NOTE: per tutte le animucce depresse per come è finito il campionato ed il derby. E soprattutto per loro che hanno giocato credendoci comunque nonostante le assenze importanti come sempre. Perché, dannazione, se Thiago, Kevin, Mark e Antonio soprattutto fossero stati costantemente tutto l’anno -specie nei momenti più importanti-, la fine di questa dannata stagione sarebbe ben diversa, gente.
Dedicata soprattutto a Mary e Derret.
Buona piccola breve coccolosa lettura.
Baci Akane
PS: perché come fareste senza di me? ^_-
 
LA COSA PIU’ IMPORTANTE
 
/Feel again - One Republic/

I primi che trovarono consolazione furono Mark e Kevin… erano lì già insieme, avevano fatto novanta minuti infuocati a stretto contatto, non dovettero aspettare un secondo per tirarsi su di morale.
Appena negli spogliatoi Kevin si spogliò a tempo di record e per poco non si tirò dietro Mark vestito com’era.
Riuscì a togliersi tutto in tempo e a venir trascinato sotto la doccia con lui. Una volta che furono insieme naturalmente non poterono fare le cosacce come a Kevin sarebbe stato d’aiuto, ma lo spinse contro le piastrelle, sotto il getto caldo e rigenerante dell’acqua e gli si premette contro fregandosene altamente di tutti quelli che già arrivavano. I più erano troppo depressi per notarli.
Kevin stretto a lui gli aveva gettato le braccia al collo e nascosto il viso contro la sua guancia, gli occhi chiusi e il respiro controllato.
L’acqua correva su di loro disegnando i corpi atletici finalmente rilassati e Mark sbalordito di quella reazione rimase fermo immobile a tenerlo per i fianchi guardandosi preoccupato intorno. Insomma, non tutti sapevano… ormai anche quei pochi trovarono conferma ma non parvero poi tanto sorpresi.
Quando sentì anche il suo bacino premersi contro stava seriamente pensando di buttarlo dall’altra parte del locale delle docce, ma le sue labbra spostate contro l’orecchio mormorarono qualcosa che lo paralizzarono.
- Non andartene. Resisti ancora un po’ con me, ti prego… -
Kevin se l’era sentito da quando aveva cominciato a provare qualcosa per lui che, nel caso fossero finiti veramente insieme, poi Mark avrebbe avuto la tentazione di andarsene da Milano… lui lottava di continuo con la sua coscienza che gli diceva cosa era giusto e sbagliato ma la volontà era sempre più forte. Però era un uomo tutto d’un pezzo, Kevin era terrorizzato dall’idea che vincesse questo suo lato valoroso e mano a mano che il tempo passava e l’anno calcistico finiva, questa paura aumentava a dismisura.
Come poteva fare?
Solo il pensiero di stare senza di lui lo uccideva ma aveva cercato di non pensarci e non dirgli nulla, specie perché in quei giorni avevano cominciato a girare voci sul fatto che Mark avesse ricevuto la proposta dal PSV, la squadra olandese, per finire la sua carriera.
Aveva il terrore maledetto che ormai il tempo di separarsi da lui fosse arrivato e non avrebbe resistito, non ce l’avrebbe fatta proprio e lì si rese seriamente conto di quanto bisogno avesse di lui.
Mark provò una stretta interiore talmente forte da morire e non erano le sue braccia che stringevano possenti  o le proprie che rispondevano con altrettanta forza. Era la consapevolezza che Kevin sarebbe stato male senza di lui, male come l’aveva visto mesi prima per colpa dell’ennesima delusione sentimentale subita. Doveva essere lui, ora, che gliene dava una?
Non disse nulla ma lo strinse a sé ignorando i compagni che a loro volta li ignoravano come se fossero normali.
Piano piano l’animo si alleggerì e cominciarono a sentirsi meglio.
 
 
Zlatan e Roby dovettero aspettare un po’ di più perché là fuori era un delirio, come ogni volta, ed anche se sia Thiago che Alex erano venuti allo stadio, infilarsi negli spogliatoi per dare sostengo ai compagni fu per loro impossibile.
‘Dove cazzo sei?’ Il messaggio di Roby però non lasciò molta scelta e Thiago rispose subito ‘Sono in macchina. Ti aspetto.’ Che riuscirono a scambiarsene fu un miracolo visto l’intasamento delle linee.
Fu così che lui non tornò con gli altri ma se ne andò di filato, sgusciando rabbioso fra tutti.
Quando trovò la macchina di Thiago parcheggiata nel solito posto riservato, si fiondò da lui e benedì i finestrini oscurati che ormai avevano quasi tutti per poter farsi i fatti propri.
Quando fu dentro il viso di Thiago lo fece sciogliere e non riuscì nemmeno a dire mezza parola, gli porse subito il capo come fosse un tigrotto in cerca di coccole e a capo chino ed occhi chiusi gli prese la manica della maglia tirandoselo contro.
Thiago sorrise consapevole di ritrovarselo così e se lo strinse cingendolo con dolcezza.
- Siete stati bravi lo stesso. Quest’anno vincere qualcosa sarebbe stata un’impresa con tutte le gravi mancanze nei momenti più importanti. Già arrivare così, ad un soffio da loro, è stato fantastico… - Roby fece un verso insofferente con la gola e si aggrappò alla sua maglia anche con l’altra mano, attirandolo a sé e sprofondando col viso contro il suo collo. Era come tornare a respirare dopo mesi d’apnea.
- Se ci fossi stato… - Mormorò in preda alla rabbia mista a depressione e fastidio.
- Sarebbe stato uguale. - Cercò di dirgli.
- O magari no! - Esclamò con uno scatto risalendo dalla sua postazione confortevole.
Thiago sorrise soddisfatto.
- Questo è il Roby che preferisco… quello fuoco e fiamme! - Roby si rese conto che l’aveva stuzzicato di proposito per evitare che si deprimesse oltre e che perdesse la sua tipica carica, quindi mordendosi il labbro capì quanto importante fosse per lui quel ragazzo. La sua vita sempre più.
- Che cazzo farei senza di te? - Disse alla fine con sicurezza ritrovata.
- Eh… saresti perso! - Scherzò Thiago ridendo. Sorriso che gli morì sulle sue labbra che gli divorò con estremo bisogno, come se cercasse ossigeno. Bè, sembrò ritrovarlo…
Il bacio divenne presto il solito fuoco che si accendeva fra loro. Un fuoco portato da Roby e placato dalla dolcezza di Thiago che poi lo stuzzicava per riaccenderlo. E così all’infinito in una danza che era tutta loro.
Quando si separarono per prendere fiato, Thiago gli prese il viso fra le mani e lo contemplò con fermezza e dolcezza carezzandolo con uno sguardo carico di quel sentimento che non si vergognava a mostrare. Roby si sciolse di nuovo dimenticando per un momento tutto, poi Thiago, col suo solito potere, spazzò via definitivamente ogni cosa:
- Quando hai litigato con quel dirigente interista ho pensato che l’avresti picchiato e che saresti venuto a farmi compagnia in tribuna! - Nel ricordarlo Roby rise… che modo per tirare su di morale…
Fortuna che c’era, comunque.
 
 
Zlatan non poté unirsi ad Alex così facilmente perché le linee proprio in quel momento furono intasate e non ci fu verso di riuscire a sentirsi. Alla fine senza mettersi d’accordo fecero esattamente quello che sapevano avrebbero rispettivamente fatto.
Quando arrivarono a casa fu praticamente nello stesso momento ed avendo il parcheggio auto sul retro della villa, in una zona isolata dove nessuno aveva la minima visuale, non servì essere dentro al sicuro.
Zlatan scese dall’auto. Era buio lì fuori ma lo vide subito lo stesso, come vide alla perfezione i suoi occhi neri luccicare nella sera. Gli parvero quelli di un gatto e per un momento si trovò quasi a sorridere.
Alex si avvicinò per primo consapevole che lì dietro non c’era paura e quando gli fu davanti sospirò alzando lo sguardo sul suo. Era serio e corrucciato e lui rimaneva dritto appoggiato alla macchina come aspettasse qualcosa.
Alex sapeva che in quei momenti non gli si poteva dire niente ed evitò ma sapeva anche che una cosa utile c’era e che solitamente la indovinava sempre.
Senza accennare a stupidi sorrisi consolatori gli si mise davanti divaricando leggermente le gambe per incastrarsi meglio a lui e allungandosi quanto più poté gli si porse senza toccarlo o fare nessun altro gesto. Rimase ad osservarlo porgendo sé stesso con candore e quando Zlatan capì che ancora una volta aveva indovinato, sorrise finalmente con quel suo fare accattivante ed un fondo di dolcezza che nessuno oltre ad Alex poteva mai vedere, poi lo cinse e si chinò prendendosi quello che ormai era suo e basta.
Non parlarono, i due non si dissero niente e non osarono parlare di calcio, di Milan, di scudetto e di niente altro. Si limitarono a stare insieme e quando le lingue si intrecciarono Zlatan sentì annullare ogni cosa lo disturbava.
Per questo nessuno poteva stare solo, perché nella vita affrontava sempre momenti difficili in cui stare solo era follia. In quei momenti l’unica salvezza era potersi rifugiare da qualcuno, qualcuno di speciale.
Zlatan ebbe conferma una volta di più che quella sua persona era Alex e, sempre una volta di più, si disse per niente pentito della sua decisione ferrea di restare al Milan fino alla fine della carriera.
Alex ne valeva la pena, si disse. Nonostante le mille difficoltà, la valeva sempre.
A questo pensiero infilò le mani sotto la maglia e trovando i suoi fianchi risalì su come se volesse spogliarlo lì fuori, Alex andò a fuoco credendolo ma non si oppose, si lasciò fare immerso nella sua bocca, ubriaco di lui. Quando raggiunse le braccia, l’alzò di peso e lo tirò su come se fosse incapace di camminare.
Il ragazzo si sentì sempre più una sua proprietà e quando si allacciò con le gambe intorno alla sua vita per non cadere, si sentì trasportare dentro ma nonostante sapeva rischiavano di cadere non ci pensò minimamente a mollare la presa della sua bocca. Non riuscì a staccarsi da lui ed una volta dentro, sempre al buio, Zlatan lo mise a sedere sulla lavatrice.
La porta sul retro dava sulla lavanderia e l’unico appoggio era quella, al momento sfortunatamente spenta.
Non servì nulla, comunque, perché come se non potesse aspettare oltre, come se quello fosse in assoluto l’unico modo per rimanere a galla e trovare le forze per andare avanti ancora una volta, gli aprì i pantaloni e glieli tirò via senza troppi complimenti tirandosi dietro anche i boxer.
Alex riuscì ad andare a fuoco anche in quell’occasione nonostante non fosse decisamente la prima volta, quindi si lasciò andare appoggiandosi al muro dietro, si aggrappò ai bordi dell’elettrodomestico e si succhiò il labbro mentre la bocca di Zlatan scendeva sul suo corpo ad impossessarsi della sua intimità. Lo fece suo in un istante e quando lo ebbe non lo lasciò più fino a che non lo sentì urlare con le gambe allacciate di nuovo intorno alla sua testa per impedirgli di smettere, chiamandolo e volendone di più.
Zlatan, eccitato fino all’inverosimile da quella sua reazione oltremodo sentita e partecipe, riuscì a sgusciare via e allargategli le gambe perse il resto dei preliminari per la paura assurda di impazzire nell’aspettare oltre.
Lo prese presto, subito, senza lavorarselo come gli piaceva fare di solito. Alla Roby, in pratica… perché era lui che normalmente andava subito al sodo quasi con volgarità.
Alex rimase stordito di questo suo bisogno basico irruento e capì che era più amareggiato di quel che fosse disposto ad ammettere. Fu così che lo tenne in sé e aggrappandosi alle sue braccia l’attirò allacciando lo sguardo col suo. Quando si trovarono Zlatan incontrò la pace e divenne dolce nell’impeto delle spinte sempre più possenti.
Alex riprese a respirare e ringraziò il cielo, quindi da lamenti a gemiti e poi a piacere sempre più intenso, quando Zlatan tornò a spingere in lui con calma crescente.
L’orgasmo fu la cura migliore, specie perché poi, dopo averlo ripreso su come aveva fatto prima e portato in camera, aveva praticamente ripreso i preliminari interrotti.
Alex le avrebbe chiamate coccole ma Zlatan, si sapeva, aveva quella mania di non usare certi termini troppo teneri.
“Comunque lo chiami sempre di quello si tratta!”
Ma se lo tenne per sé il pensiero, il brasiliano, limitandosi ad un dolcissimo:
- Ti amo… - Sulle sue labbra che fu balsamico e calmante.
No, si disse Zlatan, di cose che contavano più di un campionato vinto o perso c’erano molte ed una, la più importante, la stava abbracciando.
- Ti amo. - Mormorò anche lui riuscendoci con spontaneità solo perché l’aveva fatto per primo Alex che ovviamente riuscì a commuoversi e piangere e Zlatan a sorridere scacciando tutto, proprio tutto, in quell’istante.
Per il calcio c’era tempo, ora era l’ora delle persone importanti.