Parte terza

Sospiri umidi si scioglievano lascivamente nell’aria.
Charlie stringeva forte le lenzuola nel pugno mentre scariche di piacere gli percorrevano irregolarmente il corpo, gettandogli la mente nel caos. Poggiò la fronte contro il materasso inarcando la schiena di scatto e lungo gemito gli rotolò tra le labbra.
Le dita e la bocca di Colby erano dappertutto sulla sua schiena, tormentandone la pelle. Charlie non faceva in tempo a capire dove si fossero fermate che già erano passate oltre, confondendolo ancora di più. Sentiva la pelle bruciare lì dove erano passate, i muscoli e le ossa sciogliersi in un denso piacere. Gli sembrava di non avere più articolazioni con cui muoversi, come se il suo corpo fosse improvvisamente diventato di acqua.
Mai avrebbe pensato che l’essere bendato avrebbe acuito in quel modo tutti gli altri sensi. Gli sembrava di sentire tutto quello che c’era attorno a lui in modo molto più intenso, come se si fosse trasformato in un enorme recettore capace di raccogliere e registrare la più piccola variazione di suono o temperatura.
In quel momento aveva perso ogni contatto con la realtà, tutto il resto del mondo era sfumato, riusciva a percepire vagamente soltanto quel letto dalle lenzuola sfatte e umide. L’unica presenza reale e tangibile in quel caotico mare di sensazioni indistinte e sconvolgenti era il corpo caldo e solido di Colby dietro di lui.
Le mani del compagno scivolarono lentamente lungo i suoi fianchi, ridisegnando con una cocente carezza il profilo del suo corpo e strappandogli un lungo sospiro. Sentiva una spessa corrente elettrica sciabordare continuamente sottopelle, i muscoli contrarsi e rilassarsi privi di ogni controllo.
- C… Colby…- esalò tra le labbra secche, avvertendo confusamente la lingua dell’altro ridisegnargli l’incavo delle scapole.
Un sospiro denso e roco che si sciolse come metallo incandescente sull’interpellato, che rabbrividì per contrasto. Charlie non si rendeva minimamente conto dell’effetto che aveva su di lui in quel momento, del fuoco che gli accendeva dentro mentre lo osservava agitarsi e rabbrividire sotto le sue mani. Non sapeva quanto fossero seducenti i gemiti che rotolavano tra le sue labbra, che riecheggiavano ancora e ancora nella stanza, strisciando su ogni muro e in ogni angolo, prima di colare dentro di lui come miele caldo.
La posizione che Charlie aveva assunto in quel momento nel tentativo di respirare normalmente, con la testa abbandonata in avanti e la schiena inarcata, ai suoi occhi sapeva di abbandono totale e questo aumentava il suo desiderio di farlo annegare nel piacere fino a fargli perdere la coscienza di se stesso e di qualsiasi altra cosa. Per una volta l’agente voleva surclassare il suo cervello sempre vigile e razionale e far sperimentare a Charlie la pura e semplice istintività.
Colby osservò le vertebre in rilievo e chinò la testa per mordere e succhiare quelle che si trovavano più in rilievo, strappando altri gemiti al matematico. Quando allontanò le sue labbra da lui, vide che due macchie di un delicato rosa scuro erano fiorite, decorando sensualmente la sua pelle candida.
Un sorriso gli schiuse le labbra mentre spostava la mano destra sul torace dell’amante, toccando quanta più pelle possibile, tracciando in punta di dita una linea che dall’addome moriva nel bassoventre. Il corpo tra le sue mani tremò e si inarcò verso il basso, arcuando il bacino e gettando la testa all’indietro, affamato di un contatto più consistente. Un gemito frustrato vibrò nell’aria quando quelle dita si fermarono prima del punto sul quale Charlie desiderava essere toccato. La tensione e l’eccitazione stavano salendo sempre di più riempiendo il suo corpo, facendolo sentire terribilmente in bilico tra dolore e piacere. L’unica cosa che desiderava era essere toccato per potersi liberare e porre così termine a quella tortura.
Alle sue spalle Colby rise divertito, mentre la mano che ancora lo teneva per i fianchi scorreva sulla sua pelle grande, calda e ruvida, scendendo giù, fino al profilo delle cosce e tormentandone con i polpastrelli l’interno. Charlie strizzò gli occhi e strinse i denti nel tentativo di contenere quell’ondata di piacere che lo aveva squassato fin dentro le viscere: come poteva quel pezzo della sua carne essere così sensibile?
Sentiva quelle dita tastare la sua pelle ed esplorarla con estrema minuzia, come se stessero cercando qualcosa d’importante, strappandogli brividi su brividi che partivano dalla sua nuca e gli saettavano lungo la spina dorsale per andare a conficcarsi poi nel suo ventre. Non riusciva quasi più a respirare e sentiva il suo corpo bruciare come se avesse metallo fuso a scorrergli nelle vene invece del sangue, tanto era alto il livello di eccitazione che aveva raggiunto.
Senza nemmeno rendersi totalmente conto di quello che stava facendo, sollevò il bacino sfregando la sua pelle contro i palmi delle mani dell’amante spiegandogli quanto vicino fosse al limite e in cerca di quel poco di piacere che poteva ricavarne.
Un sorriso osceno schiuse le labbra di Colby mentre si piegava sul compagno per morsicare la pelle sotto l’orecchio: aveva giocato abbastanza, ormai anche lui si sentiva vicino al punto di non ritorno. Con le labbra scese lungo la schiena del compagno, mordendo e succhiando ognuna delle sue vertebre, attardandosi a lambire con la lingua la fossetta alla base della schiena.
Charlie rise di divertita eccitazione quando Colby gli morse una natica, ma ogni traccia di ilarità si sciolse in un grido sorpreso ed eccitato quando avvertì la sua bocca iniziare a prepararlo. Il matematico tremò violentemente eccitato, tendendosi sotto le carezze umide di quella lingua che lo blandiva e lo penetrava.
Colby si allontanò dalla pelle del suo amante e un lampo gli trafisse le viscere quando osservò il suo corpo abbandonato tra le lenzuola sfatte e tremante come se tutto quel piacere fosse troppo perché il suo fisico esile potesse sopportarlo. Gli strinse i fianchi con le mani e lo fece voltare supino: voleva vedere il piacere strisciare sul suo volto, arrossarlo e alterarne i tratti.
Con una rapida spinta Colby penetrò nella sua carne e Charlie si sentì aprire e squassare, per non perdersi e annegare in quel mare di piacere si aggrappò forte alle spalle del compagno. Nonostante la benda gli impedisse di vedere, percepiva con grande chiarezza ciò che stava accadendo attorno a lui: sentiva la pelle umida e calda del compagno scorrere sulla propria, le sue mani stringergli forte i fianchi, il suo respiro ansante bruciargli le labbra e le guance, i loro gemiti sciogliersi e fondersi nella stanza come stavano facendo i loro corpi.
Colby si chinò a baciarlo e Charlie si sentì implodere ed esplodere, infrangere in mille scintille di luce bianca, ogni cosa venne divorata dal ruggito nel sangue nelle orecchie, mentre da qualche parte dentro la sua testa sentiva la sua voce, lontana e distorta, urlare ancora, ancora, ancora.

Charlie riaprì lentamente gli occhi. Sollevò la mano portandola sul viso ormai libero dalla benda e sorrise: si sentiva stordito e spossato, e provava ancora su di sé gli ultimi, deboli strascichi dell’orgasmo. Il piacere che aveva assaporato era stato tanto e tale che doveva essere crollato subito dopo essere venuto.
La prima cosa che vide fu la curva morbida di un collo e la linea decisa di una clavicola. Strofinò la guancia sulla spalla su cui era appoggiato e si strinse ancora di più al corpo forte disteso al suo fianco.
- Stai bene?- la voce profonda e gentile, appena colorata da una nota di divertimento, di Colby gli carezzò l’udito.
- Credo di sì, ma non so se potrò resistere se deciderai di farlo ancora…- esclamò con un tono di voce tale da far scoppiare a ridere l’altro.
Colby girò il viso poggiando la guancia contro i capelli arruffati del compagno, un sorriso divertito ancora gli incurvava le labbra mentre faceva scorrere i palmi delle mani sulla sua schiena e il suo fianco.
- Temo che invece dovrai farci l’abitudine, perché pur di rivederti in quello stato sarei pronto a rifarlo ogni giorno!- scherzò poi guadagnandosi un gemito contrariato dall’amante.
Charlie, piacevolmente rilassato, si sistemò meglio nel suo abbraccio e iniziò ad accarezzargli lentamente l’ampio torace, attardandosi a ridisegnare i conforti forti e sinuosi dei suoi muscoli. A occhi chiusi Colby si godeva quelle leggere carezze, fino a quando le mani del compagno non si fermarono sul suo fianco destro, lì dove la pelle era rovinata da una vecchia cicatrice.
- Come te la sei fatta?- gli chiese la voce bassa e un po’ timorosa del compagno, mentre copriva quello sfregio con la sua mano come a volerlo nascondere.
Charlie era sempre stato incuriosito da quella cicatrice. La prima volta che l’aveva vista era rimasto colpito profondamente dall’estensione del danno, perché poteva essere solo la conseguenza di un grave incidente che avrebbe potuto costare la vita a Colby. Prima di allora non aveva mai avuto il coraggio di chiedergli nulla perché gli sembrava che fosse legata a ricordi spiacevoli e non voleva far soffrire ancora il suo compagno, non dopo quello che era stato costretto ad affrontare e subire negli ultimi tempi. Ma quella volta le parole erano uscite da sole, senza il suo controllo e con grande naturalezza, forse anche grazie all’intimità, sia fisica che emotiva, che avevano raggiunto con quella piccola vacanza.
Dopo alcuni secondi di silenzio, Colby prese la mano di Charlie nella sua e la portò alle labbra baciandone il palmo. All’altro sembrò che volesse prendere altro tempo per decidere se rispondere o no alla sua domanda.
- È stato in Afganistan, quando ero ancora nell’esercito *. – esordì parlando lentamente, continuando a giocare distrattamente con la mano del compagno – Dovevamo scortare un convoglio umanitario in un’altra base americana, ma è finito su una mina antiuomo e l’onda d’urto dell’esplosione ha coinvolto anche il nostro automezzo, sbalzandoci all’indietro. A causa dell’impatto e della ferita ho perso conoscenza, se Carter non mi avesse tirato fuori anch’io sarei morto carbonizzato.- e chiuse gli occhi con un sospiro stanco, come se quella spiegazione lo avesse privato di ogni energia.
Solo allora Charlie comprese cosa significasse davvero quella ferita per Colby e che, anche se all’esterno era ormai rimarginata, dentro non avrebbe mai smesso di sanguinare. Spinse il volto contro il suo collo e gli baciò la gola, mentre le sue braccia sottili lo stringevano forte per la vita. Non era mai stato bravo con le parole, con i sentimenti, ma voleva davvero fargli sentire che era al suo fianco.
- Mi dispiace…- bisbigliò sulla sua pelle.
Esisteva una sola parola sensata da dire in quella circostanza? Charlie non lo sapeva, tutto ciò che gli veniva in mente erano le solite frasi fatte di circostanza che non servivano a niente.
- Non dispiacerti, amore mio! – il tono di voce di Colby era fermo e greve – Carter era mio amico e gli devo la vita, senza di lui probabilmente ora non sarei qui con te… gli devo tanto… ma ha scelto da solo la strada da seguire, ha avuto la possibilità di tornare indietro ma non l’ha fatto e ne ha pagato il prezzo con la vita!- e gli baciò i capelli.
Charlie aveva udito perfettamente la sfumatura triste che il compagno aveva cercato di nascondere sotto il tono duro. Nonostante Carter avesse tentato di ucciderlo quando aveva scoperto il suo doppio gioco, Colby stava soffrendo per la morte del suo amico. E lui voleva far scomparire tutto quel dolore.
Il matematico si sollevò e, con un movimento veloce, si sedette sul suo addome.
- Cosa vuoi fare?- gli chiese Colby ridendo sorpreso.
Charlie non rispose, poggiò i palmi delle mani sul suo petto e si chinò per baciarlo. Dopo furono solo nuovi gemiti e urla, e un piacere forte e abbagliante.

Charlie poggiò il borsone a terra, fuori dallo chalet e sollevò lo sguardo verso il cielo limpido di metà mattina. Era già arrivata la domenica e dovevano rientrare in città. Quei pochi giorni erano letteralmente volati via, gli sembrava quasi di aver trascorso il tempo addormentato a sognare. Avrebbe dato qualsiasi cosa per poter protrarre ancora quella piccola vacanza, prendersi altri giorni da poter trascorrere con Colby in quel posto fuori dal mondo. Peccato che ci fossero i suoi impegni accademici ad attenderlo.
Si girò quando sentì che il suo compagno stava chiudendo la porta d’ingresso dello chalet. Fece scorrere lo sguardo sulla sua figura solida e atletica e un nodo gli strinse le viscere: poteva sentire ancora l’impronta incandescente del suo corpo su di sé e il desiderio tornare a scorrere liquido e cocente nelle sue vene.
Colby sollevò lo guardo su di lui e, mentre gli si avvicinava, un sorriso ampio e felice gli schiuse le labbra, illuminandolo fin dentro gli occhi e rendendolo ancora più bello.
- A cosa stai pensando mio piccolo genio?- chiese quando gli fu di fronte.
- A noi! – ripose dopo un breve istante di silenzio – A quanto mi piacerebbe restare ancora qui con te, invece di tornare a casa…- e un velo di porpora gli colorò le guance.
Il sorriso sulle labbra di Colby si ampliò: sapeva quanto fosse difficile per il suo matematico parlare dei propri sentimenti, esternare apertamente i suoi stati d’animo e i suoi desideri, e proprio per questo era rimasto piacevolmente colpito da quella confessione.
Sollevò il braccio libero e lo fece passare attorno alle spalle di Charlie, poggiandogli la mano sulla sua nuca e intrecciando le dita ai suoi ricci, spingendolo contro di sé.
- Anche per me è lo stesso! Vorrei mandare tutto al diavolo e chiudermi lì dentro con te per sempre… ma so benissimo che non si può! Però sai una cosa? Potremo tornare qui ogni volta che vogliamo o andare da qualche altra parte, abbiamo a disposizione tutto il mondo per trovare nuovi posti in cui poter stare insieme. Perché è questa l’unica cosa che conta davvero: stare insieme sempre, che sia a lavoro o nella vita di tutti i giorni. Non sei d’accordo con me?- .
La risposta di Charlie fu un bacio lungo e lento, con cui dirgli quanto lo amava e che era del tutto d’accordo con lui.
- Andiamo?- gli chiese poi Colby con un sorriso dolce.
Il professore si perse un attimo nella sfumatura grigia dei sue occhi prima di annuire. Dovevano tornare a casa e riprendere i rispettivi impegni, ma era confortate sapere che al mondo esisteva un luogo in cui avrebbero potuto appartarsi ogni volta che avevano bisogno di stare da soli.
Charlie guardò un’ultima volta lo chalet e poi, con un piccolo sorriso sulle labbra, seguì il suo compagno in auto.

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