CAPITOLO V:
MIKE PRENDE IL CONTROLLO
 
Dal piede incremato di Chester, le sue mani si spostarono una sul suo proprietario, sul viso, e l’altra su Jacoby che si coccolava su di lui come un gattino.
Jacoby, il camaleontico Jacoby capace di essere qualunque cosa in un battito di ciglia.
Scivolò direttamente sotto la sua maglia un po’ stretta e una volta che ne ebbe ragione e riuscì a raggiungere la sua pelle, usò entrambe le mani per alzargliela del tutto e sfilargliela. Il fatto che fosse lui a cominciare eccitò subito gli altri due che si staccarono per guardarlo stupiti. Era chiaro cosa voleva e visto che c’erano, dovevano approfittarne.
Mike attivo era uno spettacolo imperdibile e Chester lo sapeva, quindi lo lasciò fare.
Spinse Jacoby giù accanto a loro, gli salì sopra facendogli trattenere il fiato stupito. Non l’aveva ancora assaggiato quel Mike.
Un Mike sperimentatore fino a quel punto.
Non avrebbe mai pensato che poi lui diventasse così ben disposto, che si  aprisse facilmente, che si buttasse. Solo Chester sapeva che era uno di quelli che invece lo faceva di più, che amava il rischio, le cose pericolose, che tanto più una era diversa, tanto più a lui piaceva. Perché solo uno così avrebbe potuto fare la musica che facevano loro, perché era lui che l’aveva cominciata e che l’aveva fatta evolvere in tutti quei modi.
Chester sapeva, per questo aveva insistito tanto sapendo che gli sarebbe piaciuto.
Jacoby completamente ammaliato da lui si annullò al suo volere diventando creta mansueta nelle sue mani. Mani d’artista che scivolarono sulla sua pelle aderendo perfettamente coi palmi, come se non potesse farne a meno e volesse sentire tutto il suo corpo. Dopo averlo fatto sul suo torace e aver nel frattempo succhiato il suo labbro, scese a slacciargli i pantaloni e Jacoby se lo godette doppiamente aprendo le braccia ai lati e prendendosi al cuscino sotto la testa.
Non poteva pensare fosse così bello farlo in quel modo.
Il volto di Mike sparì fra le sue gambe, dopo che l’ebbe spogliato, e Chester arrivò sul suo viso a perdersi nella sua bocca.
Fin’ora Jacoby era stato quello che aveva insistito tanto su uno e sull’altro, non aveva mai potuto stendersi semplicemente e lasciarsi fare ma soprattutto non aveva mai avuto l’estremo piacere di avere Mike così intraprendente.
Sospirò contro la lingua di Chester che si staccò per farlo gemere al trattamento di Mike sulla sua erezione. Passò sul suo orecchio per lasciarlo emettere tutti i suoni che voleva e quando Mike gli alzò le gambe per occuparsi della sua apertura, Jacoby cercò Chester con le mani e prendendosi alla sua nuca strinse irruente. Ora rimanere passivo lo trovava estremamente difficile, ma la lingua di Mike e le sue dita dentro erano qualcosa di incredibilmente deleterio.
Chester ridacchiò, sapeva quanto bravo fosse il suo ragazzo. Sfuggì dalla sua presa scendendo sul suo corpo, riempiendolo di scie umide al suo passaggio che scaldarono la vittima sottostante, quindi raggiunse il suo inguine riprendendo laddove l’altro si era interrotto per passare al dietro. Il ragazzo sotto continuò a gemere sempre più forte inarcandosi e spingendo senza saper più come fare per non impazzire… non impazzire…
Che utopia, per uno che tendeva già alla follia di suo. Eppure non si era mai sentito tanto in sé e tanto calmo in vita sua. Come se quello fosse il rimedio preciso per stare meglio e non confondersi più, per rilassarsi, per tranquillizzarsi.
Come se loro e quel fare tutto quello che volevano come fosse normale, lo donassero la sua sanità mentale persa molti anni prima.
Forse era questo. Il vivere qualcosa di probabilmente folle come se invece non lo fosse.
O forse il non combattersi più, il non sentire altri che cercavano di contenerti… l’aver trovato persone con cui essere sé stessi che ti capivano sempre e che sapevano prenderti in qualche modo…
Non lo sapeva, ma quando si sentì vicino all’orgasmo e i due si interruppero, lui tornò imprecando violentemente però non fece in tempo a far altro perché si sentì gestire con sicurezza e non da Chester ma da Mike.
Mike che gli si era staccato per sistemarsi su di lui ed entrargli dentro, stendendosi sopra, piegando le gambe per un accesso congeniale, e che cominciava a muoversi spodestandolo di nuovo da sé e da ogni ragionamento.
Un nuovo meraviglioso distacco con la realtà in quei movimenti sempre più decisi e sicuri, affondi delicati e sensuali insieme, non brutali e passionali come quelli che gli dava Chester.
Si sentì amato e lentamente invaso di nuovo da quell’energia benefica che sapeva dare solo lui e cercò entrambi. Allacciò una mano ad uno e una all’altro e si rese solo lontanamente conto che Mike e Chester si stavano baciando mentre i colpi aumentavano d’intensità diventando sempre più profondi.
Li vide vagamente e se ne innamorò come succedeva sempre, li trovava quella perfezione a cui agognava e sebbene sapesse vedere tutti i loro difetti e le loro enormi imperfezioni, li vedeva perfetti quando stavano insieme perché si completavano e si colmavano. Per questo voleva assolutamente riuscire a fondersi con loro. Per essere parte di quella meravigliosa perfezione e sentirsi finalmente a posto con sé stesso. Amarsi. Apprezzarsi. Non volersi più cambiare.
Mike finì gemendo a sua volta contro la bocca del suo compagno, con le mani che si erano sciolte per stimolarsi le erezioni a vicenda. Quella di Chester su quella di Jacoby e quella di Jacoby su quella di Chester.
Poi i sospiri e gli ansimi di tutti e tre si unirono, Jacoby gridò più forte e l’orgasmo fu raggiunto come un traguardo estremamente atteso e desiderato.
Un orgasmo indimenticabile che li svuotò e li stordì facendoli crollare tutti e tre stesi adagiati parzialmente su Jacoby che non riusciva a ritrovarsi.
Per un momento parve di nuovo perso ma non insistettero per ritrovarlo, l’accarezzarono insieme pensando a loro volta a qualcos’altro e forse alla stessa cosa, quindi fu Chester a rompere il silenzio, una volta che i respiri ed i battiti furono tornati regolari.
- Mike… cosa ti ha fatto decidere? - Si riferiva chiaramente all’accettare quella situazione. Prima non l’aveva fatto veramente, si era lasciato fare perché loro l’avevano trasportato con abilità ed irruenza. Ora era stato diverso.
Mike ci pensò ancora poi rispose allacciando le dita a quelle del proprio compagno, sul petto di Jacoby che non si capiva se li sentisse o meno.
- Quando sono tornato che voi non c’eravate ho acceso lo stereo e su c’era l’ultimo album che sta per uscire. Mi ha fatto riflettere… sai, è il risultato finale di ciò che siamo, la somma delle nostre evoluzioni, ciò che siamo. E cosa siamo? Non ha nome la musica che facciamo, non la possiamo mettere in un genere, non è definibile e mi sono impegnato tantissimo affinchè fosse così, odiavo le categorie, i nomi, le regole di un genere musicale, il non poter fare qualcosa perché altrimenti non saremmo più stati quello che gli altri credevano noi fossimo. Perché io sono così. Odio le definizioni, le cose preconfezionate, i confini. Sono un po’ come Jacoby solo meno estremizzato. Diciamo che ho incanalato questo mio bisogno di libertà nella musica ma ora con lui forse questo si è spostato anche nella mia vita privata. Forse questo bisogno di sperimentare tutto e provare ciò che mi piace e farlo anche senza seguire delle regole specifiche… questo è ciò che siamo. Voglio dire… io sono così, fondamentalmente. Cosa c’è da capire? Niente… perché nel momento in cui riuscirò a capirlo forse non mi piacerà più e vorrò cambiare… perché è così che faccio. Quando creo qualcosa di nuovo che non ha nome e poi questo qualcosa viene definito e messo dentro delle regole allora mi stufo e devo cambiare. È sempre stato così. Quindi io dico fanculo, facciamolo finchè ci piace e vogliamo. Quello che conta sopra ogni cosa è ciò che provo per te. Ti amo. E so che tu mi ami. Che siamo d’accordo su questa cosa, che proviamo la stessa cosa, che la vogliamo nella stessa maniera. Non importa il resto, per ora. È assurdo e da pazzi, me ne rendo conto. Ma vogliamo farla? Facciamola. Finchè non ha nome, finchè ci piace, finchè vogliamo, finchè ci fa bene. -
Chester sarebbe stato ore ad ascoltarlo parlare, adorava le sue riflessioni, lo facevano stare bene, gli davano pace, era ammaliante, era come entrare nel suo famoso Magico Mondo e ogni volta che glielo permetteva se ne imbeveva bisognoso d’averne di più perché quello era il suo Mike e qualunque cosa albergasse nella sua fantastica testa, voleva esserne partecipe.
Fu qui che Jacoby si asciugò una lacrima fugace capendo ancora una volta perché lì, ora, quello e così.
Perché tutto.
Capì che loro erano lì per aiutarlo definitivamente e che stavano vivendo tutto quello, in quel modo, senza sapere cosa, come e perché, per aiutarlo. E non ne erano pienamente coscienti che era per quello, però l’accettavano ed era principalmente quel loro modo di accettarlo e viverlo che lo stava aiutando tanto. Perché andavano avanti in cose inspiegabili ed insolite, anche sbagliate, fuori dalle righe, solo perché gli andava. Senza sapere il motivo.
Era questo che lo stava aiutando tanto.
Mike e Chester non chiesero perché quella lacrima e non gli chiesero a cosa pensava, lo lasciarono in quel suo misterioso mondo parallelo coccolandolo come fosse il loro bambino e quando lo videro tornare in sé piano piano, le cose tornarono come sempre.
Cosa importavano i nomi?
Contava solo che stavano bene e gli piaceva. E che comunque, in qualche modo, faceva loro bene.