CAPITOLO XXII:
LA SUA SERENITA’

- Cosa succede, Coby? - Chiese Mike vedendo subito la strana espressione cupa di Jacoby una volta rientrato in cucina a mani vuote.
Anche Chester e Jerry lo notarono e pensando che fosse una delle sue solite reazioni esagerate alla fame, il primo cercò di sistemare le cose prendendolo bonariamente in giro:
- Ehi, se aspetti un po’ non muori di fame, ho quasi finito! - Ma Jacoby disse una cosa che lasciò tutti esterrefatti:
- Non ho fame. - Tutti e tre a quel punto lo fissarono con tanto d’occhi e capirono che la situazione era molto più grave di quello che non avrebbero saputo immaginare.
I due cantanti guardarono subito Jerry che capì toccava a lui, si sentì strano a quel punto: dover scavare in Jacoby per risolvere qualunque cosa lo oscurasse tanto non era una cosa che gli era mai riuscita bene, secondo lui.
- Cosa ti prende? - Chiese cercando di essere diretto ma non brusco, dopo tutti quegli anni che lo conosceva non aveva ancora capito come fosse il caso di rapportarsi con lui e di prenderlo.
Sospirò nel vederlo chiudersi ulteriormente, quindi quando mormorò quasi desolato che se ne andava un po’ in camera, Jerry chiese un muto aiuto con lo sguardo agli altri due. Chester alzò le braccia in alto non avendo idea di che cosa fare e Mike gli sussurrò piano cercando di essere incoraggiante:
- Va da lui e fallo parlare in qualche modo, alla fine qualcosa ne uscirà. - Mike stesso non aveva idee precise in merito, tendeva ad improvvisare con pazienza e tenacia, in realtà era solo molto spontaneo e fermo di conseguenza Jacoby si aggrappava a lui con naturalezza.
Il problema di Jerry era che si faceva troppe paranoie sul come comportarsi per non turbarlo e non farlo scattare in uno dei suoi attacchi di nervoso.
Paura non era il termine adatto ma ci si avvicinava. Paura di non essere adatto a lui, non essergli utile, non saperlo aiutare, non essere abbastanza, non capirlo. Paura di molte cose.
Quando lo raggiunse era seduto sul balcone della finestra aperta e le gambe erano a penzoloni verso l’esterno, sul vuoto.
Jerry rabbrividì sapendo che spesso lo faceva ed ogni volta che lo beccava gli veniva una sincope ma cercava sempre di trattenersi per non spaventarlo e farlo finire veramente giù.
Raggelato e rigido come un manico di scopa mimò un urlo col viso, quindi prese un respiro profondo e trasformò la sua faccia in una maschera di calma. Finta.
Si avvicinò piano e altrettanto piano lo chiamò:
- Coby? - Jacoby si riscosse ma senza spaventarsi, quindi scuotendo appena le spalle non si mosse da lì, gli arrivò dietro e lo prese lieve per i fianchi morbidi; quando gli ebbe circondato la vita di qualche taglia più larga della sua anche se non in maniera imbarazzante ed irreparabile, lo strinse con più forza per impedirgli, in extremis, di cadere giù. Appoggiò a quel punto il mento alla sua spalla e provando a scrutare di sbieco il suo profilo, vide i suoi occhi grigi assenti puntati sull’orizzonte notturno, le luci della città erano molto suggestive e da quella parte non si finiva sulla strada, niente passanti, niente dirimpettai impiccioni, solo il parcheggio sul retro del palazzo e poi un parco famoso per essere il ritrovo di molte coppiette che volevano un po’ di intimità serale.
Jacoby guardava oltre tutto quello, dove il buio inglobava ogni cosa e non permetteva di capire la fisionomia precisa del paesaggio.
- A cosa pensi? - Chiese sperando che gli rispondesse. Era quasi sotto una specie di ipnosi autoindotta e sperò che seguisse la prima voce cauta che sentiva. Fu così ma poi Jerry capì che avrebbe preferito non sentire.
- Che sono bravo a rovinare tutto quello che incontro e non è un fottuto modo di dire da martire del cazzo. Lo sai bene che è così. Ho molti modi per rovinare le cose, a volte lo faccio di proposito altre non me ne accorgo ma il risultato è lo stesso. Qualcosa intorno a me finisce sempre male in qualche fottuto modo. Qualcosa si oscura. Si rovina. Si perde. Si sporca. Non so… non riesco a controllarlo, non so nemmeno da cosa dipenda, cosa io faccia, però so che vivere con me è difficile. È alienante. Stancante. Corrodo dentro come un cancro a lungo andare e tutto sommato non so come tu, Tobin e Kelly siate riusciti a starmi vicino tanto a lungo. Perché sono un fottuto avventato figlio di puttana e basta. Però se c’è una cosa che ho giurato che non avrei mai rovinato in vita mia sei tu. Ed io mi sto accorgendo che invece ti sto rovinando. Sei spaventato, non sai come comportarti con me, non riesci ad essere naturale, a lasciarti andare veramente. Io so, sento che vuoi stare con me e mi vuoi bene e che proprio per questo hai paura a come comportarti ed io non voglio che tu ti senta così. Sento che ti sto rovinando piano piano e non voglio. Non voglio assolutamente. -
Tutto fu silenzio e a Jerry sembrò di essere davanti ad una lama affilata e lunghissima pronta ad infilzarlo da un momento all’altro.
Tratteneva il fiato e non riusciva a staccare lo sguardo liberamente shockato ed incredulo dal suo, Jacoby però non lo ricambiava, continuava a fissare davanti a sé senza vedere niente. Forse non era nemmeno lì con lui, forse stava parlando da solo e non si stava accorgendo di essere col suo compagno. Forse non sapeva nemmeno lui come ma aveva sbagliato tutto in qualche modo…
Ma qual era quello giusto?
Non riusciva proprio a capire…
- Cosa vuoi dire con questo? - Mormorò piano non sapendo più come porsi. Non riusciva nemmeno lontanamente a trovare un modo e fu spontaneo.
Spaventato.
Spaventato che i suoi incubi si avverassero.
- Che non voglio tu ti fotta nel tentativo di starmi dietro! Nessuno può riuscirci e rimanere sano di mente, non esaurirsi, non star male! -
Jerry avrebbe voluto mollarlo e camminare su e giù nevrotico per la stanza ma non lo fece solo per tenerlo fermo e non farlo cadere, però agitato e senza più freni di alcun tipo sbottò completamente fuori dai suoi soliti schemi a cui tutti erano abituati:
- E quindi cosa pensi di fare, lasciarmi ancora prima di stare veramente insieme? - Jacoby con non poco stupore finalmente si torse verso di lui, si teneva alle sue braccia che gli circondavano la vita e lo guardò con occhi sgranati.
- Non vedo altre soluzioni per impedirti di affondare con me. Mia moglie Kelly all’inizio era una tigre pronta a tutto pur di stare con me, ora si è ridotta all’ombra di sé stessa. Non voglio che ti succeda la stessa cosa. Ieri notte ho agito troppo d’istinto come mio solito, ma non posso andare avanti così. C’è solo una cosa su cui non transigo con me stesso. Consumare te. Non voglio che ti succeda la stessa cosa che è successa a mia moglie. - Lo disse con fermezza, era presente e cosciente, sapeva perfettamente cosa stava dicendo e lo pensava con tutto sé stesso. Jerry capì che quello che sarebbe uscito di testa questa volta non sarebbe stato il cantante e stringendo con eccessiva forza le braccia intorno a lui, esclamò con voce stridula e sul punto di una crisi isterica. Non ce la faceva.
Tenere, tenere e tenere per cosa? Per vedere sfumare lo stesso ciò che importava di più? Per lasciarlo andare nel modo in cui aveva sempre avuto il terrore succedesse?
Controllarsi e stare attento a non agitarlo per essere il suo punto fermo e la sua calma per poi essere considerato fragile e sporcabile?
Cosa se ne faceva della sanità mentale se non poteva stare con lui?
Ci aveva messo così tanto a cercare di stargli il più vicino possibile per aiutarlo e farlo stare bene che ora che vedeva tutto andare a pezzi, non resisteva.
Non riusciva a farcela ancora.
- E NON DEVO ESSERE IO A DECIDERLO? - Gridò infatti senza controllarsi.
Jacoby sgranò gli occhi incredulo e lo fissò pensando di avere le allucinazioni.
- Decidere cosa? - Chiese senza riconoscere il Jerry che si sforzava per tutto, tutto. Si sforzava di stare calmo, di capire, di parlare piano, di non urlare, di non fare scenate, di non scomporsi, di assecondare le sue stranezze, di non contraddirlo…
- DECIDERE SE RIMANERE SANO OPPURE LASCIARMI ROVINARE DA TE! - Jerry capì che stringendolo ancora gli avrebbe fatto male e sperando sinceramente che non cadesse, lo lasciò andare per mettersi a camminare per la stanza.
Jacoby si girò e mise a terra i piedi e immobilizzato come se gli staccassero i fili assistette al resto di quella scenata che mai e poi mai avrebbe pensato di poter vedere da Jerry.
- COSA VUOI CHE ME NE FACCIA DELLA MIA SANITA’ MENTALE, DELLA MIA CALMA, DELLA MIA COMPOSTEZZA, DELLA MIA SICUREZZA, DELLA MIA FOTTUTA FORZA SE NON POSSO STARE CON TE? NON MI IMPORTA NIENTE DI RIMANERE A GALLA SE TU AFFONDI! VOGLIO CHE TU STIA SU CON ME OPPURE AFFONDARE MA SEMPRE INSIEME A TE! E’ QUESTO CHE VOGLIO, DANNAZIONE! NON FARMI QUESTI DISCORSI DEL CAZZO CHE NON SONO DA TE, NON LO SONO MAI STATI E NON COMINCIARE ORA! SE TI IMPORTA QUALCOSA DI ME FAMMI FARE QUEL CAZZO CHE MI PARE E NON DIRE STRONZATE MA SE STAI SOLO CERCANDO UN FOTTUTO MODO PER SCARICARMI ALLORA DILLO E BASTA. QUESTI GIOCHI STRONZI NON SONO DA TE, NON COMINCIARE ORA! -
Jacoby a quello non resistette più e senza concepire come potesse pensare quelle cose, scattò a sua volta spingendolo contro la porta chiusa, lo premette con forza e lo tenne per il colletto della maglietta.
- NON DIRE TU STRONZATE, CAZZO! COME PUOI METTERE IN DUBBIO CHE MI IMPORTI DI TE? STO FACENDO UN DISCORSO SENSATO PER UNA CAZZO DI VOLTA NELLA MIA VITA, COME PUOI NON CAPIRE CHE SONO TALMENTE PREOCCUPATO DI DIVORARTI CON IL MIO CANCRO MENTALE CHE STO CERCANDO DI RIMANERE LUCIDO SOLO PER PRENDERE UNA DECISIONE GIUSTA ALMENO UNA, UNA CAZZO, UNA NELLA MIA FOTTUTA VITA DA FOTTUTO FOLLE? E NON VENIRMI A DIRE CHE NON ME NE IMPORTA NIENTE DI TE, CAZZO! -
Jerry si prese il viso fra le mani e strinse delle ciocche dei suoi stessi capelli tirandoli, quindi spingendolo in un secondo scatto di nervi non ottenne risultati consistenti poiché l’altro era più forte e non si mosse:
- ALLORA SPIEGAMI COSA CAZZO POSSO FARE PERCHE’ IO NON SO, NON SO, SO SOLO CHE VOGLIO STARE CON TE IN QUALCHE MODO E NON ME NE FOTTE NIENTE SE POI MI RIDURRO’ L’OMBRA DI ME STESSO, SE SARA’ DIFFICILE, SE FINIRO’ PER IMPAZZIRE ANCHE IO O SE MI CONSUMERO’! DIMMI SOLO COME POSSO FARE PER STARE CON TE, DIMMELO! - Jacoby fra tutto non si sarebbe mai aspettato quel discorso da lui ma non tanto per le parole quanto per il modo.
Vederlo gridare, disperarsi, spingerlo, alienarsi e arrabbiarsi per lui, per poter rimanere con lui, per non far finire tutto… vederlo così poco accomodante e calmo, così assolutamente non controllato.
Fu il colpo di grazia per l’altro.
Non sapeva nemmeno lui cosa dirgli e cosa fare, sapeva solo che a quel punto, a quelle condizioni, come diavolo poteva mandarlo via e troncare tutto?
Non lo voleva, non voleva per niente che smettesse tutto, però sforzarsi tanto per rimanere lucido e capire cosa fosse meglio era una fatica immane e vedere che comunque lui non voleva saperne lo faceva andare ancor più fuori di sé.
Fu così che mandò tutto e tutti al diavolo e abbracciandolo di slancio e con forza soffocante, se lo trascinò giù nel letto facendolo stendere sotto di sé. Si tenne su il necessario per non schiacciarlo e fargli male oltre quanto gliene avesse fatto già e gli bruciava non capire quanto effettivamente.
Poi all’orecchio sussurrò dando forza alle sue parole:
- Sii vero. Sii solo vero. Dimmi tutto quello che ti passa per la testa, non trattenerti, non chiederti cosa sia meglio, fai solo quello che vuoi e che ti viene. Non cercare una soluzione, non cercare di curarmi, di aiutarmi, di salvarmi, di farmi stare bene. Non pensare a cosa sia meglio per me, pensa solo a cosa è meglio per te, fai solo quello che vuoi fare, dì solo quello che pensi, dimostrami quello che provi, qualunque cosa sia. Non agire secondo me ma secondo te, non cercare quello che è meglio ma quello che desideri e basta. Se vuoi prendermi a pugni fallo, se vuoi insultarmi fallo, se vuoi gridarmi che sono pazzo fallo. È il trattenere, l’essere chi non si è per amore degli altri o per paura di chissà cosa, che poi riduce alla follia, che consuma, che divora. Ti prego. -
Jerry si trovò a ricambiare l’abbraccio quasi si stesse aggrappando con disperazione per non affondare e risalendo sul suo viso glielo prese con decisione e affondando le dita fra i suoi capelli che afferrò con brutalità, lo tirò e lo diresse verso di sé in modo da prendersi le sue labbra.
Quando le ebbe non gliele lasciò più.
Intrecciarono le loro lingue come se fossero sempre state un tutt’uno e fossero state separate tempo fa, si fusero e nel giro di poco Jacoby si stava già strofinando su di lui col corpo.
Fu come una miccia che dopo tante scintille finalmente si accendeva veramente e Jacoby acceso significava vulcano in eruzione.
Dopo aver divorato la sua bocca uscì continuando sul collo e senza preliminari né badare alle sensazioni o a delicatezze di alcun tipo, scese subito sul suo inguine che liberò dai pantaloni in poco. Quando l’ebbe di nuovo fra le labbra si mise subito a succhiare con foga e voracità, prima che Jerry si rendesse conto di stargli spingendo il bacino contro il viso attirandolo allo stesso tempo a sé con le mani, si trovò a dare voce contro ogni aspettativa ai propri pensieri.
Il tono era tormentato e carico di desiderio, un sussurro roco soffocato dai sospiri che a stento domava:
- Perché sei tanto fissato col sesso? Fra uomini, per di più! - non era effettivamente normale. Lo era in generale ma Jacoby era fissato col sesso fra uomini e questo non poteva che far chiedere al diretto interessato se non fosse solo una questione fisica, se il cuore ed i sentimenti non c‘entrassero nulla.
Per rispondere risalì non dopo essersi soddisfatto abbastanza, non l’aveva ancora fatto arrivare al culmine ma non per volontà, solo perché gli era venuta in mente la risposta e voleva dirgliela, altrimenti l’avrebbe fatto venire subito.
Tornò sulle sue labbra e gliele morse, quindi rispose fra un bacio e l’altro.
- E’ il mio modo di amare. Di mostrare me stesso e di assorbire dagli altri. È così che io vivo. Tanto anima e cuore quanto corpo. - non avrebbe potuto negarlo.
Jacoby metteva tanto cuore e anima quanto corpo. In tutto.
Soddisfatto sin nel profondo di quella risposta che sperava fosse tale, lasciò perdere il particolare ‘fra uomini’ poiché probabilmente era solo il suo inconscio che aveva cercato di avvertirlo della sua parte omosessuale.
Jacoby dopo di questo cominciò a spogliarlo e tirandosi su per aiutarlo, gli sfilò a sua volta la sua maglia facendo poco dopo altrettanto coi pantaloni. Lo trovò in ginocchio davanti a sé quando riuscì ad averla vinta sui jeans e vedendo che non tornava giù capì cosa voleva. Come se potessero rimanere dubbi, le sue dita andarono a prendersi l’erezione per porgergliela.
Jerry sorrise divertito.
Tipico suo, il solito irruente impaziente.
Decise di accontentarlo e con uno strano languore che non c’entrava con quello del cibo, prese confidenza con la sua parte intima con più calma. Voleva farla sua piano, godendosi ogni singolo gesto e sensazione, tutto ciò che stava provando era la prima volta e l’ansia che normalmente avrebbe dovuto provare era sovrastata dall’esuberanza e dalla frenesia di Jacoby. Jerry, insomma, non aveva tempo e modo di chiedersi come si facesse, se andasse bene o se fosse imbarazzato.
Era la sua prima volta con un uomo ma alla minima esitazione Jacoby si sarebbe irritato e magari avrebbe vinto uno di quei lati infantili e paranoici.
Voleva che capisse che lo desiderava ma nel modo giusto, non con estremismo e senza riuscire a vivere bene le emozioni.
Era un momento delicato e bellissimo, doveva fermarsi per sentirlo veramente senza divorarselo rischiando poi di dimenticarselo e quindi di doverlo rifare per le ragioni sbagliate.
Lo sentì contorcersi sotto la sua bocca, era la prima volta che un ragazzo glielo faceva e che nella fattispecie glielo faceva chi desiderava con tutto sé stesso.
Era meraviglioso e ne voleva solo di più e di più, così gli sembrava insufficiente, così poco, così… così delirante…
Cominciò a gemere incontrollato sempre di più mentre affondava le unghie nel suo collo e poi gli prendeva i capelli lunghi muovendogli la testa contro il proprio inguine.
Finì inevitabilmente per essere più brutale e velocizzare il tutto e per contro invece di seccarsene, l’altro si eccitò decidendo che come assaggio poteva considerarsi abbastanza soddisfacente.
In ogni cosa non si poteva imbrigliare a lungo una forza della natura simile.
Esplose di nuovo e non riuscì più a fermarlo, non volle nemmeno provarci.
Venne messo giù con decisione e di nuovo schiacciato dal suo corpo poderoso, dapprima spinse il bacino come se lo stesse già possedendo e poi si strofinò fino a farsi sentire in un modo impensato.
Jerry era sempre più ansante e accaldato e quando si sentì gestire a piacimento con brutalità lo trovò appropriato perché quelli erano i suoi modi, modi di cui era innamorato.
Poi furono le sue dita e la sua lingua dentro di sé, le gambe alzate in alto e l’accesso a lui completamente libero. Lui totalmente nelle sue mani che ne voleva comunque di più.
Lui che ne ebbe.
Riuscì solo lontanamente a capire che quella era la sua voce che gli parlava, registrò vagamente che gli diceva qualcosa e senza avere idea di che cosa fosse, troppo proteso verso di lui, volendolo come non mai, disse che andava bene e di farlo.
Fu allora che Jacoby oltre alla musica trovò un altro campo privo completamente di confini.
Entrò in lui con irruenza e senza la minima delicatezza traumatizzandolo non poco.
Jerry strinse gli occhi forte e trattenne il fiato tirando inevitabilmente ogni muscolo di sé, Jacoby si sentì attanagliare e provò un piacere talmente intenso che sfociò nel dolore e gli piacque.
Il mondo che conobbe era simile a quello conosciuto con tutte le altre donne che aveva avuto ma lo trovò diverso perché mentre con le altre aveva trovato degli assurdi confini che non avrebbero dovuto esserci, con lui no. Con lui non c’era niente.
Nessun limite.
Era lì a prenderlo e darsi senza riserve e sentì profondamente di poterlo fare fino all’infinito che nessuno dei due si sarebbe mai stufato, che non avrebbero mai voluto smettere, che sarebbe sempre stato tutto così vivo ed intenso.
I movimenti aumentarono e divennero sempre più profondi e veloci, come se ad ogni affondo ci fosse un pezzo di infinito in più di prima.
Fu la fine della follia, per Jacoby, che nella pace più totale si lasciò incendiare fra urla incontrollate di piacere.
Aveva trovato quello che con disperazione aveva cercato da una vita, qualcuno che lo possedesse così com’era senza volerlo cambiare e senza cambiarsi in relazione a lui. Potendo rimanere loro stessi entrambi e volendosi comunque.
Amandosi.
Da lì lentamente avrebbe trovato ciò che non aveva mai avuto.
La sua serenità.