CAPITOLO I:
PREDESTINAZIONE



/Stan/
- Cosa stai facendo? - La voce di Roger si leva nel silenzio della camera. Io, cercando di rimanere concentrato, rispondo mantenendo un tono calmo e gli occhi chiusi.
- Visualizzazione. - E' un esercizio che faccio tutte le volte che devo fare partite dove ci sono molti nervi. Mi stendo in camera e nel buio e silenzio faccio respirazione, svuoto la mente e visualizzo cose rilassanti. Poi mi addormento. È una cosa utile perchè sono troppo emotivo ed altrimenti non combino molto a tennis, un gioco parecchio mentale.
- Cioè? - Ma Roger insiste a fare domande proprio ora. Io, con tanta pazienza, continuo a rispondere.
- Rilasso i nervi. - La versione breve. Spero che molli.
- Oh... - Silenzio. Un silenzio che dura molto poco. - E come lo fai? - A questo i famosi nervi partono.
- Stando zitto! - Ringhio esasperato. Roger non risponde, cosa strana. Così sospirando spazientito apro gli occhi e li giro verso di lui, nella penombra della camera lo vedo perfettamente seduto sul letto, gambe incrociate, che mi fissa col broncio.
La visione di Roger in versione bambino offeso mi fa partire un conato di risate che sfociano nelle lacrime, mentre mi rotolo sul letto a pancia in giù.
I letti sono due e singoli e messi uno contro la parete e l'altro separato solo dai comodini. Dall'altra parte la porta finestra che dà sul terrazzo.
Finisce che ride anche lui ed andiamo avanti per un bel po', fino a che mi alzo a sedere e asciugandomi gli occhi, cerco di spiegargli di cosa si trattava.
Alla fine lui annuisce cercando di fare il serio.
- No è che anche io sono nervoso per domani e speravo di poter parlare... - Le risa sono ancora sull'orlo di uscire, ma pensando a domani rabbrividisco e penso che sia meglio che entrambi troviamo un modo di calmarci.
- Ok, stenditi. - Faccio allora alzandomi ed avvicinandomi al suo letto. Lui mi guarda come se fossi matto, allora poco gentilmente lo spingo obbligandolo a stendersi.
Lui esegue polemico.
- Ok, ok, mi stendo... che modi! A volte sei un animale! E dire che sembri tanto docile e mite! -
- Non sono un cane, sono una persona! - Rispondo polemico a mia volta ed indispettito rimanendo in piedi accanto al suo letto.
Lui ora è steso e mi guarda con le mani alzate a mezz'aria che gesticola mentre parla.
- Ma no, è per dire... ma insomma, cosa vuoi fare, soffocarmi? - Non lo facevo così difficile e diffidente.
- In effetti ho la tentazione... - Mormoro a denti stretti e lui fa la faccia scura per minacciarmi, così distendo il mio viso in un sorriso ed anche lui fa altrettanto.
- Zitto e ascoltami. - Faccio alla fine.
- Ma non voglio stare zitto, voglio parlare! - Replica incapace di stare zitto.
Sospiro alzando gli occhi al cielo e mi siedo sul bordo del suo letto, poi gli prendo le mani e gliele metto giù ai lati.
- Adesso stai buono! - Dico con fermezza.
Per stare seduto vicino a lui steso, ci tocchiamo un po' coi corpi, ma niente di particolare.
Non contento gli poso la mano sul petto e questo lo zittisce immediatamente, proprio mentre stava per partire con qualche lamentela.
- Ti faccio vedere come si fa. - Dico piano.
Lui mi sta ancora guardando, come anche io del resto. È diffidente ma non si muove e non mi caccia.
- Sei sicuro? - Io annuisco.
- Con me funziona. Sai, sono molto emotivo e quando mi sono trovato ad affrontare le partite serie di tennis ho dovuto trovare un sistema. Non funziona sempre, ma diciamo che a volte mi aiuta. - Spiego ancora calmo. Lui è assorbito da me e quindi non mi interrompe, finalmente. - Le prime volte non sono facili, perchè si è pieni di pensieri e blocchi. -
- Hai la mano caldissima. - dice poi mormorando. C'è la stoffa della maglietta a separarci, ma non è sufficiente perchè sembra che lo stia toccando direttamente sulla pelle.
Io mi concentro cercando il battito del suo cuore, ma il nervoso sale anche in me così opto per un altro sistema.
Sposto la mano sinistra sul suo ventre e la destra la metto sul suo collo, non come per strozzarlo ovviamente. L'appoggio in modo che le dita arrivino sul collo a trovare la vena pulsante.
La sento veloce così come il suo respiro irregolare.
Così non può nascondere il suo reale stato d'animo e per un momento mi chiedo perchè sia tanto teso e nervoso.
- Adesso devi calmarti. Devi abbassare i battiti e la respirazione. - Spiego così perchè lo sto toccando.
- Le tue mani sono sempre più calde. - Non so perchè insiste su questa cosa.
- E' una cosa strana ma che funziona. Però devi lasciarti andare. Chiudi gli occhi. -
- Perchè le tue mani sono così calde? - Chiede ancora insistendo mentre i battiti aumentano e la sua respirazione anche. Improvviso mi piazza una sua sul viso, è gelida e sudata.
- Roger, sei nervoso. Devi rilassarti o non funziona. - Gliela prendo e gliela metto sul suo stomaco, sotto la mia. Gliela tengo così per fargli sentire quello che sento io.
- Ecco, ascolta come respiri veloce. - I battiti non sono da meno. - Chiudi gli occhi. - annuisce.
Cala finalmente un'atmosfera strana, che prima non c'era. Sono io stesso emozionato, ma cerco di domare questa cosa che sto provando. Mi è capitato altre volte, in sua compagnia, di essere strano, nervoso od emozionato. Quando mi ha chiesto di giocare il doppio delle olimpiadi con lui ho avuto una crisi di nervi.
Adesso è una cosa che torno a provare, non la crisi di nervi, ma la forte emozione correlata a lui, a lui in particolare. Al fatto che sto facendo qualcosa di speciale con lui.
- Inspira, espira. - Comincio ad indicargli piano e placido la respirazione, chiudo a mia volta gli occhi mentre lo faccio anche io, da seduto.
Piano piano si calma, il respiro è normale ed i battiti si placano.
Dopo un po' lo guido in un posto che penso possa piacergli e rilassarlo.
È svizzero come me, sicuramente gli piacciono le montagne ed i laghi.
Gli parlo di una passeggiata in un posto su dalle nostre parti che toglie il fiato e piano piano la mano che gli sto tenendo sul suo addome, è calda e asciutta come la mia.
Quando la visualizzazione finisce, lo faccio tornare qua, nel letto, con me, a Pechino.
- Adesso, quando ti sentirai pronto, apri lentamente gli occhi. - Lo faccio anche io, poco dopo li apre e mi cerca, gli sguardi si incontrano e sono io, ora, che ha bisogno di calmare i battiti. C'è una specie di ondata particolare che provo e non so... non so proprio definirla.
È la prima volta che c'è così chiara e netta.
Sorrido dolcemente e lui fa altrettanto.
- Come ti senti? - Chiedo piano. Lui, con stupore, annuisce.
- Bene! Benissimo... come... come hai fatto? -
Sorrido contento.
- Me lo hanno insegnato dopo che passavo la notte prima delle partite a vomitare dall'ansia. - spiego.
- No, ma voglio dire... io... ho sentito... come posso dire? Dalle tue mani su di me, quel calore... è come se me lo trasmettessi nel mio corpo tramite delle punture. Come un siero che si espandeva lentamente dappertutto... - Io faccio per ritirare le mani che ho ancora su di lui ma me le prende colpito da quello che ho fatto.
- E' l'effetto del rilassamento... - Cerco di essere evasivo, ma lui trattenendole riprende colpito.
- No, non è... era diverso... ho come sentito la tua energia dentro di me... è una sciocchezza? - Chiede vedendo che sono a disagio e cerco di andarmene. Io sono a disagio perchè sto provando qualcosa che non andrebbe provato per nessuno.
Cioè non per un altro ragazzo, un amico.
Mi sta piacendo avere le mani nelle sue e mi è piaciuto questo lungo contatto.
- Credo sia possibile. Quando mi hanno insegnato questo esercizio, le prime volte lo facevamo così e sentivo la stessa cosa. Il suo calore direttamente dentro di me. Mi ha detto che siamo fatti di energia e che in certe circostanze possiamo trasmettercela l'un l'altro. Non è una cosa facile e che riesce a tutti. Poi io non lo so, è quello che lui mi diceva... - Sospira e mi lascia andare capendo che voglio scappare. Appena mi molla si tira su sui gomiti e mi guarda tornare nel mio letto.
- Può essere. Di qualcosa siamo pur fatti, no? L'energia andrà bene! - Dice sorridendo per allentare questa strana tensione, che poi non è nemmeno proprio tensione.
Io mi infilo nel letto e mi metto sul fianco, verso di lui, intimidito e preoccupato.
C'è stata una forte empatia, con lui, ma non so come esprimermi.
Io... a me è piaciuto. È piaciuto avere le mani su di lui, tenergli la sua, guidarlo in questa cosa, stabilire questa connessione, colpirlo, aiutarlo, calmarlo. Mi è piaciuto.
È stato intimo.
Sono sconvolto, ma devo superarlo e metterlo da parte.
Forse non è nulla, forse è normale quando si fa l'esercizio così.
- E' interscambiabile. - Fa poi continuando a pensarci stupito e curioso. - Siamo interscambiabili! - ripete divertito come se fosse comico. Forse lo è, forse no, però mi metto a ridere per allentare i nervi e lui mi imita.
E poi, quando smettiamo, come se fosse normale:
- Grazie. - Io sbatto le palpebre un paio di volte, colto in contropiede.
- Per questa sciocchezza? Ma figurati! Spero che ti aiuti! - Sorride in uno dei suoi modi strani che mi piacciono tanto.
- Sono sicuro di sì! - Poi si stende sulla schiena togliendomi gli occhi di dosso.
- E tu cosa provavi? - Chiede poi dopo un po'. Mi mordo la bocca a disagio.
- A guidare? -
- Sì... - Non mi guarda, fissa il soffitto con gli occhi sottili, come se riflettesse, se cercasse qualcosa che gli sfugge. Io però sono perso nel suo profilo che mi piace molto.
- Non so, è la prima volta che lo facevo. È stato... - Non so trovare altro termine che quello. - intimo. - Non volevo dire quello, ma è esattamente quello che è stato e spaventato dal fatto che possa prenderla male, lo fisso in attesa. Lui ci pensa ed annuisce, poi si gira.
- E' proprio vero, è stato intimo! Bello! - E' sincero e spontaneo e non se ne vergogna. È bellissimo. E'... è sconvolgentemente bello.
Lui e quello che è successo e come ha preso la cosa. È limpido. Non se ne vergogna sul serio.
- Come facevi a sapere che mi piace quel posto? - Sapevo che lo riconosceva. Io sorrido.
- Non lo sapevo, ho tirato ad indovinare. Siamo svizzeri, mi piace quel posto e l'ho descritto. -
- Bello. Ci vado spesso quando posso. - Ammette. Io sorrido felice, gli occhi mi brillano ed anche i suoi.
- Anche io. -
- Allora ci andremo insieme... - Dice poi. E a questo punto trovo il coraggio di fargli la domanda che volevo fargli da giorni.
- Perchè mi hai chiesto di partecipare con te nel doppio? Sono le olimpiadi, era una scelta importante... - Mi sono tormentato con questa domanda. Io non sono poi così eccezionale, spero di riuscire a migliorare, non sono in ultima posizione ma nemmeno nelle prime.
Lui è sorpreso dal fatto che gli faccia questa domanda.
- Perchè dovevo venire con un connazionale. - La risposta non mi soddisfa e storgo le labbra.
- Potevi scegliere qualcun altro, non sono poi il migliore, non penso... - Ce ne sono alcuni più o meno sul mio livello, ma lui si alza di nuovo sul gomito e mi fissa aggrottando la fronte.
- Ma tu sei quello con più potenziale e che da quando ha iniziato a giocare nell'ATP è migliorato di più. Tu vai sempre meglio di anno in anno e ti ricordo che ti conosco sin da ragazzini, posso dirlo che sei migliorato... - Il mio potenziale e la capacità di miglioramento.
Colpito, rimango inebetito a guardarlo ed allora continua sicuro.
- Non sottovalutarti, Stanley. Vedrai che arriverai in alto, io lo so! - Non so cosa ci vede in me, sicuramente qualcosa che io stesso non vedo, ma se lo vede allora ci credo. Ci credo che ci sia. Devo crederci ed iniziare a tirarla fuori.
Piano piano questo lavora in me, inizia, ma so che nel tempo sarà quello che mi permetterà di raggiungere grandi risultati.
- Grazie. - dico timido. Lui sorride e annuisce tornando a mettersi comodo.
- Lo penso davvero e ne sono sicuro. Vedrai che ho ragione. - Poi prosegue continuando a fissarmi pensieroso, con un bel sorriso sul viso. - Sei molto chiuso e timido, è questo il tuo freno, se riuscirai ad aprirti in generale di più col mondo esterno riuscirai a migliorare ancora più in fretta. -
E' uno strano consiglio e lo guardo stranito.
- Davvero? -
- Sì. Ed il bello è che con me non sei timido e chiuso. All'inizio, quando ci siamo conosciuti da ragazzi lo eri, ma poi quando siamo diventati amici ti ho visto aprirti, come sei fatto... con me ti sei lasciato molto andare ed ho capito che oltre ad essere speciale ed interessante, se ti apri anche col mondo, migliorerai prima. Non so spiegarti perchè, ma è una cosa che aiuta. - Non gli chiedo spiegazioni, bevo tutto quel che dice e annuisco contento che me ne abbia reso partecipe. Sapere quel che pensava, quel che pensa, è bellissimo e arrossisco.
- Non è facile, ma ci proverò. - Dico. Lui sorride ancora e rimane a guardarmi contento della conversazione. Io dormirò poco, già lo so. Penserò a lui e lo fisserò come un ebete cercando di capire cosa mi succede, ma saranno i giorni più belli della mia vita.
Indimenticabili.
Me lo sento.



Ho incontrato Roger da bambino, lui era più grande di me di tre anni, giocavamo gli stessi tornei a livello nazionale. Lui era molto più bravo di me, però ci scontravamo molto spesso nei tornei. Ero felice di giocare contro di lui perchè mi piaceva, lo trovavo simpatico e mi faceva ridere.
Ero timidissimo, da piccolo, e non spiccicavo parola con nessuno nemmeno sotto tortura. Il tennis per me era perfetto perchè non dovevo fare amicizia per forza, non dovevo fare gruppo e cose simili.
Per cui anche quando eravamo in quei tornei dove dovevamo passare tutta la giornata, dalla mattina alla sera, a giocare a tennis in attesa dei nostri turni, io non ero obbligato a fare amicizia con gli altri ragazzi.
Stavo sempre in disparte e mi concentravo sulla partita, motivo di grande tensione sin da piccolo.
Zio Frank diceva che ho sempre avuto qualcosa di speciale, da piccolo me lo spiegava dicendo che ero molto sensibile e questo lavorava in me in tanti modi. In parte mi faceva chiudere e mi intimidiva, ma in parte mi rendeva particolarmente recettivo. Non capivo cosa intendesse, crescendo ho capito.
Percepisco tutto quello che mi circonda ed in particolar modo gli stati d'animo degli altri.
Lo zio, che non è davvero mio zio ma un amico di famiglia un po' strambo, non parla solo di stati d'animo, però semplificando assorbo quel che provano gli altri. Lo capisco subito e finisco per provarlo a mia volta.
Questo fa sì che io abbia le mie emozioni e quelle degli altri. Ovviamente quelli con cui ho a che fare.
Provare tutte queste emozioni è sconvolgente, mi scombussolava al punto da spingermi a chiudermi per non provare quello che provavano gli altri, per tenerli emotivamente alla larga da me.
È una cosa che ho iniziato a fare sin da piccolissimo, mi hanno detto i miei.
Perchè non sapevo gestire quello che sentivo.
Allora ad un certo punto mi sono trovato chiusissimo agli altri, tanto che non li guardavo quasi in faccia, non ci parlavo, non li salutavo. Non dico di aver sfiorato l'autismo, ero consapevole del mondo che mi circondava, ma mettevo una barriera, non volevo averci niente a che fare.
Il tennis era una valvola di sfogo, un gioco divertente che mi permetteva di avere un rifugio sano.
Una specie di terapia.
Così succedeva che in quelle giornate di tornei io stessi tutto il sacrosanto tempo da solo, rigorosamente da solo, isolato a pensare alle tecniche o a guardare gli altri giocare.
È così che ho conosciuto Roger.
Ci avevo già giocato una o due volte contro, lui aveva sempre vinto ed aveva vinto anche tutto il torneo intero.
Era uno che chiaramente avrebbe avuto un bel futuro, guardandolo giocare lo capivo benissimo e dentro di me lo ammiravo da un punto di vista tennistico, ma mi obbligavo a non guardarlo sotto altri punti di vista. Per me era solo unicamente tennis, non volevo capire che tipo fosse e immaginare cosa provasse per poi ritrovarmi a provarlo a mia volta.
Quella volta ero immerso nella partita che stavo guardando, all'ombra di un albero, ovviamente in disparte da tutti.
La sua voce arrivò a distrarmi e spaventarmi, era allegro e squillante e sembrava conoscermi da una vita, cosa che non era.
- Non male quello a sinistra, vero? - io saltai di soprassalto e lo guardai, vidi il suo profilo alto e sorridente, senza un minimo di timidezza.
- A-ah.... - Feci spaesato senza aver capito cosa aveva detto. Allora lui mi guardò indicando il ragazzo.
- Quello a sinistra. Ha un gran bel servizio ed è molto veloce, vero? -
Inghiottii ritrovandomi con un batticuore insensato. Stavo parlando forse per la prima volta con qualcun altro e non capivo perchè quello si fosse avvicinato a me per dirmi che quello era bravo. Che me ne importava?
- Beh, direi di sì... ma l'altro non è ancora molto sudato. - Roger mi guardò senza capire ed io nervoso spiegai. - Quello a sinistra tira forte e corre molto ma è sudato fradicio ed a momenti molla di sicuro, quello a destra fa poco, si limita a rispondere ai colpi, ma ha più forze. Vedrai che quello che dura di più vince! - Roger, colpito dalla mia analisi, si mise a guardare la partita e quando vide che quello di sinistra stava mollando perchè stanco e che quindi perdeva colpi, si mise a battermi la mano sul braccio incredulo ed entusiasta come se avessi fatto chissà quale predizione portentosa!
- Ma dai avevi ragione! E sì che ne guardo di partite! Sei stato acuto! Come hai fatto? Hai qualche potere? Mi predici chi vince il torneo? - Parlò a macchinetta tutto ridente mentre continuava a darmi colpi al braccio ed io, shockato e preso contropiede, non riuscivo a schivare quella che non so come definire se non ondata d'empatia.
In un istante provai tutta la sua gioia ed il suo grande divertimento per quello che era stata una sciocchezza e rimasi inebetito a guardarlo.
- Ma dai, era chiaro che vinceva quello con più resistenza! -
- Ma no, era una tattica, lui ha giocato così apposta, ma non me ne ero accorto! Pensavo fosse solo scarso! Sei stato bravo, ti dico! Avanti, dimmi chi vince il torneo! - Insistette smettendo di darmi colpi al braccio, ma continuando a guardarmi divertito.
Io non sapevo come comportarmi, avevo voglia di ridere perchè lui stava ridendo anche se non capivo cosa ci fosse da ridere.
Effetto empatia.
- Non... non saprei... come faccio a dirlo? -
Roger però non avrebbe mollato, così non ebbi scelta che dire qualcosa.
- Che ne so, tu? - A quello si fermò contento e soddisfatto piegando le labbra in un sorriso sornione che fu molto buffo.
- Tu sì che ne capisci di tennis! - La sua esclamazione fu così spontanea e comica da farmi ridere di mio, finalmente, cosa che non mi era mai riuscita in pubblico.
Risi e Roger contento d'avermi fatto ridere, rise con me ed in un istante ci trovammo a ridere perchè rideva l'altro e non finimmo più.
Alla fine Roger fu chiamato per prepararsi alla sua partita che sarebbe iniziata fra poco, quindi si alzò e si pulì i pantaloni per dietro.
- Devo andare... - Fece ancora divertito. Poi si girò verso di me ancora seduto all'ombra dell'albero. - Ci vediamo in giro. - Io annuii a bocca aperta senza saper che dire, sempre preso in contropiede, impreparato a quella cosa. Emozionato. Emozionato come cercavo sempre di evitare di essere.
Tremavo tutto, ma cercavo di nasconderlo. Sentivo un tremore da dentro.
Un fortissimo tremore.
Come una scarica d'adrenalina.
- Magari visto che io vinco il torneo, tu arrivi secondo! Sarebbe fico, no? - Ero ancora incredulo che si fosse messo a parlare amichevole con me senza motivo, e mentre si allontanava non riuscivo a togliergli gli occhi di dosso.
Poi si fermò di nuovo e si girò, era controluce e assottigliai gli occhi perchè accecato dal sole alle sue spalle che fece uno strano gioco di luce intorno a lui, come se avesse un'aura dorata.
- Comunque sono Roger! - Io sorrisi.
- So chi sei! - Risposi spontaneo, ancora un po' colpito da lui e da quel che era successo.
- E tu? - Mi chiese.
- Stan! - Annuì.
- A dopo, Stan! - Alzò la mano e se ne andò. Io rimasi a guardarlo correre dai suoi che lo aspettavano, poco dopo fui chiamato anche io per la mia partita, ma il cuore mi batteva ancora così forte che non capivo cosa mi fosse successo.
Quando dovetti spiegarlo alla mamma, dissi impacciato:
- Ho conosciuto un ragazzo del torneo... -
- Ah, chi? - Chiese interessata e colpita dal termine che avevo usato: 'conosciuto' presupponeva che io ci avessi parlato, dialogato.
- Roger Federer, quello che vince spesso... - Il suo nome si sentiva non di rado nei tornei in cui partecipavamo entrambi e la mamma si illuminò dicendo che era un ragazzo che prometteva molto bene e che sarebbe stato bello se l'avessi preso ad esempio e che farci amicizia era una gran bella cosa.
- Ti ha scosso? - Disse poi vedendo che non riuscivo a concentrarmi sul riscaldamento. Io arrossii ed annuii. - Come mai? - Mi strinsi nelle spalle. - E' bello se ti fai amici, sai? - La guardai vergognandomene.
- Adesso non riesco più a concentrarmi. - Ricordo che faticai a tornare in me e la mamma, che non capiva cosa mi fosse successo, pensò che riguardasse la nuova conoscenza fatta.
Penso che avesse ragione, ma non come poteva pensare lei.
Non ero scosso perchè non facevo amicizia e quindi quando ne facevo ero sconvolto.
Ero scosso perchè in lui c'era stato qualcosa, avevo sentito subito qualcosa. Non sapevo come spiegarmi, non so nemmeno ora dire di preciso di cosa si trattava, ma successivamente lo zio mi disse che avevo sentito quello che saremmo diventati.
Io ero piccolo, non capii, così la liquidò nel più semplice dei modi.
'Probabilmente diventerete grandi amici!'
Sorrido ora a ripensarci.
Si può sentire in anticipo una cosa del genere quando incontri qualcuno che un giorno sarà speciale per te?
Qualcuno lo chiama colpo di fulmine, ma noi eravamo piccoli all'epoca e poi tutt'ora non so come chiamare quel che provo. So solo che è una delle persone più importanti della mia vita.
Quella volta lui finì di giocare presto e venne a vedere il finale della mia e si mise a fare un gran tifo e a gridare consigli a tutto andare, tanto che mi diede una carica che non avevo mai avuto.
Fu la prima volta che giocai in quel modo, con una carica esplosiva, con la voglia matta di farcela, il desiderio profondo di riuscirci.
Fu la prima volta.
E vinsi. Quella e le altre partite fino ad arrivare in finale proprio contro di lui.
Ovviamente vinse lui, ma io fui secondo, proprio come avevamo predetto.
Da quel giorno cominciai ad ascoltare di più i vaneggiamenti di mio zio.
Non so quanto vere siano le cose spirituali che dice, però a volte una specie di predestinazione nelle cose che facciamo e viviamo c'è ed io penso che fra me e Roger sia successo questo.
O non mi spiegherei in altro modo quel che provai quel giorno, visto che oggi io sono qua a giocarmi le olimpiadi di Pechino in coppia con lui al doppio.
Predestinazione?
Perchè no?
Siamo fatti di qualcosa, oltre a carne, ossa e cervello. Qualcosa porta avanti la macchina, no?
Se questo qualcosa è astratto, inafferrabile, inconsistente, credo che in qualche modo possa creare connessioni fra persone affini.
Questa è la predestinazione.
Ed io e Roger eravamo affini e predestinati a giocare a tennis insieme.
E a diventare amici.