CAPITOLO I:
UNO SPAGNOLO CHE FA L’INGLESE
 
Da quando Fernando era arrivato a Londra, sembrava quasi che fosse un alieno.
Era famoso per essere conosciuto come El Niño di Liverpool. Poi, una volta al Chelsea, era rimasto solo El Niño  perché comunque niño lo era davvero parecchio.
Sembrava un esserino delicato per la grazia e l’eleganza costante che usava in tutto, poi era uno che se ne stava sulle sue e non si mescolava agli altri apparendo decisamente snob.
Il commento indelicato di Didier fu lo stesso che avevano avuto quasi tutti quando l’avevano incontrato la prima volta.
- Ma è veramente spagnolo, questo? -
Ovviamente pensando di non essere sentito dal diretto interessato, lo era invece stato perché il caro bel Fernando era esattamente dietro l’angolo.
- Guarda che non è sulla luna! - Lo rimbeccò Juan, l’unico che a quanto pareva conosceva bene Fernando e che si preoccupava per lui. Didier notando che non faceva una piega, aveva alzato insensibilmente le spalle fregandosene altamente.
No, non era intercorso subito buon feeling fra i due, troppo diversi.
Didier di inglese non aveva niente perché, bè, inglese non lo era proprio, mentre Fernando lo sembrava fin troppo nonostante non lo fosse nemmeno lui.
Di sangue caliente nelle vene pareva non averne nemmeno per sbaglio. Pareva.
Però tutti si aspettarono qualcosa in quell’occasione, invece Fernando finito di vestirsi uscì da solo senza dire niente, senza nemmeno guardarlo.
Non seppero mai che poi aveva passato un’ora al telefono col suo amico Sergio sfogandosi ed insultando come uno scaricatore di porto quell’energumeno di muscoli e capelli!
Se l’avessero sentito si sarebbero ricreduti.
 
Fernando continuò dritto per la sua strada con la più assoluta indifferenza -solo apparente- lavorando duro per riprendere la sua forma di calciatore ed il suo talento una volta indiscusso.
Aveva faticato molto e quindi non aveva voluto distrarsi con stupidaggini -tali reputava i suoi compagni di squadra che non sapevano andare oltre all’apparenza- ma quando aveva cominciato a riprendersi e a giocare via via sempre meglio con quella sua eleganza che nemmeno gli inglesi stessi avevano -forse solo un altro francese l’aveva al suo livello-, aveva anche cominciato a rilassarsi un po’.
Fu durante una partita, quando entrò in sostituzione di un suo compagno, che cominciò a buttare la sua maschera di falso inglesino snob.
Sentendo un commento da parte di un avversario, un commento bello chiaro, che diceva: - Finalmente, così ora possiamo vincere! -
Lui si era voltato di scatto e con una smorfia schifata decisamente da aristocratico che reputava indegno qualcosa, aveva detto in sua direzione:
- Per vincere devono sostituire te, impedito! -
Non usava mai un linguaggio effettivamente colorito od offensivo nel senso classico, però sapeva ribattere in modo così tagliente e cattivo che nemmeno quello con la fama peggiore del mondo poteva competere.
Didier, il più vicino, lo sentì e fischiando ammirato gli diede una spontanea pacca sul sedere.
Giustamente, l’unica parte che aveva sempre cercato di toccare senza risultati perché quello era come un’anguilla.
Fernando sussultò per poi fingere indifferenza cominciando a correre. Decisamente uno interessante, si era detto Didier fra sé e sé cominciando a rivalutarlo.
Quella smorfia schifata gli entrò dentro, non era più stato capace di non fissarlo di continuo per capire se fosse stata una parentesi oppure se fosse vero.
Effettivamente lo era.
Tendeva ad essere costantemente trattenuto e a modo, un esserino dall’apparenza super delicata, peccato che poi tirava fuori certe espressioni indicibili da cecchino.
- Ma cosa nasconde quella robina? - Non era poi tanto piccolo, Fernando, però aveva l’aria di uno che lo era.
- Di chi parli? - Chiese Juan.
Didier si riscosse dai propri pensieri ad alta voce e fissandolo indicò col capo Fernando che usciva con tutti loro dal campo. Aveva fatto una partita discreta ma sembrava per niente contento.
- Quello punta alla perfezione, non è pane per i tuoi denti! - Esclamò spontaneo passandogli oltre. Didier lo fissò stralunato e lo inseguì agganciandogli poco soavemente il collo col braccio, lo soffocò un po’ e poi chiese perentorio:
- Spiegati meglio! - Juan Mata era spagnolo come Fernando ed era normale lo conoscesse meglio rispetto a tutti loro, nonostante questo non aveva mai legato molto con lui, non tanto da difenderlo… bè, non era nel suo carattere correre in soccorso agli altri.
Juan cercò di essere più preciso.
- Fa l’inglesino perché li reputa una specie di razza superiore, gli piacciono, insomma. Non a caso preferisce giocare in Inghilterra. Cerca di amalgamarsi, di essere uno di loro… però in realtà non lo è, è solo uno spagnolo e come tutti noi tende ad essere piuttosto… come dire? Caliente? Solo che odia con tutto sé stesso quel suo lato caratteriale e cerca di soffocarsi. Essendo che lavora su sé stesso da anni alla fine appare veramente come un inglesino snob sulle sue, però quel nasino delizioso non nasconde lo snobismo ma solo voglia di insultare a destra e a manca e di far vedere al mondo chi lui è! -
Didier era sempre più interessato al falso inglesino.
- Continua continua… mi piace questo discorso… - Juan rise, ci avrebbe giurato!
- Lo chiamano El Niño perché ha cominciato prestissimo e a 19 anni era il capitano dell’Atletico Madrid, questo l’ha portato a credersi chissà chi. In effetti era veramente un prodigio. Ha fatto un’ottima carriera e approdato a Liverpool si è letteralmente innamorato degli inglesi e gli inglesi di lui. Finchè purtroppo ha subito un brutto infortunio che l’ha bloccato facendogli perdere la sua splendida forma. Ora testardamente vuole recuperarla per tornare a riconquistarsi l’amore dei suoi adorati inglesi. È solo un falso inglese perché punta alla perfezione e ritiene che questa sia loro. In realtà è tutta apparenza… sotto ha ben altro! - Didier si leccò le labbra spontaneo immaginandosi Fernando correre con eleganza e poi insultare mentalmente chiunque osasse incrociare il suo cammino.
- Dev’essere una bestia a letto! - Gli sfuggì. Juan si piegò dal ridere e fu proprio mentre entravano negli spogliatoi ed il caro Fernando, nudo, stava andando nelle docce per lavarsi.
Juan smise di ridere indegnamente e Didier si raddrizzò fissandogli intensamente il sedere. Aveva un bel fisico. Non bestiale come il proprio ma lui era lui, nessuno poteva competere -di questo avrebbe dovuto parlarne con Cristiano…-
E poi aveva i tatuaggi, quelli erano indicativi.
- Avrei dovuto capirlo… -
- Da cosa? Lui è effettivamente bravo a fingere… -
- Dai tatuaggi! Quelli non mentono mai! Un vero inglese non se li farebbe mai! Quello è proprio un falso! - Fernando ovviamente aveva di nuovo sentito e, di nuovo, aveva fatto finta di niente. A forza di fingere gli sarebbero scoppiate le coronarie!
- Guarda che ti sente, la pianti di parlare di lui come se non ci fosse? - Juan questa volta lo riprese e Fernando lo ringraziò mentalmente, ma Dider ovviamente si girò con uno sguardo brillante e poco raccomandabile.
- Ma lo faccio apposta… - Juan ci avrebbe giurato e scuotendo il capo cominciò a ridacchiare ben sapendo a cosa si riferisse. - Devo provocarlo! Lo farò scoppiare finchè non uscirà allo scoperto! - Juan, sempre con i suoi modi semi divertiti e semi seri, lo superò borbottando:
- Ha sentito anche questo! -
Ma la risata dell’attaccante inquietò fortemente il povero ‘bimbo’ sotto le docce che inghiottì a vuoto appuntandosi mentalmente di chiamare Sergio per chiedergli consiglio.
Tutti i suoi sforzi stavano andando a farsi benedire!
Quello fu comunque solo l’inizio perché da lì in poi per Didier ‘l’operazione El Niño’ sarebbe diventata una missione!
 
Non poteva parlarne a casa, aveva moglie e figli, ma aveva bisogno comunque di farlo o sarebbe scoppiato, quindi messo su in auto il cd che Sergio gli aveva fatto con le musiche tipiche spagnole per rilassarlo, rimase nel parcheggio del club prima di avviarsi verso casa, pensando erroneamente di avere un po’ di privacy almeno lì.
Quando chiamò Sergio era un po’ tardi ma sapeva di trovarlo sveglio.
Sergio rispose subito.
- Che succede mio caro Niño? - rispose squillante ed allegro, la musica in sottofondo era da parte di entrambi ma quella di Sergio era da discoteca, sicuramente era in un locale. Fernando abbassò un po’ la propria e seccato gli ordinò capriccioso:
- Esci da ovunque tu sia che non capisco un cazzo! - Se l’avessero sentito parlare così sarebbe stata la fine della sua egregia figura di essere pseudo perfetto che non diceva una parolaccia nemmeno a pagarlo oro!
- Ai suoi ordini, sua maestà! - Sergio lo prendeva sempre in giro, era uno dei primi ad averlo ‘scoperto’ e si vantava sempre di questo. A dire il vero era anche uno dei primi ad essere entrato nel suo letto e averlo fatto gridare di piacere in modo quasi indecente. Bè, si poteva dire l’unico.
Fernando sbuffò, poi attese e quando sentì silenzio dall’altra parte cominciò a lamentarsi di Didier.
- Quello stronzo ha capito tutto! Juan, quel maledetto chiacchierone, gli ha spifferato ogni cosa! Ora si è messo in testa di farmi uscire allo scoperto! Perché poi non lo capisco, cosa gliene frega, insomma, se io cerco di fare l’inglese anche se in realtà sono uno spagnolo? Che si faccia i cazzi suoi! È sempre lì che parla di me come se non ci fossi sapendo che invece lo sento. Ed io fatico a far finta di niente! Oggi ho risposto male ad uno in campo e lui era lì ed ha sentito, quindi ha cominciato a fissarmi. Sai quante smorfie faccio quando gioco perché penso peste e corna dell’universo? E lui le avrà viste tutte! E poi arriva Juan, quel maledetto… - La risata di Sargio fu così acuta da dover staccarsi il telefono dall’orecchio.
Non che ora le sue smorfie fossero meno atroci e truci!
Continuava a farne di sempre più incazzate ma era convinto di essere solo. Gesticolava e picchiava il volante come un posseduto. Solo quando Sergio smise di ridere lui appoggiò la nuca al sedile e chiudendo gli occhi sospirò per calmarsi.
- Cosa devo fare, Sergio? Ora mi tormenterà ed io non voglio… quello è te all’ennesima potenza! Un carro armato privo di cuore nato solo per rompere il cazzo alle persone! -
Non lo conosceva bene e non si era dato pena per riuscirci, l’aveva giudicato anche lui dall’apparenza ma non gli interessava… di fatto non era un Santo.
Sergio rimase in silenzio a pensarci, poi con voce stranamente calma, come se invece pensasse a qualcos’altro che non gli avrebbe mai e poi mai rivelato, disse:
- Intanto ascolta il mio CD, poi rilassati e fai yoga! Vedrai che non farà niente! E poi che dici, nessuno è come me! -
- Ma no però è insistente… come te ha capito che nascondo qualcosa e mi tormenterà finchè non lo tiro fuori. Proprio come hai fatto tu. I vostri modi sono diversi, tu mi hai fatto uscire di testa seducendomi, lui non credo. Probabilmente mi farà mille dispetti infantili ed io ad un certo punto urlerò insulti da scaricatore di porto. - Fernando sospirò amareggiato prevedendo un finale tragico per sé stesso, non sentì Sergio fare altrettanto ma per un motivo diverso.
Era come se sentisse che si stavano allontanando.
Non aveva mai avuto di questi problemi, non giocavano nello stesso Stato o nella stessa squadra, però erano in Nazionale insieme e questo gli era sempre più o meno bastato. Il legame che avevano instaurato bastava anche se non si vedevano sempre. Erano comunque sempre al telefono ed appena avevano un momento, un’ora di volo ed erano in camera insieme. Si consultavano per tutto, vivevano in simbiosi e poi Sergio era stato il primo ad arrivare al vero Fernando.
Come poteva, ora, dubitare di loro?
Didier era solo l’ultimo arrivato che puntava al suo caro Niño che era suo e solo suo.
Si erano fatti il patto di non ritenersi una vera coppia, né tanto meno dei veri amanti. Non si dicevano cose sentimentali, non si erano mai dichiarati veramente, però si comportavano come tali.
Sergio andava con tutti quelli che voleva, la sua anima di puttana non gli lasciava scelta, e Fernando era comunque sposato e con figli. Al di là di questo non era uno che andava con tutti e non ne sentiva nemmeno il bisogno. Andava con Sergio quando si vedevano perché con lui era diverso. Lui aveva tanto fatto finchè non era riuscito ad entrargli dentro -in tutti i sensi- e a vedere il vero Fernando.
Questi era ormai dipendente da lui e ringraziava sentitamente quella distanza perché altrimenti non avrebbe più saputo gestire la relazione, si sarebbe sentito troppo coinvolto e lui non voleva, ne aveva il terrore più sentito.
Però a conti fatti non riusciva a fare a meno di lui, della sua voce, dei suoi gesti pazzi… gli aveva fatto quel CD spagnolo per rilassarlo perché sapeva che tendeva ad innervosirsi facilmente, per colpa del suo trattenersi sempre.
- Dai, ormai la stagione sta per finire, avete un ultimo giro di boa e poi torni in nazionale da me. - Disse Sergio stranamente senza scherzare. Fernando lo trovò strano ma non ci fece eccessivamente caso, sospirò, lo ringraziò con un tenero sorriso che sperava di non aver mostrato a nessuno, e sentendosi veramente meglio mise giù il telefono per poi ripartire verso casa.
Peccato che la sua era solo illusione. Era ovvio che quando pensava di non essere visto, qualcuno posto nell’ombra ad averlo spiato c’era di certo.
Didier Drogba era il suo nome!
Didier che aveva visto ogni sua espressione facciale reputandole tutte deliziose e strabilianti per la versatilità. Era anche piuttosto divertente.
“Quello sarà mio!”
Ignorò platealmente la sua conversazione con questo misterioso qualcuno che aveva la fortuna di conoscere il vero Fernando e soprattutto quell’espressione dolce finale. Queste cose non contavano, cambiavano in continuazione.
Didier era troppo sicuro di sé stesso per desistere in partenza. Oltretutto amava le sfide e quel ragazzo ne rappresentava una bella grande!