CAPITOLO XIV:
FINALMENTE POSSO!
 


 
Si abbracciarono e mentre lui chiuse gli occhi, Cris nascose il viso contro il suo collo cinto dalle sue braccia forti.

Fu un momento perfetto che ricordò ad entrambi i retroscena di un periodo particolarmente difficile solo per un semplice fatto che di suo, magari, non sarebbe stato molto grave ma che per Cris lo era stato.
 
Stavano tornando a casa dagli allenamenti pomeridiani quando Cris fermò Ricardo salendo nella sua macchina. Il brasiliano con l’auto già accesa lo guardò notando la sua aria d’aspettativa e gli si strinse il cuore dispiacendosi sinceramente per quello che doveva dire. Doveva smontarlo.
- Mi dispiace ma non posso nemmeno stasera. Nel week end c’è questa festa a casa e devo fare un sacco di cose, Carol ci tiene e non posso mancare. Ho una lista ogni giorno di cose da fare, stra lunga… e ti direi di farla con me ma devo andare con lei perché… - Cris non ascoltò il resto, si perse nel proprio fastidio che montava pericoloso, poi con sguardo corrucciato e battagliero, cercando di non mandarlo a quel paese perché ormai era al punto che gli dispiaceva sinceramente quando lo facevano e litigava, disse:
- Ma non hai mai tempo per me come si deve! - Ricardo sospirò guardando oltre i finestrini per vedere se c’era qualcuno. Bè, come al solito sì. Anche troppi! Evitò di prendergli la mano come avrebbe voluto e cercando di guardarlo in viso, visto che guardava in basso, rispose delicato:
- Lo so, hai ragione, ma è solo questa settimana… poi dopo la festa tutto tornerà come prima e potremo fare quello che vogliamo… devi avere pazienza… -
Cristiano però sbottò all’idea di avere pazienza anche per quello, sembrava diventato il suo motto!
- Certo, pazienza anche per questo, ora! Non basta che in pubblico non posso nemmeno toccarti se non è per esultare ad un goal, no? Vuoi un valido motivo affinchè nessuno fraintenda, perché ci guardano in troppi e si chiedono che amicizia sia la nostra! Però almeno dammi il nostro rifugio… - Era davvero da molto che non stavano insieme a letto, che non riuscivano a fare le loro cose, insomma. Per Cris era insopportabile e probabilmente presto avrebbe messo i manifesti pur di poterlo abbracciare, toccare e baciare.
Ne aveva un profondo bisogno.
Ricardo lo guardò dispiaciuto e comprensivo. Lo capiva, sapeva perché parlava così, non poteva biasimarlo, solo che comunque gli dispiaceva, tutto lì.
- Hai ragione… scusami… - Non seppe dire altro e quando parlava così Cris si smontava del tutto senza nemmeno più la capacità di gridargli dietro e litigare. Nemmeno quello!
Alla fine era andata così tutta la settimana, senza poter stare insieme e vedersi in privato come voleva, senza poterlo toccare come inizialmente faceva di continuo fregandosene delle occhiate di tutti. Che la squadra sapesse non era un problema ma a guardarli non erano solo loro e dovevano stare attenti.
A remare contro di loro era arrivato anche il gioco insensibile delle camere. Un gioco del fato, più che altro, perché in realtà non aveva messo nessuno il suo zampino.
Andavano sempre nello stesso albergo, le notti prima delle partite di campionato, quindi anche stesse camere. Solo per alcuni c’era il privilegio delle camere da due, molti altri dovevano accontentarsi di quelle da tre. Quella sera il caso li aveva voluti in una da tre per il semplice fatto che quelle da due erano poche e già state assegnate ad altri. Aveva fatto il solito casino dicendo che da quando andavano lì lui aveva sempre quella doppia e mai tripla, ma non c’era stato verso e prima che si picchiasse con qualcuno per averla, Ricardo si era intromesso placando gli animi e dicendo che andava bene lo stesso, per quella volta.
Questo non aveva aiutato il suo umore proprio per niente.
Come si poteva soffrire tanto nel non riuscire a stare un po’ di tempo solo col proprio compagno?
Com’era possibile che non bastasse vedersi in allenamento?
Come si faceva a ritenere sufficiente il parlarsi insieme agli altri, il vedersi insieme agli altri, lo stare insieme agli altri e mai da soli?
Anche il non trovare scuse per abbracciarsi era faticoso ed assurdo, perché lui non aveva mai avuto quei problemi, dannazione, e come poteva essere che ora, improvvisamente, non trovava valido nessun motivo per toccarlo e buttargli le braccia al collo?
Era diventato lentamente un bisogno e il non poter andare nel loro rifugio per una serie di impegni familiari uno dietro l’altro, aveva di gran lunga peggiorato la situazione, quindi quando si trovò in campo a segnare grazie ad un suo assist si era sentito oltre il settimo cielo perché ora poteva finalmente abbracciare lui e solo lui come si doveva.
Così quando lo cercò e lo trovò che gli correva incontro felice, gli buttò quelle famose braccia al collo aderendo i corpi come fosse questione di vita o di morte e aggrappato a lui in modo inattaccabile, Ricardo lo ricambiò chiudendo a sua volta gli occhi per poi riaprirli nel sentirlo immergere il viso contro l’incavo e nasconderlo fra le braccia.
L’aveva chiaramente sentito bisognoso di quell’abbraccio, mentre gli si abbandonava con una felicità che andava oltre l’aver fatto un bel goal, il centesimo al Real Madrid.
Andava oltre l’averlo fatto su un suo assist.
Era una gioia, quella che percepiva da Cris, dovuta al gesto in sé del poterlo toccare, stringere, aggrapparsi, abbracciare.
Gli lasciò anche un fugace bacio su quella porzione di pelle scoperta e sudata, lo fece rabbrividire e per un momento si dimenticò di tutte le migliaia di persone presenti.
Fu brevissimo perché poi non ebbero modo nemmeno di parlare e dirsi qualcosa che arrivarono gli altri ad interromperli per festeggiarli.
Però fu una carica che valse a Cris tutto il resto dell’incontro, un gran bell’incontro di alto livello.
Era tornato tutto alla normalità, non c’erano più insofferenze dovute al non poter fare quello che più lo sostentava.
Abbracciarlo e stringersi a Ricardo era per lui qualcosa che andava oltre il marcare un territorio od una mera ossessione, non aveva nemmeno a che fare con un discorso a carattere sessuale.
Era più un ricaricarsi, un calmarsi, un rilassarsi, un ritrovare energie e forze.
Era come una pianta che per nutrirsi aveva bisogno di acqua, luce e terra… lui era arrivato al punto di aver bisogno solo di lui, di Ricardo, di abbracciarlo, stringerlo e aggrapparsi fisicamente a lui.
Di poter viverlo come lo voleva, a pieno, senza nascondersi e trattenersi, sostanzialmente.
Ma questo, purtroppo, non sarebbe mai stato possibile. Ecco perché vivere per i momenti di gioia in campo, perché ad un certo punto diventavano tutto.