Note dell'autore: Forse la storia è andata un po' per la tangente, spero sia comunque una piacevole lettura!!!!
Faccio due premesse: 1. Non so quasi nulla di cavalli, quindi potrei aver scritto delle enormi cavolate, internet non è sempre affidabile! Se ci fosse qualcosa di estremamente assurdo provvederò a correggerlo:PP
2. Non ho idea di quanto guadagni un servo o se venga pagato per il suo lavoro, Gwen una volta aveva dell'oro, e tutti sembrano volere un lavoro a palazzo, così ne ho dedotto che qualcosa riceveranno, anche se credo sia poco. Perciò, anche le cifre che ho scritto nella storia, forse risulteranno un po' esagerate.


Isil*

giuria

La puledra era molto più grande di quanto avrebbe immaginato con lunghe zampe ossute, che sembrava incapace di controllare, e piccole orecchie dritte sulla testa.
Era nera come il carbone, sembrava uscita da un camino sporco più che da una cavalla bianca come la neve, eppure lì, sul lungo muso, c'era una macchia bianca candida come il mantello della madre, dalla forma strana, simile ad una stella.
Merlin se ne innamorò al primo sguardo.
Purtroppo la puledra sembrava nata sotto un pessimo cielo.
“La rifiuta” mormorò Robert al suo fianco cercando di sospingere la puledra verso Camille,  ma la cavalla continuava a scuotere il capo e indietreggiare come spaventata.
Merlin non capiva cosa stesse accadendo, ma le imprecazioni di Robert non sembravano un buon segno.
“Non va bene, la rifiuta” ripeté lo stalliere con aria desolata, guardando verso il viso sempre più confuso di Merlin, come cercando consiglio.
Purtroppo non poteva aiutarlo dato che non capiva cosa stesse accadendo.
Merlin guardò di nuovo verso la puledra, a stento si tratteneva dall'andarla ad accarezzare, e solo perché lo stalliere glielo aveva proibito dicendogli che l'avrebbe spaventata.
D'altronde la madre era una delle migliori cavalle di Camelot, bianca, forte, dalla lunga criniera setosa.
Non aveva mai partorito prima d'allora, era un destriero dopotutto, addestrata per la battaglia, non per essere montata. Nessuno sapeva chi l'avesse fatto o quando, ma Sir Geraint non era stato affatto contento all'idea che qualche stallone si fosse approfittato di Camille.
Merlin aveva sentito tutto dagli altri stallieri. In fondo, se a corte si parlava di amori e tradimenti tra i nobili più prestigiosi, forse era normale che nelle stalle si creassero voci sui cavalli.
Lui non ne capiva molto, d'altronde dov'era cresciuto, ad Ealdor, difficilmente si vedevano abbastanza cavalli da sapere qualcosa di puledri e stalloni. Avere un asino era già una fortuna. E che ne sapesse lui, la vecchia Reb aveva ben poche storie d'amore da raccontare.
Nella sua mente un puledro era solo un nuovo cavallo, il cucciolo nasceva e la madre se ne prendeva cura, ma forse le cose non erano così semplici dopotutto.
“Cosa succede?” chiese preoccupato a Robert, guardando la cavalla dare un ultimo spintone alla puledra e rifiutarsi di allattarla.
La puledra inciampò e cadde sulle zampe posteriori scuotendo il muso, il verso lamentoso che seguì  strinse il cuore di Merlin.
Lo stalliere non rispose, imprecando ancora una volta, si avvicinò al destriero per afferrarla dal muso e cercare di calmarla “E' tua” le mormorò accarezzandola “Non la riconosci?” ma Camille sbatté gli zoccoli a terra, scuotendo il capo e indietreggiando, Robert sospirò sconfitto.
Rimasero a lungo con lei quella notte, per quella che a Merlin sembrò un'eternità, mentre la piccola puledra, sempre più affamata, sembrava perdere la speranza e i suoi tremori si facevano più pronunciati. I suoi versi lunghi e striduli, simili al pianto di un bambino.
“Non c'è niente da fare” scosse  infine la testa lo stalliere, mentre con mani esperte tirava su la puledra piangente portandola in un'altra stalla.
“Può capitare che la madre li attacchi in questi casi” spiegò poi al servo “E' meglio non rischiare”.
Merlin si sentiva frastornato, ancora non era certo di aver capito cosa fosse accaduto.
La puledra era sana, forte, non riusciva a capire perché era stata rifiutata, ma Robert non aveva tempo di spiegarglielo.
Aveva preso un vecchio guanto e aveva bucato una delle dita di vecchia pelle usurata per coprire una tazza piena di latte “E' di capra, non ci sono altre cavalle che possano prendersi cura di lei per adesso” gli disse con la fronte madida di sudore “Non è lo stesso, ma almeno non morirà di fame, se lo beve”.
La puledra, però, scuoteva il muso e si allontanava spaventata ogni volta che Robert le si avvicinava Sembrava impossibile convincerla a nutrirsi.
Dopo quelle che a Merlin parvero ore di tentativi andati a vuoto, lo stalliere si allontanò con un sospiro. Il servo fissò a lungo la tazza abbandonata sul pavimento prima di alzarsi e andare dalla puledra rannicchiata nel fieno.
I suoi occhi enormi sembrarono studiarlo diffidenti e il mago le sorrise “Non dargliela vinta, non arrenderti. Dimostrale che sbaglia”.
La puledra continuò a fissarlo, come per chiedendogli il perché di tutto. Il perché del rifiuto. Sfortunatamente non aveva una spiegazione da darle e, in qualche modo, questo lo feriva più di tutto il resto. La puledra, però, sembrò trovare la risposta che cercava nel viso di Merlin e poco dopo il latte della tazza era scomparso.
Sentendosi stranamente felice e soddisfatto, Merlin coprì la puledra con una coperta rossa, lo stemma di Camelot, scucito e pallido, sembrava fatto apposta per lei.
“E' difficile che sopravvivano, quando succede. E' per via delle malattie. Se la madre non si prende cura di loro crescono deboli, e un cavallo debole non fa mai una bella fine” Robert comparve alle sue spalle, le braccia incrociate sul petto e l'aria curiosa.
“Che intendi dire?” chiese il servo percependo uno strano nodo alla gola nel guardare Robert chiudere la stalla per la notte “Diciamo solo che a Camelot un cavallo è buono solo per combattere o finire all'altro mondo... e quelli deboli di certo non diventano guerrieri”gli spiegò con tono rassegnato.
Merlin lo osservò allontanarsi nella notte, la sua torcia l'unica luce rimasta.
I suoi sogni vennero tormentati da lamenti strazianti e da occhi neri che lo supplicavano di aiutarli.
La mattina dopo, Merlin si ripromise che avrebbe fatto qualunque cosa per salvare Isil.
Come avesse scelto il nome, o quando, non lo sapeva, ma da allora in avanti fu così che la chiamò.

Isil era debole rispetto agli altri puledri di cui si era occupato, ma probabilmente, con un po' di fortuna, sarebbe sopravvissuta. O almeno così gli disse Robert dopo qualche giorno.
Merlin era felice di sentirglielo dire, ormai era lui ad occuparsi della giovane puledra e, per quanto lo riguardava, debole o no, Isil non aveva niente da invidiare agli altri cavalli.
Dopo la notte della sua nascita, Robert aveva più volte cercato di nutrirla, ma senza successo. La giovane puledra sembrava decisa a farsi avvicinare solo da Merlin e lo stalliere dai capelli rossi, che era già carico di impegni per tutti i cavalieri, gli aveva lasciato più che volentieri il compito di prendersene cura.
Così, usando un vecchio guanto sgualcito del re, aveva cominciato ad andare avanti e indietro dal castello a tutte le ore del giorno e della notte per portarle i suoi pasti. Isil mangiava poco e spesso, piccole razioni di latte di capra mischiato a miele, su consiglio di Gaius,  per aiutarla a digerirlo con più facilità.
La puledra sembrava condividere uno strano legame col mago, nitrendo ogni volta che lo sentiva entrare nelle stalle e porgendogli il muso per una carezza. Merlin sorrideva sempre nel vederla ed era convinto che fosse il suo modo per ringraziarlo e dirgli che stava bene.
Forse era assurdo, ma sentiva davvero che lei potesse capirlo.
Il nome Isil gli era venuto senza una ragione, non era neppure certo di cosa significasse, ma credeva fosse collegato in qualche modo al cielo, qualunque fosse il suo significato, la cavalla sembrava felice di portarlo e, ogni volta che la chiamava per nome, si voltava a guardarlo. Come se potesse capirlo.
A chi l'avesse chiesto, non avrebbe saputo spiegare perché fosse così importante prendersi cura di lei o perché provasse quell'improvviso affetto verso un animale, a dire la verità i cavalli non gli erano mai davvero piaciuti, c'era qualcosa di spaventoso in loro.
Troppo alti, troppo facili da spaventare, troppo veloci da cavalcare, Merlin si era sempre fidato più volentieri delle sue gambe, che dei quadrupedi di cui a Camelot sembravano andare tanto fieri, ma Isil era diversa.
A volte la sognava già adulta, sognava di cavalcare con lei nei boschi e, per quanto fosse stupido o imbarazzante, Merlin si svegliava contento e più affezionato a lei di quanto fosse salutare.
Perché, per quanto lo desiderasse, Isil non era sua e non lo sarebbe mai stata.
Lui era solo un servo e i servi non possedevano cavalli. Nemmeno quelli considerati deboli e malaticci.
Certo, si fosse trattato del cavallo di sir Leon o magari di Gwaine, o Parcifal anche, avrebbe potuto chiedere il favore di prendersene cura, ma purtroppo il proprietario di Isil non era uno dei cavalieri buoni.
“Quella puledra è ancora qui? Credevo fosse morta”.
Sir Geraint era uno dei cavalieri scelti da Uther tra i nobili che gli avevano giurato fedeltà. Un uomo di mezza età, dal corpo segnato dalle guerre. Aveva una lunga cicatrice sulla guancia sinistra, se l'era guadagnata salvando la vita al vecchio re, e questo gli aveva portato prestigio per tutta la vita.
Prestigio che sembrava autorizzarlo a trattare tutti come schiavi inutili. Era una delle persone più arroganti che Merlin avesse mai incontrato, cambiava servitori più in fretta di quanto cambiasse vestiti e si diceva che non esitasse a punirli corporalmente, se lo riteneva necessario.
Non avendolo mai servito, Merlin non era certo di quanto fossero vere quelle voci, ma non credeva che Arthur, per quanto asino fosse, sarebbe mai rimasto in silenzio di fronte ad un comportamento del genere.
Del resto la misera simpatia del nuovo re, per uno dei più vecchi cavalieri del regno, non era una novità. Quando era ancora un principe, Arthur era stato provocato più di una volta da Geraint, che non faceva altro che tentare di metterlo in ridicolo di fronte agli altri cavalieri. L'unico motivo per cui era ancora membro del consiglio era il rispetto che il re nutriva per la memoria di suo padre.
Purtroppo, quel detestabile cavaliere, era anche l'orgoglioso proprietario di Camille, e di conseguenza, di Isil.
“Merlin si sta prendendo cura di lei, mio signore. Sembra crescere in fretta, potrebbe anche sopravvivere all'abbandono della madre” spiegò Robert con un vago sorriso rivolto verso il servo che, dopo aver portato il pranzo di Isil, era rimasto seduto con lei nella stalla.
Gli occhi scostanti di Geraint, verdi, ma senza vitalità, trovarono quelli di Merlin, studiandolo per un breve istante prima di fissare Isil con vago disgusto.
“E chi ha dato a questo servo il permesso di toccare uno dei miei cavalli?” chiese in tono severo, rivolgendosi a Robert e ignorando totalmente il servo in questione, come se Merlin non fosse neppure lì.
Il primo istinto del mago fu quello di rispondergli a tono, ma un'occhiata quasi spaventata dello stalliere, le cui guance si erano fatte più rosse dei suoi capelli, lo convinsero a restare in silenzio. D'altronde, se vivere a Camelot gli aveva insegnato qualcosa, era che a volte era meglio ingoiare l'orgoglio, sopratutto quando si rischiava di mettersi contro un nobile.
“Ho pensato non ci fosse nulla di male, mio signore. La puledra sembrava destinata a morire e io non avevo il tempo di darle tutte le cure che-” iniziò a mormorare in fretta, con voce tremante.
“Vi pagano per pensare adesso? Quante novità in questo regno” lo fermò il cavaliere, ovviamente irritato “Mi dispiace davvero che il servo abbia perso tutto questo tempo, quella cavalla è talmente debole che non varrebbe la pena neppure venderla come asino da soma. Che dovrei farmene di un tale spreco di spazio? Ha solo indebolito la mia cavalla, è una vera dannazione” brontolò con rabbia incrociando le braccia sul petto. Continuava a rivolgersi solo a Robert, come se si fosse scordato della presenza di Merlin o non lo ritenesse degno della sua attenzione “Perciò riferisci pure a quel servo che le sue cure non sono necessarie, la cavalla non vale nulla e sarà abbattuta”.
A quelle parole, Merlin sgranò gli occhi inorridito e strinse inconsapevolmente l'ignara Isil a sé, il fiato caldo della puledra lo tranquillizzò del fatto che stesse ancora bene. Per ora.
“Forse potreste lasciarla a Merlin, mio signore” suggerì Robert con un filo di voce, tenendo il capo chino “Sarebbe un gesto molto nobile da parte vostra”.
Merlin si sentì grato allo stalliere, ma non aveva alcuna speranza che il cavaliere si mostrasse generoso. Non con un servo, ovviamente non con lui. Per qualche ragione sentiva che essere il servo di Arthur, lo aveva in qualche modo messo nella lista di nemici di Geraint.
Lo sguardo di quest'ultimo a quel suggerimento fu più loquace di mille parole “E che può farsene un servo di un cavallo, seppur debole come un asino?” chiese sembrando sinceramente meravigliato della richiesta. Come se l'idea di un servo a cavallo fosse per lui del tutto inconcepibile.
“Non ha nulla da invidiare a nessun altro cavallo e non ne sceglierei un altro per i miei viaggi” intervenne Merlin, incapace di controllarsi ancora. In verità , avrebbe voluto usare la sua magia per trasformarlo in un asino ragliante, visto che il paragone sembrava piacergli così tanto.
Geraint si voltò finalmente verso di lui, i suoi pallidi occhi verdi fissi nei suoi, sembrò stranamente colpito dal fatto che Merlin si trovasse lì, o forse dal fatto che avesse osato rispondergli a dovere, ma la soddisfazione del servo ebbe breve durata.
Il cavaliere si accarezzò la rada barba nera sul mento e sorrise, ma non era un sorriso cordiale, era crudele, pronto a ferire, e Merlin trasalì maledicendosi per la sua boccaccia.
“Forse hai ragione, ai tuoi occhi deve proprio sembrare un buon cavallo” gli disse fingendosi gentile. Merlin si morse la lingua per trattenere la risposta che gli era salita alle labbra a quell'ennesimo insulto “Ma devi capire che non posso semplicemente regalarti uno dei miei cavalli, sarebbe assurdo. Diciamo che posso vendertela... per cinquecento monete d'oro”.
Merlin inghiottì a fatica, cinquecento monete. Dove credeva che potesse trovarle?
“Non ho quella cifra” mormorò a stento, sentendosi furioso.
“Ma certo, ti darò un po' di tempo, ovviamente. Che ne dici di due settimane, mi sembra più che generoso, non diresti? Ovviamente, mi rincresce dirlo, se non riuscirai a comprarla dovrò farla uccidere, è il minimo visto il suo stato” continuò con aria di sincero rimpianto.
No, non è affatto generoso. E lo sapete benissimo, avrebbe voluto gridargli Merlin.
Era ovvio che non avesse alcuna intenzione di lasciargli Isil, probabilmente voleva ucciderla solo per ferirlo. Geraint era quel tipo di nobile in fondo, il tipo a cui piaceva mostrare ai servi che erano impotenti. Per questo aveva proposto quella cifra assurda, una cifra che nessun servo al mondo avrebbe mai potuto permettersi. Neppure il servo del re.
“Mio signore, con tutto il dovuto il rispetto, sarebbe una cifra enorme perfino per un nobile” provò a intromettersi Robert, la voce tremante. Merlin apprezzava il suo coraggio, ma sapeva che era inutile. Geraint si stava divertendo.
“Sono certo che Merlin si dimostrerà abbastanza astuto da trovare quanto gli serve, dopotutto è il servo del re” disse con una nota di sarcasmo nella voce “Ma se non vuoi accettare non sei certo obbligato, posso prendere il cavallo anche adesso” finì con aria delusa, come se il pensiero di dover davvero far uccidere Isil lo ferisse. Merlin immaginò con soddisfazione di colpirlo.
“Va bene, accetto” sussurrò infine tra labbra secche, sentendosi già nel panico.
Non avrebbe mai trovato quella cifra, non nel poco tempo a disposizione, forse nemmeno in tutta la vita.
Chiederli ad Arthur era fuori questione, avrebbe dovuto spiegargli a cosa servivano e dubitava che il re gli avrebbe prestato tutto quel denaro per salvare un puledro malaticcio, Arthur non era esattamente il tipo che capiva l'affetto per un animale. Figuriamoci per un cavallo, gli avrebbe detto di farlo abbattere. Senza contare che i soldi venivano dal regno, dalle tasse, non poteva chiedergli un sacrificio simile solo perché era il suo amante. Era ingiusto verso gli altri. Lui non stava col re per averne un vantaggio e l'ultima cosa che desiderava, era che Arthur o altri lo credessero.
Restavano i cavalieri, ma anche loro non disponevano di cifre simili, e comunque, non sarebbe mai stato in grado di restituire tutto quel denaro.
Il muso di Isil si poggiò contro la sua spalla, come se volesse confortarlo, Merlin chiuse per un istante gli occhi e sospirò. Non importava davvero come, ma non avrebbe lasciato che la uccidesse.
“Perfetto allora, ci vediamo tra due settimane” rispose soddisfatto il cavaliere.
Merlin lo guardò allontanarsi con Robert, il cuore una furia nel petto.
Non sapeva cosa fare e, stavolta, neppure tutta la magia del mondo avrebbe potuto aiutarlo.

“Merlin, da quando lavori per sir Bedivere?”
Arthur lo fissava accigliato, seduto ai piedi del letto. Indossava solo i pantaloni, dato che era tarda sera, e teneva la bocca imbronciava come faceva sempre quando si reputava offeso in qualche modo. Inutile dire che, il più delle volte, era l'espressione dedicata al suo servo.
Quest'ultimo sospirò finendo di accatastare i piatti della cena in un angolo del tavolo, avrebbero dovuto attendere lì fino al mattino, non aveva la forza necessaria per portarli fino alla cucina.
L'ultima settimana non era stata delle migliori per il povero mago, cosa testimoniata dai profondi cerchi intorno agli occhi e dall'aria stanca e pallida che sembrava trascinarsi dietro ovunque andasse.
Per quanto lavoro facesse, però, i soldi non erano mai sufficienti, era una corsa disperata contro il tempo. L'unica cosa che lo obbligava a continuare a tentare era Isil, che ignara di tutto, continuava a crescere sotto le sue cure, a rizzare le piccole orecchie nere sentendolo arrivare, a nitrire come fosse contenta di vederlo, a strofinare il muso contro il palmo della sua mano in segno di saluto.
Così aiutava i cavalieri con armature e spade, i nobili con qualsiasi lavoro servisse loro, gli abitanti del villaggio con piccole commissioni. La povera gente per lo più pagava in cibo, e sebbene molto di quello che otteneva poteva rivenderlo al mercato, a volte preferiva portarlo a Gaius, per offrirgli un buon pasto. Non era così semplice mangiare bene per i servi di Camelot.
Tra nobili e cavalieri, qualcosa era riuscito a guadagnare, ma non abbastanza. Considerando anche quello che aveva messo da parte lavorando per Arthur negli ultimi anni, arrivava a malapena a cento monete.
Il fallimento sembrava sempre più inevitabile e, sebbene Merlin fosse generalmente ottimista, le ultime notti erano state un incubo di morte e grida spaventose.
Perfino lui iniziava a sentirsi disperato.
“Ho bisogno di un po' d'oro, tutto qui” rispose senza alzare lo sguardo dal tavolo che ormai fingeva solamente di ripulire.
Era ovvio che Arthur si fosse accorto di qualcosa, dalla nascita di Isil il servo era sempre occupato, sempre in giro per il castello.
“Per fare cosa? Spenderli alla taverna?” ribatté ovviamente seccato il re.
Non gli piaceva quando Merlin lo ignorava o ignorava i suoi doveri “Merlin” il servo si voltò a guardarlo sospirando mentalmente, a volte il re era peggio di un bambino.
Arthur gli fece cenno di andare a sedersi al suo fianco, il letto sembrava molto invitante in quel momento, perciò Merlin non se lo fece ripetere due volte.
“Si tratta di un puledro” gli spiegò una volta seduto “La cavalla di sir Geraint ha rifiutato il cucciolo, Robert diceva che sarebbe morta, così me ne prendo cura io finché non sarà in grado di mangiare da sola”.
Arthur lo ascoltò in silenzio, il viso vagamente confuso “Che c'entri tu?” chiese sfiorandogli il fianco con la punta delle dita, Merlin rabbrividì al tocco leggero e si avvicinò di più alla sua mano “Nessun altro voleva farlo, nessuno voleva darle una possibilità, così io-” si fermò incerto “Volevo aiutarla” mormorò infine.
La bocca di Arthur scese ad accarezzargli il lobo dell'orecchio, il suo respiro caldo lo fece di nuovo rabbrividire. Il profumo della lavanda, che gli aveva messo nell'acqua del bagno per farlo rilassare, sembrava intossicante adesso che gli stava così vicino.
“Ah” mormorò contro la sua spalla, una mano sul suo ginocchio, l'altra intenta a sciogliere il nodo del fazzoletto rosso che teneva sempre legato intorno al collo “E da quando sai prenderti cura di un puledro?” gli chiese in tono un po' troppo incredulo.
Se non avesse avuto la lingua del re premuta proprio in quel punto dietro all'orecchio, capace di farlo impazzire, probabilmente Merlin si sarebbe sentito insultato da quelle parole. Viste le sue condizioni, invece, si limitò a soffocare un gemito “Le do da mangiare, la spazzolo, so come occuparmi di un cavallo”.
“Crescerà debole senza la madre” mormorò Arthur sfilandogli la tunica dal capo, Merlin si sentì irritato dalle sue parole. Tutti sembravano sottovalutare Isil, tutti la trattavano con sufficienza solo perché la madre l'aveva rifiutata. Nessuno voleva metterla alla prova, capire se poteva farcela o meno.
“Sarà viva” rispose secco, ma le labbra di Arthur sulla sua spalla scelsero quel momento per morderlo, Merlin gemette dimenticando il fastidio di poco prima e chiuse gli occhi.
Arthur sorrise contro la sua pelle, le sue mani lo spinsero sul letto, sulle soffici coperte profumate che aveva cambiato solo quella mattina.
“Non ti stavo rimproverando, Merlin. Puoi occuparti di tutti i pargoli del regno per quanto mi riguarda, basta che non trascuri i tuoi doveri” soffiò contro le sue labbra.
“E quali doveri sentite che starei trascurando, sire?” chiese Merlin tra un sospiro e l'altro.
“Non saprei” mormorò il re contro il suo petto “Affilare la mia spada, lucidare la mia armatura” scese lungo lo stomaco, mordendo e baciando ogni centimetro di pelle “E non dimentichiamo il più importante...” posò un bacio sul suo ventre, mordendolo per poi passare la lingua sullo stesso punto, Merlin gemette e afferrò le coperte con forza “E... quale sarebbe?” chiese quasi balbettando.
Arthur rise e scese ancora, oltre i fianchi pallidi e magri del suo amante.
Merlin li alzò d'istinto gemendo il nome del re, Arthur lo tenne fermo gemendo soddisfatto “Riscaldare il mio letto” gli sibilò contro la pelle sensibile, prima di fargli scordare ogni altra cosa.

Le due settimane passarono troppo in fretta.
Merlin guardò quasi con le lacrime agli occhi la borsa che avrebbe dovuto consegnare a sir Geraint, inutile dire che non conteneva neppure la metà della somma che gli aveva chiesto. Duecentododici monete d'oro, era tutto ciò che era riuscito a racimolare e, per quante volte le contasse, il numero restava sempre quello.
Troppo poco per salvare Isil.
Fu con un nodo nello stomaco che quella sera entrò nelle stalle.
Ormai non c'era più bisogno di allattare la puledra, secondo Robert era un buon segno che avesse già iniziato ad accettare cibo solido, stava diventando più forte e questo avrebbe diminuito il rischio che si ammalasse.
Qualcosa gli diceva che nemmeno quell'informazione avrebbe fatto cambiare idea al cavaliere, Merlin sapeva che non voleva liberarsi di Isil perché era debole, ma solo perché poteva. E perché così avrebbe ferito lui.
Si passò il palmo della mano sugli occhi umidi, non poteva farsi prendere dallo sconforto ora. Doveva trovare il modo per salvarla. Anche se non aveva il denaro doveva esserci una soluzione, forse poteva portarla fuori da Camelot, nasconderla nella foresta per un paio di giorni e regalarla a qualche viaggiatore.
Gli si spezzava il cuore all'idea di non poterla tenere con sé, di non vederla più, ma era meglio saperla lontana e al sicuro, che vederla morta.
Il suo vago piano di salvataggio, però, fallì sul nascere.
Sir Geraint lo attendeva davanti alla stalla di Isil, le braccia conserte e la solita espressione arrogante stampata sul viso.
Era vestito in modo semplice, solo tunica e pantaloni, niente mantello né spada, era strano per lui, che non se ne separava mai.
Al contrario gli stivali erano lucidi e impeccabili, le dita ricche di anelli “Ti stavo aspettando” gli disse non appena lo vide entrare. Le sottili labbra distese in un sorriso minaccioso.
Con la coda dell'occhio, Merlin vide Robert muoversi nella stalla affianco, sembrava stranamente silenzioso, ma probabilmente l'ultima volta era stato rimproverato dal cavaliere per la sua condotta. L'ira di Geraint non doveva essere una cosa piacevole.
“Cosa ci fate qui, mio signore?” chiese gettando un'occhiata preoccupata verso Isil, vederla lo fece sentire sollevato. Per un attimo aveva temuto che Geraint l'avesse già fatta portare via.
Come ogni volta che entrava lì, le piccole orecchie del cavallo si rizzarono sulla testa, Isil alzò il capo verso di lui e nitrì contenta, stavolta nemmeno quel suono riuscì a farlo sorridere.
Il cavaliere scosse le spalle, lasciando cadere le braccia lungo i fianchi “Ho deciso di rendere tutto più semplice venendo qui, hai trovato i soldi, vero?”
Sentendosi soffocare da paura e incertezza, rimpiangendo di non aver chiesto aiuto al re o a un altro dei cavalieri, maledicendosi per quella sua assurda mania di dover risolvere tutto da solo, Merlin tese il sacchetto all'uomo.
Geraint lo guardò con aria confusa “Dovrei contarle? Sembra un po' leggero”.
“Sono solo duecento monete, il resto non l'ho trovato” mormorò Merlin, la voce tremante “Ma se avessi più tempo-”
Geraint sospirò, come se tutto il peso del mondo fosse sulle sue spalle “Avevamo un accordo, non l'hai rispettato”.
“Vi prego” supplicò Merlin “Vi darò di più” provò a convincerlo, sperando che la sua avidità superasse la sua cattiveria. Non fu così fortunato.
“Pensi forse che abbia bisogno dei soldi di un servo?” gli chiese Geraint con disprezzo, quasi offeso dalle sue parole. Merlin indietreggiò chinando il capo. Non era sua intenzione farlo arrabbiare, doveva fingere di rispettarlo, di temerlo. Per Isil.
“Farò quello che volete, qualsiasi cosa” mormorò stringendo i pugni lungo i fianchi fin quasi a farsi male, mordendosi le guance per sotterrare il suo orgoglio.
Non aveva bisogno d'onore, non se si trattata di salvare qualcuno che amava. Avrebbe fatto qualsiasi cosa per Isil.
Geraint si mosse e Merlin chiuse gli occhi nel timore di vederlo andare via, distruggendo ogni speranza di salvare la puledra che lo fissava preoccupata dalla sua stalla.
Ruvide dita si posarono sulla sua guancia, il fiato caldo intriso di vino di Geraint gli sfiorò le labbra e Merlin, spaventato e disgustato da quel tocco sconosciuto e involuto, si ritrasse.
“E se volessi qualcosa di più prezioso di un paio di monete d'oro? Qualcosa che solo il re di Camelot, ha avuto il piacere di possedere? Mi concederesti anche questo, per il tuo prezioso cavallo?” il viscido sussurro sembrò rimbalzare tra le pareti di legno della stalla, Merlin trattenne il fiato, confuso e stupito, inorridito da quelle parole.
Non lo stupiva che sapesse di Arthur. A Camelot, non esistevano segreti, c'era sempre qualcuno che raccontava di aver sentito qualcosa, qualcuno che giurava di aver visto, anche le storie nate per lo stupido scherzo di qualcuno, a volte finivano col diventare verità. Non era stata una novità per nessuno che il principe e il servo avessero una relazione piuttosto particolare.
Non era stato neppure un vero scandalo, a dire di Arthur capitava molto spesso che i nobili intraprendessero relazioni simili, eliminava tutti i drammi di figli illegittimi, di cuori infranti e duelli.
No, non era che Geraint parlasse così apertamente di ciò che condivideva col re a scioccarlo, ma il fatto che osasse chiedergli di...
Nei due anni in cui era stato con Arthur come più di un semplice servo, nessuno aveva mai osato avvicinarsi a lui in quel modo.
Nessuno si permetteva di toccare ciò che apparteneva ad un reale in fondo, e Arthur non era certo noto per condividere le sue compagnie. O per condividere Merlin.
Lo aveva reso noto in più di un'occasione, perfino a Gwaine.
Se generalmente si sentiva quasi offeso dalla possessività del re nei suoi confronti, adesso Merlin non avrebbe desiderato altro che averlo lì con sé. Geraint non si sarebbe mai permesso simili parole di fronte al re.
Ma Arthur non era con lui e la verità era che Merlin non aveva scelta. Non poteva scappare, non poteva rifiutare e non poteva chiedere aiuto ad Arthur.
Le mani del cavaliere tornarono sul suo viso, carezzandogli gli zigomi, ma non era un tocco gentile, le mani di Geraint erano ruvide e pesanti, non risvegliavano la stessa eccitazione, lo stesso calore di quelle del re. Con quelle mani addosso, Merlin provava solo disgusto e paura.
“Il re non lo permetterà” mormorò flebile, sentendosi la testa vuota e confusa, non sapeva cosa fare, cosa dire, per tirarsi fuori da quella situazione.
“Il re non deve saperlo” gli bisbigliò contro le labbra “Pensaci bene Merlin, la lascerai morire così?” indicò col capo la piccola Isil, che sembrava aver avvertito la tensione nell'aria e li guardava entrambi con la testa inclinata.
Merlin inghiottì a fatica, il cuore in gola. Sarebbe morta. L'avrebbe davvero uccisa.
Ma come poteva acconsentire? Significava tradire Arthur, distruggere tutto ciò che erano.
Non avrebbe mai potuto tenergli nascosta una cosa simile. Non l'avrebbe mai perdonato per una cosa del genere. Non poteva farlo, pensò nel panico. Non poteva riuscirci.
L'orribile suono che Isil aveva emesso la notte della sua nascita, il pianto straziato con cui aveva cercato sua madre, tornò a tormentarlo. Merlin scosse il capo, non c'era scelta. Non aveva via di fuga. Non questa volta.
Lentamente, combattendo la nausea che minacciava di sopraffarlo, il mago annuì e le labbra di Geraint si posarono avide sulle sue, l'improvviso disgusto lo fece quasi vomitare.
Con la gola bruciata dalla bile e il cuore nello stomaco, Merlin voltò il capo “Niente baci” mormorò mordendosi le labbra, trattenendosi a stento da ripulirle con il dorso della mano “Niente baci” ripeté con voce roca, sull'orlo delle lacrime, rifiutandosi di guardare il viso trionfante del suo aguzzino.
Geraint ridacchiò facendo scivolare le mani lungo i suoi fianchi “Come desideri, in fondo non è a questo che mi serve la tua bocca” il cavaliere sorrise, le sue mani si strinsero sulle sue spalle, Merlin   sgranò gli occhi e scosse lievemente la testa.
La pressione sulle sue spalle aumentò fino a farlo gemere per il dolore.
“Avanti, non fingere di non esserci abituato, scommetto che davanti al nostro re, non fai tutte queste storie”.
“Io non ho mai...” mormorò Merlin nel panico, capiva cosa il cavaliere gli stesse chiedendo, ma si sbagliava se pensava che Arthur gli avesse mai ordinato una cosa simile.
Certo, Merlin ci aveva pensato, più di una volta negli ultimi tempi, ma era sempre stato troppo imbarazzato per farlo davvero, e il re non aveva mai chiesto nulla.
D'altronde, quando erano finiti insieme, poco meno di due anni prima, Merlin era ancora vergine.
Era stato difficile e imbarazzante lasciarsi andare con un'altra persona, sentirsi così vulnerabile, provare tutte quelle emozioni insieme. Arthur non lo aveva mai forzato, non gli aveva mai chiesto più di quanto volesse o potesse concedere.
In confronto, anche il tocco più lieve di Geraint, sembrava una tortura.
“Non fare l'innocente ora, o la tua cavalla non vale più niente?”
“Per favore”.
“Hai detto niente baci, ti ho accontentato. Sono stato fin troppo generoso con te, o ti metti in ginocchio o lei è morta. Scegli in fretta, servo”.
Tremando spaventato e disgustato, Merlin fece come gli aveva ordinato.
Il pavimento non gli era mai sembrato più duro e scomodo, con un nodo in gola allungò le mani verso i pantaloni del cavaliere.
Le mani di Geraint si strinsero attorno alla sua testa “Bravo” mormorò soddisfatto e Merlin, di nuovo, fu sul punto di vomitare.
“Sir Geraint, sei pregato di allontanarti dal mio servo, subito”.
La voce di Arthur tagliò l'aria come un fendente, le mani attorno alla sua testa sembrarono gelare e Merlin cadde all'indietro, voltandosi terrorizzato verso il re.
Come temeva, il viso di Arthur non prometteva nulla di buono.
 “Sire” disse Geraint, ma si bloccò, incapace di trovare una scusa convincente.
Non era importante, il re non lo degnò neppure di uno sguardo, i suoi occhi ridotti a fessure furenti erano fissi sul suo servo. Incapace di sostenerne lo sguardo, Merlin chinò il capo.
“Alzati” gli ordinò secco, il corpo fremente dall'ira, le mani strette a pugni lungo i fianchi.
Merlin cercò di ubbidire, sentendosi umiliato e impaurito, le ginocchia gli tremavano e aveva solo una gran voglia di piangere, ma sapeva che le sue lacrime avrebbero solo fatto arrabbiare Arthur ancora di più, per questo le trattenne con tutte le sue forze.
“Con tutto il rispetto, sire. C'è qualche problema?” Geraint parlò in tono sereno, confuso, come se davvero non riuscisse a spiegarsi cosa stesse accadendo.
Arthur gli rispose con voce ferma, quasi indifferente, ma gli occhi, che rimasero tutto il tempo fissi su Merlin, raccontavano una storia ben diversa “Sì, c'è. Merlin è il mio servo, come credo non ti sia sfuggito, e come tale non è libero di fraternizzare con i miei cavalieri. Non senza il mio consenso” aggiunse infine in un sibilo.
Merlin si sentì avvampare, sapeva che non lo pensava davvero, che non l'avrebbe mai condiviso con altri, ma solo che lo avesse detto lo feriva. Non che non lo meritasse.
“Oh, vi assicuro che non era mia intenz-”
“Se ti avvicinerai di nuovo a lui, Geraint, verrai bandito” lo interruppe il re “Adesso puoi andartene” gli ordinò secco, perfino il cavaliere dovette capire che era al limite della pazienza, perché se ne andò senza dire nulla.
Rimasti soli, Merlin attese che Arthur si sfogasse, incapace di trovare una sola parola che potesse risolvere le cose.
“Allora?” sibilò il re, dopo pochi attimi di silenzio.
In tutta risposta, Merlin chinò ancora di più il capo, forse sperando che il pavimento della stalla lo inghiottisse, o di svegliarsi nel suo letto per accorgersi che le ultime settimane erano state solo un brutto incubo.
“Non hai nulla da dirmi? Nessuna strana spiegazione?”
Il servo si morse le labbra, rifiutandosi di alzare lo sguardo. Gli occhi di nuovo colmi di lacrime.
“Rispondimi!” gridò Arthur “O all'improvviso hai perso la voce?”
Merlin indietreggiò “Mi dispiace” sussurrò incapace di dire altro.
Che cosa c'era da dire, in fondo? Non c'era modo di cancellare ciò che aveva fatto.
Arthur rise, ma non era il suono caldo e confortante della sua risata. Era amaro, secco, deluso.
Merlin si odiò per aver provocato quel suono nel suo re, proprio lui, che era destinato a proteggerlo.
“Tutto qui? Ti dispiace?” lo imitò con sarcasmo, in un sibilo velenoso che sembrava così estraneo all'Arthur di sempre “Per l'amor del cielo, almeno guardami in faccia” gli ordinò furioso “In tutti questi anni non sei mai stato rispettoso come adesso”.
“Io...” la voce gli si spezzò in gola con un tremito, Merlin prese fiato e alzò il capo, gli occhi di Arthur erano ancora furenti e feriti, le braccia strette sul petto “La puledra” bisbigliò schiarendosi la voce “La puledra di cui ti avevo parlato, è di sir Geraint, lui...voleva ucciderla” gli spiegò gettando un'occhiata ad Isil, che per tutto il tempo era rimasta a fissarli, e che adesso scuoteva il capo nella stalla, innervosita dalle grida.
“Lo so” lo interruppe Arthur, Merlin lo guardò stupito.
“Come credi che ti abbia trovato? Robert è venuto a cercarmi per dirmi cosa stava succedendo. Quello che voglio sapere è come hai potuto fare una cosa tanto stupida?”
“Volevo solo salvarla, io...”
“Tradendomi? Era questo il tuo piano?” spalancò le braccia, come incapace di restare fermo.
“No, io non volevo, ma lui-”
“O è una scusa? Ti sei stufato di me e non sapevi come dirmelo? Volevi provare qualcosa di nuovo?” gli disse con ovvio disprezzo, Merlin si sentì come se lo avesse colpito.
“No! Arthur, cerca di capire, io non sapevo cosa fare, non ho riflettuto. Ero spaventato”.
“No, Merlin” gli disse il re fissandolo con rammarico “Hai semplicemente deciso che uno stupido cavallo valesse più di me, più di noi. Per te la scelta è stata molto facile.”
Merlin scosse il capo, non era vero, come poteva pensare una cosa simile?
Arthur doveva capire, Isil era speciale, era unica, avrebbe fatto di tutto per salvarla, ma questo non significava che il re fosse meno importante.
“Non è vero, tu lo sai. Sai benissimo che ti amo, più di ogni cosa” mormorò con voce roca.
Il re non rispose, lo fissò a lungo, la rabbia sostituita da qualcosa di ben peggiore: dolore.
Una ferita immensa che Merlin non sapeva come curare.
“Da oggi in poi ti limiterai a eseguire i tuoi doveri, terrai la testa bassa, parlerai solo quando devi e ti rivolgerai a me col rispetto che merito”gli disse infine, con voce piatta e monotona, come se non gli ordinasse nulla di diverso dal portargli la colazione o il pranzo. Come se non stesse distruggendo gli ultimi due anni della loro vita.
“Arthur, ti prego...” mormorò cercando ancora una volta di farlo ragionare, di fargli capire.
“E' sire o vostra maestà, resterai al tuo posto da ora in avanti. Ricordati che sei solo un servo” sputò infine velenoso e Merlin non poté fare a meno di arrendersi, conscio che, almeno per quella notte, il re non avrebbe ragionato. E forse non l'avrebbe mai fatto.
Non poteva lamentarsi, era solo colpa sua. Era davvero un'idiota.
“Resta qui” gli ordinò Arthur prima di uscire dalle stalle. Il mago attese in ansia, la nausea era tornata a farsi sentire e la testa gli doleva.
Andò verso Isil per accarezzarle il muso “Va tutto bene” le disse, ma gli occhi del cavallo continuavano a fissarlo impauriti.
“E' quella, portatela via” la voce del re lo fece sobbalzare, non si era accorto del suo ritorno.
Stavolta non era da solo, con lui c'erano due stallieri. Alle sue parole entrambi si fecero avanti, uno teneva una lunga corda tra le mani, Merlin inghiottì spaventato “Ar- sire?” provò a chiedere confuso, ma il re non lo guardò neppure “Cosa succede?” provò di nuovo con voce tremante, mentre gli stallieri legavano la corda attorno al collo di Isil e la trascinavano fuori dalla stalla.
Nessuno gli rispose e Merlin non sapeva cosa fare “Arthur, ti prego”.
Lo sguardo furente del re lo zittì subito “Ti ho forse autorizzato a parlare?” gli chiese in un sibilo “La prossima volta finirai in prigione per la notte, ricordati il tuo posto”.
Spaventato, arrabbiato, il servo esplose “Sei il solito arrogante bastardo, come osi-”
Gli occhi di Arthur, se possibile, si fecero ancora più sprezzanti “Fuori dalla mia vista” sibilò.
Il seguito fu così confuso e veloce, che quando l'incredulo e impaurito Merlin sentì la porta della cella chiudersi alle sue spalle, non ricordava neppure come c'era finito.

Tre giorni.
Tre giorni chiuso in prigione. Senza notizie, senza visite, senza una parola di conforto da nessuno.
Solo e infreddolito. Non c'era punizione peggiore per lui.
In fondo Arthur lo conosceva bene.
Merlin aveva finito le lacrime, era troppo stanco ed affamato perfino per quelle.
Non sapeva per quanto tempo Arthur lo avrebbe punito, non sapeva nemmeno se quella sarebbe stata la sua pena o solo l'inizio. Poteva decidere di esiliarlo, o trattarlo come un nemico per tutta la vita, solo per ferirlo.
A questo punto dubitava che lo attendesse qualcosa di diverso da un autentico inferno in terra. Arthur non l'avrebbe mai perdonato.
E onestamente Merlin non sapeva se avrebbe mai perdonato ciò che il re aveva fatto a Isil.
Ucciderla per il suo errore, per il suo tradimento, era stato meschino. Ma per quanto cercasse di convincersi che non era possibile, che Arthur non avrebbe mai fatto una cosa simile, quella era l'unica spiegazione possibile. Perché, altrimenti, l'avrebbe fatta portare via? Perché non dirgli cosa ne aveva fatto?
Una guardia comparve davanti alle sbarre “Sei libero” gli disse con aria annoiata, le chiavi arrugginite girarono nella serratura, ma anche fuori dalla sua cella, Merlin non si sentì meglio.
Non sapeva se era ancora il servo di Arthur o se era stato licenziato, il buon senso gli diceva che il re non l'avrebbe voluto vedere, ma mentre scendeva verso le stanze di Gaius, una guardia lo fermò ordinandogli di prendere il pranzo del re dalla cucina e portarglielo.
Merlin non sapeva cosa provare.
In parte terrore per cosa avrebbe trovato, in parte speranza di poter riaggiustare le cose, ma ciò che lo aspettava era ben peggiore di qualunque aspettativa.
Una donna dai folti riccioli rossi fuoco e la pelle bianca come la neve era seduta a cavalcioni sul re. Non poteva avere più di vent'anni e,quei pochi vestiti, che aveva ancora indosso, erano ovviamente costosi, Una nobile allora, pensò con un nodo allo stomaco.
Il vassoio che teneva tra le mani tremò vistosamente, Merlin lo posò sul tavolo, cercando di non guardare lo spettacolo che il re aveva organizzato per lui sulla sedia al lato opposto.
“Ah, il pranzo” arrivò la voce di Arthur, una delle sue mani si tese verso il piatto rubando un acino d'uva, Merlin fece l'errore di guardare verso di lui.
Il re tese l'acino verso la bocca tinta di rosso della donna, che lo morse senza pudore, gemendo di piacere.
Il servo indietreggiò inorridito, un dolore sordo all'altezza del petto.
Andò a sbattere contro l'armadio sulla parete opposta, il vaso sopra di esso traballò e cadde al suolo finendo in frantumi.
Il rumore distrasse i due dal loro gioco, gli occhi del re si posarono indifferenti su Merlin, come se essere scoperto in quelle condizioni non gli importasse affatto.
Probabilmente era proprio così.
“Devi scusare il mio servo, Caroline, è terribilmente goffo” disse con voce arrogante.
Caroline ridacchiò e lo baciò sul collo “Dovevi avvertirmi che era entrato, non me n'ero accorta”.
“Oh tranquilla, Merlin sa essere discreto. Pulisci il pavimento” gli ordinò fissandolo dritto negli occhi, come sfidandolo a disubbidire.
Anche volendo, Merlin non aveva più la forza per farlo.
Senza dire nulla si chinò e usò il fazzoletto che teneva al collo per asciugare l'acqua dei fiori sparsi a terra.
Il vaso era un suo regalo, l'aveva dipinto pochi mesi prima per una festa di cui non ricordava neppure più il nome.
Era stato così soddisfatto quando l'aveva finito, e adesso era in frantumi.
Come tutto il resto.
Sentendosi vuoto e improvvisamente troppo stanco, Merlin raccolse le schegge una ad una, incurante degli occhi di Arthur, incurante delle risatine della donna e del sangue che colava dai graffi che i frammenti del vaso gli procuravano alle mani.
Una volta finito, si inchinò brevemente e scappò dalla stanza.
Il suo sguardo non incrociò più quello del re, perché ormai non aveva più senso.

Si ritrovò sulla torre, lontano da tutto e da tutti, seduto sul davanzale della finestra, le gambe a penzoloni nel vuoto.
L'aria fredda e pungente dell'autunno gli pizzicava le guance bagnate, lì in cima il vento era molto più forte, capace di soffocare ogni suono. Anche quello dei suoi singhiozzi.
Il sole stava tramontando, quando dei passi risuonarono alle sue spalle. Merlin rimase immobile sperando, che chiunque fosse, decidesse di lasciarlo solo.
“E' difficile trovarti, quando ti nascondi”.
La voce di Arthur lo fece sobbalzare, Merlin strinse i pugni sulle ginocchia e si morse le labbra.
Era lì per sbattergli in faccia la sua nuova conquista? O aveva in mente qualche altro metodo per ferirlo? In tre giorni doveva averne pianificati molti.
“Non ti avevo congedato”.
Merlin non rispose, non si voltò. Non voleva parlare con lui. Non voleva nemmeno vederlo.
Non in quel momento. Forse mai più.
Il re sospirò “Non è successo niente, con lei” gli disse.
“Non dovete giustificarvi, sire” rispose Merlin chiudendo gli occhi contro il vento. Non era vero, ma non gli avrebbe permesso di vedere la sua ferita solo per farsi deridere ed umiliare.
“E' la verità, non nego di averci pensato. Speravo che ripagandoti con la stessa moneta mi sarei sentito finalmente soddisfatto, meno arrabbiato” mormorò il re, la sua voce più vicina di prima.
Merlin non si voltò per vedere dove fosse “E ci siete riuscito?”
“No, direi di no” mormorò l'altro “Mi dispiace, Merlin” aggiunse dopo qualche attimo di riflessione, come se la parole gli avessero richiesto uno sforzo particolare “Ho lasciato che la rabbia mi accecasse e guarda come ci siamo ridotti. Sembriamo ridicoli”.
Le braccia del re scivolarono intorno alla sua vita trascinandolo contro di sé, lontano dalla finestra, tra la sicurezza delle mura di palazzo, Merlin non oppose resistenza. Per quanto non lo desiderasse, il solo contatto con l'altro lo faceva sentire al sicuro, tranquillo, ma Arthur aveva fatto qualcosa di irreparabile. Distrutto qualcosa che non sapeva se poteva essere ricostruito.
Finirono sul pavimento, la schiena premuta contro il petto del re “Per un attimo, quando ti ho visto, ho temuto che volessi buttarti di sotto”.
Merlin non colse la battuta, non aveva voglia di ridere e non sapeva come Arthur potesse fare finta di nulla.
“In fondo, sei una tale ragazzina” le braccia lo strinsero più forte “Sono perdonato, Merlin?” gli sussurrò contro l'orecchio. Il tono più serio, quasi pregante.
Merlin si sentì stringere il cuore, non voleva sentire quel tono di voce, non voleva che Arthur stesse male per lui, ma quando aprì la bocca per dirgli di sì, gli occhi lucidi di Isil tornarono a tormentarlo, costringendolo a rimanere in silenzio.
“Merlin?” Arthur si ritrasse obbligandolo a voltarsi “Se è per Caroline, ti giuro che sono sincero”.
“Non è per lei” scosse la testa il servo “E' per... come hai potuto farle questo? Arthur, come hai potuto? Io non posso...”
Il re lo fissò confuso, senza capire “Sapeva che era una farsa, l'ho pagata per questo e non sai quanto. Era solo per vendicarmi, Merlin. Non ci avrei fatto nulla, doveva solo fingersi nobile, tutto qui” cominciò a spiegare il re, il viso arrossato, le parole veloci, quasi pregandolo di capire, ma stavolta era Merlin a non capire “Arthur, di cosa parli?”
“Di Caroline, è una prostituta, lo sai vero? Non è davvero una nobile, non c'è rimasta male in nessun modo, sapeva già tutto. L'ho incontrata alla taverna, ero ubriaco, e lei...”
“Hai pagato una prostituta per farmi ingelosire?”
Arthur diventò paonazzo “Ero ubriaco” si giustificò con voce strozzata.
Merlin sorrise e scosse la testa, il re era proprio un'idiota “Non posso dire che la cosa mi renda felice, ma non è per questo che sono arrabbiato”.
“E per cosa, allora? La prigione?”
Quella fu l'ultima goccia, di fronte alla totale mancanza di sensibilità del re, il mago finalmente esplose “Per Isil, Arthur! Come puoi essere così stupido? Non te ne importa davvero niente? Io le volevo bene e tu lo sapevi!”
Il re lo guardò confuso, stupito dalla sua sfuriata “E' legata dietro alla casa di Elyan” mormorò in fretta.
“Cosa?”
“Volevo che credessi che l'avevo uccisa, così l'ho nascosta... ho già detto che sono stato piuttosto... avventato in questi giorni” mormorò imbronciandosi.
“Avventato? Arthur! Pensavo fosse morta! Tu asino...” il re lo baciò “Possiamo smetterla di litigare adesso?” gli chiese accarezzandogli il viso.
“E Geraint?” gli chiese timoroso il servo “Isil è ancora sua”.
“Non più” disse Arthur non senza una nota d'astio ”E ti sarei grato se non lo nominassi più in mia presenza”.
“Ma...”
“Sono il re, Merlin. Una cosa che sembri dimenticare troppo spesso. Se dico che un cavallo è mio, allora è mio” brontolò Arthur tornando a baciarlo.
“Oh”.
“Già, ovviamente non posso togliere un cavallo ad un nobile per darlo ad un servo, ma per ciò che conta, Isil è tua”.
“Diventerà un bellissimo cavallo” sorrise Merlin.
“Con una madre come te diventerà pigra e goffa, sarà la cavalla più ridicola che Camelot abbia mai visto”.
“Visto il modo in cui ti sei comportato negli ultimi giorni, direi che lo meriti più tu il ruolo della madre” ridacchiò Merlin.
“Che vorresti dire?”
“Hai avuto una reazione da isterica”.
Arthur lo fissò contrariato “Merlin?”
“Sire?”
“Sta zitto”.
“Lo dicevo che eravate isterica, mia signora” rise il servo.
“Bene, non ci resta che provare e vedere chi di noi sarà la madre, Merlin. In fondo ad Isil servirà un fratellino” sorrise malizioso il re, insidiando le mani sotto la sua tunica.
“Siamo nella torre, Arthur” si lamentò Merlin, quando si trovò sdraiato sul pavimento.
“E allora? Non ci viene mai nessuno”.
“Arthur” si lamentò il servo.
“Cosa c'è ancora?” sospirò esasperato il re.
“Ho le mani indolenzite” si lamentò il mago, accorgendosi solo allora delle fastidiose fitte che gli provenivano dalle dita, era come se fossero puntellate di aghi.
Preoccupato il re, guardò verso le dita dell'altro trovandole graffiate e insanguinate “Idiota!”
Merlin venne minacciato di finire in prigione per la sua deficienza almeno una ventina di volte lungo il tragitto verso le stanze del medico, ma almeno tutto sembrava tornato a posto.

end

*Isil è l'elfico per stella!O almeno così ho letto in un forum!