CAPITOLO XXIV:
PRIMA DEL FISCHIO FINALE

Kevin rimase seduto al tavolino nell’angolo del Freak Bar per un bel po’, prima di decidersi.
Quando lo fece, scrisse la somma di tutti i suoi molti pensieri e fu una cosa ragionevolmente ponderata poiché, dopotutto, era ora di crescere anche per lui e guardare in faccia la realtà aprendo per bene gli occhi.
Poteva girarci intorno quanto voleva, fingere di non vedere le cose come stavano e lottare testardamente.
Non era però una questione di non voler più soffrire in vista di tutti i molti ostacoli che avrebbero incontrato e degli svariati litigi, era proprio un essere concreti ed onesti. Alla fine si doveva, no?

Quando Mark ricevette quel messaggio, per poco non gli cadde la figlia di braccio.
Dovette metterla giù e dileguarsi in bagno per poter rileggerlo e capirlo bene. Lo scorse più e più volte convinto che quelle poche parole lasciassero scampo a qualche interpretazione più sopportabile, così comunque non fu.
Non si poteva fraintendere, non c’erano sottintesi, né troppe frasi di mezzo. Solo una breve e concisa.
‘E’ meglio se rimaniamo solo amici.’
Pensando di poter morirci, nel bagno di casa sua, sentì dopo un bel po’ le bussate da parte dei figli e della moglie, preoccupati perché non usciva più.
Mark si riscosse e rendendosi conto di non aver pensato esattamente a nulla in quel lunghissimo lasso di tempo, senza avere in mente niente di preciso se non una cosa ed unica, uscì da lì per fiondarsi verso l’ingresso urlando concitato:
- Devo uscire, c’è Kevin che sta per fare una cazzata delle sue e gliela devo impedire! - Era una frase tipica di prima che si mettessero insieme, non l’aveva più usata dal ritiro in poi ed ora gli era venuto spontaneo.
Come spontaneo era stato uscire di casa, prendere la macchina e mettersi a guidare come un pazzo per raggiungere quel bar.
Lo sapeva che era là anche se non glielo aveva scritto.
Erano pensieri assurdi che potevano venirgli solo là.
Raggiunto il Freak Bar, nemmeno cercò la sua auto parcheggiata fuori, sapeva che era lì, non poteva che essere lì.
Scese gli scalini del locale fatiscente ed isolato dal mondo comune e civile e appena dentro, la porta per poco non gli rimase in mano.
Quell’assurda ansia era salita fino alla gola che ora rimaneva legata a doppia mandata.
Come si poteva ritrovarsi in quello stato per un messaggio che poi andando per logica avrebbe dovuto sollevarlo da un incarico ingrato?
Prima o poi si sarebbe trovato lui stesso a dover dire una cosa simile a Kevin, perché tanta angoscia ora che glielo aveva detto e l’aveva tolto dall’impaccio?
Era quello che in realtà aveva voluto da quando aveva capito di provare qualcosa per lui… perché ora che l’aveva ottenuto si sentiva così?
Non riusciva a pensarci e rifletterci… era così e basta. Punto.
Cercò subito con lo sguardo il tavolino in fondo, il solito, isolato nella penombra cupa del locale.
E lui era là, proprio come aveva giurato di trovarlo.
Seduto davanti ad una birra a metà che la fissava ipnotizzato pensando in realtà a chissà cosa.
Si precipitò là e sedendosi innanzi, nei divanetti sgangherati intorno al tavolino traballante, gli diede uno schiaffo sulla nuca, poi tuonante ruggì senza rifletterci nemmeno:
- Che diavolo di messaggi sono da mandare, quelli? - Kevin si riscosse e lo vide solo allora.
Solo lì si chiese cosa si fosse perso e cosa ci fosse che non andava…
Perché Mark gli stava davanti? La nuca gli doleva, l’aveva colpito e rimproverato?
Mark, seccato dal fatto che sembrasse non esserci, batté le mani sul tavolo che barcollò scricchiolando, quindi esclamò facendosi sentire dal barista immerso in chissà quale sito internet di dubbio gusto.
- Kevin! Rispondimi! Cosa ti salta in mente di scrivere una cosa simile? - Non riusciva nemmeno a dirlo e mano a mano che si rendeva conto di quanto indignato fosse per quel fatto e quanto inconcepibile fosse l’ipotesi di rimanere veramente solo amici, Kevin non credeva semplicemente ai suoi occhi e alle sue orecchie…
- Ma è quello che volevi tu all’inizio… - Rispose infatti cercando la prima cosa ovvia nella mente nel panico… Mark sbatté di nuovo le mani sul tavolo ed il barista dovette fischiare per farlo smettere.
- Però abbiamo deciso di provarci lo stesso e vedere se ce la facciamo! - Stava andando totalmente d’istinto, se si fosse fermato a pensare avrebbe capito che aveva ragione Kevin e che la cosa più sensata era dargli retta. Ma al momento sembrava che i ruoli si fossero scambiati ed il ghanese lo fissava senza credere ai suoi occhi. Era davvero preso da ciò che diceva, era evidente si sentiva male all’idea di rimanere solo amici.
- Sì ma io ora starò fermo un mese, ci vedremo di meno e tu avrai tutto il tempo per disintossicarti da me e vivere la tua famiglia ritrovando la tua famosa retta via! Avrai voglia di piantarmi tante di quelle volte che dannazione, è assurdo lottare una guerra persa in partenza! Io non so, mi sembra di essere un’idiota che piscia controvento, Mark! È quello che cercavi di dirmi prima di oggi! Insomma, hai ragione! L’ho capito solo oggi perché ho avuto paura… insomma, ora non ci vedremo spesso perché sono infortunato e tu… - Ma qua Mark infuriato, con una rabbia quasi cieca che gli montava dentro e che non gli permetteva nemmeno di capire cosa stava dicendo, ribetté sporgendosi tutto verso di lui, lo sguardo battagliero come quando in partita litigava con qualche avversario tosto:
- IO AVRÒ SOLO PIÙ VOGLIA DI STARE CON TE! - Si accorse d’aver urlato dall’hey del barista. Davvero non aveva alba di chi fossero, voleva solo che il suo locale fosse tranquillo… per il resto la gente poteva farci quel che voleva, anche drogarsi, per quel che gli interessava!
Per questo non era raro che venissero coppie omosessuali in cerca di un po’ di privacy.
Mark sospirò spazientito cercando di calmarsi mentre Kevin, ancor più sotto shock, lo fissava aspettando di svegliarsi. Che stava dicendo? Era vero od un altro dei suoi soliti sogni?
Cosa diavolo era cambiato dall’ultima volta che avevano affrontato quel discorso?
L’olandese si rese conto di dover schiarirsi le proprie idee per primo e placare gli animi ma soprattutto si rese conto di essere lui stesso al capolinea. Il proprio capolinea.
All’ennesimo respiro profondo si alzò e si sedette dall’altra parte, accanto a lui, spostando Kevin sul divanetto scomodo per farsi spazio e mettersi vicino. Kevin allora si trovò il suo sguardo a pochi centimetri di distanza, il suo sguardo così intenso e magnetico che lo paralizzava ogni volta per la sua sincerità. Aveva un modo di catturare chiunque guardasse… ipnotizzava…
Ora l’aveva accanto, i fianchi attaccati, spalla contro spalla, una mano sul tavolo e l’altra sotto, quella più vicino al compagno.
Si volevano in ogni particella e speravano che qualcosa, costantemente, li unisse ulteriormente. E finivano per cercarsi senza rendersene conto.
Ora che gli era così vicino, Mark si sentiva meglio e lentamente la nebbia cominciava a schiarirsi, l’ansia per assurdo a scemare così come la voglia di prenderlo a pugni per quelle uscite assurde.
- Non me ne sono accorto prima di leggere quel messaggio. - Ammise finalmente calmo. Kevin sbatté le palpebre stordito.
- Se rimaniamo amici? - Mark annuì, poi piano e risoluto continuò:
- Ho agito d’istinto… semplicemente… semplicemente non volevo. Tutto lì. - Kevin rimase ancora senza parole. Così semplicemente? Le cose erano dunque sempre meno complicate di come uno le faceva? Mark gli lesse perfettamente dentro e cercando finalmente la sua mano di proposito poiché, sempre semplicemente, lo voleva fare, gliela prese. Era sotto il tavolo e al buio del locale comunque nessuno li vedeva ed anche se fosse successo non solo non li avrebbero riconosciuti, ma non ci avrebbero fatto assolutamente caso. Quella era la cosa più normale che si poteva vedere al Freak Bar, il locale più smorto, fatiscente e discutibile di Milano!
Mark, nel bruciore delle loro mani finalmente allacciate, proseguì piano e sicuro di sé, come il regista di una partita estremamente importante:
- Quando ci pensavo da solo capivo che era razionalmente la cosa giusta, quando me lo sono sentito dire ho capito che però non era ciò che volevo veramente. Forse solo quando se ne parla uno capisce o forse solo quando te lo chiedono chiaramente, non so… forse sei stato tu a scappare da me a darmi il pugno allo stomaco. Mi hai svegliato in qualche modo. Penso siano le terapie d’urto che con me funzionano. Non so dirti, ma non voglio essere solo tuo amico, Kevin. Voglio davvero provare a vivere questa storia con te. E sì, non so quanto facile sarà, anzi… sono una persona complicata e ti verrà voglia di impiccarmi spesso e volentieri ma anche io avrò la stessa voglia con te… ma sai una cosa? - Kevin l’avrebbe ascoltato in eterno, ma avvicinato il viso al suo fino a sfiorare le labbra, fregandosene altamente di tutto e tutti, come se fosse normale farlo in un luogo pseudo pubblico, stringendo la sua mano sotto il tavolo, immergendosi nel suo sguardo intenso, chiese:
- Cosa? - In ogni caso non sarebbe mai stato veramente capace di mollare tutto, lo capì solo in quell’istante, guardandolo da così vicino.
- Voglio vivere tutto questo con te lo stesso, anche se sarà un inferno. Non voglio privarmene in ogni caso. Semplicemente lo voglio fare veramente. - Semplicemente le cose non erano sempre contorte come le persone amavano credere per colorare e pepare le rispettive vite.
Semplicemente spesso c’era qualcosa che si voleva fare e la si faceva, punto.
Come quel bacio che si diedero in risposta e conclusione ad un discorso che finalmente era definitivo e senza più repliche.
Cosa aggiungere a tutto quello se non le loro labbra libere di ritrovarsi, unirsi, aversi, prendersi e mescolarsi?
I sapori si confusero, le lingue lottarono all’interno delle bocche e tutto il resto perse d’importanza, il passato, i valori, il luogo, il pericolo e qualunque altro motivo per non farlo.
Volevano? Allora potevano.
Tutto lì.
Ed anche se forse non era veramente così semplice, il solo fatto di non poter fare a meno di viverla lo rendeva semplice.
Poi, per il resto, avrebbero visto cammin facendo.
Non avrebbero mai più avuto bisogno di riprendere fiato, fosse stato per loro, ma il bisogno di guardarsi venne da parte di entrambi e quando ancora così agganciato l’uno all’altro si videro da effettivi ed autentici compagni quali ora e solo ora erano, entrambi sorrisero a modo proprio.
Uno con dolcezza, l’altro con malizia.
Alla fine in un modo o nell’altro ce l’avevano fatta…
- Colpa del Freak Bar! - Disse Kevin alla fine giustificando quella sua sparata da ‘rimaniamo solo amici!’
Mark allora ridendo quasi sulle sue labbra, rispose sempre citando un paio delle loro frasi preferite di quando erano insieme in fase d’intimità:
- Non lo dirò a nessuno… - E solo loro potevano capire, ma proprio per questo era ancora più bello dirlo e sentirlo.
Per una volta poteva andare bene anche così, col finale più aperto che avessero mai vissuto. Proprio perché non avevano ancora giocato la finale, era tutto più bello ed interessante.
Fino al fischio finale dell’ultima partita, niente era mai detto e per dei calciatori non esisteva modo migliore per vivere.
Andando e vedendo di volta in volta… perché tanto, bene o male, coscientemente o meno, tutti facevano così.

FINE