31. MOSTRO
/Charles/
“Era tutto smerigliato, non vedevo un cazzo. Da quando ho messo piede nel circuito, stamattina, i miei occhi hanno smesso di funzionare ed il mio corpo ha smesso di rispondere ai miei comandi.
Era rigido, duro. Mi sentivo una statua che si muoveva per miracolo ed i miei occhi era come guardare da un vetro offuscato. Cercavo di fare fuoco e vedere, ma non ci riuscivo.
Non c’erano forme chiare, sapevo chi c’era intorno a me e cosa stavamo facendo, ma non vedevo nulla.
Il volto della madre di Anthoine è stata la cosa più distinta che ho visto, ma è stato solo un momento. Quando mi ha preso il viso fra le mani io sapevo che c’erano le sue sulle mie guance e che i suoi occhi erano colmi di lacrime, ma non sentivo nulla. Il tatto non rispondeva a ciò che il mio cervello mi suggeriva io dovevo sentire.
Calore, forse? Le dita sulla pelle? Lo strazio del dolore di una donna che ha perso un figlio di troppi pochi anni per poter essere accettabile?
Ma io ero lì in piedi davanti a lei a ricambiare l’abbraccio poderoso e a pensare che se fossi rimasto lì un secondo di più si sarebbe accorta che ero una statua, che non ero io realmente. Ero stato preso da qualcos’altro.
Quel mostro che Max mi aveva detto non ero. Ma sbagliava. Sbagliava eccome.
Percepivo la presenza di Max intorno a me, sapevo dov’era. Lo sapevo tutto il tempo, ma mi sforzavo di evitare il suo sguardo perché avrebbe capito che si sbagliava, ieri sera. Che in realtà io sono quel mostro.
Ci illudiamo di non esserlo per poter convivere con noi stessi, ma in realtà lo siamo e lui se mi avesse guardato se ne sarebbe accorto immediatamente.
La mano di Mattia passa intorno alle mie spalle, mi tira a sé poderoso stringendomi il collo. Cerca di fare il padre.
Penso immediatamente che se il mio fosse vivo farebbe così, ma non c’è e mi manca da morire perché se lo facesse, se fosse lui ora a stringermi a sé così, mi farebbe stare bene, piangerei e saprei di essere umano e non un mostro.
Mio padre era la mia umanità, morendo si è portato via questo e sono rimasto un guscio vuoto dalla bella forma, ma comunque mostruoso.
Non mi appoggio a Mattia e non faccio alcun cenno per accettare la sua presa ed il suo sostegno. Non abbracciarmi, non toccarmi, non sostenermi, non sei mio padre.
Nessuno è mio padre e lui era il solo a potermi toccare, abbracciare, sostenere.
Lui sapeva sempre cosa dirmi, come parlarmi, come gestirmi.
Nessuno lo sa fare, nessuno è lui.
Non toccatemi.
Fisso per terra ringraziando il cappellino con la visiera che mi copre il viso.
Non posso far vedere quanto sono infastidito da tutto, quanto vorrei solo scappare da qua.
Macchina, dov’è la mia macchina? Se salirò lì potrò scappare.
Finalmente Mattia si allontana, non so nemmeno in che parte del circuito siamo e a fare cosa, ma percepisco un’altra presenza. Mi tendo, per un momento temo che sia qualcun altro che mi vuole abbracciare e sostenere o peggio che sia Max arrivato a dirmi ‘sai, mi sbagliavo ieri sera, in realtà sei quel mostro’.
Però non mi tocca e non mi abbraccia e mi stupisce che succeda. Com’è possibile che qualcuno che mi avvicina non senta il dovere o il bisogno di toccarmi e consolarmi?
Perché è di dominio così dannatamente pubblico che ho avuto dei lutti troppo pesanti per non essere un peso nel mio cuore.
Quando alzo il capo, vedo che è Seb e che sta facendo come da barriera fra me e gli altri, non è rivolto verso di me, ma vedo la sua schiena non più grande della mia. Seb non è molto alto, rispetto a me è anche più basso, ma in questo momento è come se fosse un gigante e mentre realizzo che siamo ai limiti della pit lane in attesa di capire come si procederà ora dopo gli omaggi ad Anthoine, ovvero se faremo la parata o cosa, mi sembra sia il mio custode.
Il sollievo mi coglie, è attualmente uno dei pochi ad aver capito come fare con me, che non cerca di consolarmi in alcun modo e che non mi dice proprio nulla, ma che anzi cerca di non far arrivare nessun altro a me.
Quando si avvicina Pierre si ferma un momento guardando Seb, lui si volta verso di me per capire cosa io voglia e annuisco. Non ci siamo parlati e non era tenuto a farlo, ma mi sono appena sentito capito ed in qualche modo incredibile non mi ha dato fastidio.
Seb in pochi mesi insieme pare aver capito benissimo come fare con me. Non mi forza a qualcosa che ha compreso non essere di mio gradimento. I contatti, i consigli, gli abbracci.
Io annuisco ringraziandolo e quando poi arriva anche Esteban faccio un altro cenno d’assenso.
Mentre siamo qua insieme, chiacchieriamo di Anthoine. Lo conoscevamo entrambi molto bene, eravamo tutti e tre suoi amici. Seb lentamente scivola via e lo vedo con la coda dell’occhio raggiungere Lewis che aspettava, i due si allontanano insieme per questo breve momento che resta fra noi piloti. Di solito a questo punto c’è la parata, ma sembra non si farà, perciò stiamo un po’ qua, ci sono ancora una moltitudine di persone che fa le condoglianze alla famiglia di Anthoine e suppongo aspettino che tutti finiscano, ma la sensazione è che non finirà mai.
Pierre è ancora distrutto ma sembra stare meglio rispetto a ieri e stanotte.
Prima di congedarci lui mi guarda senza toccarmi, è serio e solenne, i suoi occhi scoperti brevemente dagli occhiali scuri che ha tenuto tutto il tempo, rivelano un rossore carico di lacrime versate inevitabilmente nella veglia di poco fa.
- Vinci per Anthoine. - ripete come mi ha già detto stamattina.
Io annuisco e poi il richiamo ai nostri posti ci fa capire che non ci sarà la parata, così vado verso il mio box come tutti gli altri.
La macchina. Mi serve quella macchina. Devo salirci e correre. Devo farlo. O non sopravviverò.
Il mostro è appena schizzato fuori da me. Allo scatto della partenza l’ho sentito strattonarmi come se cercasse di bloccarmi, ma io sono andato lo stesso e lui è rimasto indietro.
Da quel momento, per tutta la gara, è stato solo questo per me.
Correre, scappare da lui per impedirgli di raggiungermi e rientrarmi dentro.
Mentre corro non penso a niente, il mondo sfuma in una macchia indistinta, non ho nemmeno rivali intorno a me. So che ci sono ma non li percepisco nemmeno, faccio la mia gara, eseguo gli ordini di scuderia e corro ad istinto, totalmente ad istinto. Non penso, non rifletto, corro e basta con il solo pensiero fisso di non essere raggiunto, ma non da Seb, Lewis o Bottas.
Non so cosa succede intorno a me, però so che nessuno mi prende.
Niente mi prende.
Solo quando passo il traguardo da primo realizzando che è finalmente la mia prima vittoria, sento come se il peso di cui mi ero liberato, da cui scappavo, tornasse a prendermi impetuoso.
Giusto il tempo della corsa perché sono andato più veloce di quel peso, di quel mostro che però mi raggiunge di nuovo, ma appena lo fa è come se con esso tornasse un briciolo di umanità.
Gli occhi mi bruciano.
Ho vinto la mia prima gara il giorno dopo la morte di Anthoine. Quanto sono grottesco?
Ma forse era giusto così, no?
È andata esattamente in questo modo con Jules e mio padre e forse alla fine aveva ragione Max, no?
Sono tutti dentro di me, gli voglio bene, non li dimenticherò mai. Mi accompagnano ad ogni curva, sono sempre qua con me e non mi lasceranno mai.
Perciò no, non sono un mostro. Forse il mostro ce l’ho dentro ed è questa difficoltà a vivere le emozioni dolorose, la paura di rimanerne schiacciato se lo faccio, di non riuscire più ad alzarmi, ma non è vero che sono io il mostro.
Hai ragione tu, Max?
Fermo la macchina nel posto del primo classificato e la prima cosa che faccio è alzare la visiera e chiudere gli occhi per trattenere questo pensiero che brucia benefico. Alzo il dito al cielo indicando il mio amico che oggi ha corso con me e mi ha aiutato.
Non scappavo dalla mia disumanità, ma dalla mia umanità. Eppure in realtà voglio esserlo, voglio disperatamente essere umano anche io. Solo che ne ho paura.
Quando scendo dalla macchina, sento come una forza in più che mi aiuta, perché le gambe erano diventate pesanti ed il petto aveva qualcosa a schiacciarmi ad impedirmi di sollevarsi per bene. Non riuscivo a respirare, ma alla fine ci riesco.
Non esulto, non ce la faccio, vorrei solo piangere e ce la sto per fare.
Prima volevo solo gridare e mentre correvo in quel modo mi è sembrato come di farlo, ma adesso le lacrime vogliono sgorgare, ma le trattengo ancora un pochino.
Aiutami ancora un po’, Anthoine. Ci sono delle cose da fare, ho vinto la mia prima gara in F1, uno dei miei sogni si realizza. Non poteva che andare così. Da solo non ce la farei, ma se qualcuno mi aiuta posso.
Perciò fammi fare anche il resto.
Lewis è estremamente dolce, mi stringe la spalla come se fosse un mio caro amico e mi conforta, nonostante prima non volevo essere nemmeno sfiorato e mi dava tutto fastidio. Ma dopo questa fuga mi sembra di essere un umano migliore.
Ancora qua nel parco chiuso fra piloti che si pesano, Pierre si avvicina quasi timidamente e mortificato, fa un sorriso di scuse e di gratitudine insieme. I suoi capelli a porcospino, l’aria esile e stanca, distrutta, di chi non ce la fa più. Ma sorride, mi chiede scusa e mi ringrazia senza dire nulla.
- Grazie per aver mantenuto la promessa. - fa infine. Io gli metto subito la mano sulla spalla e stringo, trovando in questo momento la forza per raddrizzarmi e andare avanti e continuare a fare ciò che va fatto.
Annuisco e poi lo abbraccio senza esitare.
Ha bisogno di me, questo improvvisamente mi aiuta, mi dà l’energia che necessitavo mentre sentivo le gambe farsi sempre più molli.
I piloti intorno a me vanno e vengono, si pesano, parlano un momento fra di loro, commentano la commemorazione durante la gara, il lungo applauso al diciannovesimo giro che è sgorgato ovunque, ma immediatamente noto una presenza in particolare che ho percepito quasi per tutto il tempo, da stamattina.
Quella presenza che sapevo perfettamente di chi era, ma da cui scappavo codardo per non fargli vedere ciò che non volevo vedesse.
Di nuovo se ne sta lì zitto senza farsi avanti, come sapesse che volevo solo essere lasciato in pace, ma mentre lo intravedo che si gira e se ne va senza dirmi nulla, una parte di me si ribella.
No, non smettere di capirmi così bene come hai fatto finora.
Adesso è diverso, adesso ho bisogno di una mano. Adesso quel contatto lo desidero.
Mi hai sempre capito, fin qua, continua a farlo.
Mi congedo sbrigativo da Pierre e poi schizzo al suo inseguimento consapevole che fra tipo quattro secondi sarò richiamato per le cose di rito. L’intervista post gara qua in pista, il retro-podio, il podio, la press, le interviste.
Ma prima di essere rapito e sommerso di doveri e perderlo fino al prossimo weekend di gara, io devo fare qualcosa perché adesso sto meglio e ne ho bisogno.
Anche la necessità di piangere è meno intensa grazie ad Anthoine e alla mano invisibile che mi tiene sulla spalla.
Vai, fai bene, mi sta dicendo.
Afferro Max mentre si sta infilando in un corridoio per raggiungere il suo box, lo tiro per il braccio spostandoci dietro ad una delle casse enormi che ci sono qua e senza rifletterci un secondo, perché se lo facessi sarebbe la fine, lo abbraccio.
Il cuore va così forte che mi sembra debba uscirmi dalla bocca, ma tengo i denti serrati in modo da non farlo scappare. Non riesco a dire una sola parola, il calore e le emozioni prepotenti straboccano come non mai da me, non le contengo più perciò non parlo, non oso dire niente. Non so cosa mi uscirebbe, da come mi bruciano gli occhi penso che piangerei e non voglio ancora farlo.
Devo essere forte e con tale forza che spero di avere, che cerco, che desidero, lo stringo fra le braccia mentre nascondo il viso contro il suo collo. È meno sudato di me perché ha finito prima, ma sappiamo entrambi di corsa, di macchina, di fatica. Ma è un odore che ci rappresenta.
Max, colto totalmente alla sprovvista, ricambia inebetito senza forse nemmeno rendersene conto. Le sue braccia circondano la mia vita, il mio corpo si appoggia totalmente al suo ed entrambi ci appoggiamo in quest’angolo nascosto, dietro un cassa provvidenziale piena di attrezzature da gara, in questo corridoio dove poco più in là ci sono piloti a pesarsi e gente a parlare della gara e di Anthoine.
Qualcuno chiama a gran voce il mio nome, l’elettricità mi invade nella pelle, nelle ossa, non riesco più a controllarmi e credo che sia addirittura felicità, ma per fortuna trovo la forza di scivolare via dalle sue braccia e senza guardarlo, senza osare incrociare un secondo gli occhi coi suoi, scappo verso i miei doveri.
Ho sia voglia di esultare che di piangere e non so perché l’ho abbracciato, ma ne avevo bisogno; sono un fottuto casino. Un casino di merda.
Ma penso proprio che Max non sia da meno e forse è questo che mi attrae tanto a lui. Perché a questo punto credo sia evidente che in qualche modo lo sono. Non so bene come, ma è così.
Sorrido imbarazzato mentre vado verso i microfoni dei primi tre classificati, a cui mi aspettano Lewis e Bottas. In parte credo sia che sto realizzando davvero d’aver avuto la mia prima vittoria in F1, una di cui non posso veramente esultare; in parte è per questo abbraccio e queste emozioni e questa strana cosa con Max. Sarei rimasto là ancora a lungo, anche se nella realtà è stato dannatamente breve. Nemmeno un minuto intero. Pochi secondi. Troppo pochi perché mi bastino.
Dovrò fare qualcosa.”
/Max/
“È come un pazzo schizzato, uno di quelli con la personalità multipla.
Charles passa dall’ignorarmi e scappare da me, all’acchiapparmi e addirittura abbracciarmi... per di più senza la scusa di qualche alcolico!
È impazzito definitivamente.
Poi ovviamente continua a non guardarmi e senza dire nemmeno mezza parola se ne va veloce come scappasse da chissà cosa. Da me, suppongo.
Ma rimango inebetito qua in questo angolo, sedotto ed abbandonato.
È lo stesso abbraccio che gli ho dato io quella sera a Monte Carlo, in quel locale. C’era il bisogno di essere stretto da qualcuno, ma non da chiunque. Pensavo che uno qualunque andasse bene, infatti ho scopato col primo stronzo che me l’ha strofinato addosso, ma in realtà non era così. Però va bene, io non penso mai prima di agire. Agisco e basta. Poi magari realizzo che non era quel che volevo, comunque non ne faccio una tragedia.
Quando me lo sono ritrovato davanti con una casualità sconvolgente, ho capito che cosa volevo da lui: un abbraccio. Il suo.
Non so perché, forse in qualche modo c’entrava con la spinta che ho avuto di lasciare Daniel. Mi trascinavo da mesi, ma non avevo mai avuto il coraggio di farlo, lui in qualche modo mi ha fatto capire che era ora, mi ha dato la forza di farlo e così come me l’aveva data per quello, poi doveva darmela anche per andare avanti.
In qualche modo Charles sta diventando una sorta di centro gravitazionale responsabile di molte delle mie stupide azioni, ma questa volta ha fatto tutto lui, io non ho fatto nulla.
Non so se dovrei pretendere spiegazioni, ma la verità è che so perfettamente perché l’ha fatto e soprattutto perché in questo modo.
Prova quel che provo io, ma conoscendo quanto è testardo e fissato su certe cose. non lo ha ancora ammesso a sé stesso. Sa che c’è qualcosa con me, ma non vuole proprio vederlo e penso ci metterà un po’.
Sorrido come un idiota mentre riprendo il corridoio che avevo imboccato prima.
Mi sembra d’aver vinto invece di essere uscito in mezzo alla gara. È assurdo, quasi che toccassi il cielo con un dito.
Non sa cosa prova, ma sa che lo prova e a volte è così grande e potente che non riesce a controllarsi. Magari era un grazie per non averlo guardato come un mostro anche se lui sicuramente deve essercisi sentito. Da come correva oggi, sicuramente l’ha creduto.
Ma non lo sei, spero tu l’abbia capito.
Quel mostro io e te ce l’abbiamo dentro, ma non lo siamo noi.
Lo capirai come l’ho capito io e se non ci arrivi perché in realtà sei un idiota, te lo ripeterò io, ma oggi non è di sicuro il momento ed il posto giusto.
Conoscendoti non festeggerai la tua prima vittoria in F1, ma so che ne avrai tante e la prossima lo farai anche per questa e lì sarà l’occasione per creare qualcosa, per afferrare ciò che adesso sono libero di prendere.
La nostra pista è davanti a noi, ha tante curve ed insidie e ci sono altri piloti che cercano di fotterci, non è una gara facile, ma sono sempre più convinto che la nostra vita, da qui in poi, sarà un discorso fra noi due.
In un modo o nell’altro.
Perciò ti lascerò in pace, ora, e goditi questo momento. Riprenditi, rimetti insieme la tua merda, poi arriverò io a chiedere il conto.
Durante le interviste, guardo distrattamente gli schermi della premiazione che sono sparsi in giro da cui di tanto i tanto trasmettono gli highlights della gara; quando vedo Charles col dito in cielo e gli occhi chiusi col viso rivolto verso l’alto e la coppa stretta nell’altro braccio, sorrido morbido.
Non tutti esprimono la loro umanità piangendo. Non è detto che se tu non piangi non sei umano e quindi sei un mostro.
Ci sono anche quelli come noi che esprimono l’umanità in altri modi.
Quali non lo so, ma sono sicuro di non essere un mostro. Daniel mi ha fatto capire questo, perciò gli sarò per sempre grato e gli vorrò per sempre bene. Senza di lui non sarei mai arrivato a questa importante conclusione.
Pensando a lui lo cerco con lo sguardo in mezzo agli altri che sono qua per rispondere ai giornalisti, lo intravedo nella sua tuta gialla e nera, sorride mentre parla anche se ha un fondo d’amarezza negli occhi. Un’altra gara non soddisfacente. Un anno davvero difficile per non dire osceno, ma non potevo pretendere diversamente. Al contrario di me, lui esprime i suoi sentimenti e le sue emozioni nel modo più classico e normale ed è bellissimo per questo.
Ma la mia affinità e la mia attrazione, purtroppo, è per Charles ed è inutile continuare verso piste che mi sembrano più congegnali. A me le piste facili in realtà non piacciono e Charles è una pista fottutamente impestata ed infernale, ma se taglierò il traguardo in prima posizione, sarà fottutamente bello.
Vederli insieme pochi giorni dopo è fottutamente bruciante. Fanculo, ne avrei fatto dannatamente a meno, ma pensare di non incontrarli più insieme è un’utopia visto che siamo sempre negli stessi alberghi del cazzo e pure negli stessi piani, perché la divisione è sempre specifica. I piloti vengono messi tutti all’ultimo piano perché è sempre il piano migliore, con le viste più belle e l’accesso a quei bei terrazzi spaziosi e suggestivi che spesso ci sono.
Gli altri dei team o sono nei piani inferiori o in altri alberghi.
Perciò è quasi matematico essere sempre nello stesso piano.
Appena arrivano in hall si vanno subito incontro, poi appena si sistemano in camera li vedi girare poco dopo per l’albergo sempre rigorosamente insieme.
Da un lato mi fa piacere vedere che Pierre stia meglio, come immaginavo era il primo weekend quello pesante, ma quel che mi brucia è questo modo diverso che hanno di stare vicini e guardarsi.
Dannazione, prima si vedeva che c’era un rapporto stretto ed avevo seri dubbi sulla natura, insomma pensavo trombassero e fossero una cazzo di coppia, ma non ne ero sicuro.
Adesso si vede lontano un miglio, non ci sono dubbi. Questi scopano e stanno insieme!
Fanculo! Fanculo! Fanculo!
Ho lasciato Daniel per essere libero senza freni di fare quel cazzo che mi pare con gli altri, peccato che voglio farmi Charles e che lui abbia deciso invece di farsi Pierre!
Ma lo fa apposta?
Ha lasciato la sua ragazza senza battere ciglio e non mi sono stupito. Certo, caro mio, ho pensato. Sei gay! Ti piace il cazzo! Che ci stavi a fare con una ragazza?
Ma perché se ti chiedo di Pierre tu dici sempre che non state insieme?
Adesso cosa diresti? Se te lo chiedessi ora, cosa risponderesti?
Improvvisamente questa domanda mi si inchioda nel cervello e diventa una vera e propria ossessione, tanto che questo dannato mercoledì in Italia è una specie di supplizio.
Per lui è la sua prima gara in casa Ferrari, sarà speciale perché i tifosi italiani sono dei pazzi e secondi a nessuno. Oltretutto la settimana scorsa ha vinto e sarà portato in alto più che mai. Insomma, lo chiamano il Predestinato, no?
Io volevo chiedergli come sta, mi sembra giusto e comunque mi interessa, ma ora come ora se gli chiedessi qualcosa, so benissimo che dalla mia bocca mi uscirebbe ‘mi vuoi dire una volta per tutte se trombi con Pierre e se state insieme?’
Però il punto è che ora ne sono fottutamente sicuro.
Porca puttana!
Sono un’anima in pena e tutto il cazzo di mercoledì che avrei libero per farmi i cazzi miei, me ne sto per conto mio, chiuso in camera a correre coi Sim Race senza nemmeno parlare con gli altri online come mi piace fare di solito.
Non voglio sapere e vedere niente e nessuno. Si fottano tutti. TUTTI!
Il giorno dopo ho una delle solite cose col mio compagno di team, Alex, che ha sostituito Pierre da quest’estate.
Alex è molto allegro e simpatico e vuoi o no finisce per coinvolgermi in queste cose che siamo sempre costretti a fare per gli sponsor Red Bull ogni dannata settimana di gara, solitamente il giovedì, e va a finire che mi rilasso e rido con lui togliendomi questo broncio che ho avuto per tutto il tempo.
È mentre passo qualche ora con lui a svolgere i nostri doveri di piloti Red Bull, che mi viene l’illuminazione del secolo.
Lui e Charles sono amici, fanno parte dello stesso gruppo, corrono insieme dai tempi del go-kart e stavano sempre insieme. Che poi tutte le conoscenze di quei tempi di Charles sono praticamente le mie, ci siamo separati quando siamo andati sulle monoposto, ma prima facevamo sempre le stesse gare. Solo che loro hanno legato molto, erano un bel gruppo ed erano tutti allegri, mentre io ero sempre per conto mio anche se non avevano niente contro di me o io contro di loro.
Se c’è qualcuno che può dirmi qualcosa di Charles e Pierre una volta per tutte è proprio Alex.
So che sono un masochista e che sapere questa cosa è un’inutile tortura, ma devo!
Devo avere questa cazzo di risposta e appena finiscono tutti gli impegni stabiliti dalla nostra agenda, almeno quelli del mattino, gli propongo di mangiare un boccone insieme per pranzo.
Non rifiuterà, non può! Anche perché non è uno scontroso che odia il mondo, sta volentieri con chiunque, perciò non me lo rifiuterà e appena saremo allo stesso tavolo, col boccone in bocca, attaccherò diretto senza pietà!
Non potrà che rispondermi!
Sì, lo farò! Certo che lo farò, cazzo!”
Note: Ci sono molte parti metaforiche che si alternano a eventi concreti, entrambi immaginano il loro rapporto come una gara in pista, poi adesso c'è questo concetto di mostro che rappresenta ovviamente una percezione personale di un problema o disagio che hanno. Spesso, specie quelli troppo riflessivi ed autocritici come io mi immagino Charles, tendono ad esagerare certi aspetti di sé stessi e a drammatizzare qualsiasi difetto, ma è chiaramente solo un modo di vedersi, non la realtà. Nessuno di loro è psicopatico, fa solo parte del loro approfondimento e del loro percorso e maturazione. Scusate se ogni tanto ritardo con la pubblicazione, ma dipende dai turni che faccio. Alla prossima. Baci Akane