NOTE: volevo scrivere qualcosa su Kevin ora, perchè sta male e si vede ed è a pezzi... dopo aver visto le sue ultime foto di lui che si strofina il viso a pezzi e che non ce la fa mi si è stretto il cuore. Qualunque sia il vero motivo io gli auguro di sbloccarsi e di superarsi e tornare a giocare bene ed anzi meglio dell'anno scorso. A me piace lo stesso, nel bene e nel male. Non è perfetto, non lo è mai stato, ma sta male e non lo si può negare.
Così ho colto il momento presente dove molti sono radunati in nazionale ed ho pensato che sarebbe l'ideale scrivere una Boammel. È vero che Kevin sta molto insieme a Nigel (che sta molto con Urby... del resto sono entrambi olandesi) ed è vero che Nigel è molto amico di Mark e che è stato convinto da lui ad andare al Milan.
Non penso che mi resti altro da dire se non un sentito in bocca al lupo al Boa... che si sblocchi presto.
Buona lettura.
Baci Akane


A FONDO



/Apologize - One Republic/

Kevin si strofinò il viso per l'ennesima volta... non ce la faceva più... gli occhi gli bruciavano e si stava sforzando come un matto per non piangere.

Aveva chiesto un allenamento intensivo speciale per rimettersi, per tornare a recuperare quello che, non sapeva proprio come, aveva perso dall'anno scorso.
Il mister aveva detto che esagerare aumentava la pressione psicologica e che la sua pressione era già troppo alta e che francamente il suo problema era proprio quello.
- La pressione? - Aveva così ruggito coi nervi a fiori di pelle.
Max con calma e le mani in tasca, mentre ormai gli altri se ne stavano andando, disse piano:
- Proprio così. Ti senti la squadra sulle spalle, ti hanno dato la maglia destinata a Ibra che era il perno. Pensi di doverne essere l'erede in qualche modo. Quella maglia ti è stata data per non darla ad uno troppo giovane o ad uno appena arrivato, ma non perchè te la meriti o perchè sei l'erede. Questo dovrebbe rilassarti ma so che non ti cambierà niente perchè tu ti senti comunque il responsabile dell'andamento negativo. Perchè le sfere alte hanno tenuto te e quindi hanno puntato su di te per farci andare avanti. No? È vero che pensi questo? - Kevin si zittì, quell'uomo forse non era in grado di arrabbiarsi spesso ma sapeva entrare nella testa degli altri, li capiva. Max proseguì calmo. - Ma non sei in campo da solo. E poi se non sai che fare di quel numero dieci, se non sai come essere un numero dieci scordati di esserlo. Non ha importanza! L'anno scorso eri partito bene, hai avuto delle buone partite, ti sei fermato per un infortunio ma poi sei tornato come niente. Poi la squadra si è sgretolata e ti hanno dato un peso non da tutti. Non devi pensare di essere un erede od un numero dieci, devi pensare solo a comunicare coi tuoi colleghi in campo, questo è il primo passo per voi perchè siete praticamente undici giocatori messi insieme quasi per la prima volta. Pensate a comunicare quando giocate. E scordati l'importanza che ti hanno dato... sii solo te stesso... - Ma Max come tutti gli altri sapeva che non sarebbe stato così facile dopo un'estate passata a pensare che ora sarebbe toccato a lui trainare tutti quasi da solo.
Quel dieci era stato uno degli errori più grandi che i dirigenti quell'estate avevano fatto. E di errori ne avevano fatti.

Scuotendo la testa, Kevin se ne andò con l'ordine tassativo di Max di staccare anche lui come gli altri.
Alcuni erano partiti per i ritiri delle nazionali, Kevin non ne aveva, quelli rimasti avrebbero continuato gli allenamenti.
In macchina si chiese per dove diavolo stesse guidando, cosa pensasse di fare, dove pensasse di andare... non ne aveva idea, improvvisamente si rese conto che stava andando verso quella che una volta era la casa di Mark. Solo pochi mesi prima, in realtà. Allora piantò i freni dell'esagerato macchinario che guidava e si fermò sconvolto.
Cosa doveva fare a quel punto?
Si riprese il viso fra le mani, la voglia di piangere.
Non ce la faceva.
Non ce la faceva proprio.
Era a pezzi e non ce la faceva.
Alla fine si arrese e prendendo il telefono avvertì Melissa che doveva andare via per un giorno e che era una cosa di vitale importanza. Le sembrò naturalmente strano che di sera quello prendesse un aereo per sparire chissà dove ma dal tono incrinato capì che non era il caso di discutere e lo lasciò andare.

Mark aveva appena messo giù il telefono e la sua espressione sembrava profondamente indecisa. Guardò l'ora e guardò verso la porta d'ingresso.
Sospirò e si morse il labbro ripensando alla conversazione con Nigel.
Aveva fatto un'opera di convincimento non da poco con il suo amico affinchè andasse al Milan e l'aveva fatto per due motivi precisi.
Uno era che sapeva che Nigel aveva le precise caratteristiche che al Milan ora servivano in quel ruolo, quello che aveva lasciato vuoto.
L'altra era che il Milan era veramente una squadra che meritava tutto il meglio e l'appoggio possibile.
C'era però anche una terza questione... e quella era che Nigel era un ottimo amico e poteva chiedergli di raccontargli le vicende di Milanello... infatti ogni sera lo chiamava e gli diceva come andavano le cose nel gruppo e negli allenamenti per poi soffermarsi su Kevin.
Aveva dovuto spiegargli la storia, per questo poi Kevin stesso stava volentieri vicino a Nigel. A parte perchè si capivano -tutti gli olandesi parlavano perfettamente sia il tedesco che l'inglese- anche perchè sapeva che era amico di Mark e lo sentiva un po' più vicino in quel modo.
Nessuno poteva capire lo stato in cui era Kevin ma quando Nigel gli raccontava cosa faceva, Mark lo capiva. Capiva perchè si comportava in quella data maniera e perchè non riusciva a giocare.
Il telefono, però, era diventato un mezzo praticamente inutile, si disse seccato.
Non sapeva come aiutarlo a distanza, lui esortava la gente con forza da vicino, con un contatto fisico costante.
Quando era arrivato a Milano aveva visto subito in quel ragazzo una testa calda, un cavallo pazzo da domare e sgrezzare. Era lì in campo e correva come un disgraziato facendo molti tentativi senza arrivare a niente di concreto. Anche al di fuori... feste, notti in bianco, tardi agli allenamenti, occhiaie profonde.
Capendo che dovevano fare qualcosa per lui, l'aveva fatto senza che nessuno glielo avesse chiesto.
Gli si era attaccato perchè era uno dei pochi che parlavano benissimo tedesco ed inglese, quindi gli era diventato amico fino a controllarlo nelle uscite insieme e ad imporgli dei rientri a casa decenti cosicchè al mattino fosse in grado di alzarsi in tempo. Aveva piano piano fatto in modo che si mettesse in regola. Dopo di quello gli aveva dato il suo sostegno e la sua esperienza sul campo, la sicurezza per giocare senza cercare di strafare.
L'anno successivo aveva giocato bene, aveva finalmente cominciato a segnare nei momenti importanti e si era fatto strada.
Quando aveva capito che se ne sarebbe dovuto andare perchè ormai l'età ed il fisico non lo reggevano più come i livelli richiesti dal Milan, si era chiesto principalmente se Kevin avesse potuto continuare da solo. Se l'era chiesto con obiettività sapendo che non tutti potevano farcela sempre da soli. Che non tutti erano veramente forti come volevano apparire.
Kevin era fra quelli.
Oltre che gli sarebbe mancato, il problema non sarebbe stata la loro relazione. Sapeva che si sarebbero visti e sentiti. Sarebbe stato un po' difficile ma ce l'avrebbero fatta.
Era proprio una questione di persona e calcio... Kevin quando stava male stava male a trecentosessanta gradi. La sua convinzione era che per la mancanza nel privato ce l'avrebbe potuta fare ma non per la mancanza in campo.
Senza qualcuno che l'esortava di continuo e che gli ripeteva il giusto modo di prendere le cose, Kevin aveva la mania di prenderle ripetutamente sempre male.
Infatti così era stato.


Stava guidando quando ricevette la telefonata di Kevin e mettendosi l'auricolare con un'espressione da 'ed ora che gli dico?' rispose pacato com'era sempre.
- Ciao... - La sua voce era molto tesa ma in uno sfondo davvero caotico.
- Ciao... -
- Ma dove sei? C'è un casino... - A quell'ora poteva solo essere in un locale ad ubriacarsi e non era di certo la soluzione... tanto più che ora non c'era lui a tirarlo a casa. - Mica sei al Freak Bar? - Gli venne il dubbio ma poi si ricredette, quel posto era silenzioso.
- No sono in aeroporto. Hai del tempo per me? - Mark lasciò una frenata non da poco e fermata la macchina tolse l'auricolare e si mise il telefono all'orecchio.
- Stai dicendo che sei venuto qua in Olanda?! - Non era normale...
- Io non ce la faccio, ho bisogno di te... - Un mormorio quasi inudibile in tutto quel casino. A Mark bastò.
- Arrivo, fatti trovare al solito posto che ti tiro su al volo. Non farti riconoscere! - Kevin quando voleva passare inosservato sapeva come fare, specie se invece che in Italia era in Olanda!

Mark fece la strada in tempo di record, non era davvero molto lontano dalla meta. Quando il ragazzo entrò non lo guardò nemmeno, non voleva avere la tentazione di abbracciarlo subito, prima dovevano mettersi al sicuro e soprattutto dove sarebbero stati comodi.
Lo faceva ogni tanto, era un folle ma lo faceva.
Appena dopo una partita, specie se la giocavano il pomeriggio, lui prendeva l'aereo e volava in Olanda da Mark, stava tutta la notte e poi al mattino tornava giusto in tempo per l'allenamento. Non dormiva molto ma erano le volte in cui era più sereno.
Mark lo rimproverava perchè preferiva si concentrasse solo sulla squadra e che dormisse a dovere ma poi lui gli rispondeva che a casa finiva per pensare a mille cose e a non dormire comunque.
Mark sospirava sempre e l'abbracciava.
Ora non poteva bastare, doveva fare qualcosa per lui, doveva.
In silenzio guidò fino al solito posto.
Era un Bad and Breakfast vicino all'aeroporto per facilitare le partenze del ghanese.
I primi tempi avevano scelto un albergo preciso, la camera sempre quella. Ma poi avevano cominciato ad essere riconosciuti nonostante fosse un hotel riservato.
Allora avevano scelto quello. In un posto effettivamente comodo, dovevano tenere a bada una sola persona. Quella persona era un vecchio amico d'infanzia di Mark.
Appena aveva scoperto che quel Bad and Breakfast era suo aveva fatto immediatamente quel patto.
Quella camera la lasciava sempre libera per loro e qualunque giorno loro arrivassero, dovevano poter entrare sempre. Guai a passare la notizia a qualcuno.
Più riservati di così non c'era nulla.
Era una casa a due piani molto ben arredata attorniata da un giardino recintato, entrarono con l'auto e scesero. La luce dell'ingresso si aprì subito e ad accoglierli un uomo dell'età di Mark, sorrise e li salutò sorpreso di quell'improvvisata...
- Pensavo fossi già in nazionale... - Mark scosse il capo.
- Niente nazionale per me, ormai... e poi c'era una cosa più importante. - Kevin lo seguì a ruota, il volto basso, lo salutò appena e l'altro pensò peste e corna di lui che se la tirava troppo, era evidente.
Mark si appuntò di spiegargli che quella non era mancanza di rispetto ma solo depressione.
In camera, appena la porta fu chiusa a chiave, Mark non lo fece nemmeno parlare.
In realtà gli mancava molto anche a lui.
Lo spinse subito contro la porta e respirò il suo profumo di una marca costosa che ormai non riusciva più a riconoscere, ne cambiava molti.
Erano tutti buoni.
- Ehi, piccolo... - Solo lui poteva chiamarlo così. E Kevin si scioglieva sempre, puntuale.
Lo cinse con le braccia ed affondò il viso contro il suo collo forte. Respirò anche lui il suo profumo di bagnoschiuma, più naturale del proprio.
Non ce la faceva. Non ce la faceva ancora.
Non resisteva. Aveva una bomba dentro e non sapeva come estirparla.
Le mani grandi di Mark cominciarono ad accarezzarlo mentre con delicatezza ma sicurezza lo condusse verso il letto.
- Vieni amore... - Mark in privato e con lui era estremamente dolce... in campo accumulava cartellini gialli tanto che era aggressivo, ma nel quotidiano era gentile e dolce. Tutta un'altra cosa.
Ancora una cosa e quella bomba sarebbe uscita, ne era certo. Era lì perchè lui era l'unico a riuscirci.
Lo fece sedere e si sciolse, quindi gli prese il mento fra due dita come fosse una ragazzina alle prime armi col fidanzatino.
Kevin in quelle vesti era praticamente inedito a tutti ma per Mark era quasi normale, ultimamente, non era mai sicuro e sereno, quella strafottenza l'aveva persa. Solo quando appariva in pubblico si sforzava ma alla fine sembrava solo cupo e rabbioso.
Mark l'osservò un attimo.
Non era l'uomo di cui si era innamorato. Quell'arrogante essere che trasudava sensualità da ogni dove.
- Dovresti almeno fare qualcosa per quei capelli! - Esclamò spontaneo. Non li aveva mai avuti così selvaggi, gli stavano anche piuttosto male. Kevin si strinse nelle spalle. Non gli interessava più.
- Dai, non dirmi che senza di me non ti va di farti figo! - L'intento di Mark era di scherzare ma non ci riuscì bene.
Kevin alzò lo sguardo sul suo, gli occhi erano lucidi. Era lì per piangere ma non perchè lui non c'era e gli mancava, l'aveva già fatto tanto per quello.
Voleva piangere per sé perchè forse... forse... non osava nemmeno dirlo...
- Non mi interessa più... tanto sono... - Non riusciva a dirlo ma Mark lo aiutò come faceva sempre e abbassando il capo per guardarlo meglio in viso, disse fermo ed indulgente:
- Cosa sei, ora? - Kevin sospirò e rispose insofferente, la voce rotta.
- Finito! Quello che ero l'ho dato l'anno scorso e non era nemmeno gran che! Ora non ne ho più e non so perchè... non ci sono più gli altri... mi mancate tutti... e mi ha cambiato di ruolo ed io non mi ritrovo lì... e poi forse mi hanno sopravvalutato... mi hanno dato la maglia che dovevano dare a Zlatan, capisci? Come per dire che ora devo fare io quello che avrebbe fatto lui, che ora è tutto sulle mie spalle, che sono io quello più importante... che... che devo dare molto molto di più... e se io quel di più non ce l'ho? Non ritrovo nemmeno quel po' che avevo l'anno scorso... ho lavorato tanto, anche grazie a te, per arrivare a quel punto... mi... mi ricordo i collegamenti in campo... da Thiago a te a me e poi a Ibra! Dannazione... ora non ci siete, sono rimasto solo, solo! E devo fare anche di più di quello che facevo l'anno scorso che comunque lo facevo con voi! Io non... non ce la faccio... sono finito! - Mark sospirò contrariato e dispiaciuto ma lo strinse e solo quando sentì la sua pelle bagnata capì che lo era dalle proprie lacrime.
Finalmente Kevin piangeva e piangeva per sé stesso, per nessun'altro.
Aveva pianto tanto per il suo compagno che era partito e per le volte che gli mancava. Era andato da Thiago, poi Thigo era partito a sua volta allora si era trovato ad essere lui quello che consolava Roby. A quel punto aveva cercato Alex ma era partito Zlatan ed aveva dovuto consolare anche lui.
Ed era rimasto la spalla su cui piangere quando invece anche lui ne aveva bisogno di una.
L'estate era passata così.
A piangere per Mark da solo e a guardare quel numero dieci.
Aveva fatto molti viaggi per vederlo, anche con Melissa era stato bravo. Aveva deciso di sposarla perchè era una copertura perfetta. Lentamente era riuscito a superare quello scoglio. Lo scoglio Mark.
Ma ora era lì alla resa dei conti.
- Amore, la squadra è cambiata praticamente da cima a fondo, per lo più non vi conoscete, dovete comunicare, capirvi, conoscervi... dovete fare gruppo e poi comincerete a giocare bene... ma non dovete giocare con questa pressione psicologica. Soprattutto su di te, ne è stata messa troppa. Perchè tutti sapevano che Alex ha problemi muscolari e che non sarà costante come dovrebbe, e sapevano anche che Roby è in calando e che non darà più di quello che ha dato, ha dei limiti precisi e tutti li conosciamo. E quindi hanno sperato che tu fossi in crescendo e che questanno avessi fatto il doppio dell'anno scorso. Hanno detto 'lui è l'unico!' sono andati per esclusione. Per questo hanno deciso di puntare su di te. Ma tu non funzioni così! Tanta pressione hai, peggio giochi perchè ci pensi troppo. Pensi a quello che dovresti fare. Tu sei un giocatore d'istinto, le cose ti vengono buttandoti, senza pensarci... se ci pensi non ti vengono più... capisci? Devi trovare quel vuoto mentale che avevi l'anno scorso... - Era strano come discorso, solitamente se ne facevano di diversi per responsabilizzare qualcuno e spingerlo a giocare meglio. Ma ognuno era a sé.
Kevin, singhiozzando in modo infantile, mormorò con voce incrinata:
- Non era vuota la mia testa, era piena di te. Ero così felice di stare con te, anche quando non stavamo insieme ma ci provavamo, anche quando era tutto strano, che non pensavo ad altro, capisci? Ora tu non ci sei e devo pensare a quando posso vederti, a come starai, a quando ci vedremo. E devo pensare che qua è tutto diverso, e penso a come lo è. E penso che è cambiato tutto. Il mio numero sulla schiena, la mia posizione in cambio, le persone a cui passo la palla. Ma non dovrebbe essere. Sono sempre nella stessa squadra di prima! Eppure sembra che io me ne sia andato altrove! Ho mille cose, ora, a cui pensare. -
Mark poteva capire precisamente quello che diceva, il problema era che non sapeva proprio come aiutarlo.
Cosa fare.
Cosa dirgli.
L'unica soluzione sarebbe stata essere là con lui ma indietro nel tempo non si tornava.
Sospirò dispiaciuto. Si sentiva in colpa. In una colpa mostruosa, per quel che lo riguardava nello specifico. Se avesse almeno la serenità nella vita privata, si disse, sarebbe già a cavallo.
- Mi manchi tantissimo anche a me... ma so che ci vedremo e che sarà splendido... perchè fare l'amore quando non ci si vede da un po' è più bello... e poi tu riesci a dirmi quelle cose dolci che quando ero a Milano non mi dicevi mai perchè te ne vergognavi... - Kevin sarebbe arrossito se fosse stato meglio. Mark gli prese il viso fra le mani e l'alzò per guardarlo.
Era stravolto dalle lacrime e piangeva, si sentiva in generale sbagliato e non sapeva come rimediare, né se un modo ci fosse.
- E poi fare il centrale del PSV non è la stessa cosa che farlo al Milan, sai? Mi manca la squadra, mi manca l'ambiente di Milanello... quell'aria che si respira... i tifosi che vivono lì per te e ti fanno sentire così importante... tu... tu lo capirai quando e se te ne andrai. Ti manca nelle ossa, quel posto. Però tengo duro gli anni che mi restano, poi andrò da qualche altra parte a tentare la carriera d'allenatore, è una cosa che mi attira tantissimo. Spero di poter tornare in Italia. Sai... ci sono i sogni, ci sono i progetti. E ci sarai sempre tu, se lo vorrai... - Kevin lo baciò di slancio per rispondere.
Premette le labbra, erano bagnate e salate, Mark le pulì succhiandole dolcemente con le proprie, le sue erano belle carnose e di quella forma buffa.
- Devi trovare una serenità mentale, un equilibrio. Devi lasciar perdere tutto quello che dovrebbe essere, tutto quello che era e che non è più. Devi vedere quello che è ora, dimentica il passato. È un bel ricordo splendido, ma ora è diverso. Guarda ora quello che hai e lavora su quello. Cancella tutto e poniti un obiettivo talmente forte che ti dia una ragione di vita, che ti faccia andare avanti ad ogni costo. Mai mollare. Cerca un obiettivo simile. - Kevin non aveva idea di quale potesse essere quell'obiettivo, in quel momento era confuso e voleva solo poter tornare indietro quando tutto era perfetto.
- Vedrai che le cose torneranno ad andare bene. Devi crederci. - Mark era molto convincente e la sua calma lo penetrò. Con speranza Kevin tornò a baciarlo, voleva avesse ragione. Voleva che fosse come diceva lui.
- Mettimi dentro tutta questa tua sicurezza e questa tua serenità, ti prego... mettimela... ti prego... - Mark si eccitò all'istante quando Kevin glielo disse sulle labbra.
Aprì le proprie e rispose infilando la lingua nelle sue. Kevin gli venne subito incontro, come se non avesse aspettato altro. Si intrecciarono e si abbracciarono dentro in quel modo intimo e disperato. Era un'urgenza e quando la miccia si accese, Mark lo spinse a stendersi col busto sul materasso. Lo ricoprì per qualche secondo continuando a baciarlo, secondi infiniti.
Dopo di che si alzò e si slacciò i pantaloni guardandolo lascivo. Mark avrebbe voluto fare tutto da solo ma Kevin non era della stessa idea e rialzandosi gli mise subito le mani addosso aiutandolo a liberarsi dei pantaloni e dei boxer.
Appena nudo nella parte inferiore l'attirò a sé prendendolo a piene mani sui glutei, strinse con prepotenza tipica sua mentre lentamente ritrovava la forza persa.
Se lo sistemò fra le gambe che aprì, le allacciò intorno alle sue e tenendolo a sé gli prese l'erezione fra le labbra.
Gli era mancata.
A volte lo stuzzicava per telefono e si masturbavano ma non era certamente la stessa cosa.
Chiuse gli occhi come se fosse in estasi solo per averlo in bocca. Era ciò che rappresentava, il centro del suo piacere.
Mark gemette e spinse subito il bacino nella sua bocca. Era così virile quando lo faceva che Kevin si eccitava immediatamente.
Lo staccò con decisione prendendolo per i capelli sulla testa.
Il ghanese imprecò ma si ricredette quando lo vide togliersi la maglia con un unico gesto fluido.
Completamente nudo, Kevin si leccò le labbra. Poi aprì le gambe e le stese davanti a sé appoggiandosi all'indietro sui gomiti. L'espressione provocante. Eccolo il suo Kevin che tornava.
Mark si chinò a slacciargli i pantaloni a sua volta e quando afferrò anche i boxer, come prima aveva fatto lui, tirò con prepotenza. Uno strappo deciso quasi non ne potesse più. A volte usciva il lato animalesco anche al di fuori del campo da calcio.
Kevin l'adorava.
Si ritrovò nudo in poco tempo e si mise meglio sul letto, quando il ragazzo gli si stese sopra sentì la sua erezione ancora dura strofinarsi contro, la pelle sensibile delle cosce lo fece sussultare ma gemette davvero quando fu proprio sull'inguine. Come osava in quel modo?
Gli morse involontariamente le labbra mentre lo baciava e Mark ridacchiò scendendo sul collo a lasciargli un segno simile, mutato poi in un succhiotto che comunque nessuno avrebbe mai notato.
Continuava a strofinarsi addosso e dopo il collo si occupò dei capezzoli, Kevin inarcò la schiena e affondò le mani sui suoi ricci accompagnando la testa con prepotenza verso il basso. Aveva bisogno della sua bocca là sotto.
- Prendimelo in bocca dai... - Mormorò roco. Mark si eccitò e l'accontentò.
Lo leccò facendolo sussultare per poi stringerselo fra le labbra. Mosse la testa, sempre accompagnato dalle sue mani e dai suoi gemiti. Lo sentì crescere contro il palato fino ad arrivargli in gola e quando lo sentì pulsare in maniera esagerata lo lasciò andare fra le sue solite imprecazioni. Si rialzò e, dopo un altro bacio, lo girò mettendolo in ginocchio davanti a sé, di schiena. Kevin si mise subito a carponi, si appoggiò sui gomiti e gli si porse inarcando la schiena. Quella posizione dava alla testa a Mark che leccandosi le labbra passò a farlo anche a quella sua parte che chiedeva di essere penetrata.
Gli allargò le natiche e si inserì con la lingua, lo bagnò abbondantemente e altrettanto fece con le proprie dita prima di infilargliele dentro. Kevin non aveva bisogno di molte preparazioni ma quella era una cosa molto piacevole e gliela faceva più che volentieri. Kevin sospirò sentitamente mentre passò a mordere il lenzuolo.
- Vieni subito...- Allora Mark, pur sapendo che del sesso non risolveva i problemi di Kevin ma almeno lo rasserenava un po', lo prese per i fianchi e scivolò in lui. La sensazione ormai era piacevole, era abituato e l'attendeva con impazienza.
Sospirarono insieme e fu facile entrare ed uscire per rientrare più in profondità, con maggior forza ed intensità. Il ritmo crebbe subito, divennero incontenibili, Mark penetrava Kevin mescolando i loro piaceri e i loro gemiti, i corpi ormai un tutt'uno ad ogni spinta vigorosa che gli dava. Quando il ragazzo davanti si alzò e gli si spalmò addosso per seguire meglio il suo corpo e le sue spinte, il piacere fu totale ed i brividi raggiunsero entrambi in ogni angolo del loro corpo, dalla testa ai piedi, mentre le scosse elettriche li facevano tremare e sconvolgere.
Per un istante non capirono niente, fu il nulla.
Fino a che, dopo l'orgasmo, crollarono l'uno sull'altro nel letto. Un altro po' e Mark uscì da Kevin spostandosi di schiena accanto a lui, il compagno gli salì sopra e si appoggiò con la testa sul suo petto ansimante e sudato, erano entrambi in quelle condizioni ma le menti svuotate da tutto e quella serenità psico fisica totale.
Il mondo andava ancora alla grande, per un momento fu così. Un momento magico.
- Non so se sperare che il tempo voli e che tu venga presto in Italia ad allenare, o se averne paura... - Mormorò poi Kevin capendo che se l'avesse avuto fisicamente vicino sarebbe andato tutto molto meglio.
Mark gli carezzò la schiena umida e sospirò.
- Smettila di pensare. Non lo devi fare. Devi solo essere istintivo e vedrai che tutto tornerà a posto. Pensa piuttosto a quale sarà il tuo obiettivo a lunga scadenza. Sai. C'è chi gioca per ottenere un pallone d'oro, chi per assomigliare ad un mitico giocatore... chi, come Ronaldo, per essere lui l'esempio che gli altri un giorno vorranno imitare. Devi porti un obiettivo e non giocare giusto per giocare, ok? - Kevin annuì e capì che la superficialità di una volta la stava pagando ora. Ma era in tempo, con Mark accanto si sentiva in tempo per tutto.
E se non ce l'avrebbe fatta a tornare come prima ed anzi superarsi, significava che non meritava di stare lì e che era giusto andarsene.
Semplicemente.
Con questo si tirò su e lo baciò di nuovo ringraziandolo. Non poteva vivere senza di lui. Vicino o lontano che fosse, non poteva proprio.

FINE