28. ABITUDINE AL DOLORE
"Alla morte di Hubert ci ho ripensato, ma con lui ho fatto la stessa cosa che ho fatto con mio padre e Jules: a un certo punto ti abitui al dolore, non vuol dire che ti dimentichi, li ho tutti nel cuore e nella mente. Ma so come e grazie a chi sono arrivato qua. E loro tre mi hanno aiutato. La perdita ti fa relativizzare su tutto, sulla F1 e sulla vita in generale.” - Charles
/Charles/
“Lasciare Giada è stato fin troppo facile, da un certo punto di vista. Anche se lasciare non mi piace mai. Non è una cosa che faccio con leggerezza, sono consapevole di fargli male e mi dispiace.
Però se devo essere onesto con me stesso, non ho provato quel gran peso che mi ha impedito di farlo. Non ho provato nulla, non ho sentito nulla. Mi è dispiaciuto perché sono umano, ma non è stato abbastanza da impedirmi di farlo.
Perciò è stato facile e non sarebbe dovuto esserlo.
Le ho detto che voglio concentrarmi esclusivamente sulla F1, ora che sono in Ferrari ci tengo troppo e non voglio distrazioni.
È la scusa più gettonata e più idiota perché in realtà non ha senso, ma al tempo stesso nessuno ci discute su. Nessuno di quelli che viene scaricato per quel motivo, per lo meno, perché al 90 % non sono del mondo delle corse, perciò non sanno che non regge.
I piloti hanno bisogno di distrarsi dalle corse, ovviamente non durante le settimane di gara, ma se uno è intelligente lo sa fare.
Al di là di questo, se non hai altro al di fuori delle gare, ti prosciughi; hai bisogno di staccare, divertirti, rilassarti, sfogarti, quando non sei impegnato con il lavoro. Come tutti, per la verità.
Perciò dire che ti vuoi concentrare sul lavoro è una stronzata, ma l’accettano perché non è un lavoro normale, perciò è plausibile.
Comunque alla fin fine Giada non ha discusso e non ha pianto, nemmeno abbiamo litigato perché era nell’aria, se ne era accorta e non è caduta dalle nuvole. Sicuramente l’aveva capito che lo stavo meditando da un po’.
Un giorno sicuramente cercherò un’altra ragazza con cui stare, perché avere una accanto è necessario, al di là del bisogno di fare una famiglia che tutti prima o poi vogliono.
Io sono giovane ed in questo momento non mi sfiora il cervello, però penso che un giorno lo vorrò. Ma non è solo per questo che so che tornerò a legarmi ad una ragazza. È perché ti copre, no?
Sei più tranquillo nel fare quel che vuoi, se ne hai una accanto. Noi che siamo famosi e sempre sotto gli occhi di tutti, dobbiamo pensarci a queste cose. È quel che mi ha sempre detto Pierre, lui ha sempre avuto questa fissa e penso di condividere il suo pensiero.
Però per ora avevo bisogno di aria, non ce la facevo a rimanere con lei. Sono in una fase confusa della mia vita, provo tante cose strane per tante persone e so di avere tendenze, ma non sono poi così facili da essere capite e so solo cosa non mi piace. Avevo bisogno... non so, di fare spazio nella mia vita per capire cosa provo per chi e soprattutto cosa voglio.
Sono confuso. Dannatamente confuso.
Perché è strano quello che provo per Max: a volte sono attratto da lui, altre lo odio. Non so cosa sento, mi fa perdere la testa ed il controllo in certi momenti, ma non sono certo di cosa si tratta.
Poi c’è Pierre, anche per lui provo qualcosa di speciale che va oltre l’amicizia, visto che quando sono su di giri faccio il maniaco con lui. Non so se è solo perché ho gli ormoni mai sfogati nel modo in cui a quanto pare mi piace e lui è uno di quelli con cui mi trovo a mio agio a fare certe cose, oppure se c’è altro.
Non so, ci sono troppe cose su cui devo pensare.
Avevo bisogno di spazio e così ho tagliato la sola persona che non mi pesava tagliare. Una volta che avrò le idee chiare, tutto andrà meglio.
Mentre ci penso sulla via di ritorno per la ripresa del campionato, dopo la pausa estiva di agosto, ascolto una delle mie solite playlist depressive. Sembro triste per Giada, in realtà mi sento sollevato riguardo lei. È semplicemente il mio stato d’animo generico da anni, ormai.
Ma non ero sempre così. No, non lo ero proprio.
Ho iniziato a sentire canzoni tristi con la morte di Jules e da lì non sono più riuscito a smettere, era come se rispecchiassero il mio animo.
Penso che il giorno in cui mi andrà di ascoltare qualcosa di più movimentato e allegro, capirò di essere uscito da quel buco in cui mi sono infilato per il dolore che nessuno dovrebbe vivere. Il dolore a cui dopo un po’ ti abitui e nemmeno te ne rendi conto.
Me ne accorgo ora, ma ne avrei fatto volentieri a meno.
L'intero weekend è strano, come se ci fosse nell’aria qualcosa di diverso, ma tutti pensiamo che sia per la pausa. È sempre strano ritrovarsi dopo un po’. Fra l’altro ci sono stati anche dei cambiamenti, Pierre è stato retrocesso in Toro Rosso e Alex è stato promosso al suo posto in Red Bull.
Uno scambio ridicolo per cui ho impiegato un po’ a calmare e consolare Pierre. Mi è dispiaciuto per lui, ma a questo punto se quello è un ambiente così tossico, è meglio per lui allontanarsi.
Perciò forse è questo, sono concentrato su di lui e sul stargli vicino e assicurarmi che viva bene questo cambiamento.
Abbiamo parlato tantissimo della Red Bull e di come chiunque metteranno vicino a Max sarà sempre sacrificato e maltrattato, perché comunque ormai puntano tutto esclusivamente su di lui e gli altri possono essere talentuosi e fare i risultati che vogliono, ma i riflettori ormai saranno tutti per Max.
Pierre non ce l’ha con lui, ma è consapevole che tollerano da lui cose che non tollerano dal compagno di turno, con cui invece sono iper severi, e questo non è giusto in ogni caso. Max prima di diventare decente ce ne ha messo, ha fatto errori allucinanti ed ancora adesso non è comunque quel pilota pulito che ti garantisce gare di livello senza cagate. Ne fa ancora perché ha una guida estrema e rischiosa che nessuno a parte lui può fare.
È difficile far bene lì e sopportare una situazione simile.
Ne abbiamo parlato molto, così come su Max e Daniel.
Gli ho detto del mio scontro con lui in albergo a Silverstone, quando aveva gli occhi rossi e gonfi di pianto, ma non gli ho detto niente del locale. Non so perché, non è successo niente di cui vergognarmi o da nascondere. Anche perché a Pierre non ho mai nascosto niente, perciò non so, ma questo non gliel’ho detto e non penso di farlo mai. Forse perché è una cosa nostra, privata. Come Singapore. Non era nulla, però era qualcosa che deve rimanere fra noi.
Un abbraccio, un momento di debolezza mascherato da crollo alcolico.
Però preferisco fargli credere che lo odio ancora. Anzi, preferisco sforzarmi di odiarlo.
Ho detto acidamente che è difficile comunque avere a che fare con lui e che Daniel è stato un santo a riuscirci fino ad ora, ma che non lo biasimo.
Pierre ha detto che ha conosciuto un lato più umano e fragile, in un certo senso, di Max. Non ha potuto saperne molto, ma ha avuto l’impressione che per colpa di suo padre si sia corazzato dietro uno scudo di stronzaggine per proteggersi da lui, ma sostiene che in realtà ci sia un altro Max là dietro quello scudo e Daniel deve averlo trovato.
Scherzando ho detto se per caso voleva scoprirlo anche lui e provarci, in quel caso di farsi avanti che ora era libero, ma Pierre è arrossito dicendo che anche se l’aveva rivalutato, non era il suo tipo. Non mi ha detto quale sia ed io non gliel’ho chiesto temendo di saperlo.
Ancora non so se vorrei questo fra noi e finché non lo saprò non farò niente, o per lo meno cercherò di evitarlo.
Incrocio vagamente Max non prima del solito briefing del venerdì sera, ma siccome siamo arrivati in momenti diversi, ci siamo messi completamente separati ed è stato come non essere lì insieme. Non ci siamo visti, io non mi sono volontariamente mai girato e poi prima di andare via ho atteso un po’, fingendo di avere un sacco di cose di cui parlare con qualche altro collega.
Lo sto evitando come se fosse successo chissà cosa e per questo mi sento abbastanza idiota, ma se lo incontrassi ora non so se riuscirei a nascondere che mi ricordo molto bene quella notte a Monte Carlo. Penso che anche lui la ricorda bene.
Sabato 31 agosto 2019.
Sono contento, infinitamente contento della mia pole. Spa è un circuito che mi piace, sapevo di poter fare bene, me la sentivo oggi nonostante la settimana strana che sto vivendo fra il malumore di Pierre nell’essere effettivamente tornato in Toro Rosso e tutti i miei abili tentativi di evitare Max.
Ho vicino a me Seb, non so cosa farà e non ne parliamo, sicuramente vorrà cercare di vincere e non sarà facile visto che la macchina sta andando forte per entrambi, però so di potercela fare. Ho molta fiducia in me stesso e sono su di giri, anche se mi sforzo di rimanere saldo coi piedi per terra. Non è la prima pole e non sono mai riuscito a tradurla in vittoria, ancora. Per essere uno che punta a mondiali e successi, non è che ho fatto gran che. È arrivato il momento, però.
La conferenza dei piloti è appena finita e stiamo rispondendo alle ultime domande dei giornalisti fuori nell’area dei media, quando qualcosa succede.
Sono concentrato su quel che sto dicendo e non capisco subito di cosa si tratta, ma poi tutti iniziano a fare esclamazioni shoccate e preoccupate e mi giro per capire cos’è successo. In questi posti in ogni angolo c’è uno schermo che trasmette qualcosa riguardo la pista e appena ne adocchio uno, i miei occhi si focalizzano totalmente sulle scene che vengono riproposte.
La prima cosa che comprendo è che si tratta di un incidente. Uno di quelli brutti.
Una prima macchina ha un incidente, una seconda finisce contro la parete e si ritrova sbalzata di traverso in mezzo, subito però viene tranciato di netto dall’altra macchina che subentra dietro di lui.
Rottami. Rottami ovunque.
Il mondo si ferma, non so chi sia, non ricordo che a correre adesso sono i ragazzi di F2 nella loro Sprint del sabato. Non realizzo veramente nessun dettaglio.
La mia mente viene catapultata a quel 5 ottobre del 2014, quando le pochissime immagini di Jules che spariva sotto la gru a bordo pista, lanciato ad una velocità folle, si susseguivano nelle televisioni di tutto il mondo.
Questa volta è diverso, questa volta si vede bene. Ci sono rottami e una macchina è letteralmente fatta in due. Ma lì non doveva esserci il corpo del pilota?
Dio mio, ma chi è?
Perdo totalmente la consistenza del corpo, non sono più in piedi, non mi sto toccando la bocca con la mano, non ho gli occhi spalancati a fissare lo schermo e le mie orecchie non sentono voci concitate da tutte le parti che piene di allarme dicono cose.
Non ho una voce che esce, la mia voce è bloccata in fondo alla gola e così resterà per tanti anni, ma ancora non lo so. Poi, un giorno, si sbloccherà tutto d’un colpo e non sarò più capace di trattenerla.
Chi è? Chi diavolo è?
È brutto, è uno di quegli incidenti che passeranno alla storia per motivi sbagliati.
Jules si inchioda nel mio cervello paralizzandomi, non riesco a tornare in me subito, non so quanto rimango così, ma ad un certo punto vengono fatti dei nomi ed uno in particolare spicca.
È come un pugno allo stomaco che toglie il fiato e per un momento vedo tutto nero.
Anthoine Hubert è il ragazzo della macchina in pezzi. La macchina presa in pieno dall’altra e stracciata come se fosse cartone.
Sembrano tanti pezzi di cartone, come dei puzzle. Un tempo componevano una macchina ed in quella macchina c’era un ragazzo.
Un ragazzo che conosco molto bene.
Un mio amico.
Conosco o conoscevo?
Abbiamo corso insieme. È stato il compagno di stanza di Pierre. È un suo grande amico.
Mio Dio, ma come ne uscirà?
Come?
Ma che domande stupide, Charles.
Lo sai come ne uscirà. Ormai ci sei già passato, sai bene come vanno queste cose.
Per un istante ripercorro nove mesi di atroce gestazione al termine dei quali non è nato un bambino, ma è morto un amico. Uno a cui tenevo da matti.
Quei mesi si condensano in un’unica soluzione e mi sembra il cervello mi scoppi.
Torno in me perché le lacrime bruciano, così scuoto la testa, batto le palpebre e faccio violenza su di me.
Pierre, devo trovare Pierre.
Nemmeno so se mi congedo dai giornalisti con cui stavo parlando, entro subito nel mio garage da dietro e sono già attaccato al telefono per chiamare Pierre. Percepisco la presenza di qualcuno intorno a me, gente che conosco, so chi sono e so perché sono qua con me. Tutti parlano, qualcuno sta in silenzio senza riuscire a dire nulla, molti chiedono con ossessione che è successo e come stanno quelli coinvolti nel maxi incidente in pista. Voci che mi arrivano lontane anche se non sono isolato chiuso in una stanza ignifuga.
Percepisco solo che la loro gara viene sospesa e poi cancellata, ma finalmente Pierre mi risponde e il cuore che mi batteva come un ossesso si sospende e solo per sapere di lui, come sta?
Improvvisamente è tutto ciò che conta. Non esiste altro, solo Pierre ed il suo stato.
Perché so perfettamente come andrà, una parte di me lo sente. Quella macchina era troppo a pezzi, dove doveva esserci il corpo del pilota c’era il vago ricordo di una macchina tagliata in due.
Jules è venuto ad avvertirmi con quel flashback terribile.
Com’è possibile che ci si dimentica di un sacco di cose, ma quelle shoccanti, quelle più terribili, tu le ricordi alla perfezione?
Non tutto e non completamente, ma ci sono dei ricordi dettagliati di momenti specifici.
Come la sfumatura degli occhi di mio padre quando mi ha visto arrivare in boxe dopo la mia gara, quando doveva dirmi di Jules.
Dettagli che dopo anni dovresti dimenticare, non ricordo nemmeno cosa ho indossato martedì per viaggiare e venire qua in Belgio.
- Dove sei?
So che non può essere ancora qua, se non hai la conferenza post qualifica fai presto, rispondi ad un paio di domande ai giornalisti nel paddock, hai la riunione con il tuo team per la gara dell’indomani, ma di fatto poi te ne vai abbastanza presto.
Sento un rumore di macchina in sottofondo, anche se non è facile capirlo perché anche se sono dentro il garage, c’è comunque confusione.
Tira su col naso diverse volte prima di parlare, prima di sentire la sua voce sottile e rotta so che sta piangendo.
- Sto andando in ospedale dove lo stanno portando.
Gli chiederei ‘ma ti sembra il caso? Ci sarà un casino assurdo!’, ma sarebbe stupido. Lui è emotivo, non ci ragiona mai su quel che fa, fa e basta e lo ammiro.
Annuisco anche se so che non mi può vedere e sospiro guardando l’ora, ma poco importa questa.
- So che è stupido da parte mia e che sicuramente preferisce avere vicino la sua famiglia, ma io lo conosco da quando era piccolo, abbiamo vissuto insieme per un periodo...
Pierre parla ed io lo lascio fare mentre esco sempre parlando al telefono, vado dritto verso il Motorhome a cambiarmi, come se non ci fosse nessuno intorno che cerca di intercettarmi e parlarmi. Io ignoro tutti e mi focalizzo solo sulla voce di Pierre ed è come se in qualche modo uscissi dal tunnel in cui mi stavo per infilare per un momento.
Per concentrarmi su di lui io non starò male. Rimarrò ben saldo in me.
Le nostre dita sono intrecciate, le mani strette, noi seduti vicini nell’ospedale in mezzo ad altra gente, molti piloti o membri del suo team, la sua famiglia che si ricordava ancora di Pierre.
Ma nessuno nota le nostre mani come quelle di due fidanzati, perché sono tutti persi in un’altra dimensione, quella dell’attesa.
L’attesa peggiore del mondo. Nessuno parla, è come se non si potesse fare, ma aleggia Jules fra noi. Mi sembra di vederlo qua seduto accanto che ci conforta e ci dice di farci forza.
Quando arriva la notizia che nessuno vorrebbe ricevere, non dico assolutamente niente. Sfilo la mano per portarla intorno alle sue spalle, lo tiro a me e lo abbraccio prima che lui possa capire veramente cosa hanno appena comunicato i medici alla famiglia di Anthoine.
È morto.
Almeno non avrà nove mesi di agonia per sé e per tutti gli altri che l’avrebbero aspettato.
Assurdamente penso che se doveva comunque morire, era meglio così come è successo a lui. Subito. Senza inutili sofferenze prolungate per tutti. Se una cosa deve essere, deve essere subito.
Uso tutta la forza che posso per stringere Pierre che si scioglie in un pianto disperato, mentre sento quello degli altri intorno a me che mi penetrano e mi riportano all’ultima volta che ho ricevuto una notizia uguale a questa in un altro ospedale.
Mio padre, due anni fa.
Di nuovo. Sono di nuovo qua a subire un lutto così importante. Un amico se n’è andato, un altro.
Una morte ogni due anni.
Mentre Pierre mi inonda il collo di lacrime ed io lo stringo, mi chiedo come sia il mio viso. Stringo gli occhi per capire se sto piangendo, ma sono asciutto.
Ci si abitua al dolore?
Forse sì.
Dopo un po’ ci si abitua, sì.
Dopo un po’ che lo provi sai già com’è e come andrà.
All’inizio farà male, poi lentamente riuscirai a conviverci e diventerà un pensiero triste nell’angolo del tuo cuore, ma andrai avanti per la tua vita consapevole che la vita è fragile.
Dannatamente fragile. E che le persone muoiono nel più disparato dei modi.
Due in pista correndo una gara.
Ed io dovrei continuare a correre così come niente fosse?
In quanti si faranno questa domanda? Ed io? Io come risponderò?
Che idiota che sono, so benissimo come risponderò.
Sì che lo farò. Correrò come sempre, perché è ciò che sono. Sono un pilota. È tutto ciò che so fare ed in ogni caso pur con l’ombra della morte che corre accanto a me, so benissimo che se smettessi di farlo, non riuscirei più a sentirmi così come mi sento quando salgo sulla macchina.
Libero.
Incredibilmente libero.
Non c’è niente che mi spenga il cervello allo stesso modo. Quando abbasso la visiera il mondo viene cancellato, non c’è passato, presente o futuro. C’è solo la corsa. La velocità. La cancellazione di ogni cosa.
Sei velocità ed adrenalina e tutto il dolore sfuma e tu sei solo col vento.
Non posso smettere, non posso rinunciare.
Ma forse ce la faccio perché mi conosco, l’ho già fatto. Ci sono già passato e ho fatto esattamente la stessa cosa e so che lo farò anche questa volta e tutte le altre che capiterà.
Sarò sempre in grado di salire sulla macchina, non importa cosa mi accadrà.
Forse però ci riesco perché il mio cuore è morto con Jules e quando sei morto dentro, non senti più niente e puoi fare qualsiasi cosa.
Forse è questo, dopotutto.
Stringo Pierre e gli bacio la fronte mentre sussurro di andarcene perché stare qua, ora, gli farà solo più male. E per ora conta solo aiutare lui. Adesso c’è solo Pierre. Come lui c’è stato per me con mio padre e Jules, io ci sarò per lui con Anthoine.
- Come fai? Come ci riesci? - mi chiede una volta in camera sua dopo che l’ho fatto stendere. I suo occhi shoccati sono ancora pieni di lacrime e dolore che esprime senza riserve, i singhiozzi si sono placati, ma adesso resta quel pianto silenzioso che non cesserà.
Disagio. Mi sento così dopo che mi ha guardato in questo modo. Rabbrividisco e gli metto l’asciugamano che ho bagnato d’acqua fredda sul viso, in particolare sulla fronte, sugli occhi e sugli zigomi.
Appena lo faccio lui sussulta e fa per toglierselo, ma io gli prendo le mani e gliele fermo fra le mie posandole sul suo petto. Una volta lì ci stringiamo le dita, ma non ci sciogliamo.
Pierre sospira e finalmente si rilassa con tutto il corpo ed io mi stendo con lui infilandogli un braccio sotto la nuca, lo stringo contro di me e lui si lascia fare.
- Scusa. - fa poi dopo un po’.
La bocca scoperta è incredibilmente vicina alla mia, gli carezzo dolcemente la parte inferiore del viso.
- Per cosa?
- Non volevo insinuare che sei insensibile, prima. È che ero perso, ho un blackout dall’ospedale ad ora e tu invece hai sempre saputo cosa fare ed ero sconvolto. Ma non volevo sottintendere nulla.
Sorrido lievemente all’ansia che ha avuta nello specificare una cosa che non mi aveva sfiorato. Anche se poi forse è vera. Non che lui lo pensi, ma che io lo sia.
- Non hai molto torto. - faccio poi infatti.
C’è qualcosa, stasera. La voglia di essere onesti, togliersi ogni maschera e smettere di lottare.
C’è una tale stanchezza.
È questo che mi sta lasciando l’ennesimo lutto.
Pierre capendo il resto che non ho detto, si toglie la pezza dal visto e con occhi piccoli e rossi che fanno impressione, mi guarda da questa vicinanza esagerata, ma io troppo dilaniato dal suo sguardo gli rimetto l’asciugamano sopra. Lui però rimane rivolto verso di me, ci separano pochi centimetri, rimaniamo uno avvolto all’altro, stretti insieme.
- Non sei insensibile. Hai solo avuto molti lutti. Troppi.
Sospiro. Non so se sono in grado di razionalizzare. Domani magari ci riuscirò e finirò per fare un’ottima gara scappando da questo piccolo mostro che ho dentro, ma adesso non ce la faccio e vorrei solo avere una scappatoia per non sentirmi così.
Non è normale sopravvivere all’ennesimo lutto della tua vita.
È morto un mio amico, lo conoscevo dai tempi del go-kart.
Così guardo le sue labbra a portata di bacio e aspetto.
L’ho baciato quando stavo male quella volta in ospedale per mio padre. Ero così fuori di me che l’ho baciato. Se volesse potrebbe farlo, non glielo negherei.
- Nessuno dovrebbe avere un lutto ogni 2 anni. - ripete. - Non sei insensibile, sei forte. - prosegue.
- In questo momento mi sento vuoto e vorrei non esserlo. - sussurro sincero. Pierre non fa più cenno di togliersi la pezza, mi rimane accanto in questa posizione, abbandonato fra le mie braccia come un cieco che segue una guida vocale per muoversi al buio.
- Ed io vorrei non provare tutto questo dolore. Ho freddo.
Ma non trema e so che freddo è. Lo capisco molto bene e so di cosa si tratta. So anche cosa fare, di cosa ha bisogno.
Le sue labbra tremano, anche se non si vede sono sicuro che stia piangendo di nuovo. Respira piano.
- Fa male. - sussurra. La voce si spezza e così mi sporgo verso di lui e gli fermo le labbra con le mie.
So bene cosa serve in questo momento.
Lo so benissimo.
Solo una cosa può aiutarti e non posso certo esimermi dal dartela con tutto quel che hai fatto per me con mio padre.
È giusto così, dopotutto. E magari mentre cercherò di fermare il suo dolore, me ne prenderò un po’ per me illudendomi di essere più umano anche io. Forse.”
Note: non è un capitolo facile da scrivere perché nessuno può sapere o immaginare cosa abbiano passato, perciò ci tengo a specificare che è tutto frutto della mia fantasia e spero che nessuno si senta infastidito dalla mia versione.Siamo in un'altra parte molto importante per Charles e per la loro relazione, un'altro effetto domino che porterà a molte altre cose. Scusate la lunghezza di pubblicazione, ma sono in vacanza e perdo letteralmente la cognizione del tempo. Alla prossima. Baci Akane