29. SCALDARSI L’ANIMA
/Charles/
“Le labbra si intrecciano dapprima tremanti e timidamente, poi lentamente diventa tutto più normale e sciolto, è lui il primo a schiudere le sue e farsi avanti con la lingua. Gli vengo incontro e approfondiamo il bacio mentre mi sollevo col capo mettendomi sopra di lui per metà; appoggio su un gomito, con l’altra mano gli carezzo la testa e i capelli bagnati dall’asciugamano che resta sugli occhi, dimenticato come se non ci fosse.
Mentre ci baciano mi vengono in mente gli altri momenti in cui sono stato così sovraccarico e perso; mio padre, Jules.
Flash di istanti specifici, l’amarezza del mio pianto mentre ingoiavo il dolore che mi usciva a fiumi, fino a che sono riuscito a tenermelo dentro e a riprendere la mia vita anche al di fuori delle piste.
Ma era vita?
Le mani di Pierre esitanti mi abbracciano, gli salgo completamente sopra anche col bacino e quando siamo a contatto, nonostante i jeans che ci separano e ci danno fastidio, l’eccitazione sale, il calore inizia a prendere il posto del freddo.
Io lo so cosa ci vuole quando ci si sente così, quando quel freddo è interiore e non esteriore.
Puoi fare quel che vuoi, ma finché non ti scalderai l’anima, non starai mai meglio.
L’inguine stringe e le lingue fremono nelle nostre bocche aperte ed unite, tutto sale: sensazioni, fuoco, voglia.
Le sue mani scivolano fra di noi, si apre i jeans e se li abbassa frenetico spingendo in alto il sedere quel che basta per liberarsi dalla stoffa costrittrice, senza riuscire a resistere, senza potercela fare proprio.
Quando attacca i miei, spalanco improvvisamente gli occhi.
Cosa stiamo facendo?
Mi sollevo di scatto trattenendo il respiro, mi ritrovo a cavalcioni su di lui ancora steso sotto di me. Ansimo dall’eccitazione e dal panico. I jeans aperti da lui ma ancora addosso.
Il mio cervello si è spento. È uno di quei momenti in cui sono fuori di me e non so cosa sto facendo. Adesso lo voglio troppo, ma non è forse lui di per sé quanto questo.
L’erezione preme gonfiandosi sempre più eccitata, non ce la faccio più. Mi ha acceso e non posso spegnermi, ma non dovrei. Una parte di me sa che NON DOVREI.
Pierre si toglie l’asciugamano dagli occhi e mi guarda implorante, devastato, ancora col fiato corto; la mia bocca aperta piena del suo sapore. Le sue mani scivolano sulle mie cosce e risalgono sui miei fianchi carezzandomi dolcemente, lasciando stare i miei jeans.
Le lacrime cristallizzate sulle sue ciglia, gli occhi azzurri che sembrano trasparenti, il suo dolore ancora lì pronto ad esplodere se lo respingessi e lo lasciassi solo. Le sue dita si intrufolano sotto la mia maglietta.
- Ti prego Charlie... - quel nome, il modo in cui lo fa. Il modo in cui mi chiamava mio padre. Tutto quel che ha fatto per me in quel momento di due anni fa.
La sua voce di nuovo incrinata, sull’orlo di un altro scoppio di lacrime.
Hai trovato il mio unico punto debole. Non posso sopportare che tu pianga e anche se una parte di me SA che non è giusto, le tue carezze tremanti ed i tuoi occhi liquidi mi danno il colpo di grazia e mi sfilo la maglietta da solo mentre contemporaneamente scendo da lui, mi ribalto sul letto e mi tolgo jeans e boxer; lui fa altrettanto finendo di sfilarseli dai piedi, vedendo che si incastrano l’aiuto e glieli strattono.
Quando siamo entrambi nudi, mi metto davanti a lui, gli apro le gambe e senza esitare nemmeno un secondo, mi tuffo in mezzo, al centro del piacere. Mi avvento sul suo inguine e lo divoro senza andare per gradi.
Non avevo mai immaginato di fare sesso con un altro ragazzo in questo modo per la prima volta, non con tutta l’ossessione che ho avuto fin qua.
Mi immaginavo a godermela, ad andarci piano, assaggiare, sedurre, giocare.
Me lo immaginavo con qualcun altro.
Invece è come se fossi in pista. Corro e non capisco perché. Forse per paura che la mia mente si attivi prima che io finisca e dannazione, adesso che ci sono lo voglio fare.
Voglio fare sesso con un ragazzo.
Ora che ci sono non mi tirerò indietro. Quanto ci ho pensato? Quanto l’ho voluto?
Ho sempre saputo che con Pierre avrei potuto farlo se ci fosse stata l’occasione, ma avevo paura. Perché ce l’avevo?
Siamo amici. Non volevo rovinare l’amicizia.
Ma lo vuole anche lui.
Si, ma lui lo vuole perché gli piaci, tu cosa provi?
Non lo so, non è il momento di pensarci.
Come no? Non dovresti pensarci prima di scopartelo?
Il suo cazzo cresce nella mia bocca, pulsa pieno di piacere e scendo ad occuparmi prepotente del suo piccolo ingresso che non è per niente inviolato.
Le mie dita entrano agevoli dopo la mia lingua, lui si tira le ginocchia al petto per darmi tutto l’accesso che voglio.
Per lui non è la prima volta, per te lo è. Lo fai perché volevi provare da molto e lui è carino ed è perfetto e ti fidi ciecamente. Lui invece lo fa perché sta male e gli piaci davvero. E lo sai.
Stai usando la situazione a tuo vantaggio. Stai usando il suo dolore.
Accelero.
Improvvisamente salgo e lo ricopro col mio corpo tenendogli le gambe alzate e piegate fra noi, lo abbraccio e lo stringo divorandogli la bocca, succhio la sua lingua e le sue labbra mentre mi strofino su di lui e mi muovo giocando coi nostri cazzi che crescono insieme. Strofino fra le sue natiche aperte per me. Pronte per me.
Lui sospira di piacere contro la mia bocca ed io accelero ancora. Il mio cervello si sta riaccendendo. È praticamente già attivo, ormai, ma non mi fermerò. Devo solo sbrigarmi e andrò là dove voglio, dove ho bisogno.
Perché anche io sto di merda. Anche io ho perso un amico, ho l’ennesimo lutto della mia vita e sono qua a sopravvivere perché semplicemente sono abituato al dolore e non mi sembra giusto. Ho 21 anni, non dovrei essere abituato al dolore. Non dovrei, cazzo!
Senza dire niente, entro con una spinta decisa indirizzandomi con la mano. Mi ci vuole un po’ prima di entrare bene, devo rifarlo, usare più saliva, riprovare e poi quando diventa più duro va meglio.
Le mani di Pierre arrivano alla mia schiena inarcata, salgono dalla vita stretta, mi afferra le scapole che sporgono e affonda le unghie. Ci saranno dei graffi inequivocabili, ma adesso non devo nascondermi da nessuno, sono libero di fare quel cazzo che voglio senza pensarci.
Finalmente va meglio, finalmente le spinte sono più sciolte e ad ogni affondo vado più in profondità ed è tutto un crescendo nella giusta direzione.
La giusta direzione, la giusta intensità, il giusto ritmo. Noi sincronizzati con le spinte ed i nostri corpi che finalmente si trovano e si fondono ed il mondo sparisce, esplodono solo le sensazioni.
Sensazioni belle, sconvolgenti. I brividi mi percorrono ovunque e il mio cervello è di nuovo spento.
Di nuovo non so più che sto facendo, so solo che mi piace e che sono contento di farlo. So solo che fin qua mi sono perso qualcosa di cui ora non farò più a meno.
Mentre vengo, sento tutto il mio corpo come non l’ho mai sentito ed è solo piacere: completo, assoluto, meraviglioso piacere.
È la mia cosa. Questa è la mia cosa. Il sesso così, con i ragazzi, è il mio ambiente. Come avevo sempre sospettato. Non c’è assolutamente niente che non mi piaccia o che mi freni. Niente.
Almeno fino a che non torno in me respirando a fatica con il mio corpo in fiamme, tutto sudato e pulsante su Pierre.
Le sue labbra sulla mia tempia, le sue mani sulla mia nuca, i suoi ansimi.
Ecco che il mio cervello si attiva prepotentemente come un flash, un fulmine a ciel sereno che squarcia il cielo e con un fragore secco mi cade addosso devastandomi.
Ho fatto sesso col mio migliore amico, non avrei mai dovuto.
Non tanto perché lui è mio amico e questa non è la nostra dimensione; non perché vivendola me ne rendo conto, vedo la stonatura che prima non ho voluto vedere di proposito. O meglio sì, è tutto vero, ma non è solo per questo.
C’è un’altra cosa che mi fa capire che è stato sbagliato e non avrei mai dovuto.
Lui non è Max.
Ho fatto un casino. Ho fatto un dannato assurdo casino.
Rimango fermo con gli occhi sbarrati a fissare il soffitto con lui che mi dorme addosso fino a quando sento il suo respiro lento e regolare e capisco che dorme da un po’, considerando tutto quello che ha pianto e quanto doveva essere stanco, penso che dormirà come un sasso fino a domani mattina.
Con delicatezza gli prendo il volto sollevandolo dal mio petto e mi sfilo via per poi riporlo sul cuscino. Dopo di questo, non senza una voragine nello stomaco perché sono a digiuno dal pranzo, mi infilo direttamente dei comodi pantaloni di tuta leggera rubandoli a Pierre, mi metto una delle sue magliette e recuperando solo il mio telefono e la mia chiave magnetica che ho mollato sul comodino, esco dalla sua camera.
Ho bisogno di respirare, ma ho anche una fame atroce che rischio di non poter soddisfare per via dell’ora. Adesso è tutto chiuso, perciò senza pensarci molto punto ai distributori automatici che ho visto in uno degli angoli del piano. Questo è vicino a due poltroncine ed un tavolino per una mini area relax per i nottambuli che hanno voglie nelle ore dove non c’è alcun servizio.
Mi fermo davanti e fisso la porta col vetro trasparente che mi fa vedere ciò che offre. Vicino ce n’è uno con le bevande calde, ma ho bisogno di qualcosa di fresco e di sostanzioso.
Guardo le barrette di cioccolata che dovrei evitare perché Andrea dice che non posso divorarne quanta ne vorrei. Ma adesso vorrei proprio quella dannata cioccolata. E vorrei pure quella bella lattina di birra fresca che ovviamente non posso bere la notte prima di una gara. Per di più una di quelle in cui sono in pole position.
La notte è inoltrata ed il bello degli hotel è che non c’è un cane dopo una certa ora, specie il sabato notte. Tutti i piloti e i team sono a dormire beati per fare una bella gara domani ed è bello questo silenzio immacolato, ma mi sento ancora soffocare, ma non è per l’estate: qua c’è l’aria condizionata.
Quando mi decido, lo faccio con un ‘vaffanculo’ in francese, ma poi mi rendo conto di non avere niente con me. Guardo fra le mani telefono e chiave magnetica, niente spiccioli, banconote o carte.
- Stupido idiota! - ringhio ancora in francese a denti stretti battendo il piede per terra.
Sto per girarmi e andare in camera mia alla ricerca di spiccioli, quando una mano si infila alle mie spalle ed infila una notevole quantità di monete nell’apposita fessura, facendomi saltare sul posto e venire un colpo.
Mi tendo come una corda di violino e mentre mormoro: - Chi diavolo... - tornando all’inglese, mi giro a guardare il proprietario della mano che la ritira per poi dire con voce bassa e roca: - Prego, serviti pure.
Prima di mettere a fuoco il viso di Max, sono già coperto di brividi dalla testa ai piedi per la sua voce e poi perché mi ha parlato all’orecchio rivelando che non solo mi era sopraggiunto alle spalle silenzioso e senza farsi sentire, ma mi è pure appiccicato. Ci separano pochi centimetri e vorrei sfilarmi, scappare, ma i miei piedi rimangono inchiodati dove sono e lui fa solo mezzo passo di lato indicandomi il distributore.
- Offro io. - aggiunge sorprendentemente gentile. Ha un mezzo sorriso che sembra più imbarazzato ed incerto, piuttosto che malizioso.
Altri brividi mi percorrono ancora. La sua voce qua nella penombra e nel silenzio mi fa un certo effetto strano, in un momento mi ricordo tutto quel che è successo quel giorno, quella notte.
Monte Carlo, un locale esclusivo, un bagno squallido, noi due abbracciati ma disfatti probabilmente come ora. Lui quella volta più di me.
Spalanco gli occhi ed arrossisco realizzando una cosa che mi fa voltare di nuovo di scatto verso il distributore e schiacciare a caso dei pulsanti. Non mi rendo conto che ho preso la cioccolata e la cazzo di birra fresca. Così poi aggiungo anche un’acqua.
- Sicuro che basti questo? - chiede poi vedendo che recupero le cose. Io annuisco senza dire nulla, ancora rigido nella mia shoccante realizzazione e nell’imbarazzante incontro.
Ultimamente ci becchiamo sempre quando uno dei due è fuori di sé, nella fattispecie questa volta sono io che ho appena scopato con qualcuno con cui non dovevo farlo; e non so se l’ho fatto per sfogarmi come aveva fatto Max la volta scorsa, oppure se lo volevo semplicemente fare o perché cazzo l’ho fatto. So però che non dovevo, questa è la sola cosa chiara.
Stasera è lui quello che potrebbe farmi la predica.
Come gira il karma.
Specie perché prima ho pensato a lui, appena ho finito di scopare Pierre. Ecco la cosa veramente sconvolgente.”
/Max/
“Lui ed il suo francese!
Quando sono uscito dalla camera per andare a prendermi qualcosa ai distributori durante la mia sessione notturna di corse solita, non avrei di certo immaginato che sarei finito per imbattermi proprio in lui.
- Pensavo giusto a te. - dico sinceramente guardandolo sedersi in una delle due poltroncine in quest’area relax. È particolarmente rigido.
Apre la cioccolata e mi fa un cenno imbarazzato per ringraziarmi.
Ignora il fatto che pensavo a lui? Non mi chiede perché?
L’ultima volta che siamo stati soli ho approfittato dei miei gin tonic e l’ho abbracciato e lui ha finto di essere alticcio. Non ne parleremo mai, suppongo. Non è difficile capirlo visto che da allora è la prima volta che ci becchiamo ed è puro culo.
Vedo che si divora la cioccolata come se non mangiasse da un secolo, così alzo un sopracciglio scettico. Non lo facevo così vorace.
- Ma hai cenato? - la domanda mi sfiora il cervello e la tiro fuori subito.
Alza le spalle e scuote la testa aprendo poi la bottiglietta d’acqua e mi aggrotto senza tenermi per me nemmeno quest’altra domanda.
- Non bevi la birra?
Lui scuote la testa e si fa fuori mezza bottiglietta tutta in un fiato rivelandosi assetato.
La guarda sul tavolino che ci separa come se fosse un mostro. È una piccola lattina di birra fresca di marca Stella Artois, che c’è di male?
- Per una birra cosa vuoi che sia? - dico poi facendo quello che mi viene meglio: l’incosciente!
Charles non osa guardare né me né la birra, fissa altrove.
- Non dovevo mangiare nemmeno la cioccolata...
- E allora perché l’hai presa?
Charles alza le spalle.
- Non so, mi hai colto di sorpresa ed ho preso quello di cui avevo gola senza pensarci, ma non posso...
Faccio mezzo sorriso e prendo la birra al suo posto aprendogliela. Il rumore lo fa girare e quando vede che la sorseggio, noto con la coda dell’occhio che mi fissa le labbra mentre si posano sull’alluminio pieno di condensa.
- Mmm... è fresca! - esclamo fingendo di dissetarmi più di quel che non fa in realtà.
Questo qua è un idiota, avrà passato la serata peggiore della sua vita a consolare Pierre e non si concede una cazzo di stupida birra?
Ma so io come fare con lui.
Charles continua a fissarmi sorpreso e forse ancora perso nel mondo da cui l’ho tirato via poco fa, così sto per riprendere a bere, ma me la strappa di mano con foga ed arroganza che solo io so lui possiede. Tuttavia invece di berla, si limita ad appoggiarsela alle labbra; posa le sue là dove ho messo le mie, vicine all’apertura, ma non beve. Rimane lì così, apparentemente in lotta con sé stesso sul bere o meno.
Lo guardo ridacchiando con un ghigno malizioso.
Se vuoi un bacio basta chiedere.
Te lo do subito.
Ma poi con lui non è mai come sembra, puoi avere le tue intuizioni e le tue idee su di lui, ma al 90 percento sbagli e rischi di interpretare male.
O forse, più semplicemente, con lui tendo a vedere ciò che vorrei.
Vorrei piacergli, ma alla fine non penso proprio che sia così. O forse gli piaccio, ma non più di quanto mi detesti.
Alla fine non beve, se la appoggia alla fronte e poi alla guancia come a cercare freschezza. Solo ora lo guardo meglio.
È fisicamente scomposto.
È tutto spettinato, sembra scappato dal letto dopo che ci ha lottato. Anche i vestiti che indossa sembrano improvvisati ed hanno un profumo che non gli si addice, anche prima quando mi sono avvicinato alle sue spalle l’ho sentito. Non era proprio lui a profumare, ma la sua maglietta.
Dolce. Dolcissimo. Un profumo che non gli avevo mai sentito addosso.
Poi l’illuminazione. Se era a consolare Pierre, cosa sicura al cento percento, vuoi che abbiano scopato?
Lo vedi che alla fine stanno insieme? Lo sapevo! Ma perché negarlo? Di cosa si deve vergognare? Pur lui sa di me e Daniel.
Beh, anche se ormai non c’è più niente da sapere di me e Daniel.
- Tutto bene? - alla fine glielo chiedo, era inevitabile e forse doveroso. Anche se so che non è tutto bene.
- No. - questa sua risposta schietta mi ricorda quel giorno in ascensore, a Silverstone, proprio dopo che mi ero lasciato con Daniel.
Il desiderio che mi abbracciasse.
- Ho bisogno di respirare. C’è un terrazzo da qualche parte su questo piano? - chiede sull’esaurito andante. Sembra un’anima in pena e non sapendo un cazzo di lui e di quel che combina, non posso aiutarlo, ma mi alzo indicando la porta in fondo al corridoio.
- Ce n’è sempre uno, per i fumatori.
Lui senza rifletterci un secondo si alza con me e ci si fionda stringendo la lattina di birra fresca, dimenticando la bottiglietta, il suo telefono e la chiave della camera. Prendo tutto io e scuoto la testa seguendolo.
È totalmente fuori di sé anche se apparentemente non lo dimostra. Solo se lo conosci bene, lo sai.
Ma non è difficile immaginare cos’abbia. Alla fin fine ha subito l’ennesimo lutto, so che era amico di Hubert, per questo ho pensato tanto a lui. Com’è possibile che certe persone debbano subire tante perdite? Ci si abitua al dolore, ad un certo punto?
A guardarlo ora non riesco a capirlo, sinceramente.
Sembra perso.
Appena fuori l’aria fresca della notte ci schiaffeggia, siamo al 31 agosto in Belgio, fa caldo come in qualsiasi posto e di notte rinfresca anche se non poi così tanto.
Rabbrividisco istintivamente, ma lui invece va dritto verso la ringhiera.
Il terrazzo è abbastanza grande anche se non enorme, con comode sedie in plastica ed un po’ di imbottitura nella seduta, tavolini in stile, alcune piante a rendere l’allestimento più grazioso. Charles ignora tutto, appoggia la birra su uno dei tavolini e va dritto alla ringhiera che si affaccia alla città notturna, che di sabato è un po’ più sveglia del solito.
Prendi una qualunque città ed esci di notte su un qualunque balcone, te ne innamorerai puntualmente. Non sono un tipo romantico che apprezza la bellezza della natura, ma penso che in certi casi non puoi guardare e non trattenere il fiato un istante pensando ‘wow’.
Lo faccio anche ora dopo aver posato le sue cose e le mie insieme alla birra, poi raggiungo Charles e lo guardo.
Wow.
Anche lui è bello da togliere il fiato e il modo in cui fissa il mondo, senza vederlo, come se cercasse disperatamente di... non so, cosa? Cosa cerca con tanta disperazione e turbamento?
Qua fuori vediamo poco, ci sono solo delle piccole luci basse al Led poste nel pavimento in prossimità delle piante, fra un gruppo di sedie ed un altro.
È molto suggestivo, ma non dà fastidio e ti permette di vedere senza rimanere accecato.
Ora posso ammirare.
Il mio sguardo non si stacca da Charles, sfacciato come solo io so essere.
- Meglio? - chiedo riferendomi al suo bisogno di respirare.
Lui scuote la testa e sospira alzando gli occhi al cielo, li chiude e poi scuote di nuovo la testa incurvandosi fino ad appoggiare il viso fra le braccia che incrocia sulla ringhiera.
Io volevo essere abbracciato, era questo di cui avevo bisogno, ma siamo diversi, siamo molto diversi. Lui sembra incapace di provare emozioni o forse solo di dimostrarle. È come se potesse essere solo triste, anche quando ride e sembra divertirsi è triste.
Adesso non si cancellerà più quella malinconia, mentre ci penso un moto di ribellione e dispiacere mi invade e vorrei fare qualcosa.
Anzi, io DEVO fare qualcosa.
- Conoscevi bene Hubert? - ricordo che nei go-kart giravano insieme, erano amici. Dopo ci siamo persi di vista e non so molto, ma mi sembra fossero in rapporti.
Lui annuisce, poi scuote la testa e fa un cenno strano, infine sospirando si raddrizza girandosi verso il terrazzo, adocchia il tavolino dove ho messo le nostre cose ed è come se se ne ricordasse ora.
Va al tavolino e si siede ad una delle due sedie, così io lo seguo e mi metto lì.
La birra dimenticata che nessuno dei due finirà. Lui riprende la bottiglietta e beve per poi porgermene un po’.
Non ho sete, per la verità, ma la prendo e bevo dove ha messo lui le labbra, come ha fatto prima con la lattina. Mi guarda quando lo faccio, mi fissa intensamente, poi una volta che è finita la schiaccio e la chiudo e lui si distrae distogliendo lo sguardo.
- Abbastanza bene, eravamo amici anche se lo era più di Pierre. Ma siamo cresciuti insieme nelle stesse piste. Pierre è stato suo compagno di camera per un po’.
- Sta male? - chiedo consapevole della persona sensibile che è.
Charles annuisce, torniamo a guardarci e tutte le volte che lo facciamo, rabbrividisco.
- È uno straccio. Ho passato la serata a consolarlo. - i suoi occhi hanno un guizzo mentre li distoglie di nuovo dai miei, mentre cerca di nascondermi qualcosa.
Sicuro hanno trombato. Il bruciore e la gelosia subentrano impetuosi e fuori controllo, ma sono fuori luogo e li soffoco con forza.
- Mi dispiace. - mormoro a stento. - Sia per Hubert che per Pierre. E per te.
Per te mi dispiace che subisci l’ennesimo lutto. Mi dispiace che rimarrai triste ancora e ancora e ancora.
Ricordo che una volta sorridevi sul serio. Tornerai mai a farlo?
- Io non sto male, sai? Non come lui. - lo guardo di nuovo per capire se sia serio; ovviamente lo è e mi guarda come sfidandolo a dissentire, ma non oso. Se dice che è così, è così.
Vedendo che non parlo, prosegue quasi con durezza verso sé stesso.
- È questo che mi sbatte così fuori. Sto male, naturalmente, ma non come penso dovrei. È come se... - Charles cerca le parole giuste e si sospende guardando in alto, verso il cielo notturno. Si vedranno le stelle? Non ho alzato gli occhi nemmeno un istante, è che non voglio perdermi un secondo di lui.
Vorrei che questa notte durasse per sempre.
- È come se mi fossi abituato al dolore. Ed ora non ho più picchi acuti che mi fanno piangere e perdere la testa e stare male come uno straccio. Riesco a sopportarlo perché l’ho già passato troppe volte.
Mio Dio, nessuno dovrebbe passare una cosa simile, ma era come se sentissi che era così.
Avrà sicuramente scopato con Pierre per sentire qualcosa ed adesso è confuso più che mai.
Non sarebbe qua fuori se stesse veramente con lui, questa verità mi schiaffeggia come una rivelazione dall’alto e con la stessa portata mi sento meglio. La gelosia si fa più sopportabile. Gelosia di cosa?
Non fare l’idiota. Non hai lasciato Daniel per lui, anche se è stato colui che mi ha dato la spinta per farlo. Volevo essere libero di morirgli dietro ed eventualmente baciarlo se ne avessi avuto voglia. E ce l’ho avuta. Anche ora ce l’ho. Ma non posso.
- Non sei un mostro Charles. - sussurro a fior di labbra come se sapessi cosa prova. Non posso saperlo, siamo diversi, ma è come se in qualche modo fossimo uguali. Qualcosa di noi è affine.
Io sono un diavolo alla vista, lui lo è dentro la superficie. Eppure, nessuno di noi due lo è realmente.
Dopotutto qualcosa di uguale in effetti c’è.
Charles mi guarda di scatto sorpreso, come se l’avessi appena scottato.
- È solo che il dolore ha creato questa corazza dura che filtra tutto.
Vorrei non saperlo, ma purtroppo è così perché ci sono passato.
Charles mi fissa shoccato, gli occhi spalancati fissi sui miei, immobile nella sedia, la schiena appoggiata, i gomiti sui braccioli, io in una posa simile.
Ci congeliamo per un po’, poi lui con un filo di voce parla.
- Come fai a saperlo?
Io mi stringo nelle spalle con aria di scusa, quasi vergognandomene.
- Lo provo anche io. Non è come il tuo, il mio è diverso, ma alla fine è la stessa cosa.
Il cuore mi batte forte. Forte come non mai. Non perché sto avendo una strana conversazione intima con lui, ma per quel che sto dicendo ad alta voce per la prima volta. Perché lo sto facendo?
Non l’ho mai detto nemmeno a me stesso.
Lo voglio forse colpire, impressionare?
O forse voglio che sappia che lo capisco, che so?
- Che dolore è il tuo?
Per la prima volta gli interesso e penso che sia questo, forse, che volevo.
Provo mille cose contrastanti. Mille cose che non voglio dimenticare.
Non voglio parlarne davvero, non l’ho mai voluto, ma stasera con lui sì.
- Quando ti fanno così tanto male che ad un certo punto non lo senti più. Ma non è vero. Lo senti, solo che ci sei abituato. Ti abitui al dolore, hai ragione. Qualsiasi tipo. E quell’abitudine diventa una corazza che non ti fa più sentire il nuovo dolore.
Per un momento i suoi occhi hanno una rivelazione, sa precisamente che parlo di dolore effettivo e non emotivo come il suo. Sta per dirlo. Sta per chiedere ‘tuo padre?’ Ma poi non lo fa. Non serve.
Il sollievo che provo è evidente, penso di non nasconderlo. Faccio un altro sorriso di scuse, di vergogna. Non voglio essere così, non mi piace essere così.
Così come?
Debole? Umano? Capace di provare qualcosa?
- Non siamo mostri senza cuore, Charles. - ripeto poi. Lui stringe le labbra indecifrabile, incerto su cosa provare, ma forse un po’ grato per quel che gli ho detto. - Siamo solo persone che hanno già dovuto subire troppo, ma siamo ancora in grado di amare e volere bene.
Anche se poi roviniamo tutto in modi che nemmeno ce ne rendiamo conto e facciamo male agli altri senza volerlo.
Però siamo in grado di volere bene.
- Siamo in grado di amare. - ripete a fior di labbra, quasi come parlasse a sé stesso. Abbassa gli occhi ma io rimango ad osservare il suo splendido viso.
- Lo siamo davvero? - si chiede.
A questa domanda fatta a sé stesso, mi congelo.
- Direi di sì...
Forse non so cosa provo per te, ma sicuramente è qualcosa.
- Ho lasciato la mia ragazza quasi senza battere ciglio. - fa poi sorprendendomi.
- Ami Pierre. - per me il fatto che abbia lascito la sua ragazza è ininfluente, era ovvio. Non c’entra niente con lui. Ma ne sono contento, solo che non è il caso di mostrarlo. Lui alza gli occhi e torna di nuovo a guardarmi.
- Non lo so, gli voglio bene. - sussurra come se si confessasse con un prete. Io alzo le spalle senza chiedergli quel che vorrei.
State insieme, cazzo? E avete scopato stasera? No, non sono cazzi miei.
- A Jules volevi bene, a tuo padre di sicuro sì. - lui annuisce con forza e subito. - Li ami, sono nel tuo cuore. - annuisce ancora con gli occhi lucidi. Occhi che sembrano avere una sorta di rivelazione.
- E allora sei in grado di amare. - sbotto concludendo secco senza ammettere repliche, nervoso sul fatto che possa avere questi dubbi.
- Grazie. - fa quindi dopo un po’ fissandosi le mani. Poi lo ripete alzando gli occhi sui miei. Non mi crede, ma vuole farlo. - Grazie davvero.
È sorpreso, lo sento, e mi fa sorridere perché so il motivo. Non pensava che io potessi essere così sensibile e profondo, eh?
Ma guarda un po’ invece che sorpresa, eh?
Faccio un sorriso spontaneo e ricambia senza rifletterci e c’è di nuovo uno di quei momenti fra noi. Uno di quelli in cui potremmo fare qualcosa che in condizioni normali non faremmo. Come quella notte a Singapore, oppure a Monte Carlo.
Starei qua con lui tutta la notte a parlare per la prima volta seriamente, ma purtroppo il vento si mette in mezzo alzandosi e il fresco diventa eccessivo. Rabbrividiamo entrambi stringendoci nelle braccia e sospirando a malincuore, parliamo insieme.
- Mi sa che è ora di andare a dormire. - ridiamo imbarazzati per aver detto la stessa frase insieme, anche se lui come sempre ha parlato con la sua deliziosa erre francese che mi fa impazzire.
Prima di andarcene prendo la bottiglietta schiacciata e la lattina con la birra rimasta, mentre lui recupera la sua chiave ed il suo telefono. Svuoto la birra in una pianta, lui scuote la testa ridacchiando. Io faccio una stupida battuta.
- Le piante sono maggiorenni, possono bere ogni tanto anche loro...
- Per fortuna non devono guidare domani! - commenta lui abbassandosi sul mio stesso piano. Lo guardo sorpreso che se la sia sentita di sparare stronzate, per me è normale, per lui non era scontato. Ridiamo insieme mentre torniamo dentro e quando raggiungo la mia camera, lo saluto dandogli la buonanotte.
Charles si ferma prima di andare oltre, indeciso su come congedarsi. Ci guardiamo, io sulla soglia della mia camera aperta. Ricordiamo Singapore. Potrei farmi da parte e fargli il cenno di entrare, ma in qualche modo penso che rovinerei tutto quello che è successo fra noi. Qualunque cosa fosse, so che era molto più importante e molto bello.
Bello ed intimo.
Perciò non ci provo, anche se una parte di me scalpita per invitarlo e lui se l’aspetta, ma pensa la stessa cosa, ne sono certo. Così niente. Lasciamo che le cose vadano da sole.
- A domani. - sussurro. Lui annuisce.
- Grazie ancora.
Poi allunga la mano guardando la lattina.
- La butto io? - era sua in teoria anche se gliel’ho tenuta io come se fossi il suo ragazzo. Scuoto il capo ed alzo le spalle. Lui fa un altro cenno e tira dritto, io entro in camera mia e chiudo la porta. Accendo la luce, mi tolgo le ciabatte con cui ero rimasto, appoggio la lattina vuota nel comodino insieme al mio telefono, poi vado in bagno e butto la bottiglietta vuota schiacciata, faccio i miei bisogni e mi metto sul letto guardando la lattina bianca con la scritta rossa di ‘Stella Artois’ e sorrido stupidamente contento.
Questa lattina non la butterò mai.”
Note: scusate la lunga attesa, ma ero in vacanza ed ho staccato più di quel che immaginavo. Comunque ora sono tornata ed il ritmo di pubblicazione dovrebbe essere il solito. Adesso ogni capitolo è interessante per i lestappen, sebbene ci sia anche la parte piarles perché se c'era la maxiel, doveva per forza esserci anche la piarles. Però i progressi fra Charles e Max ci sono, anche se complice un lutto che non avremmo mai voluto vivere. Posso solo immaginare cosa significhi per lui, chiaramente non ho la pretesa di sapere nulla, ma per le parti di Charles mi sono rifatta anche alle sue interviste dove parla di questa sorta di 'abitudine al dolore' che mi ha colpito molto. Alla prossima. Baci Akane