Note: Questa è una delle poche serie in cui tutto grida allo slash. È impossibile non pensare ad una possibile relazione amorosa tra Artù e Merlino ù.ù Stanno semplicemente da dio insieme. Anche perché guardando Gwen e Morgana… brrrrrr!!!!!! Questa fic è un piccolo esperimento per scoprire come me la cavo con questa coppia. È rivisitazione della puntata 1x04, il calice avvelenato, tutta dal punto di vista di Artù in cui finalmente si rende conto di quello che prova per Merlino. Spero che il risultato sia decente e che non abbia combinato chissà quali casini… ^^’’’
Ringraziamenti: Ringrazio chiunque leggerà e commenterà.
Ora vi lascio alla lettura, alla prossima gente.


L’impronta sul cuore


Artù socchiuse svogliatamente gli occhi, incrociando il solido soffitto di legno scuro del baldacchino. La stanza era immersa in un profondo silenzio, nessun rumore giungeva dall’esterno, come se tutto il castello fosse ancora immerso nel sonno. Lame di luce dorata filtravano dagli scuri accostati, rischiarando la penombra con un leggero lucore. Il principe richiuse gli occhi desiderando godere ancora di quel morbido torpore che lo aveva avviluppato quella mattina.
Erano giorni che non riusciva a dormire, e, se per caso il sonno arrivava a stringerlo fra le sue spire, sogni infuocati gli riempivano la mente, facendolo svegliare più stanco di quando si era coricato. Non poteva andare avanti così, si stava riducendo ad un relitto! La sua mente seguiva percorsi tutti suoi, che conducevano tutti ad un’unica conclusione, che presto lo avrebbe trascinato al punto di non ritorno.
E tutto per causa di quell’idiota che era piombato all’improvviso nella sua vita ingarbugliandola! Di quell’impiastro che suo padre gli aveva messo alle costole, che non ne faceva mai una giusta, che combinava continuamente disastri e si cacciava sempre nei guai.
Strinse i denti: non poteva nutrire simili desideri, era inconcepibile! Perché, cercava di convincersi, era di questo che si trattava: un mero desiderio sessuale che sarebbe scomparso appena soddisfatto! Era così, doveva essere così! E per quel genere di bisogni c’erano decine di cortigiane e serve pronte ad aiutarlo: una soluzione molto meno compromettente e rischiosa; non voleva nemmeno immaginare cosa avrebbe potuto scatenare suo padre se avesse saputo. Non poteva rischiare tutto per uno sfizio!
Non avevano alcun significato i minuti che scorrevano lenti e snervanti quando lo attendeva, il senso d’irritazione che lo ghermiva quando quell’idiota tardava, né la sottile euforia che gli riempiva il petto quando quegli occhi limpidi ed ingenui di un caldo color noce, misteriosi ed antichi, lo fissavano attenti, o quando quell’odore di erbe impregnava l’aria quando gli era vicino e lui faceva di tutto per ispirarne il più possibile…
Spalancò gli occhi, madido di sudore ed affannato, cercando di sfuggire a se stesso e di riportare la sua mente sulla giusta strada. A giudicare dall’intensità della luce al di la degli scuri, il sole doveva essere alto nel cielo ed il suo servo sarebbe arrivato presto per ricevere gli ordini della giornata. Un crampo di desiderio gli contorse le viscere al pensiero di quanto sarebbero stati vicini di li a poco. Batté più volte la nuca contro il cuscino come per punirsi di quei pensieri inopportuni.
Continuava a ripetersi che non poteva, ma il suo corpo urlava indignato reclamando quanto gli spettava!
- Ma come, siete ancora a letto?- la voce dolorosamente familiare di Merlino lo sorprese nel mezzo dei suoi pensieri.
Preso alla sprovvista Artù sussultò. Spostò velocemente la testa alla ricerca del suo servitore, trovando la sua figura snella e fragile in piedi davanti il tavolo. Nella penombra poteva intuirne solo le linee essenziali, ma era lo stesso invitante.
- Mi sono appena svegliato.- spiegò distrattamente, troppo preso ad osservare ogni suo movimento.
- Vedete di muovervi allora: il re ha richiesto la vostra presenza ed io non ho alcuna intenzione di finire sulla gogna per voi!- e storse la bocca in una smorfia al pensiero di tutta quella gente che si divertiva a tirargli verdura marcia.
- Sei sfinente, Merlino!- sbottò calciando via le lenzuola.
Intanto il mago si spostò verso la finestra e spalancò gli scuri, lasciando che una doccia di luce dorata illuminasse la stanza. Artù mugugnò infastidito, gli occhi feriti dalla luce improvvisa. Quando ritornò a vedere ogni insulto verso il suo servitore gli morì in gola. Merlino era ancora in piedi, di spalle alla finestra, le ombre giocavano con il suo fisico disegnandolo spietatamente, mentre la luce colpiva la sua pelle lattea rivestendola di una miriade di riflessi cangianti. Sembrava un’eterea creatura fantastica in quel momento. Ogni pensiero svaporò dalla mente del principe, che poté solo stringere forte le lenzuola tra i pugni per evitare di assalirlo.
- Per quale motivo mio padre mi ha cercato?- gli chiese per distrarsi.
Merlino, che aveva appena preso gli abiti del principe dall’armadio, si girò di scatto per fissarlo perplesso, quindi sollevò gli occhi al cielo sconsolato.
- Oggi arriverà a palazzo re Bayard con il suo seguito per rinnovare il trattato di pace, non ditemi che lo avevate dimenticato?- esclamò chiudendo le ante.
- No che non lo avevo dimenticato. Come ti viene in mente?- sbottò Artù indignato, alzandosi dal letto ed avvicinandosi a lui.
- Parlando con un asino non si sa mai…- ghignò il mago perfidamente divertito.
Artù incrociò le braccia al petto e si godette appieno quell’espressione che adorava, prima di lasciare che un sorriso cattivo gli schiudesse le labbra.
- Merlino oggi riparerai tutte le mie selle, rinforzerai tutti i miei scudi ed affilerai tutte le mie spade nell’armeria!- voleva proprio vedere se dopo avesse avuto ancora voglia di prenderlo in giro.
- Tu… tutte?- chiese Merlino improvvisamente spaventato.
- Tutte!- confermò il biondo con un sorriso spietato.
Il mago deglutì a vuoto: il giovane Pendragon possedeva il più grosso assortimento di selle di tutto il regno, non era umanamente possibile contare i suoi scudi e le sue armi! Nemmeno con tutta la sua magia sarebbe riuscito a fare quanto gli aveva ordinato! Gli ci sarebbero voluti giorni…
Sogghignando per l’appagante reazione del suo servo, Artù gli fece segno di seguirlo dietro il paravento per aiutarlo a vestirsi. Aveva scoperto che quello era uno dei momenti più piacevoli di tutta la giornata, un momento perfetto, di assoluta calma e serenità, in cui le parole non servivano, si sentiva rinchiuso in morbida bolla che lo isolava dal resto del mondo, e poteva prendersi tutto il tempo che voleva per osservare quella buffa espressione concentrata che ogni volta si disegnava sul volto di Merlino.
Il mago gli scoccò un’occhiataccia che lo fece ridacchiare ancora di più, mentre si avvicinava per adempiere ai suoi doveri di servitore.
In piedi dietro il paravento, Merlino iniziò a slacciare la camicia del principe, mentre sfilava i lacci le sue dita scivolavano sulla pelle dell’altro. Ognuno di quei tocchi rapidi e leggeri aveva il potere di strappare il fiato dai polmoni del biondo e di arroventargli la pelle. Era così vicino che sarebbe bastato un lieve movimento del capo per poterlo baciare e scoprire se quelle labbra erano davvero dolci come sembrava. Artù socchiuse gli occhi mentre sentiva il sangue iniziare a ruggirgli nelle vene. Era stato con molte donne, ma mai nessuna aveva avuto un simile potere su di lui e sui suoi sensi. A quel ragazzo bastava sfiorarlo per fargli sciogliere il cervello, non osava immaginare cosa avrebbe provato nello stringersi a lui pelle contro pelle, di sentire le sue mani scorrergli sul corpo. Un gemito frustrato gli vibrò in gola, scuotendolo quel tanto che bastava per farlo ritornare cosciente e fargli riaprire gli occhi. Merlino sembrava non essersi accorto di nulla, si era allontanato per prendere la giacca dal tavolo; ora gli era alle spalle e lo stava aiutando ad infilarla. Quando il mago si sporse su di lui per sistemargli la stoffa sulle spalle, Artù venne investito da quell’odore di erbe che caratterizzava il suo servitore, quel giorno molto più prepotente del solito; schiuse le labbra inspirando a fondo, riempiendosene i polmoni, immaginando di assaporarlo direttamente dalla pelle di Merlino nudo sotto di sé, sconvolto dal piacere.
Artù si allontanò velocemente, cercando di mettere quanta più distanza possibile tra loro: il desiderio che provava per quel ragazzo stava diventando sempre più incontrollabile, come un veleno dolce e letale che lo stava intossicando lentamente, e che presto lo avrebbe portato a commettere qualche sciocchezza di cui si sarebbe pentito amaramente. Non sarebbe mai riuscito a sopportare la consapevolezza di avergli fatto del male…
Prese dall’armadio un involto rosso e lo lanciò contro Merlino, colpendolo in piena faccia. Aveva bisogno di ritornare ai loro ruoli, di recitare la parte del principe arrogante che tormentava per divertimento il suo valletto. Era l’unico modo per restare in sé.
Il giovane mago allontanò immediatamente da sé il fagotto per poi fissarlo con espressione disgustata.
- Ma che roba è? Puzza terribilmente!- protestò storcendo il naso.
- È la tunica per il ricevimento di stasera: devi lavarla!- gli ordinò con un sorriso sadico.
Merlino sollevò la stoffa tenendola tra indice e pollice, assolutamente contrariato all’idea di doverla pulire.
- Da quant’è che non vede un po’ d’acqua e sapone?- .
- Credo che non sia più stata lavata dal ricevimento dell’anno scorso.- rispose il biondo principe con una semplice scrollata di spalle.
Con un sospiro sconfitto Merlino infilò la tunica nella cesta degli altri indumenti da lavare: sarebbe stata una lunga, lunga giornata quella!
- Ah Merlino?- lo richiamò Artù quando era quasi arrivato alla porta.
Quando lo chiamava in quel modo ingenuo ed amichevole significavano solo altri guai per lui. Enormi guai, ponderò indietreggiando inconsciamente quando vide lo scintillio divertito in quegli occhi blu.
- In quanto mio servitore dovrai presenziare anche tu al banchetto di stasera. – il principe fece scorrere uno sguardo veloce sui suoi vestiti – E dovrai indossare la divisa ufficiale dei valletti di corte!- lo informò.
Questa non sembrava una notizia così brutta…
Curioso osservò Artù sporgersi dietro il paravento per poi tirare fuori altri abiti rossi che gli mostrò con un sorriso ammiccante. Il sorriso scomparve dal volto di Merlino, sostituito da un’espressione terrorizzata. Chissà se il drago avesse preso male l’assassinio di Artù per mano sua…
- State scherzando?- chiese con voce tremula ed allarmata.
- Starai benissimo!- esclamò convinto il principe distruggendo le sue speranze.
Indignato Merlino strappò la tunica dalle mani del principe e la nascose tra le altre, per poi uscire dalla stanza borbottando e sbattendo la porta.
Una volta solo nella stanza, Artù non riuscì più a trattenersi ed esplose in una fragorosa risata, un suono che echeggiò nella stanza vuota come il tintinnio di campanellino d’argento. Quel ragazzo era un vero spasso! Era così ingenuo che sarebbe caduto in qualsiasi inganno gli avrebbe teso; era pronto a scommettere qualsiasi cosa che quella sera si sarebbe presentato conciato in quel modo! Ed immaginandolo un nuovo scroscio di risate lo scosse. Si lasciò cadere di peso sulla sua sedia ricoperta di pellicce e poggiò la testa sullo schienale, i morbidi peli gli solleticarono la pelle. Merlino era l’unico in tutto il regno ad avere il potere di farlo ridere in quel modo sereno, per la prima volta in tutta la sua vita grazie a quel ragazzo aveva scoperto cosa volesse dire ridere con il cuore. Merlino era divertente nella sua ingenuità e goffaggine, eppure era anche stato il primo a guardarlo negli occhi ed a sfidarlo. Non si era mai piegato né a lui né al suo titolo, l’aveva sempre trattato da pari, l’aveva sfidato ben sapendo di essere in svantaggio e chissà come era anche quasi riuscito a batterlo. Quella volta non aveva provato umiliazione. Non sapeva perché ma si era sentito quasi soddisfatto che quelle del ragazzo non fossero solo vane parole. Ogni volta che lo guardava negli occhi provava la sensazione che lui fosse molto più forte di quanto lasciasse intendere il suo aspetto delicato.
Strinse i denti davanti l’immagine di Merlino che era nuovamente sbucata nella sua mente e serrò le mani fino a conficcarsi le unghie nei palmi.
Forse un incontro amoroso con una bella dama gli avrebbe raffreddato i bollori, infondo si trattava solo di dare libero sfogo a determinati bisogni…
Ma era proprio sicuro che Merlino fosse un semplice capriccio da togliersi? Insinuò una vocina melliflua da qualche parte nella sua mente.
Come ogni altra volta, arrivato a questo punto indietreggiò impaurito, rannicchiandosi su se stesso, incapace di saltare al di la del baratro oscuro che si apriva davanti a lui, spaventato dalla risposta che avrebbe dovuto dare a quella domanda e che avrebbe potuto stravolgergli la vita. Una risposta che in qualche modo intuiva, che era li dentro di lui, ben radicata e solida, e che lui continuava ad ignorare per vigliaccheria.
Scacciò quei pensieri e si rimise in piedi: suo padre lo attendeva, era arrivato il momento di pensare alle cose serie.

Merlino superava di molto le sue aspettative quella sera!
Dal tavolo al quale suo padre e Bayard stavano firmando il nuovo trattato, Artù si volse appena per osservare il suo servitore. Un ghigno compiaciuto gli stirò le labbra facendogli guadagnare un’occhiata irata dell’altro. Il pennacchio rosso e blu del cappello gli scivolava ai lati del volto tirato in un’espressione irritata, che i tentativi di calmarlo di Gwen facevano solo aumentare. Una casacca rossa bordata di verde scuro, con lo stemma dei Pendragon intessuto in oro al centro del petto, gli ricopriva la tunica ed i pantaloni dello stesso colore. Non si era mai sentito più umiliato di così! Con un gesto stizzito il mago si strappò dalla testa il cappello gettandolo in qualche angolo della sala. Cosa che fece divertire maggiormente il principe.
Artù riportò lo sguardo davanti a sé prima che suo padre si rendesse conto della sua distrazione: Uther e Bayard aveva appena terminato di firmare il trattato ed ora il re aveva dato ordine che si procedesse con il banchetto. Servitori iniziarono ad affaccendarsi per la sala portando caraffe di vino ed enormi vassoi pieni di cibi caldi.
Quegli incontri istituzionali non erano altro che una noiosa sequela di frasi ed atteggiamenti formali, in cui i due re mostravano il rispetto che nutrivano per l’altro, il più delle volte falso, nato solo dalla necessità di mantenere un’utile alleanza. Artù sorseggiava il vino dal suo calice annoiato, ascoltando distrattamente le discussioni che si alternavano attorno a lui: per fortuna il banchetto era quasi finito, ancora poco e avrebbe potuto ritirarsi nelle sue stanze…
Bayard si sollevò in piedi tenendo alto il calice sopra la testa, una delle sue serve portò una scatola di legno al tavolo di Uther e del principe.
- Per ringraziare il mio ospite della sua perfetta accoglienza.- esclamò con un leggero inchino del capo.
- Il minimo per un vecchio amico!- rispose il re con un sorriso cordiale.
Uther aprì la scatola che conteneva due calici in metallo elegantemente lavorati. Li prese e li depose sul tavolo al posto di quelli che avevano usato fino a quel momento.
- Li useremo per brindare a te, amico mio.- ed un servo riempì prontamente le coppe di vino.
Artù portò il calice alle labbra già pronto a bere, quando gli venne strappato dalle mani.
- È avvelenata!- urlò una voce accanto a lui.
Non ebbe bisogno di sollevare la testa per scoprire a chi appartenesse. Soltanto Merlino poteva fare un’idiozia simile!
- Che cosa stai dicendo?- ruggì furibondo il re.
- Bayard ha avvelenato la coppa destinata ad Artù!- continuò il mago serio e deciso.
- Ma è assurdo! Uther permetti che un servo possa accusare un re?- sbottò l’altro re irritato.
Il re di Camelot si portò al centro della sala, mettendosi tra Bayard ed il valletto di suo figlio, prese la coppa e ne annusò il contenuto, constatando che non emanava odori particolari. Con un sospiro rassegnato Artù lo seguì: avrebbe dovuto immaginare che Merlino avrebbe creato un bel fuori programma, esattamente come nel suo stile…
- Ragazzo ti rendi conto della gravità delle accuse che stai muovendo al mio amico?- chiese Uther calcando bene la voce sulle ultime parole.
Quel servo stava accusando un suo pari, un importante alleato…
… Stava mettendo in serio pericolo la sua dignità e tutto il lavoro diplomatico che aveva accuratamente portato avanti in quegli anni…
- Una persona lo ha visto mettere il veleno nella coppa del principe.- annuì convinto della sua posizione.
Il re lo scrutò pensieroso per un po’, doveva scoprire se quel ragazzo diceva il vero o no, ed avrebbe fatto in modo che si prendesse la responsabilità delle sue azioni.
- Berrai tu dalla coppa di mio figlio!- ordinò tendendogli la coppa.
- Ma padre…- provò a protestare Artù atterrito da quella prospettiva.
- È il tuo valletto: è suo dovere assaggiare vino e cibo prima di te per scoprire se è avvelenato!- tagliò corto il re imponendo a Merlino con un gesto perentorio di prendere la coppa.
Allarmato ed impotente, Artù osservò Merlino allungare la mano e prendere la coppa, portarla alle labbra, esitare soltanto un istante, prima di vuotarlo.
Quel ragazzo era pazzo! Pensò il principe mentre l’altro beveva. Come poteva bere da una coppa avvelenata senza pensarci due volte, come se la sua vita non avesse alcun valore, come se l’unica cosa veramente importante fosse la sua vita…
Aveva guardato negli occhi di Merlino prima che bevesse: erano gli occhi decisi e sinceri di una persona che aveva fatto già da tempo la sua scelta, che aveva accettato il suo destino, qualunque esso fosse, e lo avrebbe portato a compimento. Lo aveva invidiato per quel coraggio. Ci voleva coraggio per impugnare una spada e scendere in battaglia, ma ci voleva molto più coraggio a sacrificare la propria vita per qualcun altro. Era quel genere di coraggio che sperava di possedere anche lui.
Merlino allontanò la coppa ormai vuota dalle labbra e fissò lo sguardo su Bayard. Per un lungo istante non accadde nulla, il mago sembrava in perfetta salute. Artù lo osservò non sapendo se sentirsi sollevato perché quello sciocco temerario era salvo, o irritato per tutto lo scompiglio che aveva creato inutilmente.
Ma l’istante successivo il volto del ragazzo si contrasse in una smorfia dolorante, mentre barcollava pericolosamente. Come in una lenta sequenza da incubo lo vide accasciarsi al suolo, senza un gemito, il rumore metallico del calice che rotolava sul pavimento rimbombò cupo nella sala silenziosa.
Ancora prima di capire di essersi mosso, Artù si precipitò accanto a Merlino.
- Merlino! Merlino! Mi senti? Svegliati!- e gli batteva la mano sulla guancia.
Gaius e Gwen lo raggiunsero subito. Il medico eseguì un esame preliminare e rivolse agli altri uno sguardo preoccupato mentre spiegava che dovevano portarlo nel suo laboratorio. Senza pensarci due volte, ignorando il rumore dei passi e delle armi con cui i suoi soldati stavano arrestando Bayard ed il suo seguito, si caricò sulle spalle in corpo di Merlino. Si stupì di quanto fosse leggero.
Velocemente raggiunsero la casa del medico di corte ed il principe lo adagiò delicatamente sulla branda. Gaius gli toccò la fronte: la pelle era bollente, la febbre era già salita.
- Prendi dell’acqua! – ordinò a Gwen – Io cercherò un rimedio tra i miei libri.- borbottò tra sé, salendo le scale e dirigendosi al piano rialzato.
Rimasto solo, Artù si concesse per la prima volta di guardare Merlino: il volto era sofferente e sudato, tremava e mormorava frasi sconnesse a fior di labbra. Gli parve infinitamente fragile. Quella sensazione di stasi dentro di lui si infranse e venne travolto da tutte le emozioni che fino a quel momento era riuscito a tenere a bada. Paura, rabbia, angoscia, frustrazione e mille altri sentimenti lo avvolsero, straziandogli l’anima, trascinandolo in un baratro oscuro in cui avrebbe potuto annegare da un momento all’altro.
A tenerlo a galla era solo la consapevolezza. Solo ora che lo stava perdendo si rese conto che Merlino non era uno sfizio, un desiderio insignificante, ma che era importante per lui, così importante da cancellare ogni altra cosa. Era stato uno sciocco, avrebbe dovuto capirlo prima dalle sue reazioni che non si trattava di una infatuazione passeggera…
… Ed ora rischiava di non aver tempo per stare con lui…
Gwen tornò tenendo un secchio d’acqua in mano, prese un panno, lo inumidì e lo passò sulla pelle accaldata di Merlino, strappandogli ansiti spezzati.
- Trovato!- esclamò Gaius all’improvviso.
Scese velocemente la scala con un volume aperto in mano e si appoggiò al suo scrittoio ingombro di libri.
- Hai capito cos’ha?- chiese speranzosa la ragazza, ancora inginocchiata al capezzale del mago.
- Sul fondo del calice ho trovato dei petali essiccati. Si tratta del Fiore della Morte. È un veleno estremamente letale, che agisce lentamente e tra atroci sofferenze.- spiegò senza alzare lo sguardo dal tomo.
- E tu puoi creare un antidoto?- chiese Artù portandosi al suo fianco, cercando di mascherare la sua ansia.
- Certo. Ma ho bisogno dei fiori per estrarre il veleno. Purtroppo crescono solo in una caverna nella Foresta di Baloc, un luogo che nasconde insidie mortali.- la voce del mago si spense in un tetro mormorio che spiegò con maggiore efficacia la gravità della situazione in cui si trovavano.
Artù riportò lo sguardo sul suo servo che si agitava sotto le coperte in preda ai dolori.
- Quanto tempo gli rimane?- .
- Quattro, massimo cinque giorni.- .
Il principe serrò la mascella, aveva preso la sua decisione.

Poggiato contro la mensola del camino osservava furioso le fiamme scoppiettare allegramente. Suo padre gli aveva vietato di partire, di pagare il suo debito con la persona che gli aveva salvato la vita. Le parole di Morgana suonarono beffarde nella sua mente. Il popolo aveva bisogno di un re giusto, capace di sacrificarsi per loro, non di un codardo che ubbidiva ad ordini ingiusti.
Chiuse gli occhi e rivide con sadica precisione Merlino bere dal calice senza esitare, ingerire quel veleno destinato a lui, che ora lo stava uccidendo.
Una morsa gelida gli strinse il cuore al pensiero di non averlo più attorno, di non poter più godere dei suoi sorrisi, di non poter più sentire il suono irriverente della sua voce. Improvvisamente si rese conto di quanto potesse essere buio il mondo senza di lui. Merlino era entrato così a fondo dentro di lui da rendere insignificante la vita senza di lui.
Già in quel momento Artù si sentiva vuoto, solo, perso. Era come se qualcosa dentro di lui si stesse spegnendo. Una lenta, straziante agonia.
Non poteva lasciarlo morire! Non voleva lasciarlo morire!
Il re avrebbe potuto imprigionarlo, frustarlo, fargli qualsiasi cosa, non sarebbe stato niente davanti la morte del suo servitore. Riaprì gli occhi e raddrizzò la schiena, ormai pronto a partire.
Le strade erano buie e silenziose, l’unico ostacolo erano le guardie alla porta. Aveva ancora una cosa da fare prima di partire. Legò il cavallo ad uno degli anelli sul muro ed entrò in casa di Gaius.
Il vecchio medico era seduto al capezzale di Merlino, un libro aperto sulle ginocchia alla ricerca di una qualsiasi pozione capace di rallentare l’avanzata del veleno. Sollevò la testa nell’udire i passi pesanti del principe. Lo osservò curioso ma non sorpreso.
- Puoi darmi qualche minuto?- chiese Artù.
Gaius annuì con un piccolo sorriso ed uscì dalla stanza. Il giovane Pendragon avanzò incerto nella stanza, fino a sedersi accanto alla branda, nello stesso punto dov’era stato il medico fino a poco prima.
Guardò quel volto sofferente, constatando quando fosse vicina la Morte in quel momento. Prese il panno umido, lo immerse nell’acqua fresca e lo passò delicatamente su quel volto dai tratti gentili.
Lentamente avvicinò il volto a quello di Merlino, fino a portare le labbra al suo orecchio.
- Resisti! Tra poco porterò a Gaius i fiori per l’antidoto, quindi vedi di resistere. Resisti e guarisci, fallo per me Merlino!- aveva mormorato in un tono straziato.
Raddrizzò la testa ed il collo, fino a ritornare di fronte a lui. E quella volta davvero non riuscì a resistere. Si chinò fino a sfiorare le labbra del mago con le sue, in una carezza leggera e riverente. Solo un assaggio, si disse, di quello che avrebbe avuto una volta che l’altro fosse guarito.
- Un portafortuna!- disse con uno di quei ghigni arroganti che facevano sempre arrabbiare Merlino.
A malincuore si allontanò da lui, rimettendosi in piedi: il tempo scorreva veloce e cinque giorni erano davvero pochi. Ma lui ce l’avrebbe fatta di sicuro: non era un addio quello.
Montò in sella e lanciò il suo cavallo al galoppo, travolgendo quasi le guardie, cercando di allontanarsi il più velocemente possibile prima che suo padre riuscisse a riorganizzare i suoi uomini ed a sguinzagliarglieli alle costole per riportarlo al castello.
L’impresa era difficile e pericolosa, ma lui sarebbe tornato. Non si sarebbe lasciato uccidere, non ora che la persona più importante della sua vita dipendeva da lui. Non ora che aveva scoperto quanto amasse quel rompiscatole combina guai. Senza chiedere nulla Merlino era riuscito ad ottenere il suo cuore, vi aveva impresso un’impronta indelebile. Qualsiasi cosa gli avesse riservato il futuro sapeva che Merlino sarebbe rimasto fermo ed indelebile dentro di lui. Mentre il sole sorgeva sulle cime della Foresta di Baloc, si ripromise che sarebbe ritornato a Camelot ed avrebbe salvato Merlino, che avrebbe fatto di tutto per averlo con sé, che non avrebbe mai rinunciato a lui a costo di mettersi contro tutto il regno.

Perché lui è solo mio!