CAPITOLO VII:
LA FINE

Si svegliò a mezzogiorno.
Quando uscì dalla camera era confuso e mezzo addormentato.
Si trascinò per il corridoio con sguardo corrucciato cercando di capire in che parte dei suoi deliri fosse e quando in soggiorno trovò quello che ricordava essere Mike, la spalla su cui aveva pianto la sera prima, registrò che aveva qualcosa di diverso.
Ci mise un paio di secondi a capirlo ma poi ci riuscì.
Erano gli occhiali da vista.
Quando lo capì parlò immediatamente senza filtrare buttandosi ancora assonnato sul divano accanto a lui, le gambe a penzoloni oltre il bracciolo e la testa prepotentemente sulle sue cosce.
- Cazzo, con quegli occhiali fai un sesso pazzesco, Mike! Se fossi più sveglio ti salterei addosso! -
Mike che aveva alzato all’ultimo il libro che stava leggendo non capì quanto serio fosse ma provò a buttarla sullo scherzo, cosa che gli veniva decisamente meglio:
- Forse ti faccio sesso proprio perché sei mezzo addormentato! -
Jacoby si accomodò meglio sulla sua nuova postazione e girandosi di lato cominciò ad accarezzargli un ginocchio facendoci sopra dei disegni distratti coi polpastrelli. Attraverso i jeans scuri Mike sentì e si chiese che diavolo gli prendesse ma decise di non darci troppo peso, quello era Jacoby, era più pazzo che sano in fondo!
Anche se Chester a quello avrebbe obiettato dicendo: ‘che cazzo c’entra! Visto che è mezzo pazzo ti faresti scopare?’
Rendendosene conto Mike impallidì, se quell’altro fosse tornato in quel momento sarebbe forse stato un po’ geloso. Forse. O magari l’avrebbe sorpreso, come era capace di fare sempre!
D’altronde non sapeva come toglierselo di dosso. A parte per il peso e la forza che erano superiori ai propri, c’era anche il fatto della scusa da usare. Lui sgarbato non era nemmeno se si sforzava ma solo se diventava isterico, appurato che ora era tranquillo e beato come un cucciolo di cane appena nato poiché quella notte aveva finalmente consumato col suo compagno come si doveva, continuò a cercare una soluzione nella mente mentre Jacoby continuava a stare steso con la testa sulle sue gambe e a giocare usando le proprie dita.
Dita che sentì muoversi fin sulle caviglie e poi risalire proprio dove poggiava la nuca.
Lo sentì fermarsi e girarsi per poterlo guardare in viso dalla sua comoda posizione e Mike sospirò mentalmente sentendolo fermarsi. Per poco.
Non fece in tempo a sollevarsene che con quel suo magnetismo che gli veniva fuori quando faceva pensieri particolari ed inevitabilmente si allontanava dal presente, le famose dita ripresero a disegnargli sul petto, attraverso la maglia. Rimase un po’ lì, si soffermò sui capezzoli che non prese tra le dita, indice che forse non sapeva nemmeno cosa stesse facendo.
La mente gli si spense.
Capì solo che era di nuovo in tilt e ricordandosi vagamente che quando ci finiva non capiva niente ed agiva in modo imprevedibile, rimase a sentirlo carezzare -come definire quello che gli stava facendo se non così?- fin su, sul collo, poi sul volto. Gli tracciò i lineamenti morbidi del viso serio e teso, lo stupore palpabile, rimase un po’ sulle labbra serrate che non si schiusero per niente al mondo, poi tornò a scendere.
Giù, sul collo che lo fece rabbrividire.
Giù, sul petto.
Sui capezzoli.
Sul ventre.
E poi ancora più in basso fino alla cintura dei jeans che fece per slacciargli.
Quando realizzò cosa stava per fargli la chiave nella porta d’ingresso si inserì da fuori.
La fine.
Mike andò completamente nel panico e del tutto fuori di sé sgranò gli occhi terrorizzato e si alzò velocissimo buttando improvvisamente giù di peso Jacoby che cadde rotolando di faccia sul pavimento.
Il tonfo fu fortissimo e lì ci rimase senza nemmeno imprecare, forse perché si stava svegliando davvero solo in quel momento.
Chester entrò e pensando a quale calamità si fosse abbattuta sul mondo in quel momento, vide Mike paonazzo, teso come una corda di violino in piedi davanti al divano e a Jacoby steso a terra di faccia, immobile.
Si fermò non riuscendo nemmeno vagamente ad intuire cosa potesse essere successo.
Non contemplò neanche per un istante la possibilità del tradimento sebbene solo qualche mese prima sarebbe stata la cosa principale che avrebbe pensato. Ma quella fissa l’aveva ormai più o meno superata. E poi si trattava di Jacoby, che diamine!
Poteva anche risultare affascinante e con un certo non so che in certi istanti, ma era fondamentalmente alla stregua di un pazzo, o di un bambino, o di un alieno, o di tutti e tre!
Insomma, sicuramente non c’era nulla a sfondo sessuale, non da parte di Mike verso Jacoby.
Ed esattamente in quel momento capì, come illuminato dal cielo -o dall’inferno, dipendeva dai punti di vista!-.
Fu un lampo quello che passò nei suoi occhi sottili, un lampo pericoloso e atroce, poi Chester con uno dei suoi famosi agili salti raggiunse Jacoby e tirandolo su di peso -c’era davvero da chiedersi dove diavolo la trovasse tutta quella forza!- lo girò a faccia in su, quindi gli si sedette sopra a cavalcioni e premendo il naso contro il suo ringhiò basso e minaccioso. Tanto minaccioso. Completamente fuori di sé:
- Osa toccarlo di nuovo, figlio di puttana, osa solo pensare di toccarlo, osa sognare di toccarlo e giuro che ti faccio vedere come si vola fatto in tanti di quei pezzi che non sapranno ricomporti! Ed anche se ci riuscissero sai quale sarebbe la cosa che non troverebbero? Sarebbe il tuo cazzo! Perché sarebbe dentro al tuo culo, dove te lo ficco se osi pensare di fargli qualcosa! Oh, la follia non giustifica un cazzo, credimi. Perché anche io divento pazzo in certi casi. E Mike è uno di quei casi! -
“Ecco fatto!” Pensò Mike tornando drasticamente in sé strofinandosi il viso con le mani: “Ora abbiamo scatenato la sua gelosia!”
Che poi non si trattava proprio di quello quanto proprio di preservare il suo dolcissimo amore!
Lo sapeva bene, ma vederlo reagire in quel modo esagerato confondeva seriamente su chi fosse più fuori di testa dei due.
Jacoby, infatti, dopo averlo ascoltato e guardato senza il minimo battito di ciglia -e porca di quella puttana, l’altra notte quando l’avevano spaventato si era messo quasi a piangere ed ora era tranquillo e beato! Come poteva non essere terrorizzato da quel Chester lì? Mike non lo capiva più!- si leccò le labbra con improvvisa malizia e allungando la lingua verso la bocca di Chester poco distante dalla sua, disse ritirandola un soffio prima di leccargliela:
- Se volevi essere tu il primo bastava dirlo! Per me è uguale! -
Ed ora, solo ora, ebbero chiaro il suo rapporto col sesso ed i doppi sensi, qualcosa che fino a quel momento non avevano avuto veramente modo di testare.
Certamente un altro gran bel modo per calmarsi quando il mondo intorno a lui si confondeva.
Lui e tutto ciò che riguardava la sfera sessuale andavano d’accordo. D’accordissimo.
Estremamente d’accordo.
Ora Chester e Mike ne avevano avuto vagamente prova ma un quadro preciso a riguardo l’avrebbero visto dopo.
Quello che però preoccupò Mike e non a livello di gelosia ma solo di sanità mentale, fu che anche Chester adorava scherzare col sesso. Un tempo era stato motivo di profonda gelosia, ora che sapeva com’era e ci aveva fatto il callo, semplicemente era rassegnato a doverli separare in tempo.
Nonché a scappare altrettanto in tempo.
Solo lì si rese conto di quanto dura sarebbe stata collaborare tutti e tre insieme.
La reazione di Jacoby infatti piacque a Chester che dopo un primo istante di smarrimento poiché non se l’aspettava, fece per rispondere a tono.
Mike che l’aveva previsto tirò il compagno per la maglia appena in tempo, giusto per impedirgli di mordergli la bocca che continuava a tenere provocantemente vicino alla sua.
Non per baciarlo o accettare una qualche avance, ma solo per metterlo a posto usando il suo stesso mezzo, un mezzo che adorava usare per mettere a posto qualcuno, provocare o scandalizzare.
Mike fu però più veloce e buttandolo sul divano diede un calcio poderoso al fondoschiena di Jacoby ai suoi piedi facendolo rotolare sul pavimento.
Continuò a spingerlo in quel modo, senza naturalmente fargli male, fino a farlo tornare in quella che ormai era la sua camera, quindi lo chiuse dentro e si appoggiò contro la porta sospirando pensando di avercela fatta.
Illuso.
Chester non si era ancora alzato che l’uscio dietro le sue spalle si aprì, Mike fu agguantato da dietro e rapito, dopo di che la porta si richiuse mangiandoselo.
L’altro rimase inebetito sul divano a guardare la scena. Poi sentì la chiave girare e capendo che quel coglione si era chiuso col suo moroso all’interno di una camera che comprendeva un letto matrimoniale e che il coglione in questione era anche piuttosto matto, corse a rotta di collo davanti alla porta e fra urla e calci cominciò a tentare di sfondarla.
Non che fosse facile…
All’interno Jacoby ebbe tutto il tempo per far valere la sua forza superiore e spingere Mike steso sul letto con lui sopra. Lo schiacciò col corpo e gli tirò su la maglia per poi cominciare a leccargli e succhiargli i capezzoli.
Mike ci mise un nano secondo a capire cosa gli stava facendo e a reagire.
Pochissimo.
Lo stesso che ci mise Chester a scardinare la porta a suon di calci.
La porta si apriva mentre Jacoby veniva spinto contro di lui, caddero entrambi a terra uno sopra l’altro e Mike scattò in piedi sul letto col batticuore e tutto scomposto mentre pensando di essere morto e resuscitato li fissava pensando a come fare per rinchiudere quel coso da qualche parte.
Non servì perché la risposta ai suoi spaventi furono le risa conclusive di entrambi i due fenomeni da circo stesi a terra.
Rimasero incastrati l’uno sull’altro con un bernoccolo a testa per lo scontro ed il botto e risero come due idioti abituati a giocare in quel modo.
- Ma siete proprio imbecilli! - Esclamò Mike rimanendo a debita distanza. - Cos’è, vi eravate messi d’accordo? -
- E quando? Questo ha dormito tutta la notte e la mattina! - Rispose Chester cercando di alzarsi, con ancora Jacoby che rideva fino alle lacrime steso accanto.
- Vuoi dire che è venuta spontanea? - Mike non ci credeva molto ma poi riflettendo che quei tipi non avevano bisogno di progettare le cagate perché gli venivano naturali, li mandò al diavolo evitando di ascoltare la risposta.
Con un salto infatti scese dal letto e li superò decidendo di ignorarli.
Se l’era vista brutta, per quanto quelli ne ridessero!
C’era stato un momento preciso in cui aveva sentito l’altro prevalere in forza e schiacciato da lui aveva pensato che qualunque cosa avesse voluto fargli quel pazzo scatenato, non sarebbe riuscito ad opporsi.
Un pensiero che l’aveva annullato per un secondo, inconcepibile ed insostenibile.
Ma poi proprio a quello si era ribellato e la forza l’aveva trovata.
Non importava che poi non avesse fatto sul serio e che non sarebbe andato oltre, quello che l’aveva turbato era il modo in cui l’aveva fatto sentire.
Se si trattava di giocare e scherzare era il primo e ci stava sempre, ma così era diverso.
Così era da bastardi e basta.
Si sentì tanto male da non aver nemmeno tempo di analizzare questa reazione strana per i suoi canoni. Certamente poteva sembrare uno scherzo improvvisato e particolarmente pesante, ma nulla che non fosse perdonabile con un insulto a testa.
Però lo stato d’animo, quello non poteva dimenticarlo.
No, non si fermò a chiedersi cosa gli avesse tirato fuori dalla memoria quel piccolo istante di sopraffazione, non sul momento. Ma ben dopo, con calma, grazie a Jacoby, qualcosa ne sarebbe uscito.
Di sicuro non sul momento.

Per tutto il resto del pomeriggio Mike aveva piantato il muso a Chester il quale incazzato a sua volta per questo suo comportamento idiota ad una cosa stupida se ne era tornato a casa dai figli dicendo che sarebbe tornato l’indomani per fare quella cazzo di canzone e togliersela dai coglioni. Testuali parole.
Mike non l’aveva nemmeno salutato.
Il suo ragionamento era presto detto.
“Certo che è stato Jacoby la parte più grave dello scherzo, ma lui è mezzo matto e non mi conosce. È Chester quello sano, quello che mi conosce da più di dieci anni e che sta con me dalla metà. È lui che mi ama e che sa alla perfezione quello che si può osare con me e quello che non si può. È Chester il mio moroso, non uno sconosciuto svitato che non distingue il bene dal male!”
Ma non riusciva a vedere quanto esagerata dopotutto fosse la sua reazione.
Rimasto solo con Jacoby che ignorò a sua volta per la prevalenza del tempo, dopo cena -dopo che il suddetto si era ingozzato come un porco e Mike aveva a stento mangiato un insalatina-, il proprietario di casa si rifugiò in camera propria con quella di farsi una bella dormita.
Sarebbe tornato a casa anche lui ma non poteva lasciare Jacoby lì da solo per più motivi, fra cui che schizzato com’era poteva anche dar fuoco a tutto. E poi i suoi strumenti non si potevano toccare.
Dopo aver avvisato la moglie che per la durata di quel progetto sarebbe rimasto nell’appartamento/sede del gruppo anche a dormire, non aveva senso piantare Jacoby in asso e tornarsene a casa. Oltretutto non aveva voglia di vedere sua moglie in quello stato d’animo.
Messo il solito pigiama estivo leggero si stese sul letto a leggere un po’, dopo cinque minuti mise da parte la lettura per alzarsi insofferente. Non riusciva a concentrarsi.
Sbuffando nervoso andò nella sala musica e si sedette al pianoforte. In quei casi lo calmava molto.
Cominciò a suonare note a ruota libera che poi sfociarono in una versione al pianoforte di Shadow of the day. Qualcosa di più allegro non trovò, non certo con quello stato d’animo.
Aveva un’aria seria ed estremamente cupa per i suoi canoni e concentrato com’era in sé stesso e a pensare peste e corna per Chester che aveva riso della sua agitazione di quel giorno, non si accorse di avere compagnia.
Jacoby si sedette silenzioso alla sedia imbottita con le rotelle che stava davanti alla scrivania dove normalmente Mike e Chester si mettevano per scrivere i testi, quindi girato verso il pianista l’osservò immobile senza fare il minimo rumore. Serio ed attento tanto che fece impressione a Mike quando lo notò e spaventato dal vederlo lì in quel modo saltò sul posto col batticuore.
Non l’aveva sentito e non solo, quasi non l’aveva riconosciuto!
- Cazzo Coby, mi hai fatto prendere un colpo! - Esclamò spontaneo ed agitato usando sovrappensiero il soprannome. Fece per correggersi ma Jacoby scosse la testa:
- Puoi chiamarmi come vuoi. - Aveva un tono serio, sembrava un’altra persona dal suo solito. Era presente, cosciente ma soprattutto concentrato.
Lo penetrava con quel suo sguardo magnetico, gli occhi grigi gli leggevano dentro e con le mani unite sotto al mento sembrava usare un qualche strano potere.
Mike si sentì sotto esame e provò disagio. Specie perché ora guardandolo non poteva che reputarlo un tipo anche piuttosto interessante. Cioè più del solito e sotto tutti i punti di vista.
In quella posa, con quell’espressione, aveva un che d’affascinante e quel modo di fissarlo era oltremodo attraente.
La mente di Mike un foglio vuoto e finalmente dopo qualche minuto quello strano Jacoby apparentemente sano ed in sé parlò nel medesimo modo insolitamente fermo e stabile:
- Sai in cosa mi sono laureato? - Chiese improvvisamente.
In una situazione normale Mike avrebbe detto ‘scemologia?’ ma non disse nulla ed impreparato chiese in cosa.
Jacoby lo sorprese.
- Psicologia. - Lì per lì gli parve d’essere preso in giro ma guardando la serietà con cui lo disse capì che era in uno dei suoi momenti lucidi ed affidabili, cosa che aveva visto poco in effetti.
Dopo pensò solo che dovesse essere una barzelletta, una beffa del destino. Uno che si laureava in psicologia e che poi aveva dei crolli psicotici aveva dell’incredibile!
- Non l’avrei mai detto. - Disse educato e diplomatico. Aveva capito che voleva fare un discorso serio e siccome quei momenti erano rari per lui decise di assecondarlo e vedere dove sarebbe andato a parare.
Jacoby proseguì come prima.
- Sai cosa mi ha portato a capire la mia laurea? - Mike non rispose e lui continuò rimanendo seduto immobile davanti al pianoforte ma senza più suonarlo. Lo guardava con attenzione ed un pizzico di disagio. - Quando una reazione è spropositata in rapporto all’azione che l’ha scatenata. - chiaro. Più di così doveva solo fare i disegni. Oltretutto stava usando un linguaggio che decisamente non era da lui!
Mike aggrottò le sopracciglia contrariato:
- Come fai a dire che è spropositata? -
Jacoby sospirò come se capisse di non essere preso sul serio solo per i suoi scatti di follia di tanto in tanto. Con fermezza ed alzando una mano in segno di farlo parlare, proseguì e gli spiegò pacato e quasi freddo:
- Chester ha riso della tua reazione, è questo che ti ha fatto incazzare tanto. Lui ti conosce bene, non doveva ridere. Ma obiettivamente era un momento divertente, a meno che tu non avessi particolari motivi per non essere divertito da quello che è stato solo uno scherzo, mio per di più. -
- Cazzo, tu al mio posto ti saresti divertito? - Chiese spontaneo Mike.
- Io al tuo posto ci sarei stato alla finta violenza per dimostrare che niente mi sopraffa e che io sono sempre peggio di tutti! -
- Che domande idiote ti faccio… - Rispose Mike distogliendo lo sguardo scettico. Era ovvio che non sarebbe stata una risposta diversa.
Jacoby riprese con calma.
- E sai cos’altro mi ha portato la mia laurea? -
- Sentiamo! - rispose Mike stufo tornando a guardarlo esasperato. Jacoby non si scompose.
- Che quello significano ricordi. Ricordi che non ricordi ma che ci sono e sono stati stimolati da quello che ti ho fatto. E aggiungo che non devono essere ricordi molto belli. - Mike assottigliò lo sguardo fin quasi a fulminarlo, Jacoby si sentì lacerare da quegli occhi neri ed improvvisamente furenti, ma non si fermò e sorridendo sornione, disse appoggiandosi coi gomiti alle ginocchia tendendosi verso di lui:
- Non ne sei cosciente, altrimenti non avresti avuto quella reazione. E soprattutto pensi che io sia di nuovo matto e che ti stia prendendo per il culo. Ma vuoi vedere come ti dimostro che ho ragione e ti spiaccico in faccia la verità che ti ostini a non affrontare? -
Mike non rispose, non voleva assolutamente e forse proprio perché lo intuiva vagamente.
Si sentì montare dentro una tale rabbia da voler solo andarsene per non mettergli lui le mani addosso prima di cominciare, ma non fece in tempo.
Non fece assolutamente in tempo e prima di ogni reazione, Jacoby si alzò fulmineo e con tutta la forza che aveva e che questa volta non sarebbe stato possibile vincere se lui non l’avesse voluto, lo prese, lo alzò e lo spinse contro la parete lì accanto.
Mike non ebbe tempo di capire se il lampo strano nei suoi occhi era stato di follia o di intenzione, ma uno ci fu e lo fece rabbrividire.
Dopo di che lo sentì solo premersi con forza accecante addosso, lo bloccò e schiacciandolo contro il muro di faccia, spinse col corpo possente contro la sua schiena, sentì il bacino contro il proprio premersi e premersi impedendogli di staccarsi. Si puntava con le mani contro la parete a cui appoggiava senza successo, non riusciva a toglierselo, rimaneva ancorato e sembrava che lo stesse possedendo sessualmente a forza, come se ogni spinta contro di sé, per dietro, fosse un entrargli fisicamente dentro e farlo suo violentemente.
Non gli faceva effettivamente male, ma la sensazione di sopraffacimento, di non riuscire a contrastarlo e a staccarselo di dosso, di non potersi allontanare, di non poterlo controllare cominciò a farlo andare nel panico come prima.
La sensazione di durezza contro il proprio viso e di forza dietro di sé, le mani sulle proprie che lo ancoravano alla parete, le gambe che lo bloccavano così come il torace. E ancora quelle spinte.
Quando poi aggiunse le sue labbra sull’orecchio e cominciò a leccarlo scendendo sul collo succhiando e mordicchiando, la gola gli si seccò. Voleva gridare ma non riusciva. Voleva mandarlo via e non ci riusciva. Voleva anche piangere e non ci riusciva.
Poi si fermò, ma fu un istante.
Voleva piangere? Ma che diceva? Era grande, non era una vera violenza, nessuno lo stava possedendo davvero da dietro, non aveva del vero dolore fisico.
Però perché sentendosi costretto contro un muro con un corpo poderoso dietro che lo schiacciava, voleva piangere?
Improvviso il flash lo paralizzò e fu allora che Jacoby smise di muoversi contro. Lo lasciò andare, staccò la bocca dal collo e a braccia alzate in segno di resa indietreggiò di qualche passo lasciandolo andare.
Mike rimase appoggiato al muro come in un blocca immagine, senza nemmeno respirare, gli occhi sgranati. Ma non piangeva, solo che adesso ricordava ed era shockato perché era convinto che le cose non fossero andate in quel modo, quella volta. Ne era convinto.
Aveva sempre ricordato una versione diversa…
Quando lo vide scivolare lentamente verso il basso, Jacoby tornò dietro di lui e lo prese con delicatezza, infilò le mani sotto le braccia e lo tirò su, quindi lo girò e prendendogli il polso se lo portò intorno al collo, poi sostenendolo di peso lo condusse in camera, lo stese nel letto e gli si coricò accanto fissandolo da vicino in quel modo strano che in pochi gli avevano visto. Era uno sguardo ancora presente e dolce, di una dolcezza inaudita.
Come poteva una persona possedere tutto quello e saperlo gestire?
Mike pensò di sfuggita che il minimo era confondersi ogni tanto…
Sentì le sue carezze delicate sul petto, sulle braccia e poi sulle mani che allacciò alle proprie.
Era bello sentirlo così, non sembrava nemmeno quel Jacoby destabilizzante ed instabile che era di solito.
Quando si sentì abbastanza meglio, prese il cellulare dal comodino dove l’aveva lasciato e chiamò Chester.
La voce era un sussurro quasi inudibile ma non tremava e non era sconvolta, però si capiva che aveva qualcosa di strano.
- Puoi venire per favore? - chiese gentilmente.
Chester non disse niente, mise subito giù e volò a rotta di collo per le strade fino a raggiungerlo.
Quando entrò Jacoby era in soggiorno a guardare la televisione, Chester lo squadrò come per ucciderlo ed il ragazzo alzò le mani in segno di innocenza -tutta da dimostrare!- poi gli indicò la camera.
Certo che sapeva cosa era successo a Mike, pensò Chester. Era evidente. Ma decise di andare direttamente alla fonte ed eventualmente ammazzarlo dopo. Mike era più importante.
Lo trovò steso sul letto, sopra le lenzuola, col suo solito pigiama leggero e gli occhi fissi sul soffitto, era serio e assente.
Per un momento pensò che si fossero scambiati le menti, come protagonisti di un film fantasy-horror. Mike in Jacoby e Jacoby in Mike.
Poi si diede dell’idiota, quelle cose erano impossibili.
Forse la follia di Jacoby era contagiosa.
Certo, questo invece sì che era più possibile!
- Mike? - Lo chiamò piano dimenticando di essere arrabbiato con lui. Questi si riscosse e allungò la mano verso di lui, quando riuscì a prenderlo lo tirò nel letto con sé, Chester si lasciò stendere e se lo prese sopra stringendolo con delicatezza e pienezza, facendogli sentire che ogni cosa era finita, qualunque essa fosse, e che lui ora era lì. Voleva assolutamente che lo sentisse, era essenziale e vitale.
- Ti ricordi quando ti ho raccontato quell’episodio strano della mia adolescenza? Quando da piccolo sono stato preda di alcuni teppisti che mi hanno preso, chiuso in una vecchia casa diroccata e mi hanno costretto in ginocchio tirandosi giù pantaloni e mutande con qualche strana intenzione? -
Chester cominciò ad allarmarsi e con l’aria battagliera aumentò la presa e annuì sforzandosi di rimanere calmo. Quegli argomenti lo facevano uscire di testa, specie se fatti da Mike.
- Quando poi i tuoi amici sono arrivati in tempo e li hanno fatti andar via prima che facessero qualunque cosa. -
- Sì… - Fece Mike. Il tono vagamente spento e stupito da ciò che stava raccontando perché era la prima volta non solo che lo diceva a qualcuno ma anche che lo ricordava per come era andata veramente.
- I miei amici sono arrivati in tempo ma non a quel punto. Prima sono riusciti a sbattermi contro il muro, a schiacciarsi sopra di me e ad abbassarmi i pantaloni. Stavano per farlo davvero, uno di loro aveva cominciato a fare le sue porcate da dietro mentre mi spingeva, ma non è riuscito a fare davvero niente, prima che potessi realizzare ciò che aveva in mente fino in fondo i miei amici sono arrivati e li hanno fatti scappare. Prima però erano quasi riusciti a… -
- Violentarti. - lo disse Chester perché sapeva quanto impossibile e duro fosse dirlo per chi l’aveva subito.
Lo sapeva perfettamente.
Mike nascose il viso contro il suo petto e soffocò un sospiro insofferente:
- Avevo dimenticato tutto, avevo modificato rendendolo più sopportabile. Non che sia una cosa davvero atroce, ma sai… forse mi vergognavo, non so… per questo la vendetta, poi, non è stata un’esagerazione… - ammise finalmente a sé stesso.
- Per questo non hai più voluto vedere corpi nudi maschili o spogliarti davanti agli altri. - Concluse Chester calmo.
Rimasero un po’ in silenzio e solo dopo un po’ che ci pensava e ripensava gli venne quella domanda e stranito la fece, sapendo che per il resto non c’era altro da dire e che tutto ciò di cui aveva avuto bisogno Mike era solo ricordarlo e raccontarlo a qualcuno di cui si fidava.
- Come cazzo ti è venuto in mente proprio ora? -