istante. Cosa diavolo voleva quella?
E in un nano secondo non comprese più dov'era e che stava facendo, si concentrò solo sulla voce di quella donna e sulle sue parole, parole sicuramente velenose.
- Cosa vuoi? -
- Ti ho detto, avevo nostalgia della tua voce… -
- Non dire palle! Mica avrai finito già i soldi del mese che ti ho inviato come stabilito! -
- Oh, tranquillo…non si tratta di soldi, come sei sospettoso, sempre a quello pensi… -
- Sai, quando mi chiami di solito è solo per quel motivo! -
seguì un lungo silenzio nel quale Ryan cominciò a preoccuparsi, cosa aveva in testa stavolta quella vipera?
- Ti ricordi che giorno è questo? -
Lui chiuse gli occhi cercando di mantenere la calma. Non poteva fargli questo. Non poteva arrivare a tanto…
- E' il nostro anniversario, volevo farti gli auguri anche quest'anno, anche se siamo separati ormai da 10 anni ci siamo sempre tenuti in contatto e mi sembrava giusto farteli e avvisarti che Daniele cresce a vista d'occhio e sempre bene... ti farei parlare con lui ma sai, non mi sembra il caso… lui ti crede morto… come faccio a spiegargli che suo padre è dall'altro capo del telefono? Mica crederà alla storiella che i morti tornano dall'aldilà per vendicare le ingiustizie! Ahahahah!!!! - risata fastidiosa interrotta da Ryan che probabilmente non avrebbe più potuto ascoltare oltre.
- E mi spieghi come fa a crescere bene se sei stata tu a educarlo questi 10 anni? -
- Ma che cattivo che sei! -
- Come farai a spiegargli che voi vivete grazie ai miei soldi che tu tieni magistralmente nascosti? -
- Non c'è bisogno che lo sappia, come ho capito che non c'era bisogno che sapesse di te. Farti uscire di scena con un incidente mortale ti ha reso ai suoi occhi un eroe e vive nel mito di un padre che non c'è più. Dovresti ringraziarmi! -
Erano 10 anni, l'età del figlio, che quella donna teneva su una messinscena simile. A quale scopo? Poteva una persona essere così piena di odio e meschinità?
- Puttana! -
- Ecco, vedi che ho fatto bene a prendere io la custodia del piccolo? Come avresti potuto crescerlo tu e farti vedere in quello stato, con quel linguaggio e spiegargli che fai un lavoro così di bassa lega… si sarebbe vergognato di te e sarebbe cresciuto un teppista… ora dovresti vederlo, sono sempre più orgogliosa di lui. Questo è mio figlio! La mia unica famiglia. -
- Povero Daniele, come deve essere diventato se tu lo apprezzi in quel modo! -
L'unica persona con cui tirava fuori le palle e la cattiveria era quella donna, Michelle, la sua ex fidanzata, ai tempi delle superiori erano stati affiatati. Dopo che lei era rimasta incinta si era presa il bambino e lo aveva cancellato dimostrando che non sarebbe mai potuto diventare un bravo padre.
E questa era stata la sua disfatta.
- Ci sentiamo presto caro… sei sempre così affettuoso… magari la prossima volta ti mando una foto di Daniele…ahahahah… -
fu sulla sua risata che chiuse la comunicazione di scatto. La sua espressione era molto chiara ed eloquente. Rabbia. Rabbia e frustrazione pura perché con lei aveva le mani legate. Perché quel maledettissimo lungo processo l'aveva distrutto su tutti i fronti rivelando la vera faccia di quella troia che aveva amato a tal punto da dare vita ad una creatura.
Daniele… era veramente il frutto di amore? Michelle aveva mai amato Ryan? Cosa era stato per lei? Anni ed anni insieme, conoscevano tutto l'uno dell'altra e lei era riuscita a ricattarlo e a distruggerlo così, alla luce del sole con ogni carta in regola. Ogni volta che sentiva la sua voce il suo umore si rovinava sempre più.
Strinse il telecomando della tv e del DVD in mano finendo per alzare al massimo il volume. Il tempo era forse volato o forse lui aveva schiacciato involontariamente dei tasti che avevano portato le scene al pezzo di Another Brick in the Wall, quando tutti i ragazzini nella scuola si ribellano e buttano giù muri non ascoltando più gli insegnanti, corrono e vanno liberandosi dell'ipocrisia e della finzione….e la musica esplode con quel coro di bambini che cantano accusando gli adulti meschini che usano e sfruttano tutto e tutti. Buttò il telecomando nel divano e cercando di immaginare che faccia potesse avere un figlio suo mai visto prese a camminare senza accorgersene. Rivide il viso di Michelle, la sua espressione vittoriosa al processo di 10 anni fa e udì nuovamente la sua risata. Non ce la faceva più, la odiava dal profondo. Ma odiare non bastava, non era abbastanza. Quello che aveva fatto lei non aveva nome. Lei. E un figlio mai visto, conosciuto e sentito.
Con un gesto d'ira secco e potente buttò giù la pentola con l'acqua, la pasta si sparse a terra e il vasetto di salsa si ruppe sporcando il muro e il ripiano di rosso misto ai vetri rotti. Non notò nulla di tutto questo nemmeno i suoi vestiti e la sua stessa mano gocciolante di quel liquido denso...e l'esplosione della musica lentamente scemò insieme alla sua rabbia che lasciava il posto alla sconfitta e alla depressione più nera.
In quei casi l'unica cosa che poteva aiutarlo era dimenticare. Ma come dimenticare una cosa simile che gli aveva cambiato e rovinato la vita? Dimenticare in modo incosciente. Solo così. Distruggendosi nel fisico cosicché la sua anima dimenticasse i problemi, concentrandosi solo sul dolore corporeo. Lo faceva spesso, non era autolesionismo vero e proprio, solo pura e semplice ubriacatura. L'alcool era magico, aiutava concretamente. Forse era un ragionamento stupido ma l'unica cosa che Ryan riusciva a fare in quei momenti neri era proprio questo: bere. E basta. Per non pensare. Per non riflettere, per non ricordare, per non sentire. Per tacere.
Si trovò a specchiarsi sul vetro di una finestra, ciò che vide in realtà non era la sua immagine riflessa, non era un uomo sui 28 anni trascurato e sciupato, ma semplicemente un essere solo pieno di rimpianti, da compiangere, una vittima da prendere per il culo.

Cosa aveva fatto il resto della giornata? Passata a cercare una bottiglia d'alcool? Non trovandola e mettendo tutto in disordine per la rabbia? Uscendo di sera cercando un locale discreto e silenzioso?
Si, era così. Guardarlo ora, seduto appoggiato al bancone, con un piede sulla sedia accanto e una bottiglia in mano.
Cos'era?
Solo. Un uomo solo. Fallito. Che si autocompativa bevendo. Promesse promesse promesse…mai mantenute. Non si piaceva, era scontento di se stesso.
Avere un figlio…un figlio spesso ti cambia la vita rendendotela migliore, è il tuo riscatto. Ma averlo per non averlo mai visto… baciato, toccato, osservato, sentito…mai, nemmeno una volta. Avere la propria famiglia contro… ESSERE CREDUTO MORTO DAL FIGLIO!!! Avere una donna amata fin dall'infanzia, aver donato a lei tutto, forza e debolezze, essersi affidati a lei completamente… ma come diavolo si può sostenere una girata di spalle simile? Tutto…aveva prosciugato tutto di lui quella donna….l'unica cosa bella della sua vita, le uniche cose belle…il figlio, l'amore per lei, la felicità provata con lei.
Ora non era più nulla… eppure… eppure dopo tutta questa delusione per il genere umano come poteva? Come poteva continuare ad averci a che fare? Rispettarli, essere buono con loro, vivere normalmente o quasi, fare il professore amico degli studenti…come si poteva avere lo stesso fiducia in loro aiutandoli più che poteva? Persone simili sono utopiche, invece lui era lì…vero e reale…con una vita distorta.
Non si piaceva, non gli piacevano gli uomini, non gli piaceva la vita… eppure era tutto il contrario, continuava ad amarla e rispettarla, pur non rispettando se stesso. Una persona tanto contraddittoria.
Quanto c'era da imparare da Ryan? Scoprirlo. Non era quel che sembrava.
Era certo che non avrebbe avuto più figli, più donne, più amori per la vita. Ne era certo e chissà se sarebbe stato così? Chissà…

L'ora di chiusura dei locali e dei pub era passata da un pezzo e le prime luci dell'alba stavano per raggiungere anche quella città piena di gang notturne e pericolose. Diverse persone gironzolavano barcollanti con bottiglie in mano per le vie malfamate del quartiere. Fra queste uno conosciuto. Uno che spesso si trovava a gironzolare così e che spesso si sedeva in un angolo ad aspettare che il giorno portasse via la confusione e la sbornia per lasciare il posto alla lucidità e poter tornare a casa. Ryan non ricordava più la strada di casa, tanto era gonfio. Al posto del sangue probabilmente aveva solo alcool. Una fottuta persona esagerata. Se lo diceva spesso. Un perdente che non reggeva nemmeno l'alcool. Seduto su un marciapiede con la schiena e la testa contro la rete arrugginita, si accese una sigaretta che tenne fra le labbra, il fumo saliva al cielo notturno che svaniva osservato dai suoi occhi semi chiusi. Non l'avrebbe fumata, non ce la faceva, la teneva semplicemente così per sentire l'odore di nicotina e tabacco per lui indispensabile.
Che schifo.
Arrivare a 28 anni a fare le somme della sua vita e trovarvi solo merda. Solitudine. Bruttezza. Se fosse morto nessuno l'avrebbe pianto. Crisi su crisi ogni volta che sentiva quella donna al telefono, che la vedeva o che ne sentiva parlare. Si guardava dentro e scopriva che ciò che sosteneva lei era vero: lui non avrebbe mai potuto essere nessuno, essere marito, padre, amato, rispettato… non era nessuno, non lo era mai stato e l'alcool ingigantiva ogni piccola stronzata di dubbio.
Si sentiva leggero nell'animo perché ammetteva cose brutte e le accettava, ma anche pesante perché il suo corpo non rispondeva più ai suoi comandi.
Sentì una voce raggiungerlo. Con una mano si spostò pigramente i capelli dal volto, erano sudati e appiccicati alla pelle, come anche i suoi vestiti stropicciati. Dalla tasca della giacca spuntava il collo di una bottiglia di wiskhy ancora chiusa… era la scorta per il giorno che arrivava.
- mmm? - voce roca e graffiante, profonda e penetrante, non sua comunque.
- Ehi amico…ti diamo una mano se vuoi…-
- certo, ma poi tu ci dai la ricompensa! -
sentiva che erano in tanti e che ridacchiavano, erano sobri da quel che capiva, una banda di teppisti del quartiere. Era naturale incontrarli ma non gliene importava molto. Si mise gli occhiali sugli occhi perché era il rito che faceva quando parlava con qualcuno e anche se non era cosciente ormai gli veniva naturale, e senza alzare la testa rispose:
- e che diavolo volete da me? -
uno di loro si sedette accanto a lui e gli cinse le spalle col braccio stringendo la spalla e rispose strafottente:
- Ma è ovvio, noi ti togliamo di mezzo come desideri e tu ci dai la giusta paga… -
gli ci volle molto prima di realizzare le parole e la sua stessa risposta biascicata:
- ti ringrazio ma non ci guadagnate molto voi… -
non capì più cosa dicevano, sentì però chiaramente uno fra loro farsi largo ed arrivargli di fronte, si accovacciò per guardarlo in faccia, per guardarlo bene gli prese i capelli sulla testa e glieli tirò.
Avendo il suo viso ben visibile commentò con voce dura e quasi impenetrabile:
- ragazzi, ha ragione, è inutile aiutarlo a togliersi di mezzo, non ci guadagniamo nulla… è senza un soldo! -
Scorse solo la sua ombra attraverso gli occhiali da sole e la vista appannata.
Viso prevalentemente coperto da un cappellino, ciocche che sfuggono intorno al volto, luce negli occhi piuttosto pericolosa. Era conosciuto e familiare. Era una persona che gli aveva procurato già non pochi guai. Alex era il suo nome, un nome che non gli venne mai in mente per quella serata… che rimase tutto un sogno anche dopo.
Lei si rialzò continuando a fissarlo penetrante. Che voleva dire quello sguardo? Poi gli diede la schiena senza più fissarlo e disse solamente indecifrabile:
- so dove abita questo qui, prendetelo su e vediamo se rimediamo qualcosa di meglio dei suoi soldi… -
detto ciò non si preoccupò di vedere se eseguivano quanto detto, sapeva che l'avrebbero fatto.

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Frollo aveva appena iniziato a lamentarsi quando fecero retromarcia e partirono. Relegato sul sedile posteriore Elia non si lamentò per quella scelta tutt'altro che casuale, nè provò a sabotare mentalmente il lettore cd: subì mogio il disperarsi del religoso per les yeux d'une étrangère, ma non poté fare a men di ridacchiare quando Lelio cambiò su 'Déchiré'. Gli sorrise tramite specchietto retrovisore, affondando nel sedile e nelle immagini di una sera di qualche anno prima.
Notre-Dame dialogò sul mutismo pesante di autista e passeggeri spingendoli verso casa, superato il portone (elettrico, attivazione tramite parola d'ordine) Lelio parcheggiò al solito posto e scesero, Maya per ultima mentre Elia si stava già allontanando. Lei fece per seguirlo ma si bloccò.
- Dai - la consolò Lelio - Lascia stare. -
- Sì... - biascicò - Scusa, ho combinato un guaio -
- Non è colpa tua - e poi *Non hai fatto nulla di male, sai che Elia ha un carattere di merda*
*Dispiace lo stesso*
*Tranquilla. Sono i rischi del non avere una vita monotona.*
La luce della cucina si era appena accesa e si accorse di aver fame.
*Allora, che specialità ci preparerai oggi? E non pensare di cavartela con la scusa del minestrone..*

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Note:
The Soundtrack:
Notre-Dame De Paris
ACTE I
23 - Tu vas me détruire (Frollo)
16 - Déchiré (Phoebus)

FINE CAPITOLO 3