CAPITOLO XVI:
CE LA FAREMO


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I mesi che restarono furono diametralmente opposti agli anni appena vissuti.
Se questi erano stati all'insegna dei giochi e della spensieratezza, carichi di un'incoscienza voluta da Iker, quelli che passarono alla fine furono regnati da una tragica consapevolezza.
Che l'orologio stava correndo e non si sarebbe fermato.
Era un rapporto molto più adulto, improvvisamente i giochi erano finiti ed il loro non era divertimento ma amore.
C'erano molti sentimenti seri, intenzioni solenni ed un'attenzione dei dettagli che prima non c'era stata, non nello stesso modo.
I dettagli a cui ora stavano attenti erano gli sguardi che si scambiavano, le parole, il prendersi le mani di nascosto.
Non si buttavano più a terra ridendo come matti rubandosi baci davanti a tutti, non usavano solo lo spogliatoio e l'albergo.
Non era più un'avventura circoscritta alle mura del club e negli anni in cui sarebbero rimasti lì, com'era partita.
Ora era una storia vera, seria, da vivere ovunque e sempre. Non c'erano limiti, non c'erano confini.
Però quella tristezza nello sguardo di Iker e quello rassegnato di David erano evidenti.
Iker non riusciva a pensare di non vederlo così spesso e David sapeva semplicemente cosa andava fatto.
Stare insieme con una spada di Damocle incombente sulle loro teste era una sfida davvero tosta.
Iker era cresciuto tutto in una volta, si era responsabilizzato, aveva cominciato a capire che a volte non si poteva fare ciò che si voleva e basta, che c'erano cose che si dovevano fare anche se non si voleva.
David aveva rimpianto i limiti che si era posto.
Non sarebbe finita la loro relazione come all'inizio avevano pensato, non era più un passatempo piacevole.
Però sarebbe cambiato tutto e dovevano essere pronti all'eventualità che potevano anche non resistere, alla fine.
Dovevano.
David non era un illuso, era cosciente che quelle cose accadevano.

Erano abbracciati sul letto di Iker ed erano malinconici entrambi, mentre pensavano che a giorni finiva il campionato che stavano per vincere. Gli ultimi impegni e poi la stagione si sarebbe conclusa. David se ne sarebbe dovuto andare.
- Sai, la società sta facendo di tutto per convincermi a restare. Gli agenti e gli avvocati sono sotto per trovare una soluzione ma ormai il contratto è fatto e vincolante. Ho cinque anni coi Galaxy. - Iker era steso sul fianco davanti a David, aveva la schiena contro il suo petto, l'inglese l'avvolgeva da dietro come se fosse il suo cucciolo.
- Ma se trovassero una soluzione e volendo tu potessi restare? - David aveva le mani sul suo cuore e lo sentì battere impazzito come non mai. Ci teneva. Gli si strinse lo stomaco. A volte fare ciò che andava fatto era davvero una schifezza.
- Farei degli altri anni d'inferno, io ed il mister ci odiamo. Lui non si è ricreduto sul mio conto anche se ho contribuito attivamente a vincere il campionato, lui mi ha fatto giocare perchè tu l'hai convinto e perchè non poteva fare una figura di merda vedendo quanto valgo sul campo. Ma fondamentalmente mi odia ed io lo odio, non si può lavorare così. Credimi. Prima o poi trova un modo per farmi fuori, quelli così lo trovano sempre. -
Iker capiva che aveva ragione, era razionalmente corretto ciò che diceva, ma non era proprio la fine del mondo accettarlo.
Con delusione strinse le labbra e David gli baciò la nuca.
- So che hai ragione ma io spero sempre in un miracolo... -
- Il miracolo sarebbe che lui se ne andasse ma visto che ha vinto la Liga non se ne va. Iker, o io o lui, non possiamo restare insieme un mese di più. Credimi, sto diventando matto io. Ed io ho un'alta soglia di sopportazione. Io voglio solo giocare a calcio serenamente. -
Iker sospirò ancora, aveva voglia di piangere, il magone era così alto che preferì non dire niente e David lo lasciò nel suo silenzio non sapendo nemmeno lui cosa dire.
Cosa avrebbe dato per restare in condizioni buone?
Perchè doveva andare così?
Perchè?
A volte la vita era davvero un'autentica schifezza.

Iker passò molte notti a piangere di nascosto, silenzioso, fra le braccia di un David che fingeva di dormire perchè non sapeva come consolarlo.
Il Real Madrid fece di tutto per convincerlo a restare, la sua risposta era sempre stata la stessa.
O lui o Capello.
Cacciare Capello dopo un anno simile sarebbe stato da folli.
Quindi in questo clima teso e triste pieno di rimorsi e rimpianti da parte di molti, David diede il suo addio alla squadra, ai tifosi ed alla città.
Una città che doveva ammettere aveva amato molto. Si era trovato molto in linea con lo spirito caldo e passionale degli spagnoli, anche se era stato in grado di nasconderlo bene.
E poi era spagnolo la persona che amava.
L'ultimo giorno, l'ultima ora, l'ultimo saluto.
Lo stadio.
Il Santiago Barnabeu.
La partita d'addio.
Miliardi di tifosi accalcati sugli spalti con la camicia bianca e le bandiere, striscioni tutti in suo favore che lo imploravano di restare.
Commuoversi e pensare che gli dispiaceva.
Salutare con un gran sorriso perchè non si poteva mostrare debolezza. Schiena dritta, sguardo fiero, braccia tese verso l'alto.
Ed uscire dal campo con la passerella e le ovazioni.
La festa di vittoria del campionato era già stata perchè avevano vinto con un po' di anticipo, avrebbero festeggiato lo stesso ma lui ormai non aveva più la voglia di farlo.
Quindi uscì.
Fu la stessa cosa quando lo fece al centro sportivo, dopo i festeggiamenti, dopo le ultime cose delle ultime cose.
Uscire dal posto che aveva considerato casa, dove aveva vissuto per anni la sua storia con Ijker, dove era stato felice, veramente felice.
Guardare quella recinzione, guardare le panchine, guardare l'erba, guardare la porta, la sua porta.
Guardare gli spogliatoi.
Si strinse il borsone in spalla.
Era tutto pronto, ormai.
Doveva solo varcare la soglia.
I suoi compagni erano lì con lui, l'accompagnavano, Iker fra tutti lì accanto guardava tristemente in basso. Aveva una rassegnata compostezza mentre David tentava ancora disperatamente di brillare, ancora un po' per gli ultimi accorsi a salutarlo lì davanti.
Sorridere, salutare, fare foto e poi salire in macchina.
Non con Iker, guai.
Perchè bisognava farsi la guerra?
Perchè bisognava avere stupidi pregiudizi?
Perchè bisognava litigare?
La macchina partì e finalmente, svoltato l'angolo, poté piangere.
Nessuno lo vedeva, nessuno l'avrebbe mai saputo. Solo uno ma non perchè lo stava vedendo, bensì perchè lo conosceva.
Iker sapeva che ora stava piangendo così come David sapeva che anche lui stava piangendo.
Anche se per mesi non avevano fatto altro che pensarci e parlarne e prepararsi, alla fine non si era mai pronti.
David andò direttamente a casa di Iker il quale lo raggiunse poco dopo.
Un'ultima volta lì a casa sua senza dover prendere un aereo e rubare il tempo per stare insieme.
Poi sarebbe partito.
A casa Victoria, felice come non mai, stava organizzando la grande partenza.
Aveva fatto di tutto per prendere la villa migliore a Los Angeles in una zona per vip.
Iker si tolse subito la giacca e si aprì la camicia. Era caldo ma aveva scelto un completo di tutto punto per i saluti.
Si sciolse i capelli lunghi che si legava in una coda alta sulla nuca.
Iker arrivò poco dopo e lo trovò con una birra in mano che gli porse, non si dissero niente.
Avevano gli occhi rossi, tremendamente rossi tutti e due, si sforzavano di non farlo. Si erano promessi di non piangere uno davanti all'altro anche se poi di nascosto sapevano che lo facevano.
- Non dovevi firmare impulsivamente. - Disse poi alla fine Iker. Si era ripromesso di non recriminare, ma lì all'idea di salutarlo definitivamente non ce la faceva, la testa gli scoppiava, aveva voglia di gridare come un matto, stava malissimo.
Aveva passato dei mesi infernali.
- Lo vedi perchè faccio tutto di nascosto? Se non lo sapevi avremmo vissuto questi ultimi mesi meglio! - Disse David sbottando a sua volta su ciò che non voleva dire.
Iker mise giù seccato la bottiglia, non voleva litigare proprio ora ma il nervoso era così alto che pensava di poter morire se non si sfogava in qualche modo.
Si fissarono battaglieri per un attimo.
- E mi avresti tenuto nascosto una cosa così importante? -
David sospirò spazientito e scrollò le spalle con fare da principe stanco. Distolse lo sguardo e si legò di nuovo i capelli.
- No Iker, in ogni caso non ha importanza! Ha avuto senso perchè l'hanno saputo tutti! - Iker si perse, era troppo semplice per capire i suoi meccanismi contorti.
- Cosa diavolo stai dicendo, ora, si può sapere? - il tono era sempre più isterico.
David tornò a guardarlo cercando di calmarsi, odiava uscire così dalle rotaie.
- Se non avessi fatto una cosa simile il mister non avrebbe reagito, avrebbe continuato a tenermi in panchina. Se io non lo scuotevo, se non facevo qualcosa di pazzesco e contro corrente, se non lo sfidavo a questo modo... lui restava là! Tu poi l'hai convinto a farmi giocare ma è stato quello che l'ha scosso, che ha smosso la situazione statica! Può piacere o no, poteva essere altro ma mi è venuto in mente quello. E comunque rifiutava il confronto con me, non potevo parlargli, io volevo! - Iker capì che aveva di nuovo ragione, ma gli dava fastidio che fosse così. Lo feriva troppo. Perchè doveva essere così?
Iker cominciò a tremare, il mento gli tremava, le mani gli tremavano.
La voce.
- Perchè deve esserci gente che rovina tutto? -
Fu un mormorio indistinto, distrutto crollò.
Questa volta non ci fu verso di trattenere le lacrime, si coprì subito il viso e si nascose ma non scappò lontano, David lo prese da dietro, l'avvolse forte con le sue braccia che incrociò sul petto del compagno e gli baciò la guancia più e più volte.
- Andrà tutto bene. - Disse piano. Ma piangeva anche lui e non era facile credergli.
Iker percependo le sue lacrime e la sua voce rotta si girò di scatto.
Quando avevano fatto l'amore dopo il grande litigio, a gennaio, David aveva pianto ma nel fare l'amore era diverso.
E sapeva che aveva pianto in macchina da solo e forse anche in qualche notte. Però ora l'aveva davanti e lo faceva. Si faceva vedere.
Si voltò fra le sue braccia e shockato guardò quelle piccole scie trasparenti rigargli le guance chiare.
A quel punto ogni argine venne via e non ci fu verso di smettere per nessuno dei due.
Iker lo strinse a sé circondandogli la testa, gli tolse il fiato ed insieme unirono le loro tristezze.
Non poteva essere facile in nessun modo la si vedesse.
- In qualche modo faremo. - David piangeva. Come poteva lasciare che crollasse così? Iker cercò in sé una forza disperata per aiutarlo, ma trovò solo un modo, alla fine. Perchè singhiozzava e non riusciva a separarsene.
Si tolse la maglia e la tolse a lui furiosamente, poi lo spinse contro il tavolo della cucina e gli abbassò i pantaloni mentre le bocche bevevano l'amaro salato di quel momento.
Le lingue non si sarebbero più separate, non c'era bisogno di parlare.
Iker si abbassò svelto da solo i pantaloni a sua volta, lo fece sedere sul tavolo, gli alzò le gambe, se le avvolse intorno e così senza dolcezza e preparazione, lo penetrò.
Era la seconda volta.
David si sentì senza fiato, strappato completamente da sé lo maledì un istante perchè non aveva ancora imparato, ma poi quando lo sentì muoversi ritrovò la percezione di sé.
E non stava più piangendo.
Il dolore sordo interiore svanì lentamente ad ogni affondo, ogni spinta di Iker era uno strappo di più in sé.
Ogni residuo del vecchio sé stesso veniva via.
- Ce la faremo... - Cominciò poi a dire Iker ad ogni colpo. - Ce la faremo, hai capito? - Era deciso, risoluto, irriconoscibile. - Noi ce la faremo, David. Mi senti? - David era quasi fuori dal proprio corpo, ma per capire cosa gli ripeteva si sforzò di tornare e non era più così doloroso averlo dentro. E poi era il suo Iker, era il suo amore che lo stava penetrando.
E lo prendeva in un modo così virile e possente che non l'avrebbe scordato.
- Ce la faremo. - Lo ripeté ancora ed ancora ed ancora fino a che anche David lo ripeté con lui, le loro voci unite si confusero così come le parole che divennero solo un confuso 'ce la... ' fino all'orgasmo.
Ce l'avrebbero fatta.
Con mille difficoltà, passando lunghi momenti a litigare senza sentirsi convinti che uno non ne volesse più sapere, ma ce l'avrebbero fatta.