30. FILTRO DEL DOLORE

sorriso

/Charles/

“Mi ha gettato nel panico più completo. 
La sua mano è spuntata accanto alla mia testa, ha messo le monetine e l’ho subito percepito; i brividi mi hanno ricoperto dalla testa ai piedi appena ho capito che era lui e che mi stava dietro a così pochi centimetri. 
Il mio cervello si è spento precisamente in quel momento, quando ha parlato con la sua voce dannatamente erotica. 
Non so cosa ho preso, né perché. C’era solo il panico, non riuscivo più a controllarmi. Lo guardavo lì con me e nella testa rimbombava solo il ricordo di quando pochi minuti prima avevo pensato a lui dopo l’orgasmo con Pierre. 
Ho fatto sesso con lui, era il mio primo sesso con un altro ragazzo ed è stato illuminante sotto mille punti di vista. 
Mi ha aperto gli occhi sulle mie tendenze e le mie preferenze sessuali, ma anche su Pierre stesso. È un bel ragazzo di cui mi fido, in assoluto quello con cui sto meglio più di ogni altro, ma non c’è quel genere di rapporto, né voglio che diventi così. 
Peccato averlo capito tardi, quando ormai avevamo fatto sesso. 
In aggiunta a quella scoperta, un’altra mi ha abbagliato. 
Pierre non era Max. 
Dopo di questo me lo ritrovo alle spalle ad offrirmi qualcosa alle macchinette e stento a capire che diavolo ci faccio con la cioccolata e la lattina di birra in mano. Stavo soffocando, forse stavo per avere un ictus, faticavo a ricompormi e lui cosa fa? Apre la birra e beve. Non ce la facevo a staccare gli occhi dalla sua bocca su quella lattina. Non ho domato l’impulso, ho dovuto per forza prenderla e metterci la mia sopra, ma non era per il dilemma ‘bere o non bere’, come forse da fuori è sembrato. 
Il dilemma era ben altro. 
‘O faccio così, o la mia bocca la metto sulla sua’.
Non so perché avevo così forte l’impulso, la voglia e il dannato bisogno di baciarlo, ma è stato così. Ho capito come si è sentito Max in quel locale, quando mi ha abbracciato con la scusa dei gin tonic. 
Ne aveva bisogno. 
Il dialogo che abbiamo avuto in terrazzo è stato assurdo e meraviglioso insieme. 
Mi ha capito. 
Lui sa cosa provo perché lo prova anche lui e già sa di cosa si tratta, perché ci convive da più tempo ed è più lucido in questo. Sa cos’è.
Come l’ha chiamato? 
Filtro del dolore? Sì, credo sia una cosa simile. Il dolore che proviamo è così tanto e ripetuto che ad un certo punto crea una barriera che filtra tutto quello successivo e ci impedisce di rimanerne schiacciati e starci male. È spirito di sopravvivenza. 
Anche lui ne ha passate, so benissimo che è suo padre che gli faceva chissà cosa; adesso, da quel che mi ha detto Pierre, lo maltratta ancora psicologicamente. 
Però il fatto che Max sta facendo la sua vita lo dovrebbe aiutare. Non sono riuscito ad approfondire questo discorso anche se volevo, ma non ne ero in grado. Non ero lucido e presente, nella mia testa avevo Anthoine e la mia strana reazione senza lacrime, il mio rimanere in piedi e fare ciò che va fatto, ciò che è meglio, ciò che è giusto. Ma era giusto farmi Pierre?
Beh, lui ha sopportato di tutto con me sia quella volta di Jules che poi con mio padre. Non glielo dovevo?
Guardo Pierre mentre dorme con un solco sul viso e le lacrime agli angoli degli occhi. Piangeva nel sonno, di nuovo. 
Mi stendo con lui e appena mi sente, mi si accoccola contro senza svegliarsi. Quando i nostri corpi vengono a contatto, sospira e il volto si distende. 
Ha bisogno di me. Ha ancora bisogno di me. Non importa se non è giusto e se non avrei dovuto. Ha bisogno di me e visto che lui c’è sempre stato per me quando avevo bisogno, ora ci sarò io per lui. 
Anche se forse dovrei essere devastato e piangere disperato il mio dolore. 
Un altro lutto. Un altro mio caro amico se ne è andato. Lo conoscevo bene, abbiamo corso insieme nei go-kart, ci sentivamo tutte le volte che ci incontravamo nei circuiti nella categorie successive. 
‘Non sei un mostro’. La voce di Max rimbomba nella mia mente dandomi sollievo proprio come ha fatto prima. 
È vero, non sono un mostro. Abbiamo solo dovuto abituarci troppo presto al dolore. 
Quando ci siamo salutati sulla soglia della sua camera, è stato inevitabile pensare a Singapore, quella sera aveva tentato di baciarmi, chi lo sa perché. 
Ho pensato in un flash velocissimo a quella volta e che se l’avesse rifatto ora non mi sarei spostato, ma non l’ha fatto e capisco perché. Gli ho letto in faccia che lo voleva e ci pensava, ma è stata una bella serata e un tentativo di bacio avrebbe rovinato tutto, in qualche modo. 
Non so nemmeno cosa provavo. Era tutto strano, sentivo questa necessità di urlare, ma non ci riuscivo e poi lui ha risposto alla mia domanda, anche se non gliel’ho fatta, ed ho capito che era quello il motivo per cui mi sentivo così. 
Era proprio quello. 
Essere capito in quel modo così profondo e completo da uno che fino a poco tempo fa detestavo e disprezzavo, è stato come ricevere uno schiaffo in piena faccia. Ha avuto la stessa portata, per me, questa serata. 
Fra Pierre e Max mi sento sfinito e finalmente il sonno inizia a prendermi. 
Si dice che chi disprezza compra, forse è così. Ho sempre combattuto Max perché sapevo che in realtà eravamo uguali in qualche modo, dentro di noi. Non all’apparenza, ma c’è un posto dentro che ci accomuna ed è quello di cui io ho più paura, perché lo disapprovo e mi rendo conto razionalmente che non è un bel lato di me. È qualcosa che in lui è più evidente, mentre in me è più nascosto. 
Questo egoismo, questo egocentrismo, l’accanimento per la vittoria, l’ossessione nello stare sopra tutto e tutti. La stronzaggine, forse. 
So che non sono dei bei modi di essere, però sono così anche io e forse anche peggio. Lui riesce a dimostrare i suoi sentimenti e le sue emozioni, si è addirittura messo con Daniel. Lui sente molto più di me e non nasconde nulla. Io invece non provo, sono freddo ed insensibile. 
Non posso stare con nessuno, lo farei solo soffrire. Posso agognare ad un paio di scopate senza impegno, ma se Pierre dovesse innamorarsi di me e chiedermi di metterci insieme, non potrei accontentarlo perché so che finirei per farlo soffrire nel non potergli dare ciò che vuole. 
Non sono un mostro, dice Max, ma qualcosa che non va in me c’è. 
Pierre si stringe di più a me passandomi il braccio intorno al torace, mi si aggrappa come se non ci fosse altro oltre questo letto, come se cadendo giù finisse inghiottito da una voragine. 
Lo circondo stringendomelo contro, ma non provo nulla. 
Forse se al posto di Pierre ci fosse Max sarebbe diverso, forse proverei qualcosa. 
Forse vorrei salirgli sopra e rifare tutto quel che ho fatto prima con Pierre. Esattamente quello. Ma magari me lo godrei meglio, andrei più piano per ricordarlo di più, per prolungare il piacere. 
Mentre penso a queste cose nel dormiveglia che mi culla, sento il calore e l’eccitazione salire ed impreco. Sognerò di nuovo di farmi Max, ci scommetto. 

Gli occhi di Pierre sono piccoli e gonfi, segno che ha dormito male e che ha pianto ancora mentre dormiva, nonostante poi me lo sia tenuto addosso tutta la notte. 
Sorrido malinconico e dispiaciuto ed invece di fargli il discorsetto sul ‘non succederà più, scusami, eravamo fuori di noi’, gli carezzo i capelli arruffati come quelli di un porcospino e scendo sul viso. 
Non dovrei, non dovrei proprio ma è così devastato, ancora. Sta così male. 
Pierre si allunga verso di me sollevandosi col capo e parte del busto, punta il gomito e mi viene incontro. Potrei ritirarmi e dirgli ‘no’, ma invece mi abbasso e lo bacio a mia volta venendogli incontro. 
Appena le mie labbra si posano sulle sue, lo sento di nuovo rilassarsi e sospirare, come se avesse avuto paura che quello successo ieri fosse un sogno, come se avesse bisogno che invece fosse vero. Un bisogno disperato. 
E come sempre, lo capisco meglio di chiunque altro, meglio di lui stesso. 
Ha bisogno di questo, ora. Perché lui è Pierre, è così sensibile ed emotivo, è anima e cuore, non poteva che vivere così questo lutto terribile. 
Vedendo come lo vive lui, mi rendo sempre più conto che il confortevole ‘non sei un mostro, Charles’ di Max di ieri è solo una coperta di piume che vola via alla prima folata di vento.
È tutta una menzogna. Sono un mostro eccome, ma non ci posso fare niente. Il filtro del dolore è sempre lì fra me e gli altri, mi farà sopravvivere un giorno in più. 
- Grazie. - mormora Pierre tornando a lasciarsi cadere sul cuscino, io mi raddrizzo rimanendo con la mano sulla sua guancia, delicatamente, protettivo. 
- Per cosa? - chiedo non sapendo proprio che cazzo fare adesso. La testa mi dice cosa dovrei fare, ma mi ritrovo ad agire in tutt’altra maniera. 
- Per tutto. Per essere stato con me tutta la notte, per non avermi respinto, per avermi dato quello di cui avevo bisogno e per continuare a farlo. Grazie. Senza di te penso che non ce la farei mai. 
Non lo fa apposta, è spontaneo. È questo il punto. Non sa che più fa così, più mi impedisce di fare ciò che è giusto, ciò che dovrei. 
Perciò sorrido e scuoto la testa, ma so che la tristezza regna sovrana nei miei occhi e continuerà a rendermi grottesco il viso. 
Sto per alzarmi e andare in camera mia con la scusa di lavarmi e cambiarmi, ma lui mi tira la mano e mi trattiene, così mi giro e lo guardo. 
Lui è sempre lì steso lascivo nella sua delicata bellezza devastata dal dolore. 
- Promettimi che vincerai per Anthoine. - sussurra poi con una serietà angosciante. 
E qua, nonostante io sappia perfettamente che certe promesse non si fanno mai, annuisco e sono solenne e serio in questa risposta. 
- Lo farò. 
E lo penso davvero. 

Appena metto piede fuori dalla camera, un sospiro non di sollievo mi esce dal petto; chiudo gli occhi e appoggio la nuca alla porta dietro di me. È un sospiro di sconfitta.
- Sta così male? - la voce roca e bassa di Max mi fa saltare di sorpresa, mentre l’impennata mattutina non sfogata torna a fare capolino con prepotenza. Ho ancora i vestiti di Pierre, si vedrà bene come sono messo lì sotto. Evito di abbassare lo sguardo e lo poso su Max a qualche metro da me, appena uscito dalla sua camera suppongo per una colazione sorprendentemente di buon orario per i suoi canoni. Io mi sveglio sempre tardi e lo becco ogni volta giù al buffet della colazione, perciò se oggi a quest’ora è già in piedi, è strano. 
Stringo le labbra in un’espressione fin troppo ovvia ed annuisco per poi stringermi nelle spalle. Non volevo dargli conferma che avevo passato la notte con Pierre, non so perché, ma ormai è tardi. 
Che poi non è che questa mia reazione era per Pierre ed il suo stato, ma perché non riesco a frenare questa cosa che è partita fra noi. 
- Il peggio sarà questo weekend, poi penso andrà meglio. - dice lui con una delicatezza sorprendenti. 
Lo guardo meravigliato e carico di speranza. 
Vorrei che avesse ragione. Magari è così. Magari sarà tutto pesante e terribile solo questi due dannati giorni, poi dalla prossima settimana tutto si schiarirà, io riuscirò a fare la cosa giusta con Pierre e lui starà meglio e tutto sarà più sopportabile. 
Annuisco strofinandomi le labbra, forzandomi a non abbassare lo sguardo sul mio inguine gonfio, mi schiaccio contro la porta della camera di Pierre e resto qua, appoggiato alla sua mercede. 
Max mi passa davanti e rallenta guardandomi con cura, abbassa lo sguardo e mi squadra inevitabilmente perché devo avere un aspetto allucinato, stropicciato, con due occhiaie atroci e l’aria di chi non ha dormito molto. Sono esattamente com’ero stanotte.
- Lo so, sono uno schifo. - lo precedo prima che commenti qualcosa circa il mio rigonfiamento che ha sicuramente notato. Difficile il contrario. Pulsa tutto lì sotto, più che mai, sapendo che mi guarda. 
I suoi occhi blu tornano a posarsi sui miei che non so che aspetto abbiano, non controllo la mia espressione ma potrei scommettere che non ne ho una. O magari ce l’ho. Sempre la stessa. Triste. Stufo. Assente. 
- Non è esattamente il termine che avrei usato... - dice allusivo e con mezzo sorrisino che mi fa avvampare come un adolescente. 
Dannazione, Max! Ma ti sembra il momento? Come diavolo fai a dire certe cose ad uno che ha asciugato tutta la notte le lacrime ad un amico? 
Ma lui è così, è il suo fascino, suppongo. Ciò che mi piace realmente. 
Lui non filtra. Forse è così il suo filtro del dolore, il mio invece mi impedisce di ricambiare il sorrisino malizioso ed ammiccare anche se vorrei farlo. 
Gli piaccio, per caso? In qualche modo, voglio dire? Un modo che non riesco a comprendere bene? 
No perché quella volta ha tentato di baciarmi, ma non ho mai capito il motivo, però essendo lui così strano ci si può aspettare anche questo senza motivo. E poi quell’altra volta invece mi ha abbracciato, ma era fuori di sé per Daniel e non direi che fa testo. 
Ora che dovrei pensare? Allude a cosa? Che sarebbe, insomma? Un piccolo flirt? Beh, ha solo detto che non mi avrebbe definito schifo, se voglio testarlo ed assicurarmi circa le sue intenzioni dovrei chiedere ‘e quale avresti usato?’ Ma avendo alle mie spalle Pierre nudo che ho scopato ieri sera, direi che è indelicato farlo. 
Così dico solo: - Non ho dormito niente. - ignorando totalmente ciò che ha chiaramente inteso. 
È il modo in cui mi ha guardato ed in cui l’ha detto, che lo rende chiaro. Non ciò che ha detto. 
Solo se lo vedi e lo senti, lo capisci. 
Certe cose non lasciano dubbi. 
Però lui annuisce e torna normale, fa un cenno col mento e mi saluta andando verso l’ascensore. Intorno a noi altra gente va e viene dalle stanze interrompendo questo breve momento che c’era fra noi. Qualunque cosa fosse stato. 
In ogni caso fuori luogo. Molto fuori luogo. 
Quando lo vedo sparire nell’abitacolo in fondo al corridoio, mi rendo conto che ho lasciato Giulia per sentirmi libero di flirtare con chi cazzo voglio, ma ho appena fatto qualcosa con Pierre impegnandomi in qualche modo con lui e boicottandomi di nuovo. 
Beh, tecnicamente mi sono fatto Pierre, perciò è in linea con il mio desiderio di far quel diavolo che mi pareva senza dover pensare a fidanzate varie, però non so perché alla fine non mi sento soddisfatto e mi pare di aver di nuovo mancato la reale occasione che cercavo di costruirmi lasciando Giulia. 
Va bene, Charles. Vai a lavarti e a fare colazione, che è meglio. O finirai per svenire dalla fame, questa volta! Piantala di pensare a Max con ogni cazzo di scusa ed in ogni cazzo di momento sbagliato. 
Dico veramente, oggi hai una gara importante da vincere. Torna sulla Terra, lì dove c’è solo un modo per non sentire quel dannato dolore che cerca di far capolino nella tua vita per l’ennesima volta. 
Salire sulla macchina, abbassare la visiera e correre come un demonio. Correre più veloce di quel dolore che cerca di nuovo di prendermi.”

/Max/

“È come se avesse alzato una barriera nuova fra sé e gli altri, i suoi occhi non hanno più alcuna espressione. Lo guardo insieme a tutti per la commemorazione per Hubert con tutti i piloti e la sua famiglia prima della gara, è un momento maledettamente toccante ed anche io ho un pugno allo stomaco che mi impedisce di respirare. Lo conoscevo, non bene come loro e non posso dire che gli fossi amico, ma siamo della stessa generazione, come conosco Charles dai go-kart, conosco anche lui, solo che io praticamente non legavo con nessuno all'epoca, lui invece lo faceva con una facilità assurda. Adesso è quasi come se le cose si fossero invertite. Io mi sono aperto un sacco e socializzo molto, mentre lui è frenato, ma ricordo quanto era sempre circondato da amici e quanto rideva. 
Non è facile superare questo momento, c’è chi piange, Pierre è a pezzi ma cerca di farsi forza. 
Charles è una specie di statua. Non di ghiaccio, ma è più marmo. Lì duro in piedi in mezzo agli altri e nessuno sa cosa pensi. È più o meno facile capire chiunque qua, chi più chi meno, ma io che ho lo sguardo fisso su di lui non capisco cosa pensa, cosa prova, come sta. E mi importa un sacco, cazzo. 
O meglio, so come sta perché so che è amico di Anthoine e di conseguenza non può che stare male, ma a guardarlo da fuori è rigido e quasi impassibile, gli occhi fissi sulla madre di Anthoine, le labbra serrate strette. 
Tutti stanno cercando di tenere duro, ma lui è l’unico a riuscirci davvero e sapendo quanto era legato a lui, è incredibile. 
Come ci riesce? Eppure so che sta male. Lo so bene. 
Se non esprime nulla di ciò che prova, imploderà. 
So che si sente un mostro per come sta vivendo questo momento, ma sono sicurissimo che non è così come dice lui. Non è che sta riuscendo a fare tutto ciò che va fatto senza versare una lacrima rimanendo dritto in piedi perché è insensibile, un mostro che non prova più niente. Da fuori forse lo sembra e lui ci si sente, ma io so che non è così perché siamo dannatamente uguali in questo. Lo siamo nel modo di schiacciare ben in profondità i nostri fottuti dolori, i nostri buchi neri, i traumi del cazzo, la nostra fottuta merda. 
Non vogliamo che nessuno sappia, sono cazzi nostri. Però io ci riesco solo con quel che riguarda mio padre, mentre col resto non riesco a trattenere un cazzo. 
Non è che lui è il mostro, il mostro lo sta semplicemente trattenendo dentro di sé e lo fa con una forza impossibile. 
Per tutto il tempo della veglia non gli tolgo gli occhi di dosso, come se fosse lui il fratello di Anthoine. Poi va ad abbracciare la madre, fa un lieve sorriso quasi impercettibile, i suoi occhi si animano di qualcosa che è solo una pallida imitazione quasi grottesca di ciò che sa dovrebbe mostrare. Ci prova, ci riesce male. 
Da come lei lo abbraccia forte e gli prende dolcemente il viso fra le mani, si capisce che lo frequentava, che si conoscevano bene. 
Mi fa impressione, questa scena. Potrebbe essere il ringraziamento per una vittoria dedicata a suo figlio, ma la gara la devono ancora correre e Charles non ha mai vinto niente, per ora. 
Eppure c’è qualcosa di mistico, qua, oggi. 
È talmente palpabile che continuo a guardarlo inebetito mentre si allontana con Binotto che gli circonda le spalle con un braccio, stringe la mano sul suo collo, lo tira a sé per essere il sostegno che chiaramente deve per forza aver bisogno, ma Charles resta ancora rigido e cerca in realtà di ritirarsi. L’istinto è quello di mandarlo via, lo capisco immediatamente anche se in realtà non fa nulla, non alza un braccio e non volta il capo. 
La testa bassa, il cappellino rosso della Ferrari con la visiera che copre gran parte del suo viso, le labbra sempre più strette. Quanto vorrebbe gridare. 
Lo capisco bene, così bene. 
Improvvisamente mentre trattiene e resiste e sopporta, realizzo ciò di cui lui in questo momento ha veramente bisogno. 
Non un abbraccio, non tutti questi tocchi, queste attenzioni, queste frasi di conforto. 
Niente di tutto questo. 
Ha solo bisogno di essere lasciato in pace. Di isolarsi, chiudersi da solo in una stanza buia e vuota e gridare. 
Gridare come un matto. 
Lo guardo mentre continua a fare invece tutto ciò che va fatto.
Fa le condoglianze alla famiglia, accetta il sostegno del suo team che si prende cura di lui come fosse di cristallo, sostiene Pierre per l’ennesima volta come se fosse il solo ad aver subito un lutto terribile. 
Fa tutto ciò che serve e non ha una sola inclinazione diversa. 
È sempre una statua di marmo che si muove, parla a monosillabi e mi evita come la peste. Non so perché lo fa, ma realizzo che lo fa di proposito. Forse ha paura che gli legga dentro, in fondo ai suoi occhi opachi che tiene fissi dritti davanti a sé o giù a terra. 
Ha paura che io capisca cosa c’è lì dentro, perché sa che lo capisco, sa che io so, in qualche modo. Gli ho dimostrato che lo provo anche io, non per questa occasione specifica, ma ho anche io quel dannato filtro al dolore che ci protegge. Sono diversi, ma li abbiamo tutti e due. 
Non lo forzo, non violo la sua volontà di evitarmi. Lascio che faccia.
Tieni duro fino a che non salirai su quella macchina, allora abbasserai la visiera e ti metterai a correre e mentre lo farai potrai gridare, se lo vorrai, nessuno saprà, nessuno sentirà. Ma non ne avrai bisogno perché correrai così veloce che nessun dolore, nessun abbraccio, nessuna mano o sguardo di compatimento, nessuna frase di sostegno e di circostanza ti raggiungerà. 
Correrai così veloce che sarai la velocità stessa ed allora vedrai che finalmente starai meglio, perché lo so. Lo so che funziona così.
È andata in questo modo con me per tutti questi anni. È il solo modo in cui io sono sopravvissuto a quello che ho subito con mio padre. 
Perciò tieni duro solo fino a che i semafori si spegneranno e tutti andrà meglio, vedrai. 

Per tutta la gara non riesco a togliermelo dalla testa, sono nervoso e sporco, la mia guida soffre e non sono minimamente lucido, tanto che ad un certo punto devo ritirarmi durante la gara perché la macchina non funziona ed è come se dall’alto mi graziassero. Non credo in niente e nessuno, ma forse oggi qualcuno ci ha messo lo zampino. 
Era un cazzo di supplizio, non ce la facevo, non riusciva a stare lì.
Avevo lui in testa, la sua bocca stretta, gli occhi fissi davanti a sé. Lui, la statua più bella e triste che io abbia mai visto. 

Normalmente quando esco e non completo le gare per qualsivoglia motivo, sono incazzato e me ne vado presto, rispondo al volo ai giornalisti e mi dileguo perché non sopporto di stare lì a guardare le gare degli altri come i miei colleghi solitamente fanno, però oggi rimango fino alla fine insieme ai meccanici. Come se fossi interessato alla gara del mio compagno. Ma ovviamente non è così. Non mi fotte un cazzo di Alex anche se ci vado d’accordo e ci ho fatto subito amicizia. 
È del gruppo di Charles, gli inseparabili sono loro e George, si è unito Lando e capita spesso che io giri con loro, anche se non posso proprio definirmi del loro gruppo. 
Però non è per lui che sto con gli occhi fissi sullo schermo che trasmette la gara. 
È per Charles che sembra un diavolo. 
Lo conosco da molto, l’ho visto correre tantissime gare, ma sinceramente non ha mai corso così come oggi.
Oggi è impressionante, non sbaglia nulla. È un tutt’uno con la sua macchina. È qualcosa di assurdo, impossibile considerando quel che ha appena vissuto e come sta. 
È come sentirlo nelle mie orecchie, quel grido che aveva dentro. 
La sua gara, oggi, è quel grido. 
Seb lo aiuta molto rallentando Lewis che altrimenti li avrebbe presi, un ottimo sostegno, ma al di là della mano che gli dà lui in uno dei momenti più importanti della gara, devo dire che Charles oggi non ha pecche. 
Come diavolo fa? Come diavolo fa a correre così proprio oggi, con questo mostro dentro? 
È quasi come vederlo, quel mostro. Mi sembra di vedere come lo insegue. Lo rincorre dall’inizio senza riuscire a raggiungerlo. 
Charles oggi ha corso per scappare da quel mostro che è convinto di essere. E forse c’è, lì dentro, quel mostro di cui ha paura, ma non perché lo è lui stesso. Lo sta solo infettando. 
Gli auguro di liberarsene definitivamente, ma non so se correre in questo modo, dopotutto, basti. Perché sì, so bene che mentre lo fai funziona e stai meglio, ma so anche fin troppo bene che purtroppo quando ti fermi, quel dannato essere, quel demonio è lì che ti riprende ed è di nuovo a divorarti l’anima. 
Perciò spero che funzioni, ma so bene che non sarà così. 
È che non so cos’altro potrebbe fare, non l’ho mai capito per me stesso. Se ci fossi riuscito, l’aiuterei, ma non posso farlo perché non lo so. Non so come si batte quel maledetto mostro che c’è dentro di noi.

Quando vince nemmeno me ne stupisco e non applaudo, non sarebbe da me, ma faccio un sorrisino contento. Non c’era nessuno che oggi meritasse di più la vittoria. Cazzo, non è normale, quello. Ricordo perfettamente che aveva vinto anche le gare dell’incidente mortale di Bianchi e poi quella della settimana della morte di suo padre. 
C’è qualcosa di incredibile in lui, che è impossibile non notare e che non colpisca. È davvero diverso da chiunque altro. 
Quando scende dalla macchina ogni sguardo del pianeta è puntato su di lui, come se calamitasse a sé ogni cosa. Si mette in piedi sulla macchina e con ancora il casco su, si alza la visiera, chiude gli occhi e solleva il dito al cielo. 
È la prima cosa vagamente emotiva che mostra da tutto il weekend. 
Solo gli occhi chiusi e il dito verso il cielo, a dedicare la vittoria ad Anthoine.  

Continuo ad aggirarmi per la pista anche se non ho realmente motivo di rimanere, è come se cercassi qualcosa di specifico. O nel mio caso qualcuno. Se mi incrocerà devierà di nuovo lo sguardo per impedirmi di leggergli dentro o per chissà quale vergogna? 
Cercando esattamente questo, di vedere come reagisce se mi incontra ora dopo una gara del genere e lo sfogo con la corsa che sicuramente l’avrà aiutato, lo vedo che si abbraccia con Pierre e Charles è protettivo, ancora come se Pierre fosse di cristallo e sul punto di spezzarsi. 
- Grazie per aver mantenuto la promessa. - sussurra Pierre, non lo sento bene ma mi sembra dica una cosa simile. Non gli sono lontano, parlo con qualcun altro nei paraggi come se fosse importante farlo, ma non capisco realmente che stiamo dicendo. Sono su Charles e Pierre. 
Charles è uno che mantiene le promesse, quelle importanti, e non conta quanto siano imprese impossibili. Se c’è una promessa di mezzo, e non mi serve di sapere alcun dettaglio perché è ovvio, niente e nessuno gli impedirà di mantenerla. 
Mentre li vedo insieme, un’ondata bruciante mi invade. Solitamente mi assale quando faccio una gara di merda o quando sento o vedo mio padre, adesso ce l’ho dopo aver visto loro due insieme. 
È quasi odio, ma non per loro ovviamente. 
È per quel che vedo. Per il modo in cui Charles si prende cura di Pierre, come gli sorride carico di tristezza, sforzandosi di sfoderare una forza che non ha, ma che per lui vuole assolutamente avere. 
Non ne ha più, è sfinito, è prosciugato e vorrebbe solo piangere, ma non può perché è più importante sostenere Pierre. 
È davvero così importante, per lui? 
Mentre li guardo rimanendo a debita distanza, per non fargli capire che sono qua per lui e farmi notare casualmente, distinguo chiaramente questo sentimento che mi irrigidisce e mi divora le viscere. 
Gelosia. 
Pura, terribile, atroce gelosia. Di quelle che non ingoierò facilmente. Prima di fare una delle mie famose solite stronzate, mi giro, mi congedo dalla persona con cui parlavo e me ne vado.”


Note: ogni parte è dal pov dell'interessato che vede le cose a modo suo, come le percepisce, come le interpreta, ma non è detto che siano vere, così come a volte è incredibile che invece lo siano. Sono momenti delicati che ho inserito ispirandomi a fatti reali, si sa che Pierre prima della gara ha chiesto a Charles di vincere per Anthoine e che a fine gara, quando l'ha fatto, si sono abbracciati. La veglia pre gara è successa davvero, ho preso le foto dal web su quei momenti. Ho notato come Charles fosse rigido e chiuso e come Binotto lo forzasse a farsi consolare, così comunque è parso a me. Ho un immagine precisa del Charles di quel periodo, spero di essere riuscita a trasmetterla. Cercando di capire come hanno passato dall'odiarsi apertamente all'essere così uniti (che è comunque una cosa evidente ad un certo punto delle loro carriere), ho pensato che dovessero essersi accorti di quel qualcosa in comune che li faceva capire a vicenda. In altre parole penso che Max sia sempre stato il solo a capire perfettamente Charles e viceversa, ma chiarmente sono solo mie visioni. Buona lettura. Baci Akane*