CAPITOLO XVI:
SOLO LI’ CON LUI

Alla fine Jacoby aveva praticamente obbligato tutti a fermarsi lì a guardare un film insieme. Non era certo possibile opporsi quando lui ordinava qualcosa… prendeva tutti per asfissia e nessuno si salvava!
Il film era l’ultimo dei Transformers, il terzo, dove i Linkin Park con Iridescent avevano fatto la colonna sonora.
Essendo praticamente tutti cresciuti con quel cartone, era venuto spontaneo mettere su il film per guardarlo insieme. Non che non l’avessero già fatto al cinema, ma insieme era diverso ovviamente… e poi era uno dei preferiti di Jacoby e Mike!
La televisione era a schermo ultrapiatto ultimo modello grande quasi quanto tutta la parete, impianto sonoro da urlo e divani e poltroncine a volontà extracomodi. Pop corn e birra per contorno.
Nel divano più lungo erano seduti i tre apocalittici più Jerry. Traduzione: Chester, in mezzo Mike, poi Jacoby e Jerry.
Non è che fossero semplicemente seduti, non tutti per lo meno. Ovvero, Chester, Mike e Jerry ovviamente sì, ma Jacoby non poteva essere che fosse come tutti i normali esseri umani, infatti si trovava mezzo steso su di loro. Tutto storto, le gambe sopra Mike e Chester -il quale era stato battuto da lui per una frazione di secondo poiché aveva giusto pensato di fare la stessa cosa…- mentre il busto era tutto sopra Jerry.
Non si discuteva nemmeno sulle sue posizioni comodissime per sé e scomode per gli altri. Lui decideva così e basta, chi si ribellava era peggio per loro!
Chester aveva brontolato ma poi Mike l’aveva rabbonito con un sussurro all’orecchio ‘guarda su chi ha messo la testa!’ che sembrava tanto il commento di due ragazze amanti dello slash!
A quello il compagno non si era più lamentato e si era tenuto i piedi di Jacoby ben volentieri!
Jerry ovviamente era abituato a questi suoi modi e lasciato che si mettesse comodo come meglio credeva, si ritrovò la testa sul petto, di conseguenza il braccio non poté che metterglielo intorno al torace a sua volta, casualmente appoggiato senza apparente caso.
Jacoby era una persona notoriamente iperattiva, era raro che stesse comunque fermo e tranquillo ma soprattutto zitto. Se si concentrava per il silenzio, di conseguenza, doveva colmare tanto controllo con altre attività.
Sostanzialmente o stava zitto o stava fermo.
Ci riusciva a fare entrambe le cose solo all’inizio, poi quando arrivavano le scene romantiche che lui definiva svenevolmente smielate, si imbarazzava -proprio come un bambino- e cominciava a muoversi e a fare dispetti.
Il primo tentativo fu con i piedi ma se li ritrovò quasi mozzati da Chester. A Mike non avrebbe comunque fatto niente, viste le sue ormai famose e pericolose vendette, quindi ovviamente si trovò ben presto a concentrarsi unicamente su Jerry, in ogni caso il suo passatempo preferito.
Di conseguenza mani.
Mani ovunque, sempre, di continuo, senza mai fermarsi, costantemente.
Così, di punto in bianco, da che guardava il film fermo e tranquillo a che, mentre i due protagonisti si baciavano, con la mano saliva sul viso del povero Jerry che voleva solo guardarsi beato la televisione.
Una volta sul viso gli tormentava tutto ciò che gli trovava alla cieca, potevano essere gli occhi, il naso, la bocca, le guance, i capelli, le orecchie, il pizzo. Le prendeva e ci ficcava le dita dentro o magari tirava e girava e stringeva e pizzicava!
Finchè non osò una tirata di troppo di capelli -Jerry li portava lunghi e sempre ordinatissimi intorno al viso, la mattina stava ore a sistemarseli e se non erano perfettamente lisci come voleva, non usciva. Sostanzialmente permetteva solo a Jacoby di toccarglieli e solo se si limitava a qualche sfioramento discreto. Considerando che poi quello non aveva nel dizionario la parola discreto, quando esagerava, sempre e sistematicamente, quell’altro lo fermava.- e Jerry gli prese stufo marcio la mano dispettosa e stringendogliela, gliela ancorò al petto in modo da tenergliela ferma. Di tanto in tanto cercava di sfilarla e tornare su ma lui la teneva sempre giù per bene stretta nella sua fino a che Jacoby capendo che non si sarebbe mai liberato, smise di combattere e si rassegnò, o così parve.
Avvenne con l’intreccio delle loro dita che fu cercato proprio da lui. Quando Jerry sentì che allacciava la mano alla propria in quel modo in evidente tregua, non sfuggì a quel contatto intimo e strano e lo accettò di buon grado, seppure con profondo stupore.
Rimasero così a toccarsi e tenersi per mano come due fidanzati e nonostante uno si rendesse conto che non era poi tanto normale un atteggiamento simile, per l’altro pareva naturale come respirare.
Jacoby infatti si tenne la mano nella sua e le dita intrecciate insieme contro il proprio petto per tutto il tempo del film e con questo si calmò al punto da stare buono per il resto del tempo, un resto effettivamente molto tragico e drammatico ma comunque che non avrebbe mai fermato il clown in condizioni normali.
Jerry non si fece domande, non osò sapendo che comunque non avrebbe mai trovato risposta, però benedì Michael Bay che aveva fatto il film così lungo e benedì Mike e gli altri per l’atmosfera meravigliosa che la loro canzone aveva reso nei momenti principalmente cruciali.
Momenti in cui Jacoby aveva sentito tanto la tensione stringendogli istintivamente la mano.
Ma se avrebbe dovuto rispondere al perché provasse tanta gioia, il chitarrista non avrebbe mai saputo rispondere.
Mike naturalmente lo notò e sgomitando discreto Chester gli mostrò le loro mani allacciate, perfino quest’ultimo sorrise sciogliendosi. Erano davvero un quadro di tenerezza, specie perché solitamente Jacoby faceva venir voglia di ucciderlo in dolorosi modi e non certo di abbracciarselo e coccolarselo tutto!
Naturalmente si accontentò della spalla di Mike a cui si appoggiò fregandosene altamente di chi ancora non sapeva che stavano insieme o di chi non l’aveva intuito da solo o che poteva fraintendere e pensare male.
Mike sorrise dolcemente a quel gesto che comprese perfettamente e carezzandolo fugacemente con la propria testa, rimase fermo e tranquillo con lui addosso, così come Jerry aveva fatto con Jacoby.
Una serata ed un film molto illuminanti, complessivamente.
Decisamente.
Per Jacoby semplicemente non ci fu spiegazione poiché non era stato un gesto sensato, pensato e ragionato, l’aveva solo fatto ed una volta che si era ritrovato la sua mano nella propria ben intrecciata in quel modo intimo e profondo… bè, si era sentito semplicemente bene, presente, contento. La calma l’aveva colto e come per magia era svanita ogni frenesia del muoversi, niente più imbarazzo per le scene romantiche, niente che potesse importargli o farlo muovere. Aveva solo sperato che il film fosse infinito.
E nelle parti clou dove c’era Iridescent che faceva tanta atmosfera, aveva stretto la presa sperando di poter avere, per assurdo, più della sua mano da tenere.
Alla fine il suo umore precipitò, quando tutto quello si concluse, e cupo e chiuso a riccio li guardò andarsene in albergo per rivedersi il giorno dopo e concludere la canzone.
Non si era alzato, non li aveva salutati e non aveva detto mezza parola.
Era rimasto raggomitolato nel divano ad abbracciarsi le ginocchia e mordicchiarsele contemporaneamente, nervoso e corrucciato.
Quando anche gli amici di Mike e Chester se ne furono andati e quest’ultimo andò a mettersi comodo nella solita tenuta da casa notturna, ovvero in boxer, l’altro decise di approfittarne.
Aveva visto Jerry rimanerci male, smarrito di quella sua reazione, ma a lui appariva così chiaro che non poteva non dare una mano.
Con aria consapevole e placida si sedette con l’amico e senza toccarlo si mise comodo in modo da guardare il suo profilo ma non forzarlo in alcun modo a ricambiare, toccarlo o fare qualunque altra cosa.
- Lo stai capendo, vero? - Sapeva anche perfettamente che Jacoby sembrava un bambino schizofrenico ma che in realtà non lo era. Erano solo degli atteggiamenti che non significavano che poi lo fosse veramente…
Jacoby sussultò nell’accorgersi di lui, quindi si girò e nel vederlo seduto accanto sciolse la sua posizione tuffandosi impulsivamente fra le sue braccia, cercando e trovando rifugio in esse.
Non era facile per nessuno rendersi conto di certe cose, per lui meno che mai. O magari poteva sorprendere tutti ancora una volta, perché quello lo sapeva fare davvero bene…
Mike l’accolse cingendogli dolcemente la schiena, quindi con un sorriso fraterno se lo tenne con sé dandogli tempo. Quando Chester arrivò e li vide così, si accese una sigaretta e si sedette dall’altra parte preparandosi ad una lunga notte.
Da un lato aveva sperato di poter avere Mike tutto per sé ma dall’altra era curiosissimo riguardo quella telenovela interessantissima!
Cominciava a capire il senso dell’esistenza di Cupido -perché certamente quell’essere alato esisteva!-
Dopo un po’ di confortevoli carezze, Jacoby si decise a parlare e sussurrò contro il suo petto dove il viso era nascosto:
- Sono nella merda! -
Mike ritrattò mentalmente. Non lo stava capendo. L’aveva già capito. Sorprendentemente veloce, doveva aggiungere!
Scambiandosi uno sguardo eloquente con Chester che questi ricambiò con stupore ironico, disse mantenendosi invece tranquillo:
- Perché? -
- Potrei dirti perché sono sposato e lui è impegnato con un’altra ma specialmente perché io per lui sono solo un amico. Forse. Se non peggio, cioè solo un piantagrane di cui deve puntualmente risolvere i casini! -
Chester allora prese la parola e dandogli uno schiaffo sulla schiena, disse spavaldo:
- Ma piantala, non fare il disfattista! Ci hai parlato? Sai precisamente come la pensa e cosa prova? -
Jacoby si separò e tornò a sedersi bene per guardare anche l’altro, quindi fulminatolo con uno sguardo tenebroso pessimo, ringhiò rabbioso:
- Certo che lo so, non serve mica me lo dica! Sembro pazzo ma non lo sono! Le capisco le cose, come mi guardano gli altri… come se fossi appunto un peso, un fottuto piantagrane di merda! -
Chester odiava questi discorsi ma soprattutto non sapeva come si metteva a freno la lingua!
- Sembri una barzelletta vivente! Cazzo, Coby, non puoi farmi questi discorsi dopo che vai a dire in giro che confondi i confini e le cose, capisci che le due cose non vanno fottutamente d’accordo?! O capisci o non capisci, non c’è posto per entrambe, porca puttana! - Mike storse le labbra ma convenne con lui, anche se non sui modi, infatti vedendolo agitarsi pronto per morderlo, gli mise una mano sulla testa e parlò calmo:
- E’ la solita bestia nel dire le cose ma in un certo senso ha ragione. Cioè… è vero che a volte confondi le cose, ma è anche vero che non sei pazzo e che capisci ciò che ti succede intorno. È complicato da spiegare perché tu lo sei. Tu sei tutto e niente, semplice e complicato insieme. Però posso aggiungere una cosa… - Jacoby lo fissò intensamente e serio come fosse questione di vita o di morte, Mike vide i suoi occhi grigi presenti e decise, con un sorriso certo, di dirglielo: - Bisogna mettere chiarezza nella vita caotica che viviamo tutti i giorni. Magari sei tu che non capisci, magari è effettivamente un casino, ma in ogni caso il risultato non cambia. Devi parlare e chiedergli che sia chiaro. Fagli domande dirette così come ti vengono, tu sei così, lui ti conosce. Non cercare di capire da solo, farai solo più casino. -
- Sì cazzo, vai là e gli chiedi cosa prova per te! E gli dici anche di essere chiaro e semplice e farsi capire bene, così che tu non fraintenda o non ti confonda! Punto! Non c’è altro! Poi in caso ti deprimi! -
Aveva passato gran parte della sua vita a vivere in quel modo, a dare risposte prima che gli altri gli facessero domande ed aveva naturalmente rovinato tutto, voleva evitare che anche Jacoby affondasse come era successo a lui.
Perché uno così instabile che viveva una crisi amorosa simile non si poteva sapere poi che fine potesse fare.
Al sorriso di risposta capirono che era tornato e che era d’accordo. Lo videro ridere ed illuminarsi come un bambino che aveva trovato una probabile soluzione importante, si sentirono cingere i colli e attirare a lui con quella sua tipica forza esuberante. Rimasero così contro di lui, fra le sue braccia possenti per qualche istante, fino a che poi con un bacio a testa sulle teste non li aveva mollati per alzarsi.
I due poi l’avevano guardato allibiti e preoccupati avevano detto in perfetto coro:
- Mica vai adesso?! - Era presto, comunque sarebbe stato meglio ci ponderasse un pochino e lo facesse l’indomani a mente lucida.
Jacoby che già si stava mettendo le scarpe, li guardò e semplicistico rispose:
- Certo, cazzo! Domani finisco per cambiare idea ed è importante invece che lo faccia. E poi pensate che riuscirei a dormire? Cosa pensate che faccia se non riesco a dormire? Vi rompo le palle! È questo che volete? -
Mike e Chester, ovviamente, risposero di nuovo in coro, sempre in perfetta sincronia:
- Vai pure e auguri! -
Jacoby uscì ridendo!


Il suono del telefono lo svegliò che si era appena addormentato e il primo a lamentarsi fu Tony il quale con un insulto particolarmente colorito gli tirò il cuscino nella speranza di colpire il comodino e far cadere il cellulare.
Naturalmente prese Jerry che si svegliò e rispose con voce insonnolita e roca.
Dall’altra parte esitò.
- Chi è? - Non aveva avuto tempo di leggere nel display anche perché non aveva nemmeno aperto gli occhi, quindi al terzo chi è aprì mezzo occhio e sbirciò il nome.
Nel giro di un secondo aveva gli occhi sgranati ed era in piedi sveglio e shockato.
- Coby, che è successo? - Che lo chiamasse in piena notte dopo una giornata passata insieme non era normale, specie perché poi fra qualche ora si sarebbero rivisti…
- Puoi uscire dall’albergo? Questi pezzi di merda non mi fanno entrare e non mi vogliono dire qual è la vostra camera! Pensano che io sia solo un esaltato sclerato fuori di testa che imita Jacoby Shaddix dei Papa Roach! -
- Se lo fai entrare ti strozzo, voglio dormire. - Borbottò fintamente calmo Tobin che aveva sentito chiaramente le urla furiose di Jacoby.
- E sbrigati che a momenti lo sente tutto l’albergo! - Replicò Tony sentendo degli schiamazzi provenire dall’esterno.
Jerry agitato rispose che arrivava subito e mettendo giù la comunicazione si infilò i jeans e la maglietta senza pensare a nient’altro, quindi anche sullo spettinato andante e tutto arruffato uscì lasciando in camera tutto, dalle chiavi, al cellulare.
Lo stato d’animo con cui scese nell’ascensore fu memorabile, mille idee gli si alternavano nella mente nel cercare di capire cosa avesse ora Jacoby, ma nessuna si avvicinava alla realtà e quando finalmente raggiunse la hall ed uscì, trovò il ragazzo fuori che sbraitava contro il portiere che cercava di farlo stare zitto. Invano.
A quello non poté che sorridere divertito e facendo un cenno all’uomo che cercava solo di fare il suo lavoro, si sostituì a lui cingendogli istintivamente le spalle per calmarlo.
Fu un gesto protettivo fatto senza pensarci e decisamente tenero di suo, non se ne imbarazzò, voleva solo farlo smettere di gridare e funzionò all’istante perché Jacoby finalmente smise di gracchiare con la sua voce tanto melodiosa e sexy quanto potente!
- Coby, Coby, smettila, sono qua! - Disse cercando di mantenersi calmo e di non ridere.
Quando Jacoby realizzò che il braccio che lo stava circondando era il suo, si rilassò nel giro di un istante brevissimo e come se gli avessero staccato la spina, il cantante lo guardò con un sorriso radioso a trentadue denti.
Jerry interdetto si fermò, era pronto all’inferno in realtà ed invece eccolo lì placido come un agnellino.
- Cosa c’è? Perché non potevi aspettare domani mattina? - Jacoby in quel momento che lo fissava da circa cinque centimetri, registrò la domanda e senza pensare al luogo e al cosa fece per rispondere subito seduta stante senza eludere niente e mitigare una virgola.
Furono dei fischi poco simpatici a distrarli e fargli rendere conto della situazione.
Erano sul marciapiede davanti ad una strada pubblica, mezzi abbracciati che si guardavano come due innamorati.
Jacoby faticò a tenersi a freno dal saltare alla gola al gruppo di ragazzini che li aveva accusati di chissà quale misfatto osceno e Jerry faticò non poco a tenere lui fermo. Capendo che qualunque cosa dovesse dirgli quello non era il posto, si chiese dove potessero andare. Non aveva idea di che cosa doveva parlargli di conseguenza vedendo l’ora tarda e per nulla intenzionato a disturbare oltre la coppia che di certo stava facendo le loro cose a casa propria -Chester e Mike-, lo trascinò dentro in albergo.
Nella hall chiese una stanza libera per due e con quella che qualunque argomento dovesse affrontare con lui era sempre il caso di farlo il più isolati possibile, trovò un po’ di privacy.
Quando Jacoby si rese conto che Jerry l’aveva portato in una camera vuota per stare soli in santa pace riuscì addirittura ad arrossire e quando l’amico si rese conto che si era appena imbarazzato sgranò gli occhi cercando di accertarsene. Non poteva crederci, era praticamente impossibile. Non era mai successo da che lo conosceva e più lo fissava più ne trovava conferma e più se ne sconvolgeva.
Si avvicinò a lui prendendolo per le braccia, quindi gli alzò il mento con un dito e cercando di rilassarlo, spaventato all’idea che tornasse ad agitarsi -e Coby agitato era una tragedia-, disse piano:
- Che c’è, allora? Qua non ci disturberanno… dimmi tutto, sembra importante, se mi hai buttato giù dal letto a quest’ora! -
A quel tocco Jacoby sembrò riprendersi e tornando a registrare per la seconda volta la domanda, si decise a rispondere con sincerità seguendo il consiglio di Mike e Chester di essere onesto e chiedergliene altrettanta, con quanta più chiarezza possibile.
Si concentrò su quello ma da quando aveva realizzato i propri sentimenti a quando era arrivato il momento effettivo di dirglieli era passato così tanto e ne erano successe talmente troppe che sebbene avesse creduto di sapere per cosa era lì, al momento di aprire bocca rimase proverbialmente bloccato.
Non che si fosse dimenticato il motivo per cui era lì ma la propria chiarezza che aveva provato parlando con i suoi due amici, era appena caduta nella nebbia più totale per colpa di Jerry, delle sue mani che lo toccavano così innocentemente e del suo sguardo troppo ravvicinato e premuroso. Sembrava ci tenesse davvero a lui.
Perdendosi nel suo sguardo attento si fermò incapace di distogliere il proprio e parlare. Di nuovo quel blocco maledetto, di nuovo quel fuoco assoluto, di nuovo un caldo micidiale, di nuovo una confusione tale da non capire più niente.
Non sapeva più come calmarsi e fare chiarezza, non sapeva proprio più come fare, dannazione… era lì per parlargli di sé e dei propri sentimenti per lui, perché gli piaceva e pensava potesse essere lui la persona capace di ancorarlo sul mondo e dargli la pace e la serenità che cercava, però non sapeva più come dirglielo, era come se le parole giocassero a flipper. Si scaraventavano sulle pareti del suo cranio e tornando indietro si confondevano spostandosi di posto senza presentargli più frasi sensate. O per lo meno secondo lui.
- Coby? - Quando lo spronò con calma, capendo che era in confusione, Jacoby non resistette più e seccato dal proprio stato assurdo di totale incomprensione con sé stesso, imprecò e mandando un generico ‘fanculo’ decise di andare ad istinto, tutto ciò che gli rimaneva e che non lo abbandonava mai.
Qualcosa avrebbe fatto, poi comunque era Jerry. Avrebbe capito. Jerry capiva sempre. Jerry andava sempre bene. Jerry era tutto.
Così facendo, Jacoby si allungò su di lui e prendendogli il collo della maglietta l’attirò a sé quindi con assoluta non gentilezza si prese le sue labbra.
Jerry rimase inebetito senza parole perché su tutte le sue pazzie quella non era ancora accaduta, non se la sarebbe mai aspettata e soprattutto non avrebbe mai immaginato di potersi spegnere in quel modo.
Le sue labbra con quelle morbide curve a cuore erano calde e umide, sembrava affamato, come se lo stesse per divorare. Frenetico si era impossessato delle proprie ed altrettanto frenetico l’aveva invaso prendendosi la supremazia della bocca. Incapace di rifiutargli la lingua, gliela diede ed incapace di non chiudere gli occhi, si abbandonò a quella sensazione ubriacante di pura follia.
Fu così che nel tentativo di riportare Jacoby alla realtà, si perse lui nel suo mondo di follia e ci si trovò talmente bene da spaventarsi.
Se quello era il modo in cui viveva Jacoby allora non voleva andarsene.
Non voleva proprio più tornare nel proprio e allontanarsi ed essere razionale e saggio.
Averlo lì, finalmente e veramente lì con lui, completamente, fu elettrizzante e meraviglioso, qualcosa di talmente meraviglioso da non avere paragoni, per lui.
Con le mani scese alla sua vita e fu solo per calmarlo perché lo stava portando in un vortice troppo vorace, perdendosi lui stesso decise di rallentare per goderselo meglio e con sicurezza prese il controllo del bacio. Una mano al fianco e l’altra sul lato della testa, lo carezzò calmo e dolcemente quindi lo sentì immediatamente placarsi, come se si sospendesse ed improvvisamente si dimenticasse come si baciava, cosa stesse facendo e perché.
Jerry per un momento pensò che si sarebbe staccato e messo a gridare ma sentì del salato fra le loro labbra, nel sapore che si scambiavano fondendo le bocche e le lingue, quindi toccandogli meglio la guancia la sentì bagnata.
Uno di quei suoi sbalzi allucinanti d’umore.
Come poteva fare per recuperarlo e calmarlo?
Cosa avrebbe dato per riuscirci, cosa avrebbe fatto… non sapeva proprio come, sapeva solo che voleva tranquillizzarlo.
Lui e la sua capacità di gridare prima e piangere subito dopo magari per lo stesso motivo.
Troppo instabile, troppo… quando lo sentì singhiozzare nella sua bocca se lo separò e smise di baciarlo, quindi lasciò che nascondesse il viso contro il proprio collo con fare infantile.
Non voleva farsi vedere mentre piangeva a dirotto, ma non riusciva a fermarsi. Se lo strinse dispiaciuto e smarrito, non sapeva più cosa fare per lui, voleva solo che stesse bene, che quella tempesta interiore si placasse, voleva solo che andasse tutto a posto, il resto non contava. Era lui che importava sopra ogni cosa e senza rifletterci, seguendo un istinto che solitamente faticava a frenare spaventato all’idea di destabilizzarlo o confonderlo, mormorò piano baciandogli la testa e carezzandolo sulla nuca e la schiena.
- Sono innamorato di te e non so più cosa fare per farti stare bene. A volte sembra che sia io a mandarti fuori di testa. Sono io davvero, Coby? Devo lasciarti in pace? Mi è sembrato che in questo periodo senza di me tu sia stato meglio ed ora che siamo tornati a vederci sei di nuovo così confuso e smarrito… è colpa mia? Devo andarmene? Se standoti lontano ti aiuto allora non esiterò perché farei tutto per te. Non importa come ma voglio farti stare bene. Dimmi cosa posso fare. È colpa mia questa tua tempesta? - Non sapeva più cosa fare, i ragionamenti non l’aiutavano più, tanto meno le strategie. Alla fine, arreso, si decise per le parole più sincere e chiare possibili, semplicemente così com’era, né più né meno.
Rafforzava la presa sul compagno, era come incapace di accompagnare i fatti alle parole. Se avesse dovuto lasciarlo andare veramente sarebbe toccato a lui impazzire. Gli piaceva talmente tanto abbracciarlo e stringerlo, come niente in vita sua. Era una cosa assurda e malata, forse, ma gli piaceva. Gli piaceva e basta. Così com’era, con le sue bizzarre assurdità e le sue profonde instabilità emotive.
Gli piaceva.
Jacoby capì il significato delle sue parole in un secondo momento, quando se le ripeté da solo nella mente e quando capì cosa stava dicendo ebbe uno scatto irripetibile, come se la follia vera dovesse impadronirsi di lui come anni fa era accaduto. Alzò infatti velocissimo il viso dalla sua comoda postazione e guardandolo puramente terrorizzato lo prese per la maglia, di nuovo, e scuotendolo con violenza disse avvicinando il viso al suo, agitato come un forsennato.
- No no no no no… non andartene, non puoi andartene e lasciarmi, non farlo mai, nemmeno per scherzo. Non pensarci minimamente, cazzo! Tu sei l’unica cosa sensata per me in questo momento, voglio solo te, sei solo tu che mi fai vedere bene, sei la mia ancora, sei il mio sfogo, sei la mia pace, sei il mio fottuto controllo, sei tutto, tutto. Non lasciarmi, non lasciarmi mai, cazzo, non puoi andartene, non puoi. Sono pazzo, è vero. Quando sono con te schizzo come un fottuto folle ma non è perché non riesco a stare con te è perché ti voglio, ti voglio troppo ed in un modo che non mi è mai successo con niente in vita mia ed il fatto di averlo represso per tutti questi anni perché cercavo di capire cosa fosse giusto e sbagliato e cazzo ci riuscivo solo per quel che ti riguardava e niente altro, mi ha fatto diventare così fottutamente matto quando sto con te. Non riesco più a controllarmi, con te. Ti voglio troppo ed io penso solo che per te sono un peso e che non mi ricambi e che non mi vuoi e che sono solo un piantagrane del cazzo da gestire e tenere buono… o solo il tuo cazzo di cantante… ed io sto male all’idea di non poterti avere come vorrei, ma ti prego, ti prego. Non prendermi per il culo ma nemmeno non andartene. Se è vero… se è fottutamente vero quello che provi per me non nasconderlo, non trattenerlo, dimostramelo, fammelo sentire. Ho bisogno di averlo sulla pelle, di sentirlo dentro, di averlo senza un minimo dubbio in modo che io non vacilli più. Se è vero, cazzo, dimostramelo. Perché io ho bisogno di te e dei tuoi sentimenti. Sei la mia pace. Sei tutto. -
Fu il turno di Jerry di piangere, perso nei suoi occhi grigi ora tempestosi, ora trasparenti e pieni di lacrime sia di rabbia che di smarrimento e dolore.
Un mare in agitazione si abbatteva in lui, una tempesta atroce che lo investiva e sentendosi protagonista di tali sentimenti incredibili si rese conto di quanto male gli avesse fatto in tutto quel tempo nel tentativo di fargli bene. Convinto che per lui dovesse solo trattenersi e non dimostrare niente di quel che provava, l’aveva spinto forse alla follia più estrema.
Terrorizzato come non mai.
Poteva essere meno atroce, quella consapevolezza?
Senza più trattenere un solo sentimento, pensiero, intenzione, istinto, Jerry decise che per il bene e l’amore di Jacoby si sarebbe lasciato andare in modo completo senza il minimo vago freno.
Era ora di dargli tutto, quel tutto di cui quel ragazzo aveva bisogno per andare avanti in quel suo mondo estremo di cui si era perdutamente innamorato.
E glielo diede.
Non rispose, non disse parole inutili, gli diede la dimostrazione che aveva chiesto e senza controllare un bacio che non poteva essere placato, si lasciò trasportare dal sentimento assoluto che provava per lui divorandosi la bocca di Jacoby che gli diede smarrito e sorpreso.
Jerry così impetuoso non l’aveva nemmeno mai sognato ma sentendo come se lo stringeva addosso quasi con bisogno, sentendo le sue unghie nella carne delle braccia, capì che lo voleva, capì che era tutto vero e che non l’aveva preso in giro.
E decise che quelle erano lacrime vere, sentimenti autentici, desideri profondi.
Tutto vero.
Tutto lì per lui.
Tutto reale.
Si aggrappò alla sua schiena ed infilò disperatamente le mani sotto la sua maglia, sentì la sua pelle calda e liscia e si rilassò istantaneamente. Tutto tornò su una dimensione umana ed accettabile e senza il solo dubbio su cosa fosse vero o meno e su quali fossero i limiti e quale fosse la fantasia, il buono, il cattivo, il giusto e lo sbagliato, si lasciò cadere nel letto dietro di sé trascinandosi il compagno sopra.
Non volle fare niente, le forze lo abbandonarono così come l’eccitazione e la frenesia perché dopo la tempesta del secolo ecco la calma ed il silenzio. Tutto fermo. Tutto immobile. Tutto sospeso.
Jerry diminuì il ritmo stendendosi sopra e ricoprendolo, quindi continuò ad intrecciare la sua lingua con calma, come se non ci fossero più paure di mezzo da parte di nessuno.
Ora Jacoby era lì per lui e non se ne sarebbe mai andato, sarebbe rimasto lì e sarebbe stato bene.
E Jerry l’amava, lo ricambiava, lo voleva, era lì per lui.
Non contava niente altro. Limiti e confini, buono o cattivo, giusto o sbagliato, odio o amore, reale o fantasia, presente o passato o futuro, vero o finto. Niente contava, perché ora stava lì con lui ed era tutto perfetto. Era tutto meraviglioso.
Stava bene.
Stava semplicemente bene nel suo caos perché non era lì da solo, Jerry l’aveva raggiunto ed era tutto quello che aveva voluto dall’inizio di quell’incubo chiamata follia.
Non che qualcuno lo capisse e lo fermasse e lo rilassasse, solo qualcuno che stesse lì con lui.
Lì con lui e basta, così com’era, senza cercare di risanarlo e fargli chissà cosa.
Solo lì con lui.
E Jerry c’era.
Abbracciato a lui, accoccolato contro il suo torace, stretto spaventato all’idea che se ne andasse e che fosse tutta un’allucinazione, non osò dire niente, nemmeno fiatare.
Rimase fermo e in silenzio, con gli occhi chiusi a farsi cullare in quella meraviglia del momento.
Ora andava tutto bene.
Fu così che si addormentò e dormì bene e profondamente per la prima volta dopo anni, senza nemmeno un solo incubo.