CAPITOLO 4
SOLO UN'ALTRA STUPIDA GIORNATA

PARTE II
Trovarsi davanti proprio il professore di italiano era l'ultima cosa che si sarebbe aspettata. Aveva beccato sulla sua strada quello che sembrava un barbone ubriaco ed aveva deciso di tormentarlo un po', giusto per divertirsi, i suoi tirapiedi avevano già iniziato a darci dentro. Lei era rimasta comunque estranea alla cosa, appoggiata al muro scrostato di quel vicolo a fumarsi l'ennesima sigaretta.
Quella sera il turno al nuovo pub era stato massacrante, ma era abituata alla fatica fisica e spossarla era quasi impossibile ormai.
Quando sentì la voce impastata del 'barbone' a terra, il fumo le andò quasi di storto e tossì a lungo. Infastidita e seccata cacciò la sigaretta quasi terminata fra l'indice e il pollice con il filtro all'esterno, si sistemò il cappello sul capo lasciando in parte alcune ciocche della frangia e si piazzò dinnanzi all'uomo che non riusciva a muoversi, teneva la testa bassa e fra le mani stringeva una bottiglia vuota di un qualche alcolico non leggero. Chiedeva una sigaretta. Alexandra dovette ammetterlo, era peggio di tutti quelli che fin ora aveva visto malridotti.
Qualcosa si mosse in lei vedendolo in quello stato. Con la punta dell'anfibio gli alzò il capo facendogli appoggiare la testa all'indietro.
Lo vide bene in volto.
Lineamenti delicati e giovanili, i castani capelli spettinati più lunghi ai lati e corti dietro, in un taglio che originariamente era moderno e molto affascinante, ora solo disastrato. Pallore impressionante, occhi cerchiati e arrossati, sudore sulla pelle, sguardo allucinato, di chi lentamente svaniva.
Ma cosa poteva ridurre una persona a quello stato?
Lei di idee in proposito ne aveva ma quel che la fece pensare fu che tutte le persone autolesioniste finivano per essere le uniche 'decenti', per i suoi canoni.
Tuttavia quello era Del Gobbo, un uomo mal giudicato da lei, all'apparenza amico degli studenti e dei giovani in realtà sicuramente tutt'altra persona. In effetti così era: diverso, ma non avrebbe mai immaginato in che senso.
Dunque era così falso? Quale vita l'aveva distrutto?
A lei non interessava, se ne guardava bene dal farlo.
Lui non la riconobbe e chiese per l'ennesima volta una sigaretta, lei impassibile si abbassò e gli mise la sua fra le labbra sottili e ben disegnate, erano delle belle labbra. In generale era apprezzabile ma di norma aveva l'aria troppo da brava persona, ora era del tutto diverso... sembrava uno di quei maledetti che lei ben considerava. Non disse nulla e gli altri la guardarono senza capire cosa le passasse per la testa, era impossibile comprenderla, non dava mai segni o indizi, sempre impassibile e dura.
- Che facciamo di lui? Ci divertiamo ancora?-
Alex rimase in silenzio come se ci stesse pensando, poi si voltò e senza mostrare il suo sguardo, disse, con voce ferma e sicura:
- No, portiamolo a casa, lo conosco...-
- Ma...-
- Ho detto una cosa!-
Non aggiunse altro, quello bastò per far sì che obbedissero. Due della sua banda tirarono su Ryan e seguendo Alexandra lo condussero a casa, cercando nelle sue tasche trovarono un portafogli vuoto e le chiavi, lo buttarono dentro lasciandolo sul pavimento dell'ingresso. Diedero un'occhiata al posto sperando di poter ricavare qualcosa di utile ed interessante: un appartamento disordinato, nel caos più totale con puzza di alcool e fumo e chiuso, bottiglie di birra in ogni angolo e nemmeno l'ombra di qualcosa di costoso e prezioso, l'unica cosa passabile erano i CD, una lunga collezione che andava dalla classica alla rock, aveva buona roba e si presero qualcosa che entrava nei loro gusti. Infine ad un cenno del loro 'capo' se ne andarono lasciandolo lì a dormire.
Alexandra non spiccicò altra parola, rimase in silenzio e senza dare altri ordini se ne andò a casa. Quella sera era stanca ma si stava abituando a quel ritmo.
Continuò a riflettere su Del Gobbo e sulla strana persona che era, decise di non impicciarsi troppo, ognuno aveva i suoi guai e lei ne aveva per mille! Rientrata in casa la prima cosa che fece fu andare in camera a controllare se sua sorella come ogni sera era là a dormire. Una piccola figura di 10 anni rannicchiata in posizione fetale stava sotto le coperte di un letto poco comodo, i biondi capelli le si spargevano sul cuscino e nonostante fossero corti fino alle spalle, si vedevano lo stesso. Un sorriso tenero e significativo si dipinse sulle sue labbra carnose, anche quella giornata era finita e la piccola Samantah avrebbe potuto mangiare ancora per un mese sicuro. Uscì dalla camera chiudendosi la porta alle spalle, si tolse il cappello sciogliendosi i lunghi capelli ondulati, le si scompigliavano attorno al viso ovale dai lineamenti regolari e femminili. La sua bellezza selvaggia non era comune, la mascherava per questo motivo. Aveva subito tante ingiustizie e soprusi sin da bambina e crescendo, una volta abbandonata anche dal padre, aveva deciso che avrebbe fatto quanto più in suo potere per non far passare altrettanto alla sorella, lei era l'unica luce della sua vita tanto odiata. Samantha sorrideva dolcemente e sincera, Alex si chiedeva come potesse essere così. Se c'era qualcosa per cui combatteva con unghie e denti, tirando fuori quanta più forza e coraggio in corpo, era solo per quella piccola bambina che doveva ancora conoscere la vita. Solo per proteggerla si era vestita da maschio, capeggiare una banda di teppisti era pericoloso, ma anche ciò che le permetteva di aiutarla.
Dopo la morte prematura della madre per aver messo al mondo Samantah, il padre era andato in depressione e in fallimento e aveva così deciso di abbandonare tutto e tutti scappando. L'intenzione era quella di uccidersi ma non aveva trovato il coraggio. Se ne era solo andato, una mattina, senza dire nulla alle sue figlie. Così la maggiore aveva dovuto rimboccarsi le maniche e tentare ogni cosa.
Si spogliò togliendosi le fasce che appiattivano il petto prosperoso, il seno libero la fece respirare e infilandosi sotto la doccia lasciò che la stanchezza scivolasse via con l'acqua.
Non rinnegava del tutto il suo essere femminile, tuttavia non lo amava nemmeno, avrebbe preferito un'altra vita ma ormai aveva quella e indietro non si tornava di certo. Accettava facilmente la realtà, lottava per cambiarla con le sue forze e nulla riusciva a piegarla.
Uscita dalla doccia si butto sul divano, nemmeno mangiò, era veramente molto stanca e così si limitò a chiudere gli occhi pensando all'indomani... sicuramente non si sarebbe svegliata in tempo per la scuola, aveva la fortuna che Samntah andava a scuola da sola con la vicina di casa che insegnava proprio alle elementari. Avrebbe dormito anche perché le energie per il confronto che l'aspettava il giorno dopo erano importanti, la banda dell'altro quartiere aveva deciso di suicidarsi sfidando la sua e lei se c'era da menar le mani ne era ben lieta!
Il sonno l'avvolse come una calda coperta illudendola come ogni notte che tutto andasse bene.

Mancavano diverse ore all'inizio del turno serale di lavoro, Samantah era dalla vicina a studiare, ALex non aveva pensieri se la sorella era al sicuro. La scuola, tanto per cambiare, l'aveva saltata e Gabriele era passato per vedere come stava, certo che un gesto simile proprio da lui era buffo e assurdo. Come sempre aveva parlato a monosillabi trascurando i dettagli sulla più o meno noiosa vita scolastica. L'unica cosa che miracolosamente l'aveva colpito (ed era raro ci fosse qualcosa) era stato proprio il professore Del Gobbo: quel giorno si era presentato con una cera malata e un aspetto a dir poco pietoso, non aveva spiccicato parola ed aveva dormito mentre la classe lasciata a se stessa faceva il consueto caos.
Alexandra rise ben sapendo la motivazione di tutto quello, poteva essere più divertente del previsto la vita scolastica...
Dopo la sottospecie di rissa che la aspettava nella serata si ripromise di partecipare di più a quel genere di cose dietro ai banchi con tanti imbecilli sottosviluppati!
Adesso lei era lì, vestita come sempre, i capelli nascosti e uno sguardo duro, mentre fumava veloce, attorniata dai suoi 'amici' che attendevano solltanto un suo cenno. Sapevano bene che giorno era quello. Arrivarono come annunciato gli altri, la banda avversaria era capeggiata da un ragazzo che pareva un armadio, aveva i capelli rasati. Se lo impresse in un attimo nella sua mente: un volto anonimo, dopo averlo abbattuto se ne sarebbe scordata. Cianciò qualcosa che Alex non ascoltò e non capì, non conoscevano i suoi punti deboli e non si sarebbe mai arrabbiata, si limitò a difendersi e ad attaccare, i molti anni di arti marziali avevano aiutato molto.
Guardandola tutti rimasero stupiti, credevano fosse un ragazzo e si chiesero come facesse a muoversi come un gatto, un felino velocissimo ed agile e contemporanemante essere altrettanto forte e letale. Non mostrava pietà mentre colpiva, sguardo freddo e vuoto, non la riempiva quel che faceva eppure lo faceva per sentirsi viva, per sopravvivere, per non essere messa sotto da nessuno.
Gli altri intorno a loro facevano altrettanto, ma la calamita era lei, il centro di gravità: tutti si sarebbero fermati solo quando lei avrebbe finito. Un ritmo serrato, il tempo scandito dai suoi colpi, accelerazione, un crescendo di odio e disprezzo, vite massacrate, gente incompresa, lotte inutili e battaglie sciocche. Era questa la vita di persone che non riuscivano a vivere ma solo a sopravvivere.
La fine di tutto fu Alexander: in un salto all'indietro, eseguito con grazia e sicurezza disarmanti, concentrò in esso i pensieri di tutti e mise il punto finale a quella questione senza storia, con un ultimo calcio in pieno mento.
Era tutto finito.
Anche quella giornata sarebbe terminata senza mancanze nè dolore per lei e sua sorella, non più del solito quotidiano.