*Fra le altre cose è vero che Zlatan l’ha presa male e non ha fatto dichiarazioni a lungo di alcun tipo, però ho scritto di Allegri presente al momento del fatto prima di sapere che invece era su un altro aereo per Livorno, in quel momento, ma mi è piaciuta la scena così com‘è venuta ed ho deciso di lasciarla, chiedo perdono per il piccolo cambio!*

CAPITOLO XXI:
ZLATAN E ANTONIO

zlatan antonio

Sarebbe dovuto essere un crescendo continuo sempre più positivo.
Sembrava che tutti, a parte Alexandre, avessero trovato la forma e non solo, anche la serenità sia personale che di gruppo ed ora potessero solo godersi la risalita su ogni fronte.
Come se niente, assolutamente niente, potesse affondarli più visto che l’inizio dell’anno calcistico ci aveva già pensato a temprarli tutti.
Kevin era riuscito più o meno a ritrovare la sua sintonia con un po’ tutti e Roby aveva sorprendentemente messo tutto da parte, anche se con mille riserve.
Thiago lo teneva abilmente sulle spine evitando di buttarsi a capofitto come l’altro avrebbe voluto e mantenendo tutto su un piano più contenuto, il controllo non l’avevano ancora perso.
Zlatan, dal canto suo, non ci pensava proprio, si limitava ad andare avanti dritto come un caterpillar per la sua strada, trascinandosi chiunque volesse imbarcarsi con lui. Certamente spesso e volentieri Alexandre finiva per fare da zavorra ma poi una spinta di qua ed una di là, specie da parte di Antonio, le cose fra loro proseguivano più o meno positivamente, tutto sommato, senza impegni effettivi ma comunque stando semplicemente insieme. Niente legami veri e propri che avrebbero fatto scappare lo svedese a gambe levate.
Fu quindi un fulmine a ciel sereno, quello che capitò il 29 Ottobre alla squadra.

Zlatan poteva dire di non avere avuto degli effettivi amici, non del tipo che facevano tutto insieme e si raccontavano vita, morte e miracoli. Di fatto, doveva proprio ammetterlo, era un po’ complicato averci a che fare.
Più che altro oltre al legame sentimentale da cui era scappato, non sopportava in generale i legami di ogni tipo, infatti non aveva fatto molti anni con una stessa squadra, non si era stabilito mai veramente in una città ed ora sembrava che col Milan si trovasse abbastanza bene da azzardare l’ipotesi di rimanere. Un po’ per l’età che andava avanti, un po’ perché stufo di viaggiare di continuo ed un po’ perché capiva quanto idiota fosse fare la cavalletta da un club all’altro.
Con le amicizie era un discorso simile.
Si era sposato perché di storie ne aveva avute molte, almeno tante quante le case che aveva cambiato, e almeno una cosa in tutta la sua vita aveva voluto provare a renderla costante. La donna al suo fianco.
Questo non gli aveva però impedito di vivere tutte le altre relazioni così come aveva voluto sul momento, cosa che continuava a fare liberamente.
Di amici, però, ne aveva avuti molti che si erano dati il cambio nel corso degli anni, tutti più o meno buoni, non poteva dire che avesse mai incontrato compagni che gli fossero stati profondamente sulle palle, qualche incomprensione con qualcuno, ma nulla di preoccupante.
Però di amici veri e propri, amici di quelli a cui raccontava praticamente tutto senza il secondo fine di mezzo che era cioè l’unione fisica, di quelli no, non ne aveva avuti. Qualcuno ci era andato vicino ma nel momento in cui si era ritrovato a dirsi ‘sì, quello me lo porterei ovunque’, se ne era sempre andato.
Ora Zlatan era di nuovo a quel punto, non a quello in cui pensava che fosse ora di andarsene, anzi, sembrava sempre più intenzionato a non muoversi da Milano, però era al punto in cui ‘sì, quello me lo porterei ovunque’!
Con Antonio c’era quell’amicizia incontaminata senza secondi fini di alcun tipo, quell’amicizia per cui finiva per raccontargli tutto, dirgli e farsi dire a sua volta ogni cosa. Per lo più in pochi si azzardavano a fargli certi discorsi, specie se rimproveri, figurarsi se poi qualcuno andava a dargli consigli.
Antonio lo faceva ed aveva cominciato da subito, dapprima scherzando. Era stato il primo a farlo e a tirare fuori la sua parte che sapeva ridere e stare agli scherzi. Inteso, lì in quella squadra.
Poi aveva fatto tanto fino a che Zlatan stesso non si era messo a cercarlo per stare con lui, parlare del più e del meno, rispondere alle sue cazzate, dargli giù bonariamente perché tanto lui era Antonio, ci stava anche alle cattiverie. Fino a che non si era vestito da fata turchina di Pinocchio e si era messo a dispensare consigli a carattere personale. Il bello era che Zlatan prima lo mandava a cagare, poi lo ascoltava e spesso considerava seriamente le sue parole.
Al punto attuale della situazione era arrivato ad aggiornarlo dei suoi fatti personali pur senza che gli fosse richiesto.
Se aveva un rapporto di effettiva amicizia al momento doveva dire che era senza dubbio con Antonio.
Con altri aveva rapporti di vario genere ma non c’erano mai confidenze oppure c’erano altri scopi dietro, altri tipi di interessi.
Quel giorno avevano passato tutto il tempo a parlare. O meglio Antonio a fare spettacolo come sempre e gli altri a dargli corda ridendo. Aveva quel dono di saper far ridere e divertire chiunque, era come una calamita, attirava tutti e nel giro di un istante c‘era una cupola attorno che faceva un gran baccano.
C’erano grida e schiamazzi? Colpa di Antonio, naturalmente!
E se era in compagnia del fedele compagno di sempre, cioè Rino, era ancora peggio.
Dopo aver dato spettacolo, Antonio aveva cominciato la solita prassi estenuante nei confronti di Zlatan, riuscendo a rimanere soli seduti vicini.
Giusto perché stavano atterrando.
- Ma senti un po’, pensi di andare un po’ oltre il ‘ti scoperei dalla mattina alla sera’? -
Zlatan lo guardò sorpreso. Aveva quel dono di passare di palo in frasca senza avvertire.
- Ed ora questo che diavolo c’entra? - Sbottò fissandolo come al solito se fosse pazzo.
- Niente, ma volevo chiedertelo già prima però mi hanno distratto tutti! -
Zlatan scosse il capo, normalmente l’avrebbe mandato a cagare dicendo che erano cazzi suoi ma a lui ormai finiva sempre per rispondere, seppure sempre a modo suo. Antonio non se la prendeva mai.
- Non hai i cazzi tuoi da farti? - il barese infatti rise divertito e colpendolo impavido con un pugno al braccio, rispose a tono:
- No, li ho già spiattellati al mondo, ora passo ai tuoi! -
Zlatan divertito dalla risposta -ne trovava sempre una di fantasiosa- scosse il capo e appoggiando la nuca al poggia testa sospirò cercando di fare chiarezza e rispondere alla domanda specifica non poi così stupida come era sembrata.
- Che cazzo ne so, sai che odio i piani, non me ne faccio mai. Nel momento in cui comincerò ti prego uccidimi perché significa che sarò impazzito! -
Antonio rise e si rilassò.
- Sì, ti capisco… -
- No, per te è solo che non pensi, non è che non vuoi farti piani, è diverso! -
Antonio piegò la testa stringendosi nelle spalle, manteneva sempre l’aria ridente di fondo ma passava dalle cose serie -in apparenza stronzate- a quelle che, stronzate, lo erano effettivamente. Un talento non da tutti.
- Gli altri dicono che mi scatta il matto ogni tanto, è quando faccio quelle famose cazzate che tutti chiamano le Cassanate… non le programmo, mi vengono e basta. Solo che se poi ci penso mi rendo conto che non dovevo, però ormai son fatte… -
- Però non ti pieghi, vai avanti… - Replicò Zlatan incuriosito dal discorso, era raro ne facesse di personali e di seri, si imbarazzava a farli, per questo loro due si capivano più di quel che sembrasse.
- E’ finita se ci si ferma! Bisogna sempre andare avanti, davanti ad ogni cazzata! E comunque mi limito ad essere coerente con me stesso, se gli altri non lo capiscono si fottano, me lo ripeto sempre. Non devo spiegazioni a nessuno, ho i miei motivi per fare ciò che faccio. -
Zlatan condivise anche quel pensiero, si ritrovava davvero parecchio con certe sue uscite.
Guardando fuori dal finestrino si mise a pensare a tutte le volte che lui stesso aveva dato di testa, sia in campo che fuori, ne aveva sempre pagate le conseguenze ma una cosa era stata una costante continua. Non si era mai tradito.
Questo modo di essere si era rafforzato nel periodo in cui era stato allenato da José Mourinho e non era mai stato capace di scrollarsi l’ideologia di dosso.
- A volte sono così tanti quelli che mi credono matto che mi vien da pensarlo, ma poi mi rendo conto che no, cazzo, per me quella cosa che faccio ha senso e se gli altri non la capiscano che si fottano, insomma. Che vogliono? Sono io quello che deve vivere la mia vita, non possono rompermi il cazzo. Andrò avanti comunque, fanculo. E’ così che funziono. - Antonio guardò dallo stesso oblò ascoltando le sue parole come fossero le proprie e contento di essere arrivato a lui e di averlo scoperto, si chiese come mai in molti ne avessero così timore. Magari non era proprio il compagnone che era lui, però era così facile capirlo.
- Esatto… - Fece infatti. - E rinchiudetemi se comincerò a calmarmi e ad essere quello che gli altri vogliono io sia. Se io non sarò più io sarò finito e non voglio certo andare avanti andando contro di me. -
Zlatan si girò colpito da quel discorso che, tanto per cambiare, condivideva.
- E chi sei? - Chiese con provocazione.
Antonio ghignò e buttandola semplice perché era stato troppo serio, rispose comunque dicendo la verità:
- Uno che gioca a calcio e che spara cento cazzate al secondo! -
- Ma anche dietro le cazzate ci sono le verità. - Disse alla fine alzandosi poiché arrivati.
Antonio non rispose e quando scesero dall’aereo, tornati a Milano dopo aver giocato a Roma, fu subito subissato da tutti gli altri con cui tornò a ridere e scherzare. Trovando una parola per tutti, sembrava incapace di fermarsi, come al solito.
Eppure quel giorno gli successe.
Di fermarsi.
- Che fai, prendi fiato perché le hai momentaneamente esaurite? - Chiese Zlatan sentendolo improvvisamente silenzioso. Erano insieme ormai prossimi all’uscita e quando lo guardò dall’alto della sua statura lo vide stranamente pallido. Antonio però rallentò e ricambiando lo sguardo con uno confuso, cercò di rispondere.
Cercò perché nel momento di articolare una risposta degna trovò l’azione particolarmente difficile, tanto che non riuscì a tirare fuori niente di sensato.
- Che diavolo hai, non sai più che cazzo dire? È un evento! - Zlatan così come gli altri non contemplarono nemmeno per un istante che potesse non scherzare e quando impallidì smettendo di camminare capì che non era fermo perché non voleva proseguire ma bensì perché non ci riusciva.
Arrivò la mano sul petto e lo stomaco a preoccupare e raggelare Zlatan che, mettendogli la mano sulla schiena, lo guardò tuonando per sapere cosa avesse.
Ma Antonio non riuscì a parlare e spiegarsi, a dire che non arrivava a parlare bene come voleva e nemmeno a muoversi, così come a spiegare ciò che si sentiva, poté solo seguire il proprio culmine nella speranza che qualcuno lo capisse, mentre l’ansia cresceva in lui stesso almeno quanto in Zlatan che non avendolo mai visto così non aveva la minima idea di che cosa aspettarsi.
Quando vomitò non seppe ulteriormente cosa pensare e nel giro di poco gli furono tutti intorno, lo sostenne per un pelo poiché incapace più di reggersi sulle gambe sarebbe caduto sul suo stesso vomito.
Quando si fece spazio il mister fra di loro e lo vide in faccia mentre tentava di parlare senza successo, capì che non era niente di buono e questo Zlatan, così come gli altri, glielo lesse in viso, quel viso sempre impassibile ed irremovibile che non dava mai espressioni in nessun caso.
Perché lì fu così leggibile, invece?
Zlatan si spaventò però quando, dopo aver ordinato di chiamare l’ambulanza, lo vide prendergli il viso fra le mani, accucciato a terra con loro, e dirgli con un tono che nessuno era convinto avesse mai usato. Dolcezza, sicurezza, delicatezza:
- Andrà tutto bene. - Ma lo sguardo sia di quell’uomo che di Antonio fra le sue braccia, Zlatan non l’avrebbe mai dimenticato.
Quella consapevolezza che fosse qualcosa di grave in uno e quella paura, quella paura fottuta che in qualche modo gli fosse arrivato il conto di tutte le sue famose cazzate di cui parlavano proprio prima.
Per Zlatan fu inevitabile sentire le parole dell’amico di qualche minuto prima. Quelle parole serie che così serie non ne aveva mai avute, proprio poco prima di tornare a scherzare come il solito buffone che era.
‘E’ finita se ci si ferma! Bisogna sempre andare avanti, davanti ad ogni cazzata!’
‘E rinchiudetemi se comincerò a calmarmi e ad essere quello che gli altri vogliono io sia. Se io non sarò più io sarò finito e non voglio certo andare avanti andando contro di me.’
E alla domanda su chi era…
‘Uno che gioca a calcio e che spara cento cazzate al secondo!’
“Oh fanculo, quelle non saranno un paio delle tue solite cazzate! Alzati e va avanti come dicevi, stronzo!”
Fu tutto lì quello che pensò, poi si chiuse.

- Perché è in neurologia? Perché cavolo è in neurologia, si può sapere? Ha solo vomitato, no? Che cos’ha che non va da stare addirittura in neurologia? - Il panico di Alexandre sarebbe durato ore se lo sguardo di Zlatan non l’avesse demolito in un solo istante. Uno solo.
Il resto del panico se lo ingoiò insieme alle parole che avrebbe voluto sparare agitato.
Ad occhi sgranati guardò il compagno seduto rigido sulle sedie d’attesa, era ricurvo coi gomiti sulle ginocchia e il mento sulle mani strette a pugno. Non tirava i muscoli, non respirava a fatica ma non poteva dire se quello fosse sintomo di preoccupazione o cosa.
Non lo conosceva abbastanza da sapere cosa fosse e sebbene tutti gli altri compagni fossero stati spediti a casa dal mister e da qualche altro membro dello staff e lui invece fosse rimasto, non sembrava sull’orlo di una qualunque crisi ma onestamente non sapeva immaginarlo.
- Sta male veramente? - Chiese con un filo di voce. Zlatan tornò ad alzare infastidito gli occhi su Alexandre accorso appena il suo messaggio gli era arrivato, del resto così criptico come aveva potuto capire l’entità della situazione?
Il brasiliano indietreggiò capendo che l’aveva voluto lì per una situazione particolarmente tesa per lui, sarebbe anche potuto essere bello se però la smetteva di fissarlo come se fosse lui il colpevole.
Il cuore cominciò a salirgli in gola e nonostante Zlatan lo capisse, se ne fregò non avendo la minima voglia di star dietro ad un bambino.
Eppure l’aveva chiamato.
Prima che succedesse una qualunque cosa fra loro, tornò il mister con il suo solito portamento sostenuto e calmo, lo fissò serio notando che era ancora lì dove l’aveva lasciato ma vedendo anche Alexandre dedusse l’ovvio, quindi ignorando lo svedese si rivolse direttamente al suo terrorizzato attaccante.
Gli parlò con gentilezza cercando di non agitarlo più di quanto non lo fosse. Oltretutto se c’era qualcuno in grado di placare gli animi in subbuglio, quello era proprio Massimiliano Allegri.
- Alex, perché sei qua? È presto per saltare alle conclusioni e cominciare a preoccuparsi tanto. - Alexandre si sentì meglio a sentire la sua voce per nulla allarmata, pensò che se lui era così allora aveva ragione e si calmò quasi nell’immediato.
- Mi… mi ha scritto lui e… come sta Antonio? Perché è in neurologia? - In quel momento Alex apparve più piccolo della sua già bassa età e Massimiliano gli circondò le spalle paterno infondendogli la sua sicurezza, era la sua specialità e Alex finì per rilassarsi del tutto, fidandosi della flemma del mister che altrimenti non sarebbe stato così.
- Sta facendo degli esami, ne avrà per molto e poi ci vorrà altrettanto per i risultati, non possiamo stare qua ad aspettare, appena saprò qualcosa lo dirò personalmente a tutti ma per favore, non ingigantite la cosa già da adesso, sapete com’è Antonio. Non fa che dire che è solo una sciocchezza e che non vuole quelle facce. Se volete aiutarlo fate come dice. Rilassatevi, tranquillizzatevi e se non sapete stare sereni e sorridere in sua compagnia, allora non state qua. Ora comunque non può ricevere nessuno, è sotto esami. - Alex annuì ancora preoccupato ma più rasserenato, così lasciandolo Massimiliano si diresse da Zlatan ancora seduto dove l’aveva lasciato quando li aveva mandati tutti a casa.
Rimase con le mani in tasca e senza scomporsi ancora una volta, disse piano ma fermo, un tono che non ammetteva repliche.
- Zlatan, va a casa, fatti accompagnare da Alex e riposati. Non te lo ripeto più. - non l’avrebbe fatto e seppure sbuffando con profondo e pericoloso fastidio, il ragazzo si alzò e scrollando insofferente le spalle si diresse all’uscita. Guardando Alex fece un gesto del capo con un accenno di qualcosa che in teoria sarebbe dovuto essere un sorriso e l’altro non se lo fece ripetere sbrigandosi a raggiungerlo.
La sua gamba non era più male come prima, avrebbe recuperato in fretta, si disse quasi con sollievo, come se ormai sapesse già l’esito di tutto nonostante non fosse assolutamente possibile.

Anche Antonio non fece che pensarci al discorso fatto per ultimo, per di più serio.
Si era trovato con Zlatan, cioè trovato davvero.
Non che avesse mai avuto problemi a trovarsi con le persone, il suo dono caratteristico era quello di riuscire a prenderle tutte, non c’era mai uno che poi non riuscisse a far ridere, non fra quelli che avevano direttamente a che fare con lui perché di gente che non lo sopportava e lo malgiudicava proprio per quelle famose ‘Cassanate’ che diceva prima, ce n’erano. Non gli importava, guardava solo quelli che ridevano in sua compagnia.
Adorava ridere, era quello che rappresentava il livello di qualità della vita di ognuno, a seconda di quante persone stavano bene con te e di quante erano ma soprattutto quanto tu stesso stavi bene; e la massima dimostrazione per stare bene era ridere, per lui.
Si rideva per vari motivi, perché uno diceva cazzate e faceva il buffone o perché c’erano cose divertenti, ma anche perché semplicemente si stava bene con chi ci circondava.
C’erano molti modi per stare bene con sé stessi e lui era convinto che stare bene con gli altri, quelli che contavano davvero, fosse il migliore perché se ci riuscivi poi guardandoti allo specchio eri contento.
E lo specchio, dopotutto, erano proprio questi altri che ridevano in tua compagnia.
Gli amici, quelli veri, e ne aveva sempre avuti tanti.
Ora la sola idea che specchiandosi non ci fossero più state risate lo gettava nel caos, significava che qualcosa di sé non andava e per lui era importante far andare bene e alla grande ogni parte di sé, per vivere bene, felice, come voleva, al pieno di tutto sé stesso.
Certo di persone che non sopportava c’erano ma quelle valevano meno di zero, non le considerava, non gli interessavano.
Sospirò insofferente durante il ritorno dell’ennesimo esame, era notte fonda, potevano lasciarlo in pace? Tanto non era nulla, non poteva essere nulla, il mister aveva detto che sarebbe andato tutto bene, no? E lui si fidava di quell’uomo perché era a posto e non sparava cazzate come faceva lui.
Se lui avesse detto che sarebbe andato tutto bene sarebbe stato un conto, ma non era stato lui a dirlo, quindi andava bene e basta.
Aveva bisogno di uno specchio che lo facesse stare bene con sé stesso perché al momento, stranamente, non ci riusciva.
Forse era perché non sapeva stare sostanzialmente da solo o perché era fobico della solitudine e del silenzio ma ne aveva bisogno.
Aveva bisogno di un amico.
Un amico e basta, che stesse con lui ma non con una faccia da funerale che lo dava già fottutamente per spacciato, voleva uno che sapesse ridere e rilassarsi perché, cazzo, non era morto e non intendeva farlo!
Ma perché tutti si erano preoccupati tanto?
Non era successo niente, niente. E tutte quelle analisi neurologiche erano perdite di tempo.
Ripeterselo, però, non lo faceva proprio per niente rendere più vero.
Ricordò per un momento il viso teso e pietrificato di Zlatan, non aveva tirato fuori più una sola ombra di baldanza e sicurezza, dopo che l’aveva tenuto su.
Passò uno ad uno tutti i suoi amici, ne aveva molti, troppi, ma nessuno capace di stare con lui nel modo che gli serviva, che voleva, che sperava. Nessuno.
Solo quando le infermiere lo rassicurarono dicendo che avrebbe potuto riposare, per quella notte, capì il significato di guardarsi dentro e fare i conti con sé stesso.
Una notte così no.
Una notte così proprio non avrebbe assolutamente potuto passarla…
Dopo solo qualche minuto la porta tornò ad aprirsi e contento che l’infermiera ci avesse ripensato e che fosse tornata per proporgli qualche altro esame -tutto pur di non stare così solo- fu ancora meglio vedere il viso dell’unico che, probabilmente, sarebbe stato capace di stare con lui senza un’aria da funerale.
Quando vide Rino, Antonio riuscì a fare il primo vero sorriso di tutta la serata, una lunga, dannatissima serata.
- Porca puttana, finalmente uno che sorride! - Disse Rino infilandosi in camera e chiudendosi subito la porta alle spalle.
Per Antonio fu come tornare a respirare, nel sentirlo rimbrottare spontaneo e dire ciò che pensava lui stesso.
- Wow, uno che mi capisce! - Fece di rimando Antonio sorridendo ancor di più. Ma gli occhi gli brillarono solo quando l’amico, seduto nella sedia accanto al letto, sorrise a sua volta sinceramente divertito:
- Se sapessi tutto quello che ho dovuto fare per venire qua senza farmi vedere! Non fanno passare ancora nessuno prima di sapere qualcosa di sicuro! - il barese rise immaginandolo ma si commosse per quella sensazione che aveva pregato di poter avere e che aveva pensato gli sarebbe stata negata per quella volta.
- Sapevo che eri l’unico che sarebbe potuto riuscirci… - Disse dandogli un amichevole pugno fra amici sul ginocchio. Naturalmente non si riferiva al venire lì ma al ridere sinceramente e al farlo ridere a sua volta.
Era solo questo ciò che gli serviva, nessun’altra analisi o cura, niente. Solo amici, amici veri, che lo facessero stare bene nella massima espressione di quello stato d’animo, cioè le risate.
Rino però lo capì e senza spegnersi gli prese la mano e la strinse in quel gesto che forse era poco virile ma sicuramente tanto da amici. Un gesto di cui Antonio, oltre che sel suo sorriso, necessitava di certo.