PRIMA DI MORIRE

Astrid Basso

prima di morire

 

Stanchezza.
Non fisica, ma mentale. Quella stanchezza che hai da quando apri gli occhi al mattino fino a quando li chiudi, la stanchezza che ti porta a sperare di non riaprirli più.
Lentamente quella stanchezza strisciante, interiore, mentale si ingigantisce e prende anche il fisico, quella stanchezza ti impedisce di sollevare un braccio, muoverti, saltare, correre, fare le cose che hai sempre fatto.
Lentamente quella stanchezza prende tutto di te e diventa insormontabile, fino a che anche battere le palpebre è sfinente, respirare è faticoso ed arrivi al punto da non sapere minimamente se valga la pena vivere per le cose per cui hai sempre vissuto.
Cosa ti faceva alzare al mattino, essere felice, trovare le energie?
Cosa ti rendeva felice?
Piano piano lo dimentichi, sai cosa devi fare, sai che prima ti piaceva e lo fai, ma poi?
Poi cambia lentamente e prima che te ne accorga sei tu che lotti con te stesso e la vita e realizzi che non cerchi di vivere, ma di sopravvivere.
Viviamo per sopravvivere?
Ad un certo punto ho iniziato a farmi questa domanda, ma non sono stato in grado di trovare una risposta.
Forse è ora di trovarla, prima che sia tardi.
Oggi ricomincia il tour, di solito ero entusiasta e pieno di vita. Mi alzavo saltando tanto da irritare mia moglie che mi vedeva contento di andarmene di casa per un anno intervallato da poche pause.
Non mi alzo saltando, mi alzo sbuffando. Lei si gira e mi guarda assonnata, non era il suono che si aspettava di sentire da me alle soglie del tour del mio quinto album di successo.
- Tutto bene? - Chiede stupita. Io mi volto verso di lei e scrollo le spalle.
Ricordati di essere felice Joseph, altrimenti poi devi starle a spiegare che cazzo hai.
- Sì, certo! È solo che se non vado in bagno mi esplode la pancia, non volevo portarmela nel bus! - Vedo Kate aggrottarsi senza capire e così con un ghigno aggiungo: - La cacca! - Così lei mi tira il cuscino ed io vado al bagno dove, una volta dentro, mi spengo.
Questi occhi azzurri devono cominciare ad essere più convincenti, peccato che sia impossibile sorridere anche con questi. La mia immagine riflette un piacevole volto di un uomo di trentasei anni pieno di tatuaggi, i capelli un tempo biondi ora tinti di nero da quando sono salito su un palco, un fisico non proprio filiforme, ma nemmeno da buttare. Quando smetto di bere calo quei chili di troppo, ma poi mi vedono patito e così per zittirli torno alle solite vecchie bastarde abitudini, almeno poi sono felici.
‘Ecco il Jo che conosciamo tutti!’
Torno in camera nudo dopo la doccia e mi faccio Kate perché sarebbe strano se non lo facessi. In realtà a letto non ho mai avuto problemi con nessuno, il sesso mi piace, di ogni genere, in ogni modo, sempre. Il sesso è sesso.
La conosco dai tempi del liceo, più che una moglie o la donna che amo, è una cara amica, o meglio una trombamica che mi aiuta ad avere un po’ l’immagine giusta, a far felice mia madre con la storia della famiglia e ad avere in casa la vita che tutti dovrebbero desiderare.
La moglie, i figli, i pranzi insieme fino a scoppiare, cose che tutti vogliono. La verità, però è che siamo in una società del cazzo con le sue regole e se non portavo a casa una moglie e se non facevo dei figli mi rompevano tutti i coglioni su quando l’avrei fatto.
Non parlo della mia etichetta. La mia casa discografica ha detto chiaramente quale immagine dovevo avere e quale personaggio: la classica rock star, bello, dannato, pazzo e soprattutto etero. Niente aiuta l’immagine dell’uomo etero più di una moglie.
Le valige sono pronte, prima di uscire vado a svegliare Mik e Jay, le mie due scimmiette. Il grande grugnisce e si gira dall’altra parte, il secondo mi stritola forte e mi chiede se può venire a trovarmi quando sono in giro.
- Certo, bertuccia! Rompi le palle alla mamma, sa bene quando può venire. - Lui si mette a gridare contento e mi riempie di baci, come faccio anche io. Sto bene con Jay, è più piccolo, mi adora, vuole fare musica come me, emularmi. Spero che prenda solo il buono.
Riprovo a salutare Mik, ma lui fa un grugnito e non mi calcola, un po’ mi dispiace però non gli do torto, sono più fuori che a casa e anche quando sono qua c’è il terno al lotto su quale padre sarò: quello ubriaco e irascibile o quello felice e sereno? Questo lo sono sempre meno, nessun figlio dovrebbe assistere a certe sceneggiate fra i genitori, ma non è colpa mia. A volte se non bevo è peggio, anche se so che dovrei smettere. Un giorno smetterò. Ogni tanto lo faccio, quando sono nel processo creativo e mi chiudo con la mia band nello studio per mesi, non mi riempio di merda e per tutti è il periodo migliore. Peccato che non dura.
Li sto rovinando, non sto davvero con loro, mi sforzo di fare quello che dovrebbe fare un padre, ma è un gran fottuto sollievo avere impegni con la band, così non li costringo a stare in mia compagnia. Ho paura di contaminarli, sono fottuto e non voglio fottere anche loro.
Ricordo quanto odiavo stare con mio padre perché lui era un alcolizzato depresso con il SPT. Io non sono un veterano del Vietnam, non sono un eroe di guerra, ma sono un altro genere di eroe, sono una rockstar. L’eroe dei tempi moderni.
Entrambi abbiamo gli stessi demoni dentro. Mio padre mi ha ridotto così, io sto riducendo così loro, se ho dei dubbi su cosa sarà di loro da grandi basta che mi guardo allo specchio.
Ogni volta che sono con loro mi faccio le stesse domande. Quanto voglio rovinarli davvero ancora? Così mi allontano sempre più.
Kate è sulla porta che mi dà l’ultimo saluto vuoto come la scopata di prima. Abbiamo avuto i nostri orgasmi, ma è stato come farlo con degli estranei, ci stiamo abituando anche a questo.
Le sue labbra sono morbide, ma non mi scaldano. Quei baci che dai perché sì, non perché una volta in macchina ti mancherebbero e fra noi è così da molto, ormai.
L’auto guida placida carica di me e delle mie cose verso il tourbus che ci aspetta, guardo il paesaggio che scorre uguale ogni volta, non cambia niente qua intorno. Ero sempre così eccitato quando viaggiavo, dov’è questa eccitazione?
Ad un certo punto ci si deve fermare e chiedersi quanto si vuole andare avanti a fare quello che si è sempre fatto. Cosa vorresti cambiare, perché vorresti continuare. Invece non ti fermi, vai avanti perché sai che è sempre stato il tuo sogno, fare questa vita da rockstar in giro per il mondo a cantare per sempre, come puoi volere altro?
La cosa che inizia a spaventarmi è che c’era un momento in cui lasciare i miei figli non mi piaceva, anche se andavo a fare concerti. Ora è tutto ok, è tutto grigio. Probabilmente stanno meglio senza il padre alcolizzato che è presente solo in quei pochi mesi l’anno.
Gli occhiali neri sul naso, il cappuccio della felpa tirato su. Prima di domani sera non calpesterò alcun palco, non ho interviste, posso starmene stropicciato come cazzo mi pare.
Appena scendo e mentre la crew carica tutto il materiale, comincio strillando e ridendo, l’assistente si fa trovare con un caffè pronto, vedo gli altri già col loro in mano, do degli schiaffi amichevoli a tutti quelli della mia band con cui sono fortunatamente in ottimi rapporti, ne do uno sul culo al mio preferito e poi inizio a parlare a macchinetta.
Sono logorroico, se non blaterassi sarebbe strano, ma parlare tanto mi aiuta a controllare la situazione. Nessuno può notare quello che non voglio che notino e se io ho qualche problema, è facile nasconderlo se li rincoglionisco nel vortice delle mie parole.
L’atmosfera si anima subito, la baracca parte e comincio a dare ordini su brindisi di partenza e auguri vari affinché anche questo sia un buon tour.
Jimmy, il mio preferito, il chitarrista, seduto paziente e silenzioso vicino a me mi fissa col suo sguardo sottile e non serve che mi dica nulla, so che mi sta dicendo ‘vedi di rimanere più sobrio questa volta, che sono stufo di raccoglierti’.
Rido e gli mordo la spalla per togliergli quell’aria severa, che guai se non fosse così. Mi salva la vita, me l’ha salvata dal primo giorno che l’ho incontrato. Solo che, come dice lui, ormai sono schiavo dei miei modi, senza contare che non è solo questo. Io bevevo già da quando avevo diciassette anni e non facevo parte di nessuna band. Non bevo per fare la rock star e lui lo sa bene, è l’unico che lo sa.
Jimmy è un santo, il mio santo.
- Ragazzi, facciamo in modo che sia un altro tour indimenticabile! -
- Sì, ma non perché riesci a farti male in qualche nuovo modo impensato! - Puntualizza Jimmy acido, l’unico che osa certe cose. Scoppiano tutti a ridere ed io gli circondo il collo con l’altro braccio scoccandogli un bacio sulla guancia, lui sospira paziente.
- Stiamo vivendo il sogno, continuiamo a viverlo alla grande. Sono con la band migliore del mondo, i miei fratelli, i miei amici. Vi amo ragazzi! Non vorrei fare questo con nessun altro che voi! - Altro bacio a Jimmy perché è seduto vicino a me. Sono il solito sentimentale, se non dico queste cose si preoccupano, ma vedo un bel sorriso nei loro occhi assonnati. Sono contenti e così ho come sempre il controllo della situazione. Va tutto bene.
- A noi e al tour! - E così brindiamo, beviamo - il caffè - e ci sistemiamo ognuno da qualche parte in giro nel nostro fedele bus. Un po’ l’elettricità e l’eccitazione c’è ancora, un po’.
Anche se è più la paura, quella strisciante. La paura che questa stanchezza sia troppo forte, questo giro. Non parlo della stanchezza che controlli bevendo energy drink o cose così. È una stanchezza interiore, per quella posso fare poco.
La paura di diventare sempre più sottile e trasparente.
Così, come ogni volta che ho questa paura, mi metto a gridare qualche cavolata e a fare scherzi a tutti perché io sono l’iperattivo chiacchierone pazzo senza controllo.
Vaffanculo paura, oggi sono ancora io, non so per quanto, ma lo sono.
Pesantezza.
La pesantezza che ti inchioda al terreno e ti impedisce di volare. Una volta volavi, volavi molto. Era meraviglioso. Ora non ci riesci più, è tutto difficile, tutto fuori portata. Sollevare un braccio è impossibile e allora sospiri e lo fai in due tempi, così come fai ogni altra cosa.
A volte semplicemente non ce la fai, così lasci che facciano gli altri, deleghi, sparisci.
Quella pesantezza unita alla stanchezza è difficile perché poi ti devi sforzare, non puoi non fare nulla davvero e quando ti sforzi fai violenza e diventi sempre più sottile.
Abbiamo un angolo nell’enorme bus a due piani super tecnologico. Questo bus in particolare che è il nostro ha un loculo con una porta automatica scorrevole che apri con un pulsante, come tutto qua dentro, ma puoi chiudere a chiave col tuo codice. Solo chi conosce il tuo codice può entrare da fuori.
Ogni tanto, sempre più spesso, mi metto qua e guardo fuori in attesa di tornare a sentire qualcosa. O di smettere di sentire.
A volte sento troppo.
Maledizione, eccolo che torna.
Quel senso di intorpidimento, è come stare in una corrente d’aria fortissima che ti risucchia e tu devi ancorarti al terreno per non volare via. La sensazione è la stessa. Sento che di nuovo la testa viaggia, viaggi così tanto che è come se fossi sotto ipnosi.
Torna, Joseph.
Lascia andare quei maledetti tempi.
Poi un’immagine fuori dal finestrino ti trasmette quel flashback di quando eri bambino ed in casa vigeva quel silenzio terrificante e tu non potevi, non dovevi parlare.
Il silenzio fa rumore, la gente non lo sa quanto può essere assordante.
Sembra un ossimoro, ma il silenzio fa un chiasso micidiale.
A casa mio padre dormiva o beveva e se beveva era violento, io non me ne stavo zitto, ero furioso con lui perché faceva così e non capivo che cazzo fosse questo fottuto stress post traumatico ed ero sempre a dargli contro. Un giorno mi ha fatto volare un dente.
Così mia madre ripeteva di continuo ‘zitti che papà dorme’, era come ‘zitti che il mostro non deve essere svegliato’.
Quel silenzio faceva un ronzio, in casa. Un ronzio che è diventato il rumore nella mia testa che mi accompagna, il rumore delle mie fobie, dei miei problemi, del mio stress e del mio nervoso. Quando sono sotto pressione sento quel ronzio, lo sento sul serio, e per mandarlo via funzionano poche cose. 
Il bere e lo stordirmi con qualche merda tipo fumo o pillole. Il sesso. E poi questo.
Mi afferro l’avambraccio con la mano destra, affondo le unghie con una forza inaudita e tiro nella carne, solco i tatuaggi che mi ricoprono quasi ogni centimetro e il dolore, che sento sempre con più fatica, mi fa tornare.
Il ronzio cessa, i maledetti ricordi spariscono.
O bevo, o mi faccio, o scopo, o mi ferisco.
Il problema è che questo non succede solo quando sono solo ed in silenzio, succede ogni volta che sono nervoso o stressato o incazzato ed io sono uno che vive tutto troppo intensamente, sono sempre stato così. Quello che dava contro al padre ubriaco e violento. Quello che è salito sul palco con un microfono gridando come una bestia che dentro aveva dei demoni, quello che piange quando un concerto è splendido, quello che abbraccia e bacia tutti di continuo perché sente il loro affetto sincero.
Come si fa ad amare uno come me? Io non potrei mai amarmi, mio padre non mi amava. Sono rotto, rovinato, ferisco, faccio disastri, sono spento, sempre più spento e fingo di continuo ogni cosa.
La porta si apre, dal fatto che succede capisco che è Jimmy perché è l’unico che conosce il mio codice. La sua data di compleanno.
Quando mi vede gli basta un secondo, non fa domande, in silenzio si tuffa su di me, mi prende la mano e me l’allontana dal braccio, poi mette un fazzoletto sulla ferita e sospira chiudendo gli occhi.
Cerca la sua pazienza.
Sorrido come l’idiota che sono, se rido sdrammatizzo.
Lui sa del mio autolesionismo e sa che ha radici di follia per colpa di un’infanzia che nessuno dovrebbe vivere, ma non sono mai riuscito a raccontargli tutto bene.
Sa, sa bene che non sono solo l’ennesima rockstar che col successo e le feste si è tuonata il cervello. Sa che i miei problemi sono radicati e ben più vecchi del mio salire su un palco. Questo li ha peggiorati, ma la musica è sempre stata terapia, fare testi, cantare e sfogarmi. L’amore del pubblico mi aiuta moltissimo, per anni ed anni è bastato, ora comincia ad affievolirsi sempre più, però c’era.
Ora rimane Jimmy la mia unica spiaggia di conforto.
- Perché non ne parli con uno che lo fa di mestiere? - Rido.
- Un terapista? - Annuisce. - Mi rinchiuderebbe! Una delle mie fobie è essere decretato pazzo. -
- Ma scappare dalla diagnosi non te la cancella. Se lo sei, lo sei, magari però ti puoi curare... -
- O butterebbero la chiave. - Jimmy sospira paziente e lascia perdere, però aggiunge calmo indicandomi il braccio.
- Farti male non ti aiuterà. Non l’ha mai fatto. Quando sbatti la testa durante i concerti la gente ride, quando esce sangue fai scena, ma alla fine della giornata sei solo pieno di botte e quello dopo, quando qualcuno osa guardarti in attesa di qualche cazzata, tu sei lì che senti di nuovo il ronzio nella testa e per farlo tacere o ti ferisci ancora, o bevi. E cosa hai guadagnate? Che sei fermo dove eri prima, solo più ferito e rotto. - Jimmy fa le prediche ed ha una pazienza infinita, ogni tanto lascia perdere, ma i suoi occhi sottili e severi parlano per lui. Io sorrido ed in risposta, come ogni volta che ha ragione ma non voglio parlarne, mi sporgo e gli do un bacio sulla bocca che presto diventa altro. 
Jimmy inizialmente rimane rigido perché sa che faccio così per chiudere una discussione che non voglio portare avanti, però alla fine mi prende il viso fra le mani e trasforma questo bacio meschino in qualcosa di dolce e mi trasmette tutto il suo amore, un amore incondizionato e gratuito che non so come fa a darmi dal primo giorno che ci siamo visti.
Come cazzo fa ad amare uno marcio e distrutto come me? Mento a tutti da sempre, faccio schifo, da fatto e ubriaco ho anche trombato con altre pur di far cessare il fottuto rumore nella mia testa. Quando lui mi rifiutava perché odia alcool e droghe, mi piantava in asso e così per fargliela pagare andavo con altre. Lui poi era lì nel cesso di un qualche fottuto bagno ad aiutarmi a vomitare.
È sempre tornato, è sempre stato con me. Mi sgridava, se ne andava, ma poi tornava.
Come fa? Come può?
Eppure se non ci fosse io sarei fottuto.
Lui è la mia sola eccezione.
Quando l’ho incontrato stavo già con Kate, la prima cosa che ho pensato è stata ‘questo è figo!’ E non l’ho più lasciato andare. Da allora lui è entrato lentamente e silenzioso nel mio fottuto mondo bruciato e non ci è più uscito.
Anche i demoni possono amare, penso che se non fosse così mi sarei già fatto fuori.
Senti l’amore di chi hai vicino, lo senti eccome. Per questo siamo un tutt’uno. Lui è la mia ancora di salvezza.
Non si tratta di essere froci o etero. Io mi sono innamorato di lui, punto.
Per me il sesso è sempre stato sesso, non importava con chi. Mi piace averlo dentro, mi piace metterlo, non conta chi cazzo è con me, fra noi artisti fuori di testa è quasi la norma avere la moglie ma trombare con uomini e donne, non sentire questa distinzione di genere, non avere il problema del con chi farlo. Non si considera il chi, si guarda all’atto in sé. Scopare è bello e per noi uomini lo è soprattutto averlo dentro e chi non ha mai provato non capisce un cazzo dei veri piaceri del sesso. 
In più per gli artisti c’è il fattore sobrietà, siamo spesso e volentieri a far festa o a farci di qualcosa per stimolare la creatività o quello stato psicofisico che ci intrippa, per cui finisce che prima che tu te ne accorga sei a letto con qualcuno e non hai idea di chi sia. Musica e sesso è un tutt’uno, sono nati insieme. Sul palco canti e suoni ed hai erezioni e quando scendi hai proprio bisogno di trombare e concludere con un orgasmo, per noi è una questione fisiologica.
Ma Jimmy... lui è un discorso che scinde.
Mentre mi giro e mi faccio prendere per cancellare tutti i rumori dalla mia maledetta testa tuonata, mentre il piacere scorre sempre più fluido e bruciante e mi lacera dandomi un orgasmo che mi placa e mi tranquillizza, ricordo la prima volta che ha capito che ero fuori di testa.
Mare in tempesta, notte. Noi in spiaggia a fare gli scemi col solito gruppo, lui era con noi da poco. Istintivamente sento di volerlo impressionare, farmi notare da lui e così vado in acqua. Tutti ridono, hanno sempre tutti riso. Sapevano che ero avventato, ma ridevano e gli andava bene così. Ero divertente.
Siccome non esco lui mi raggiunge chiedendomi se dovevo uccidermi. Per poco non annego sotto un’onda più grande, lui entra, mi afferra e mi trascina fuori, poi bagnati ci guardiamo e rimane inebetito. Ridevo.
‘Tu hai qualcosa che non va.’ Ma non era arrabbiato e nemmeno scherzava. Lo pensava davvero, l’ha capito subito e non ha pensato che fosse divertente e quindi era meglio lasciarmi fare per riempire le serate.
Piano piano ha cercato di capire, di fermarmi quando esageravo, così ho iniziato a dirgli le cose.
Piano piano me ne sono innamorato.
Non so se amo il fatto che si prende cura di me, però so una cosa. È la mia salvezza. Se non l’avessi, io non esisterei più. È l’unica verità nella mia vita piena di bugie e maschere. L’unico.
Innamorarsi di un membro della propria band non è così insolito: ci si conosce da tanto, si fanno esperienze estreme e diverse, si vivono emozioni pazzesche che nella vita quotidiana gli altri non vivono e non capiscono. Il più delle volte due di loro hanno un modo uguale di concepire e fare qualcosa in quel genere di vita e si crea quell’intesa. Magari è un’intesa creativa, un’intesa mentale, un’intesa d’esibizione sul palco... però quando scatta lentamente si entra in sincronia e poi è naturale condividere tutto, sempre di più, fino al corpo, all’anima, al cuore.
Jimmy mi viene dentro dopo di me e tutto è portato via dalla marea. I sensi si confondono e mi inebriano, ci accasciamo insieme uno accanto all’altro, abbracciati. I respiri è tutto quello che c’è, ma nessun ronzio, nessun vento che mi porta via.
Solo io e lui ed ogni fottuto benessere psicofisico.
Il braccio intorno al mio collo, la sua bocca sulla mia tempia mi bacia dolcemente.
- Facciamo un patto per questo tour, vuoi? - Chiede dolcemente il mio astemio e signor vita regolare. Annuisco.
- Spara. -
- Tu provi ad essere sobrio per tutto il tempo, io faccio meno il bacchettone. Partecipiamo a tutte le cose insieme, feste, merde varie che ti piacciono. - di solito mi pianta in asso perché le odia. - Le faccio con te, ma quando vedo che cominci a partire ed esagerare, io ti faccio un cenno e tu vieni via. Ok? Proviamo? - Jimmy a momenti va in ginocchio dalla madonna del Cile e implora che mi faccia un miracolo. La cosa divertente è che lui è ateo convinto. Io sono quello arrabbiato con Dio, per lui proprio non esiste.
Povero il mio amore.
Lo guardo e ci penso. L’idea di fare le feste con lui durante il tour mi alletta. Sarebbe la prima volta. Magari riesco a non distruggermi sotto alcool e droghe e a non trombare con chiunque abbia un buco.
Annuisco.
- Ci sto! - Lui sorride felice, amo il suo sorriso. È dolcissimo. È un chitarrista di una rock band, ha i capelli lunghi ed il pizzetto, ma è una persona a modo, sempre sobria e dolcissimo. Una perla rara.
La mia perla.
Il mondo deve baciargli il culo se sono ancora vivo.
Pressione.
Quella che ti fa salire il sangue al cervello, gli occhi degli altri che ti guardano e si aspettano determinate cose da te. Tu non hai voglia, però devi altrimenti crolla il mondo e ne sei convinto. Che succederebbe se non facessi più quel che loro si aspettano?
Ti guardano, ti fissano in attesa e tu alla fine devi fare qualcosa perché se poi ti chiedono cos’hai che non va è peggio. Cos’ho che non va?
TUTTO! Ma cosa frega a loro? Devo far ridere, devo fare battute, devo essere spiritoso, esuberante, fare il cazzone. Correre, saltare, gridare.
Se non lo faccio non sono io ed allora qualcosa non va.
Ho cominciato così da ragazzo a scuola, con gli amici ed ho visto che funzionava. Mi stavano vicino e non mi facevano parlare di quello che non volevo, i miei problemi, i miei demoni. Così poi piano piano ho continuato a fare il pagliaccio iperattivo per tenerli tutti buoni e loro ridevano e si divertivano, ma sapevano che avevo qualcosa dentro, perché a volte mi sembrava di esplodere ed allora esageravo, mi facevo male, rischiavo l’osso del collo e vedevano in quei momenti i miei occhi da posseduto.
Succede ancora così, però non mi fermano per chiedermi cosa c’è che non va, lo sanno che ho qualcosa ma non gliene fotte a nessuno perché faccio ridere e loro vogliono ridere.
Jimmy è l’unico che non ha fatto finta di niente per ridere, gli ho raccontato qualcosa ma non riesco ad andare nei dettagli.
Parlarne lo rende reale, non posso renderlo così reale.
È troppo grande se lo dico, più grande di quello che mi sembra che sia se lo tengo ben chiuso dentro di me.
Forse non saprei nemmeno cosa dire, questo è il punto.
Cosa direi? Griderei probabilmente, comunque non capirebbero, non riesco a far capire cosa significa aver avuto un padre violento, essere vissuto in punta di piedi ingoiando pugni e sangue.
Oppure cosa significa aver provocato la morte del tuo migliore amico perché l’hai fatto guidare ubriaco.
Non sanno cosa significa portarsi dei demoni dentro e se lo sanno non vogliono condividere i tuoi, ma magari i miei non sono niente di speciale e di nuovo, solo che mi sembrano così grandi che le parole non vogliono uscire.
Sul palco mi sfogo, vado alla grande, canto, corro, mi butto, non mi fermo un istante, do tutto me stesso fino a non averne più e loro mi amano, il pubblico mi adora. Sento il loro amore, la loro energia. Mi hanno tenuto in vita per così tanto tempo, mi è bastato per molto, poi ha iniziato a bastarmi sempre meno.
La sensazione scema sempre più.
Esco dal palco in un bagno di sudore, distrutto. Il trucco sciolto, i capelli fradici come i miei vestiti incollati al corpo. Non ne ho proprio più ed oggi c’è qualcosa di diverso dalle altre volte.
Non è la promessa che gli ho fatto, è diverso. Mi butto su uno dei divani mentre tutt’intorno il caos divampa, musicisti, collaboratori, artisti, gente con dei pass speciali, l’altra band di sostegno alla nostra che fa il tour con noi, amici e parenti, un casino come sempre. Bere, cibo, fumo e altra merda inizia a scorrere. C’è chi la rifiuta, chi la prende.
Me ne porgono come sempre, io guardo, ma sono finito. Non riesce ad interessarmi.
Se ne prendessi un po’ starei bene, la gente qua mi guarda sorpresa che non faccio il solito chiasso, si aspetta che mi metta a strillare, baciare e abbracciare tutti. Il ronzio, il rumore del silenzio inizia a partirmi nelle orecchie, come il motore di un aereo.
Prendi una birra, uno spinello e mettiti a far cagnara, Jo, così passa tutto.
Vedi che se lo aspettano e questo rumore mi fa spaccare la testa in due.
- Tutto bene? - Chiede chi mi porge la canna pronta. No che non va bene, fanculo, che cazzo te ne fotte? Ho l’istinto di ucciderlo, il rumore è assordante, non riesco nemmeno a sentire cosa dicono, penso che si veda dai miei occhi perché lui impallidisce e subito dopo una lattina di qualche energy drink mi viene appoggiata sulla fronte sudata, insieme ad un asciugamano che mi cala sulla testa.
Non ho bisogno di guardare Jimmy che è arrivato in tempo.
Il mio angelo custode.
Quando trovi la sola persona che ti capisce, che ti vede per quello che sei e che si interessa al vero te... come fai a lasciartela scappare? Come fai a non attaccarti a lui e a prendere qualunque cosa? Che sia uomo o donna chi cazzo se ne fotte. Non è questione di buchi e di sesso. Lui è Jimmy. Stop. È il mio Jimmy. L’unico con cui sono me stesso, che mi capisce. Passo ore a stare in silenzio o a parlare di qualche cazzata seria, di qualche mostro, dello stress. Lui sa, lui vede. A lui interessa.
Si siede vicino a me e mi sento subito meglio.
Jimmy, le ossa sotto la mia pelle e la mia carne.
Una connessione mentale, spirituale e fisica.
Non potrei andare avanti senza di lui, la mia luce, la mia aria.
Mi rilasso subito, il rumore cessa, il casino dentro la mia testa smette improvviso e mentre la sua mano si posa amichevole sul mio ginocchio, chiudo gli occhi sotto l’asciugamano sulla testa e mi appoggio allo schienale. La lattina fresca in mano e basta. Non mi butto in mezzo agli altri per la prima volta.
Per la prima volta dopo un concerto sono sobrio e non ho voglia di bere.
Capisco di essere al capolinea così.
Non ho voglia di tornare a farmi, le mie vecchie fobie sono tutte lì in agguato, ma non mi fanno nulla.
Sto diventando insensibile, il buio è troppo grande.
Jimmy parla al mio posto, ride e scherza, poi quando vede che finisco di bere dice che sta morendo di sonno e così io mi aggrego e ce ne andiamo.
In camera facciamo una doccia e poi a letto insieme rinasco, mi bagno della sua aura e penso che visto che mi sono allontanato da Dio, mi ha mandato un angelo vicino al suo posto e quell’angelo è Jimmy.
Luce e Buio.
Ambiguità.
Bene e male.
Odio e amore.
Tutti siamo tutto.
In tutti c’è tutto. A volte emerge il bene, altre il male, ma ormai succede sempre più che solo con Jimmy sono luce, senza sono buio. Non ho più la mia luce, non sono più io luce, non ne ho davvero. Quando lo sono è solo perché accanto a me c’è lui.
Lo sto rovinando, lo sto fottendo, lo sto consumando.
- Sei trasparente Jo. - dice improvvisamente Jimmy tornando a casa, il tour è finito, non è stato più massacrante di altre volte, ma ero sempre più spento e non mi sono più fatto.
- Magro? - Chiedo in aereo dove staremo seduti per 12 ore per tornare a casa.
Scuote la testa mentre gli altri dormono o hanno qualcosa alle orecchie che li isola. Fuori dagli oblò tondi il buio ed è tanto simile a quello che ho dentro.
- Sottile. Sei sempre meno presente, i tuoi occhi sono sempre più spenti. Prima riuscivi a ridere meglio, non sei mai stato felice con gli occhi, però ora... cazzo Jo, se ne sono accorti tutti e mi chiedono cos’hai ed io ‘chiedetelo a lui!’ - Ridacchio, ma sono ancora spento. - Lo vedi? Non arriva agli occhi. Prima ti sforzavi, un po’ i tuoi occhi si animavano. Ora è grottesco guardarti ridere e non te ne importa. - So cosa dice e so che ha ragione. Alzo una mano e la metto davanti a me come se potessi vederci attraverso.
- Mi sembra di essere una statua di vetro pieno di crepe, quelle crepe si stanno spezzando. So che gli altri vedono cosa mi succede e sanno, ma non gliene fotte. -
- A me sì. - Dice subito. Sorrido dolcemente, ma forse sono osceno mentre lo faccio, così gli prendo la mano ed intreccio le dita. Meglio non provare a sorridere, tanto non lo inganno. Appoggio la testa alla sua spalla e me ne fotto se qualcuno ci vede. Fanculo.
- Lo so, ma ti sto rovinando la vita. Sei sempre preoccupato per me. So che prendi pastiglie per il mal di stomaco e so che è colpa mia. Ti sta venendo un’ulcera, non puoi mangiare più niente. Ogni volta che salgo sul palco o scendo, ogni volta che devo fare qualcosa con qualcuno che si aspetta il mio personaggio, ogni volta che vedo mia moglie od i miei figli tu sei lì che mi fissi e non mangi. Ti sto rovinando. Ogni istante pensi a me, a come fare per aiutarmi, se ho bisogno di qualcosa. -
- Se domani ti rivedrò vivo. - Aggiunge piano. Così lo guardo sollevando la testa dalla spalla e lui assottiglia gli occhi accusatore. - Pensi che non sappia che l’autolesionismo è l’anticamera del suicidio? Se non ti basta più per sentirti vivo, finirai per ammazzarti definitivamente. -
Mi demolisce ogni volta che apre bocca, non gli ho mai detto che mi ferisco perché a volte mi sento inconsistente, la testa mi porta via e non riesco a capire se sono vivo o se sto dormendo. Così mi ferisco. Non è solo per far zittire i ronzii.
Ci concediamo una lunga occhiata, l’aereo fa uno sbalzo, il silenzio ci culla e mi piace se è con lui. 
Sono sempre più sottile, sto sparendo sul serio e quando non riuscirò più a realizzare che sono ancora qua, quando sarò totalmente insensibile così tanto che anche se mi taglio le vene non sento un cazzo... allora lì sarò andato del tutto.
- Mi spaventa che tu vuoi proteggermi. - Non gliel'ho mica detto. Rido e appoggio la fronte alla sua, lui si irrigidisce. - Smettila di distrarmi. So che cosa vuoi fare. - Scuoto la testa e torno ad appoggiarla sulla sua spalla, non rispondo, non dico nulla, ma lui stringe la mia mano forte.
- Se mi lasci per proteggermi sentirai il tuo corpo come non l’hai mai sentito, perché vedrai il motivo per cui non voglio mai esternare le mie emozioni. - Oh lo so caro Jimmy, lo so. A letto me lo mostri bene perché non tiri fuori le tue emozioni. Perché sono una bomba. Se dovessi infuriarti riusciresti ad ammazzare.
Non rispondo, non dormo, non parlo più. Mi godo la sensazione della sua morbida mano sulla mia.
Lucidità.
Quell’unico momento di lucidità in un buco nero che ti risucchia e ti scompone pezzo per pezzo.
Quel momento qualcuno non ce lo ha, qualcuno invece sì. O lo cogli quando viene oppure sei fottuto. Sei maledettamente fottuto.
La corda davanti ai miei occhi pende dalla trave del soffitto del vecchio ripostiglio dove stavo giornate intere in punizione da piccolo. Erano i momenti migliori, perché mio padre così non mi picchiava per tutto il tempo che stavo qua dentro. Stavo qua e mi facevo i cazzi miei.
L’odore è la prima cosa che sento, puzza di polvere e chiuso e muffa.
Poi la forma della corda, l’asola dove dentro ci starebbe la mia testa se l’avessi infilata. Il mio culo sulla sedia dove dovrei salire in piedi. 
Mio nonno si è sparato qua dentro quando ha saputo di avere la SLA, ho passato una settimana qua dentro con la sua lettera in mano. Non ho mai capito come ci si possa uccidere, come puoi arrivare ad essere così fuori e fottuto da non sentire il male che ti infliggi, come fa il dolore a non fermarti? 
Ora lo so.
È come un lampo, ma non fisico.
Mi rendo conto di essere fisicamente qua, torno in me. Si chiama momento di chiarificazione, succede in mezzo alla catatonia. Ne ho sentito parlare molto, ma solo ora che lo vivo è pazzesco. 
È come un trip mentale.
Come sono finito qua?
Un fiume di risposte sotto forma di flash.
Mio padre sta morendo, torno a vederlo dopo venti anni di assenza, gli urlo di tutto, lascio Jimmy perché si stava ammalando per colpa mia, ero diventato il suo cancro, ho smesso di esserlo. Senza Jimmy e dopo aver rivisto mio padre torno a bere e farmi, a casa da mia moglie urla, litigi, TI HO TRADITO TANTE DI QUELLE VOLTE CHE NON SO NEMMENO PERCHÉ TORNO QUA! L’addio, lei se ne va, porta via i figli, salvali da me, salvali perché sono marcio, li sto trasformando in me, non posso, non voglio. Sono diventato come mio padre, sono diventato il diavolo che odiavo. Buio e poi questa corda davanti ai miei occhi.
Quanto tempo non sono stato in me? Batto le palpebre mentre respiro e realizzo che mi sto per ammazzare. Lo sto per fare davvero, non sentivo più niente, non riuscivo a tornare, sono caduto di nuovo, ho rovinato quel po’ di buono che avevo, cosa mi resta?
La musica? La musica mi ha sempre aiutato, ma a volte non basta, a volte una ragione contro venti non bastano.
Non posso rifarlo di nuovo, non posso ricominciare di nuovo tutto da capo per l’ennesima volta, non posso gestirlo, scrivere testi per sfogarmi e stare meglio, non posso.
Mi dispiace per Jimmy, starà male.
Cazzo, quanto starà male. Mi odierà, si odierà, non la supererà mai. Come potrebbe? Mi ha permesso di lasciarlo e poi mi sono ucciso, sai bene Jo che queste cose non le superi perché ci sei passato, ricordi quanto male sei stato per tuo nonno? Guarda cosa sei diventato demone dopo demone. Quanto puoi odiare le persone? Quanto puoi essere egoista?
È vero che non voglio vivere e sto male, ma quanto voglio rovinare chi mi ama, chi amo?
Jimmy, la mia band. Kate che anche se ho ferito a morte, come sopravvivi al marito che si uccide dopo che l’hai lasciato? I figli... oh cazzo, i tuoi figli. Lo meritano? Meritano di diventare come te?
Non voglio vivere, sono stanco, pesante, sottile, morto dentro, buio, solo buio intorno. Inconsistente. Trasparente.
Non voglio vivere, non ho niente, cosa mi rimane?
Il senso di colpa, mi rimane. Quello che proverebbero le persone che contano. Quanto voglio distruggere ancora tutti loro?
Non voglio vivere, ma non voglio distruggere nessuno di loro, vivere mi fa male, mi sento compresso in un angolo minuscolo di questa stanza buia che ho dentro. Però... però anche se non so per cosa dovrei vivere... so che lo devo fare, so che devo perché non voglio uccidere gli altri, Jimmy, i miei figli, anche Kate. Kate morirebbe, non ne uscirebbe e quanto l’ho usata, quanto male le ho fatto?
Non merita anche questo.
Se dovessi scegliere un motivo per vivere prima di morire non è l’amore che nutro per gli altri, sono inconsistente, insensibile, fuori di me, non capisco un cazzo di quel che provo, non so nemmeno se provo ancora.
Se dovessi scegliere un motivo per vivere prima di morire... è l’amore che gli altri nutrono per me. Non voglio che siano loro a morire e so che lo farebbero presto o tardi.
Fermati Joseph. Torna indietro, cerca Dio, cerca uno psicologo, cerca qualcuno che ti leghi, vai a parlarne con i tuoi compagni di band, qualcuno che ti ascolti e ti obblighi a fermarti.
Cerca un motivo, cerca ancora un fottuto motivo del cazzo, cercalo ancora finché non lo trovi.
Non importa per cosa respirare, tu respira perché c’è qualcuno che respira per te e tu lo sai.
Vita.
Non sai sempre perché alzarti al mattino e fare le cose che fai sempre. A volte riesci solo a capire perché non vivere, però vai avanti lo stesso nella speranza di trovare qualche risposta.
Poi un giorno un momento di chiarificazione, una scintilla, qualcosa fa click. Abbatti il muro che ti comprimeva e vedi cos’è che lo ha costruito.
La vita non è il fine, ma un mezzo per arrivare alla felicità.
Per cosa viviamo, per sopravvivere?
Viviamo per morire al meglio che possiamo?
Cos’è che conta nella vita delle persone? Cosa ci salva davvero?
Forse ci salva l’amore degli altri, non il nostro. Non importa se noi non ci amiamo, conta che qualcun altro lo faccia e se quell’amore c’è allora ci aggrappiamo ad esso. È questa la sola cosa che può salvare prima di morire, perché a quel punto non ti senti più solo e noi, dopotutto, non viviamo per questo? Per non sentirci soli?
Può essere Dio, una religione, i tuoi figli, tua moglie, il tuo amante. A volte sei insensibile e non senti più niente, ma ricordarsi che c’è sempre qualcuno che ti ama anche se non capisci come e stai così male che pensi che loro possano stare meglio senza di te, quello comunque ti può salvare. La presenza emotiva di qualcuno che non ti lascia mai solo anche se non è fisicamente lì.
Sì penso che sia questo... è l’amore degli altri che ti salva, perciò forse bisogna vivere per farsi amare e non essere soli. Forse è semplicemente così.
Ancora per un giorno, ci proverò.