5. PROVANDO A STARE A GALLA



"É la nostra natura distruggerci
É la nostra natura ucciderci
É la nostra ucciderci l’uno contro l’altro
É la nostra natura uccidere, uccidere, uccidere
Era un sogno e poi mi ha colpito,
la realtà colpisce
E la mia vita adesso è tutta sfuggente
e si muove velocemente"
- Blood brothers -

Abbiamo rallentato con le prove e la questione dell’EP perché ho il diploma e Jacoby sta dietro a James, però ci vediamo lo stesso perché lui ci cerca, non può stare solo, così trovo sempre un momento per lui, sarebbe difficile il contrario.
- Ho provato a parlargli ieri… - Dice improvvisamente mentre mi accompagna a mangiare finita una delle sessioni d’esame che ho avuto. Mi è venuto a prendere, lui ha finito la scuola ed ora tornerà a casa dai suoi, non è dietro l’angolo ma non ha senso per lui rimanere nell’appartamento dove stava con James. Fra l’altro è in ferie dal lavoro di lavapiatti.
Capisco subito che parla di lui.
Dal caldo oggi si muore, il sole scende a picco e lui è in canottiera larga, pantaloni cadenti come al solito, io invece ho una maglietta maniche corte, entrambi i capelli sparati con un po’ di gel, come usa in questo periodo.
- Come è andata? -
James ora è seguito da degli esperti che si spera facciano un buon lavoro, ma su queste cose c’è sempre una grande incognita.
- Non sapevo come fare per chiedergli perché l’ha fatto. - Dice accendendosi una sigaretta.
- Immagino che semplicemente hai sparato la domanda senza tatto… - Dico ridacchiando, Jacoby ha una modalità: quella carro armato. Lui mi guarda sorpreso che ci abbia azzeccato e rido ancora più forte.
- Credo l’avrà apprezzato! - Aggiungo poi. Di solito in quelle situazioni odi quelli che ti trattano coi guanti di velluto e ti guardano con compassione. Non sanno mai cosa dirti e tu lo vedi, vedi la loro curiosità e la loro pietà e vorresti solo sputargli in un occhio!
- Sì, in effetti è rimasto colpito, però mi sembra gli sia piaciuta la domanda. Ha detto che nessuno ha ancora osato chiederglielo a parte il dottore che lo cura. -
- Lo strizzacervelli! - È in una clinica psichiatrica e ci rimarrà finché si riprenderà fisicamente e non saranno sicuri che non tenterà di rifarlo. E poi non ho idea di come sia fatta la sua famiglia. Se ha tentato il suicidio immagino sia una merda.
- Sì. - Jacoby fuma mentre mi accompagna a casa, non è vicino da casa sua perché ora è a casa, deve prendere autobus, però lo fa ogni giorno. Credo che preferisce piuttosto che starsene a casa. Non ho capito bene che rapporto ha con loro.
- È pieno di casini a casa, mi ha spiegato tutte le sue paranoie e mi ha parlato un sacco di tutto quello che ha. Un macello, amico. Non pensavo che fosse così! Viviamo insieme dall’inizio dell’anno, mi ha proposto quell’alloggio vicino alla scuola da condividere e non avevo idea di quanto male stesse! Gli ho chiesto perché non mi ha mai detto niente e lui ha detto che gli bastava che gli fossi amico. -
- E perché poi non gli è più bastato? - Gli chiedo spontaneo mentre cerco le chiavi di casa per entrare, i miei sono a lavoro, saremo soli io e lui.
Jacoby mi guarda, gli occhi spalancati, come se abbia pestato un callo. Mi fermo dal girare la chiave nella toppa e spero che non esploda, ultimamente dà l’idea di essere sull’orlo di una crisi di nervi di quelle esplosive, l’aspettiamo tutti perché non ha ancora reagito alla cosa ed io so che ne ha altre di cose ingoiate negli anni.
- Gliel’ho chiesto e lui ha detto che ha capito che non era sufficiente. Che era assurdo basare la propria esistenza sugli amici, che un giorno quelli se ne sarebbero andati e lui sarebbe comunque rimasto solo. Sai, non lo so… mi ha parlato tantissimo sulle ragioni ed io non ho ancora capito perché ha tentato di uccidersi! Per me è inconcepibile per quei problemi tentare di farla finita. Io ne ho passate di peggio in certi periodi, ma sono ancora qua, vedi? - Ed è quello che ho paura. Quante ne hai passate che non hai ancora rivelato?
Perché io lo guardo e lo capisco. Capisco che ne ha molte.
Ma a parte un’instabilità emotiva che si vede subito, non ha senso che sia ancora relativamente a posto, che non abbia avuto un esaurimento, che ne so.
Jacoby è troppo strano per essere capito, possiamo solo stargli vicini e stare attenti.
Entro non sapendo cosa dire, lui mi segue e inizio a preparare da mangiare per noi due, lui dice che vuole aiutarmi ma quando gli do un compito sta per far esplodere la casa, quindi lo metto ad apparecchiare. Quando rompe un bicchiere lo siedo e gli ordino gelidamente di stare fermo e parlare e basta.
Invitarlo a parlare è da folli, ma pare che non sappia fare altro, come sfogo. Sta implodendo e spero che le ore che passiamo a parlare gli servano un po’.
- Ne hai parlato coi tuoi? - Lui scuote subito la testa.
- Mia madre è fuori, non è una di quelle con cui puoi parlare di certe cose. Lei ha fatto del suo meglio con noi, ma ha dei limiti. Non mentali, eh? Caratteriali! La devi prendere com’è… sembra una fata che ha perso la strada per tornare nell’Isola che non c’è. Mi piace così! Non la voglio turbare coi miei casini. - Ed un altro tassello di Coby va a posto.
- E con tuo patrigno? - alza le spalle.
- Non voglio dargli noie. Lui è uno a posto, però siccome gli siamo capitati fra capo e collo in un modo assurdo e si è sempre preso cura di noi, lui e suo padre dico, non voglio annoiarlo ancora. Anche per questo ho accettato di andare a vivere con il mio amico visto che era un’occasione e tutto… sai, gli ho rifilato la balla che così studiavo meglio e mi concentravo di più… a casa siamo stretti, non è grande, siamo in tanti, con noi sta anche il nonno e… - Il nonno che dà il nome al gruppo.
Non l’ho ancora conosciuto, chissà se me lo farà conoscere?
- E lui? - chiedo allora consapevole che lui è molto importante per Coby.
Ci pensa seriamente e si ferma, così mi giro a guardarlo ed è assorto, in una di quelle espressioni che mi piacciono da morire.
- Con lui potrei. Sai, con lui potrei parlarne. - Mi sento subito meglio, se ne parla con un adulto magari può dargli risposte che io non so dargli. Non ho una fede, non ho studiato filosofia o psicologia e non so proprio cosa dirgli quando mi parla del suicidio, argomento molto presente in questo periodo.
Jacoby è molto turbato dall’argomento perché non capisce come si può tentare di togliersi la vita nonostante i problemi.
- Mi sembra una buona idea. Capire i meccanismi di uno che tenta il suicidio può essere impossibile, io non ne ho idea di cosa scatti in uno che lo fa. So che c’è una grande disperazione ma anche io come te non ho mai minimamente pensato a farla finita, per quanto male sono stato in certi periodi. - Lui mi ascolta interessato mentre metto il suo piatto a tavola col mio e mi siedo a mia volta con lui.
- Per tuo padre? - Che si interessi a me mi piace molto.
Annuisco.
- In quel periodo era davvero brutto. - Non amo parlarne, però non voglio che lui si senta tagliato fuori, non dovrei farlo diventare parte del mio mondo in questo modo, ma è più forte di me.
- Verresti con me un giorno? - Spalanco gli occhi senza capire a cosa pensi, ogni tanto se ne esce così fuori discorso.
- Dove?! - Chiedo preoccupato che mi chieda di scappare con lui. Penso che riuscirebbe a trascinarmi anche all’inferno questo svitato!
- Dai miei! A parlare col nonno! - Rilasso gli occhi ed annuisco, poi realizzo che non ho mai incontrato la sua famiglia e lo riguardo come se fosse pazzo. Sarebbe una presentazione ufficiale!
- Sei sicuro?! - Chiedo poi. Lui ride e si rianima e di questi giorni è una rarità. Mi piace sempre quando ride anche se a volte non ride sul serio. Gli occhi hanno sempre un fondo di buio. In questi giorni quel buio è aumentato.
- Certo! Ormai sei mio amico, voglio che li conosci! Sei quello con cui parlo di cose serie, penso che sia ora che incontri la fata ed il nonno che ha dato il nome alla banda! - Spero che voglia invitare anche gli altri, ma da un lato forse è bello che ci andiamo solo io e lui, come una coppia.
Cazzo vai a pensare Jerry? Sei scemo?
- Però prima mi diplomo altrimenti finisce che mi distrai! - Lui ride ancora ed annuisce alzando la forchetta.
Sa che devo impegnarmi con questi esami, infatti non mi tormenta se non negli orari dei pasti. Quindi va tutto bene, diciamo. Il problema subentrerà dopo, quando finirò di studiare. Ma vedremo che piega prenderà la mia vita dopo.

È più facile diplomarmi che sopravvivere a Jacoby!
L’incontro con la sua famiglia è strano, mi fa sentire il suo ragazzo e la cosa mi crea disagio tanto che penso sia il caso di trovare un’altra ragazza.
La famiglia è come me l’aveva descritta, numerosa e strana. Tranne il patrigno ed il nonno acquisito. Loro, in effetti, sembrano persone del tutto normali. Mi sento un po’ sollevato nel sapere che nella sua vita non ha solo schizzati.
I due fratelli sembrano parecchio per conto loro, non so se sono molto uniti a lui, forse è per questo che Jacoby è così irrequieto. La madre sembra davvero una fata, è un po’ uscita dallo stile hippy ma diciamo che resta sempre su quell’impronta. Sorride un po’ svampita e mi fa ridere, il modo in cui Jacoby la stringe è tenero, ma il fatto che abbia colto l’occasione per andare per conto suo appena poteva mi fa anche capire che tutto questo è un’altra delle sue maschere.
Questo entrare in casa gridando e facendo baccano, stringere la madre, fare dispetti ai fratelli, ridere e scherzare come se adorasse questo posto.
Il caos che fa e di cui si circonda è una maschera e mi fa capire che il vero Jacoby forse non l’ha visto nessuno.
Poi lo vedo col nonno, il famoso Papa Roach, come lo chiamiamo fra di noi quando ci riferiamo a lui e non al gruppo.
Lo vedo con lui e capisco qual è il vero Jacoby.
Il signor Roatch è un uomo burbero e schietto, dice pane al pane e vino al vino, forse la prima volta che ha incontrato Jacoby gli ha detto di dimenticare quello svitato di suo padre e di togliersi dalla testa di seguire le orme di quella strafatta della madre.
La giornata è bella, caotica, mi fa vedere la sua stanza che condivide con uno dei fratelli che ora ci sta da solo, mi fa sentire come suona il clarinetto del nonno e mi fa ridere un sacco, mi mostra il quartiere, andiamo al campo da basket e facciamo due tiri anche se poi lui è più bravo a football.
Poi, dopo cena, siamo finalmente soli io, lui e suo nonno e Jacoby torna serio, torna quel ragazzo pieno di dubbi e domande che spera qualcuno sappia sondare.
Siamo nel portico, il dondolo ce lo dividiamo io e lui, il nonno è su una sdraia che si fuma una sigaretta, una la offre anche a suo nipote, io rifiuto ovviamente.
Una birra in mano a testa e ridacchio capendo da chi ha preso Jacoby questo stile di vita non propriamente sano.
La sera scivola un po’ più fresca rispetto al giorno afoso, i rumori notturni mi rilassano, ma sento lui teso vicino a me e mi ricordo che i rumori notturni non li ama se non è completamente ubriaco.
Gli insetti in estate sono tanti e si avvicina la candela alla citronella che dovrebbe tenerli lontani.
Il nonno alza il mento in sua direzione notando che sta troppo a guardarsi intorno.
- Sei ancora lì? - Una cosa che chiaramente può capire solo lui. Jacoby trasale e torna a fatica presente, anche se non è facile, si vede che si sforza di non fissare ogni oggetto volante.
- Ho raccontato a Jerry… - Spiega come per dirgli di parlare liberamente.
- Quanto ti ci vuole per liberarti di quelle fobie? - Chiede come sapesse che sono rogne di cui deve liberarsi. Jacoby si stringe nelle spalle.
- E come faccio? - Il nonno alza gli occhi e poi le spalle.
- Non sono mica uno psicologo! Non avete quelle stronzate a scuola? - Chiede roco finendo per tossire. L’uomo è magro e scavato, mi preoccupa un po’. Sembra malato.
- Sì, ma che vado a raccontargli i cazzi miei? - Io sorrido e scuoto la testa mentre il nonno ci rinuncia. Dopo un po’ allora Jacoby ricomincia. - Senti… - Il nonno lo guarda perché riconosce il tono da cose serie. - Pensi mai al suicidio? - A questo mi viene un colpo, lo fisso stranito convinto che non si possa cominciare una conversazione in questo modo, ma il nonno pare per nulla turbato della cosa, fuma ancora, butta la sigaretta finita fino al filtro, piega la testa e lo fissa serio e penetrante. Poi, finalmente, risponde.
- Certo! - Jacoby salta e lo guarda shoccato, io non sono da meno.
- Davvero?! -
Howard, questo è il suo primo nome, annuisce e con voce rauca, tossicchiando, continua.
- Se dovessi ammalarmi al punto da ritrovarmi ad essere un vegetale, o se avessi un incidente e perdessi completamente la testa… insomma, se non avessi più il controllo di me e vivere significherebbe soffrire come una merda, incapace di pulirmi perfino il culo da solo sì, cazzo. La farei finita! Se non ho più me stesso che senso ha vivere? Io sono io perché sono senziente, mi controllo, vivo! -
Jacoby ci riflette attentamente a questo, sconvolto, assimila e riflette. Sono colpito da quello che dice e da un certo punto di vista non lo puoi biasimare. Forse lo sa perché ci ha già pensato… ho quest’impressione.
- Se dovessi farlo davvero, un giorno, sai che è stato un atto fottutamente egoistico. Ma non esiste che io sia il vegetale di qualcuno! No cazzo! Capito? E non venitemi a rompere i coglioni da morto! Decido io come andarmene! Non Dio, il destino o chissà chi! - Il discorso si anima, lui dà molta forza alle parole e sono impressionato dall’enorme carattere che ha. Capisco come mai Jacoby è rimasto catturato da lui e come lo abbia salvato appena preso con sé.
Ringrazio quest’uomo che se Jacoby ha ancora un minimo lato sano di sé, sicuramente è grazie a lui.

Non so se lo ha convinto, non ha detto nulla riguardo al suo amico che ci ha provato, però credo che abbia ancora mille risposte da trovare. Solo che ha capito che in certi casi si può fare, è un atto egoista, però si fa. Ci sono casi in cui è un’opzione migliore che vivere. Non so se lo capirà mai del tutto, sembra tormentato da questo argomento, del resto il suicidio sembra seguirlo come le api col miele. Spero solo che un giorno trovi le risposte giuste e che superi queste fobie che ha.



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E' vero che: Il nonno adottivo di Jacoby si chiamav Howard Roatch ed è lui che ha dato il nome alla band, Papa Roach. Jacoby è sempre stato legatissimo a lui ed è il padre del padre adottivo, il secondo compagno di sua madre. Ha due fratelli, ma non è chiarissimo se siano tutti e due figli del primo matrimonio della madre e quindi fratelli di Jacoby a tutti gli effetti oppure se uno dei due sia figlio del secondo marito. La madre era hippy da giovane.