NOTE: questa fic l’ho scritta da un mesetto, dopo la semifinale persa dal Barcellona e quindi l’ufficialità dell’addio di Guardiola alla sua squadra. Questa fic segue il filone delle altre che ho scritto precedentemente su di loro, quindi i due stanno praticamente insieme, ma a modo loro. Perché con José c’è sempre un ‘modo loro’. E’ piuttosto seria. Lo dico perché c’è anche una versione idiota che però non ho ancora completato, arriverà presto.
La prima parte vede la vittoria del Real Madrid sul Barcellona, la seconda la sconfitta di quest’ultima col Chelsea.
Ok. Buona lettura.
Baci Akane

NIENTE COME PRIMA

jo pep


/Kay è stata qui  - Ligabue /
Alla fine non si erano fermati per la notte, erano partiti subito alla volta di Madrid per essere accolti da campioni dai propri tifosi. La piazza principale gremita aveva riempito di gioia i giocatori ed ogni membro dello staff tecnico, compreso José che comunque aveva guardato l’ora di continuo con una certa impazienza.
Se fosse stato più tardi avrebbe potuto chiedere di rimanere a Barcellona e ripartire l’indomani, avrebbe potuto andare da Joseph e dirgli in faccia ‘hai visto? Te l’avevo detto!’ ma avrebbe dovuto accontentarsi di una telefonata.
I festeggiamenti andarono avanti per un bel po’ e nel caos più completo poté scappare passando inosservato per andare a telefonare indisturbato senza essere ascoltato da nessuno.
Siccome erano tutti sopra il tetto del pulmino adibito a piattaforma per salutare i tifosi che non c’era verso li facessero passare, lui scese dentro.
Era vuoto e nemmeno l’autista era rimasto, uscito infatti a fumarsi una sigaretta nell’attesa di poter ripartire e portarli al sicuro alle loro auto, in sede, dove la gente non poteva raggiungerli.
Seduto nel sedile in fondo, José compose il numero consapevole che a quell’ora Joseph aveva finito tutti i convenevoli col suo gruppo.
Quando gli rispose aveva un tono assai indecifrabile della serie ‘so cosa devi dirmi ed anche se me l’aspetto non ho molta voglia di sentirlo ma l’ascolterò perché è giusto ed è il mio turno!’ e José rise ancora prima di dire qualsiasi cosa.
Lo sapeva bene com’era la faccenda, l’aveva vissuta ripetutamente durante l’anno precedente ed anche nel corrente. Considerando che lui viveva i pareggi come delle sconfitte, reputava dalla sua una sola vittoria, a parte quella della sera attuale, ovvero quella di finale di Coppa del Re dell’anno scorso.
Per il resto José si era sempre sentito un perdente anche se aveva pareggiato un paio di volte, tre in totale.
Ma la sua vendetta era arrivata ed era stata tremenda.
- Dai che te l’aspettavi! - Esclamò alla fine fra le risa.
- Cosa, la tua chiamata o la sconfitta? - Rispose Joseph sempre in quel misto di divertito ed insofferente.
- Tutte e due! - Esclamò il portoghese orgoglioso incapace di non infierire comunque. Dopo tutto quello che aveva passato lui prima di quel momento…
A quello la risata, seppure sommessa, di Joseph si levò e José si sentì meglio perché non gli piaceva fare lo stronzo di proposito se dall’altra parte c’era un autentico depresso…
- Allora dillo… - Fece rassegnato Joseph col tono che saliva di parola in parola.
- Te l’avevo detto che vi stavamo agganciando! - Era vero, l’aveva detto… Joseph sospirò, eppure era bello sentire la sua voce pimpante e maligna che l’apostrofava. Ripensò a quella sera, al Classico precedente, quello di coppa del re, quando li avevano battuti li avevano buttati fuori dai quarti di finale con una sconfitta ed un pareggio. Era vero, l’aveva pensato anche lui quella volta. Li stavano raggiungendo lavorando piano piano sull’aspetto mentale più che pratico. Sorrise appena.
- Ma quella volta me l’hai detto di persona… e poi ti ho consolato per l’uscita dalla coppa…. - José rise compiaciuto che la prendesse così bene e che insinuasse che lo voleva lì. Anche lui avrebbe voluto, se era per quello…
- Vieni qua tu… io non posso muovermi, stasera penso rimarremo intasati in questa piazza per sempre… - Avrebbe voluto dirgli una battutaccia delle sue, del tipo che sapeva di essergli indispensabile per non affogare in un mare di lacrime, ma che doveva resistere come lui era sopravvissuto fino a quel momento. Alla fine gli era uscito altro e Joseph non se ne sorprese molto, lo conosceva bene… voleva fare il cattivo ma alla fine era malleabile, bisognava solo saperci fare, usare la testa ed essere più furbi di lui. E già lui lo era molto.
- Magari… penso che passerò tutta la notte a tirare su i ragazzi a turno, prima ho fatto un generico discorso insieme negli spogliatoi, giusto per calmare qualche animo imbizzarrito, ma ora che sono a casa sono passati già due di loro per chiedermi di persona guardandomi negli occhi se ce l’avrebbero fatta a vincere qualcosa quest’anno, se era veramente andata la Liga e se col Chelsea ce la faremo… insomma, non li ho mai visti così destabilizzati, insicuri e nervosi… - José colpito da quelle reazioni commentò da allenatore professionale ed imparziale:
- Sono proprio queste cose che tolgono la lucidità per farcela… - Joseph storse le labbra e chiuse gli occhi con dolore:
- E’ proprio questo il punto… - Non servì dire altro, i due si capirono, colsero ogni altro sottinteso e seguito possibile, non continuarono perché sarebbe stato assurdo parlare di quelle cose fra loro, i due rivali calcistici più famosi della storia. Fu come se l’avessero fatto, in quel breve silenzio. Si dissero che se non ritrovavano la loro calma e freddezza si sarebbero giocati la semifinale male, che rischiavano grosso proseguendo in quella strada, che non avevano tempo per deprimersi e che dovevano tirare fuori le palle proprio ora. Poi Joseph avrebbe risposto che aveva ragione, che dovevano imparare dai rivali e prendere ad esempio quelli che avevano sempre criticato perché il Real Madrid era sempre stato un perdente cronico con loro ed ora, con calma e perseveranza, senza farsi prendere dal panico e dal nervoso, ce l’avevano fatta senza capovolgimenti sorprendenti ma avvicinandosi con lentezza. Lavorando sui loro stati mentali, sul modo di prendere le cose e sull’essere più che sul fare.
Però non servì e capendosi ugualmente, José cambiò discorso consapevole che anche se si stava riprendendo un po’ parlando con lui, non era proprio al massimo.
- Avrei voluto dirtelo in faccia, comunque. E poi ricambiare tutte le volte che mi hai consolato… - Non avrebbe mai usato quel termine se non con lui ed in quel momento, quindi Joseph tornò a sorridere di nuovo rischiarando il proprio sguardo rabbuiato per un istante.
- Diciamo che potrebbe esserci un’ultima occasione di riscatto… e vedremo chi sarà a consolare chi… - José rise sguaiato nel sentire lui così mite e posato che non si sbilanciava mai, dire quelle cose ma lieto che l’avesse fatto rincarò la dose con malignità:
- Già, vedremo… spero sinceramente di essere io a consolarti! -
Continuarono a ridere in sincronia per un po’, uno sollevato e divertito e l’altro da perfetto sadico, convinto di quel che diceva, poi improvvisamente fu quest’ultimo a farsi serio per aggiungere una cosa. Una cosa che non era più un gioco.
- Facciamo in modo di arrivare a quell’occasione di riscatto, Pep… - José aveva parlato con sicurezza e decisione, lo sguardo aveva brillato nella seria speranza che succedesse.
- Facciamo in modo di rivederci in finale di Champions. - Per nessuno dei due era scontato viste le sconfitte dell’andata delle due semifinali, ma avevano delle squadre con cui tutto era possibile, volendo.
Bisognava solo azzeccare il giusto sentimento e stato d’animo, oltre che la giusta formazione ed i giusti schemi. Serviva tanto ma soprattutto una cosa…
- Dì ai tuoi che serve il cuore, oltre che la tecnica ed il talento. E non mi sembrano sprovvisti, onestamente… - Detto da José fu un’altra di quelle rarità che nessuno mai avrebbe potuto sentire. Ci teneva veramente a rivederlo per un’altra partita, come se sapessero che il prossimo anno sarebbe stato tutto diverso, tutta un’altra cosa.
Come se sapessero che fra qualche mese non sarebbe stato niente come prima. Niente.
- E tu dì ai tuoi di godersi la vittoria meritata che non è finita qua. - Sembrava quasi che si fossero scambiati i ruoli e le personalità, sorrisero insieme consapevoli di ciò e José si riprese l’ultima parola.
- Non è mai finita! - Ed era per questo che alla fine l’aveva sempre spuntata, a lungo andare, su una visione ad ampio spettro che comprendeva minimo i due anni di lavoro per un unico obiettivo. Arrivare in cima battendo i più forti.
José poteva dire d’avercela quasi sempre fatta e sperava di continuare così.
- Ci vediamo presto… - Salutò alla fine Joseph abbassando il tono, come se gli stesse dicendo qualcosa di sentimentale e non una frase circostanziale che ci si diceva spesso.
Come se intendesse unicamente una cosa, con quella frase.
Che la finale sarebbe dovuta essere loro.
Purtroppo questa volta non fu una previsione ma solo una speranza. Vana.


José rimase gelato alla fine della partita che aveva avuto modo di vedere insieme ai ragazzi, nella sala video dell’albergo che come di consueto li ospitava nei loro ritiri pre-partita.
Tutti ci rimasero ma lui sopra gli altri anche se non lo diede a vedere.
In molti risero, alcuni esultarono, altri se ne dispiacquero, i più partirono con analisi approfondite dell’incontro del Barcellona col Chelsea, ma in pochi si spiegarono quel Messi così assente, un Messi che si mangiava un rigore così importante.
Qualcuno infierì, qualcuno li difese, qualcuno disse che avrebbero voluto incontrarli in finale, qualcun altro asserì che poteva essere un avvertimento per loro, di non dare niente per scontato ed impegnarsi con la semifinale del giorno successivo.
José sospirando senza dire mezza parola li mandò tutti in camera a dormire e riposare ed uscì.

Joseph era molto bravo con le parole, sapeva sempre tirarne fuori al momento giusto per le giuste occasioni ed erano sempre le migliori. Era uno che con le parole ci sapeva fare ed in generale nelle situazioni difficili, oltre che in quelle congeniali.
Quella sera diede fondo a tutto sé stesso per tirare su i suoi ragazzi che così a terra naturalmente non erano mai stati.
Cos’era successo?
Cos’era capitato, quella sera?
Com’era possibile uscire dalla Champions così, con una squadra a conti fatti non alla loro gloriosa altezza?
Eppure era successo.
Tutti a turno si diedero la colpa facendo a gara per chi aveva avuto maggiori responsabilità, da Victor ad Alexis, dal primo difensore all’ultimo attaccante.
Alla fine Leo era stato inconsolabile perché le sue lacrime dicevano che era lui e solo lui l’autentico responsabile.
Non solo aveva sbagliato un rigore ed aveva preso un palo, ma non era stato capace di giocare come sapeva, di creare, di segnare… non era stato il Leo di sempre, quello da tre volte pallone d’oro!
Non erano riusciti a consolarlo nemmeno impegnandosi ed alla fine Joseph se l’era portato in disparte, in uno stanzino poco vicino. Chiuso dentro con lui vi era rimasto per un paio di minuti parlandogli in privato, alla fine poi erano usciti e Leo non piangeva più ma era sempre cupo e a terra. Raggiunti gli altri guardò Alexis e Dani, quelli che erano più legati a Leo e che erano solitamente i più capaci a tirare su di morale qualcuno, e disse di non lasciarlo solo per quella notte.
Continuò a consolarli tutti a ripetizione, a turno, insieme, in ogni modo, poi alla fine riuscì a salire nella sua auto per tornare a casa.
Sospirò vedendoli andare tutti via e solo allora prese il cellulare e lo guardò consapevole che quella telefonata ora sarebbe arrivata. Consapevole perché lo conosceva e sapeva cosa ci voleva prima di essere soli per poter parlare in santa pace al telefono.
Come d’attesa, il cellulare squillò poco dopo e con notevole sollievo nel leggere il suo nome sul display, rispose in fretta.
Ovviamente si aspettava solo una telefonata a distanza dove José a modo suo avrebbe sicuramente cercato di consolarlo. Ovviamente si sbagliava.
- Aspettami nel solito posto. -
- Cosa? - Chiese spaesato credendo d’aver capito male.
- Aspettami al solito posto, solita camera! Pep, sveglia, porca puttana! - In sottofondo sentì il rumore dell’auto, un motore inconfondibile per le macchine che guidavano, sportive e veloci.
- José, a quanto stai andando? -
- Non vorresti saperlo, hai altro a cui pensare ora… - Proprio le cose giuste da dirgli…
- Ora se ne è aggiunta una! - Esclamò infatti.
José rise.
- Arrivo. -
- Non dirmi in quanto tempo, per carità! - La preoccupazione salì ulteriormente quando l’altro chiuse la comunicazione e sospirando si diresse al solito albergo isolato e fuori città dove andavano nelle incursioni di José a Barcellona.
Ne avevano uno anche a Madrid solo che Joseph faceva meno incursioni.
Rimase comunque ben sveglio ad aspettarlo rispondendo alternativamente a tutti i ragazzi della squadra, ai suoi stessi collaboratori, al presidente ed a chiunque avesse il suo numero, quindi amici, conoscenze e rivali.
Di pazienza ne tirò fuori in abbondanza ed il tempo passò, nonostante fosse stanco e psicologicamente devastato non crollò, troppo ansioso, di minuto in minuto, per l’attesa di José.
Quel matto pensava di ricoprire in poche ore 600 km di distanza… in auto… per quanto fuori di testa fosse e pilota mancato, non poteva pensare di farlo veramente… poi il giorno dopo doveva tornare in tempo per gli allenamenti della squadra. Poteva anche farli cominciare da soli, ma aveva una partita importantissima da giocare.
“E’ proprio andato…”
Pensò alla fine uscendo in terrazza per guardare nel parcheggio dell’albergo nella speranza di vederlo arrivare.
Dopo di questo pregò che arrivasse sano e salvo trovando quella preoccupazione peggiore dell’uscita dalla Champions di quella sera.

Quando arrivò, da come parcheggiò capì a quanto doveva aver corso ma si sforzò di non pensarci e non fare calcoli.
Gli aprì prima di farlo bussare e senza nemmeno salutarlo o farlo entrare, disse subito:
- Non dirmi a che ora sei partito! - Infatti non stava nemmeno guardando l’orologio. Doveva aver corso come un matto senza nemmeno fermarsi un istante.
José lo mise in parte ed entrò.
- Allora non te lo dico. Ma ho visto tutta la partita. - Come se glielo avesse detto. Joseph fece una smorfia e scuotendo la testa sospirò decidendo di lasciar perdere.
- Non serviva… - Ma fu proprio allora che José colpì veramente e affondò, lo fece guardandolo dritto negli occhi con aria quasi aggressiva:
- Certo che serviva e lo sai! - Joseph non disse più nulla, subito dopo si sedette nel letto e si prese il viso fra le mani strofinandolo, gli occhi gli bruciavano e non l’avevano fatto per tutta la serata. José strinse le labbra contrariato di quel suo voler trattenersi sempre, quindi gli andò davanti e senza sedersi, rimanendo in piedi, gli prese la testa fra le mani e strinse posandosela contro il proprio addome, l’accarezzò e se lo tenne a sé in quel modo presente ma che sapeva anche di dolce.
Per Joseph lo fu.
- Non è solo per le due sconfitte più brucianti di quando sei qua in cattedra, vero? - Come lo conosceva bene…
Joseph sospirò e premette la fronte su di lui come per dargliene conferma.
L’espressione di José si mantenne seria ed intensa, osservava la sua nuca rasata dall’alto e gliel’accarezzava con delicatezza solleticandosi i palmi al contatto.
- Cosa ti succede, Pep? - Chiese piano con cautela ma sicurezza, non era una domanda che avrebbe accettato il silenzio come risposta.
- Non… - La gola rauca. Tossì. - Non sto bene… - Mormorò piano piano.
- Questo l’avevo capito, te l’assicuro. - Bofonchiò José.
Joseph sgusciò dalla sua presa confortevole per alzare lo sguardo sul suo, lo guardò dal basso con occhi che sembravano più grandi ed infantili del solito, non era più il grande allenatore talentuoso che aveva vinto tutto con una sola squadra. Era un ragazzo, nemmeno un uomo. Un ragazzo schiacciato da qualcosa. Gli occhi erano lucidi e persi e di riflesso anche quelli di José si fecero liquidi ma rimase fermo, non esitò in alcun modo e continuando a tenerlo per le guance, lo incitò ad andare avanti.
- In che modo non stai bene? -
A quel punto Joseph lo disse semplicemente come ce l’aveva dentro. Lo pensava da molto ma quella sera era diventata una certezza.
- Non penso di voler continuare ad allenare. Non per ora. -
José parve non stupirsene, fu come se se lo fosse aspettato, se l’avesse sempre saputo ancora prima dell’altro.
- Dovevi uscire dalla Champions per ammetterlo? - Joseph mutò lo sguardo da perso a stupito. E quella da dove usciva? Poi però divenne consapevole. José arrivava sempre a chi aveva intorno. Specie se ci teneva.
- Forse… - ammise. Sospirò e si separò del tutto da José per slacciarsi la camicia, doveva fare qualcosa, ora cominciava ad essere nervoso. José fece un passo indietro e fece altrettanto ma non per nervosismo, solo per poter essere più efficace coi suoi metodi di consolazione.
- Cosa succede di preciso? - Ma era come se sapesse già anche quello, Joseph ne ebbe la netta impressione, suo malgrado mordicchiandosi il labbro sempre più nervoso all’idea di parlarne, sia pure con lui, si alzò una volta rimasto in canottiera intima per slacciarsi i pantaloni. José gli prese le mani e lo fermò, gliele abbassò con decisione e glieli aprì lui con movimenti fermi e sicuri di sé.
- Tiro ad indovinare? - Joseph non disse nulla, sapeva che l’avrebbe fatto e lo lasciò: - Non hai più stimoli. Hai vinto già tutto quello che potevi volere con un club ed anche individualmente, hai ottenuto la gloria che in molti faticano a raggiungere e comunque non certo in così poco tempo. E non sai che fare. Non sei più felice come prima quando i tuoi vincono, non ti brucia più di tanto quando perdete. È tutto sempre uguale. Niente delle tue giornate ti cambia. Non hai l’entusiasmo di un tempo. Stai andando a fondo e ti stai rendendo conto che con te stai portando anche i tuoi ragazzi. Li vedi? Perdono, non giocano come sanno, non splendono, sono nervosi, poco lucidi, non hanno la sicurezza di farcela in un modo o nell’altro. E Leo ha una zavorra sulle spalle. - La conclusione lo colpì, Joseph tornò a guardarlo dopo aver fissato le sue dita armeggiare cui pantaloni ora tolti. José fece finta di nulla e lo spinse a sedere, quindi togliendosi i propri indumenti continuò spigliato e quasi senza pietà: - E’ molto emotivo e ti adora. È come se dipendesse totalmente da te. Finchè tu lo guidavi e stavi bene lui dava da mangiare la polvere a tutti, ora che tu sei sempre più a terra è lui che la mangia, la polvere… sente che ti stai allontanando, che non ce la fai, che non ti va più… non ti sente più vicino. Eravate un po’ dipendenti l’uno dall’altro… ora vi state staccando e ne risente più di tutti. - quel discorso colpì Joseph perché sebbene sapeva che José era acuto e coglieva tutto con precisione, quello non l’aveva notato nemmeno lui stesso.
José una volta nudo si accucciò davanti al compagno seduto sul letto e prendendogli gli slip glieli sfilò obbligandolo a collaborare. Non c’era amore, erotismo o intenzione in quel che faceva eppure a Joseph gli sembrò di essere curato da lui. Erano i suoi modi.
Certo che poteva spogliarsi da solo ma farsi spogliare da lui era meglio.
Lo faceva sentire importante da uno che cercava sempre di non far sentire importante nessuno!
- L’ho rovinato? - Chiese a quel punto Joseph una volta completamente nudi entrambi riferendosi a Leo. Non poteva sopportare anche quell’idea. Fin’ora non aveva considerato quel punto però era vero. Era dannatamente vero.
José seccato di quell’uscita lo spostò per tirare su le lenzuola e lo spinse di nuovo per stenderlo del tutto, quindi spense la luce e gli si mise accanto cingendolo da dietro, aderì i corpi facendosi sentire in ogni centimetri di sé, l’avvolse intorno alla vita con il braccio che stava sopra mentre l’altro, quello sotto, lo usò da cuscino. Joseph si stupì di quella posizione. Non voleva fare sesso? Sarebbe stata la prima volta, non si era mai comportato così con lui, con tanta dolcezza ed attenzione… mai…
- Non dire stronzate. Si risolleverà. Non sei mica la sua costola! È giovane e talentuoso, ritroverà un altro faro a guidarlo, non può pensare di conquistare i suoi cazzo di palloni d’oro sempre grazie a te. Deve conquistarli anche grazie a sé stesso… - L’insinuazione alla Mourinho la fece senza problemi e fece sorridere Joseph che si sentì lusingato da quel suo complimento. Aveva un che di dolce in ogni cosa che faceva, quella sera. Era proprio vero che percepiva tutto in anticipo. Anche fare seicento kilometri solo per abbracciarlo e guardarlo in viso, non era normale. Nessuno l’avrebbe fatto e lui era lì.
- Se li è meritati da solo quei palloni d’oro… - Replicò. José però si seccò di questa uscita:
- Andiamo, Pep, piantala di fare l’umile che qua siamo solo io e te! Le cose vanno dette come sono, sempre! - E lui era bravo in quello. Si tirò su sul gomito per guardare il suo profilo, Joseph fissava davanti a sé ma era come se l’avesse davanti. Gli prese la mano posta su di sé e dal petto se la portò sulle labbra cominciando a baciargliela piano. Visto che era tanto dolce tanto valeva approfittarne.
- Lui è bravo ed ha talento e su questo non ci piove, lo sai. Però se non avesse trovato uno bravo ad indirizzarlo nella giusta via, coi giusti mezzi, in una squadra che gioca per lui e su di lui, cucitagli letteralmente sopra… se non avesse avuto tutta la situazione specifica in cui ha giocato in questo periodo e qualcuno capace di trasmettergli la mentalità giusta, quella di un vincente umile e calmo… non sarebbe lì, fidati! Quanti talenti ci sono così che non vengono ‘sfruttati’ a dovere? Che non vengono indirizzati come si deve? Guarda Riky! Ancelotti gli ha praticamente consegnato un Pallone D’Oro, l’ha cresciuto nel modo giusto come tu hai fatto con Leo… ma poi quando se ne è andato il ragazzo si è perso e non è più stato come prima e lentamente sono sopraggiunti problemi che c’erano già prima ma che erano messi da parte perché Ancelotti sapeva come fare con lui! Sai che fatica che sto facendo per ritirarlo su? E non sarà mai più come il Bambino D’Oro di un tempo! - Si stava scaldando e più lui lo faceva, più Joseph gli baciava la mano per rilassarlo facendolo stare meglio a sua volta. Come gli facesse una magia.
- Stai dicendo che ora che me ne vado Leo non sarà più quello di prima? -
José sbuffò:
- Potrebbe. O potrebbe trovare un altro come te in grado di gestirlo a dovere e aiutarlo. O potrebbe tornare fra i comuni mortali. Insomma, per me sarà questa seconda opzione… voglio dire, non è che ce ne sono molti come te. Nemmeno come me. Cioè, a cosa serve negarlo? - Si rese conto di avergli fatto uno di quei complimenti che probabilmente non gli avrebbe mai fatto nemmeno sotto tortura e Joseph rise con le lacrime agli occhi in un miscuglio di divertimento, incredulità e commozione sincera. Certe cose dette da lui assumevano tutt’altro peso.
- Spero che ce ne siano altri come me, quel ragazzo non può essere comune e mortale… - Lo adorava e si sapeva ma allo stesso modo José adorava Cristiano e i dibattiti su di loro non si erano mai sprecati, non ne avrebbero fatti ora. Il portoghese adagiò il mento sulla sua spalla e l’accarezzò con esso pungendolo per la barba che il giorno dopo avrebbe dovuto fare.
- Quel ragazzo è comune e mortale ma indipendentemente da questo non ce ne sono altri come te. E come me. - Doveva cercare sempre di correggere il tiro e Joseph sorrise lieto che rimanesse sé stesso. Circa.
Finì per lambirgli un dito con le labbra ed invece di baciarglielo glielo leccò lieve sovrappensiero. José trattenne il fiato, cosa gli saltava in mente in mezzo ad un discorso così serio ed importante? L’occhieggiò da quella posizione più congeniale ma non si mosse e non gli tolse la mano.
- Non posso continuare a trovare stimolanti solo i battibecchi con te tramite conferenza stampa. - Sussurrò Joseph smettendo di leccarlo. José se ne seccò ma al tempo stesso si esaltò. L’ammetteva finalmente… - E non posso continuare a sentirmi felice solo quando faccio le partite con la tua squadra. Sia che vinca o che perda. - Stava dicendo che nessuno era alla loro altezza e che non c’era più la gioia del fare qualcosa contro tutto e tutti perché tutto e tutti li adoravano e stravedevano per loro, li aiutavano anche senza rendersene conto e quando per caso non ci arrivavano da soli, in un modo o nell’altro passavano. Non era più stimolante. Non era più bello.
- Ti ci vuole una sfida interessante. Io quando alleno faccio in modo da prendermi delle imprese, non dei prestigi. Ho preso l’Inter che era al degrado, aveva cambiato non so quanti allenatori, non vinceva niente dal secolo scorso ed era disastrato. In due anni gli ho fatto vincere la tripletta! Sai cosa significa? Sfida interessante! E quando ho capito che lì non avrei più avuto stimoli, che avrei continuato a vincere facile, me ne sono andato al Real non perché è un club prestigioso e mi pagavano tanto ma perché non vince niente dal 2002 ed era nella merda. E lo vedi che in due anni ho vinto solo un titolo? Bè, possiamo anche dire due, dopo il Classico… - ghignò e Joseph tornò a succhiargli sovrappensiero il dito, come fosse un anti stress o qualcosa di simile. José trattenne un sospiro. Aveva quei modi di fare quasi innocenti. Lui era un adulto, non poteva esserlo! - E non so in tutta onestà se contro questo Bayern ce la faremo ma se così non sarà rimarrò al Real fino a che, cazzo, non la vinco questa maledetta coppia con le orecchie! - Joseph rise, era tipico suo infervorarsi e ragionare così, non lo interruppe e lo lasciò proseguire con meno fervore: - Voglio dire… io faccio sempre in modo di prendermi sfide interessanti e non prestigi. Perché so che altrimenti non sarei più stimolato a fare il mio lavoro con passione e nel momento in cui sarà così smetterò perché non voglio essere uno di quelli che allena solo per i soldi e per gloria. Lo faccio perché mi piace e mi piace quando vinciamo e quando mi danno contro e mi odiano ma io vinco lo stesso e non possono accusarmi di essere un incapace! Amo quando nonostante mi detestino mi lodano lo stesso e devono inchinarsi a me. E amo quando prendo una squadra che non vince titoli importanti da tantissimo e glieli faccio vincere! Amo questo! Quindi quando vedo che raggiungo il mio obiettivo ne prendo un altro. Una sfida interessante. Non devi arenarti al Barcellona. Hai vinto tutto, hai dimostrato chi sei, hai consegnato tre palloni d’oro ad un ragazzo di 24 anni… ora vai avanti ad operare altri miracoli! - Joseph non rispose, sarebbe rimasto ad ascoltarlo per ore lui e la sua forza nelle parole ed in ciò in cui credeva.
L’avrebbe ascoltato per sempre ma per sempre sarebbe anche rimasto lì fra le sue braccia e quando passò ad un altro dito, José smise di parlare e premette le labbra sulla sua spalla cominciando a mordicchiarla e succhiarla.
Quello che doveva dire glielo aveva detto, si era coperto di sentimentalismo, lo sapeva, ma Joseph ne aveva avuto bisogno. Sapeva non sarebbe uscito da lì.
Allacciò le gambe alle sue e strofinò i piedi sui suoi in modo da carezzarlo con tutto sé stesso e lentamente cominciò a farlo anche col bacino contro il suo, piano e con intenzione. Dal nulla al viaggio nell’erotismo come se ci fosse un interruttore da qualche parte.
Joseph smise di succhiargli le dita gemendo al contatto del suo membro contro il proprio fondoschiena e premendo la nuca all’indietro contro l’altra spalla di José, si incastrò a lui ulteriormente. Ora che erano completamente allacciati l’uno all’altro la bocca del portoghese salì sul collo succhiandolo mentre la mano ora libera scivolò in basso sul suo inguine, l’accarezzò con sicurezza e pienezza per poi prenderglielo e muoversi su e giù in un crescendo sempre più sentito. La voce di Joseph cominciò a levarsi più chiara fino a che non facendocela più girò la testa alla ricerca della sue labbra, José pareva non aspettare altro e aprendole cercò subito le sue con la lingua che trovò in breve, solo dopo le unì e si intrecciò a lui mentre la mano continuava a procurargli un piacere sempre più intenso facendolo già venire.
José scivolò fuori dalla bocca percorrendogli la schiena con la lingua, Joseph rabbrividì rimanendo sul fianco, sapeva cosa aveva in mente ed era un classico, per lui, andare al punto senza perdere tempo.
Senza troppi complimenti gli piegò le gambe in avanti e immerse il volto fra le sue natiche facendosi spazio con la lingua e con le dita. Non c’era molta calma nei suoi movimenti ma quel calore che lo scuoteva da dentro Joseph quella sera non l’aveva ancora provato, anzi, e di sicuro nessuno sarebbe mai stato in grado di trasmetterglielo con pochi semplici gesti anche piuttosto brutali.
José non sapeva cosa fosse il romanticismo ma come l’accendeva lui non poteva nessuno.
Quando lo sentì pronto, dopo essersi auto stimolato, si tirò su di nuovo e guidandosi con le mani scivolò in lui senza dire mezza parola o aspettare, sembrava fosse una questione di vita o di morte dalla fretta che aveva, ma era anche vero che cercava vagamente di non correre eccessivamente perché era cosciente che a Joseph non piaceva molto troppo con foga. O per lo meno pensava così.
In realtà non poteva volerlo in altra maniera che quello.
Sentirlo dentro fu la fine di ogni pensiero e depressione, tutto si annullò e lo benedì sin nel profondo, felice di nuovo di qualcosa dopo che aveva passato giorni a non esserlo più e a non capire perché fare quello che faceva.
Si sentì di nuovo felice e fu inebriante e fantastico, poi il piacere lo investì come un’ondata di sole in pieno agosto. Si lasciò avvolgere, prendere, possedere e colpire sin nel profondo. Lo chiamò sempre più forte per chiedere di più e José finì per morderlo sulla spalla ricordando indirettamente un gesto che caratterizzava sempre gli amplessi di altri due giocatori che si stavano dando piacere in un’altra camera a Madrid, in attesa della loro semifinale.
Quando lo sentì venire e riempirsi di lui in ogni senso, Joseph perse ogni contatto con sé stesso rendendosi conto che quella felicità provata proprio in un momento estremamente negativo della sua vita, era portato proprio da José.
José che era venuto a rotta di collo fin lì solo per abbracciarlo e consolarlo e che poi aveva fatto l’amore con lui in quel modo, José su cui avrebbe sempre potuto contare a modo suo.
José che ci sarebbe sempre stato e che era lì per lui.
Dopo che si furono girati l’uno davanti all’altro ed ebbero ripreso possesso di loro stessi, si guardarono qualche istante negli occhi, poi fu José a parlare:
- Niente sarà più come prima. - Capendo che Joseph se ne sarebbe andato davvero dal Barcellona.
- No… ti dispiace? - Fece spaventato all’idea che questo facesse sì che si perdessero di vista. Era stata l’unica nota positiva in quel periodo sempre più buio, assurdo anche solo pensarlo eppure vero.
- Perché? Ci saranno più titoli per me! - rispose ghignando José. L’altro sorrise sollevato capendo che non si sarebbero lasciati e ascoltò il resto. - Quello che conta è che tu stia bene e sia felice, non importa dove. Tanto non ti liberi di me! - Cercò di farlo suonare come una minaccia ma con scarsi risultati. Rimase una frase estremamente bella e sentimentale, per i suoi canoni, certo andava interpretata ma Joseph era ormai bravo in quello, lo conosceva da tempi immemori in fondo, e non si erano mai veramente persi di vista.
- Vai avanti a testa alta, Pep. Sempre. Sii fiero di quel che hai fatto. Non hai niente da rimproverarti! -
- Grazie. - rispose alla fine Joseph baciandolo. Era diventato oltre che il suo sostegno.
Poteva dire che era diventato tutto ma non l’avrebbe ammesso perché sapeva che poi l’altro si sarebbe imbarazzato.
- Spero di non aver bisogno io di una consolazione, stasera… - Disse poi visto che era già il venticinque.
Joseph sorrise.
- Ci sarò. Ci metterò un po’ di più di poche ore di macchina, ma ci sarò. -
E ci sarebbe stato poiché sarebbe servito.

FINE